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Pd, sotto il vestito niente

Salvatore Cannavò

Il Parlamento discute di politica economica ma non se ne accorge nessuno. Tremonti presenta la sua piattaforma di "liberismo statalista assistenziale" un po' sul modello cinese. E rivendica le "riforme" contro il lavoro. Bersani dice cose intelligenti ma non ha nessuna proposta alternativa. Meglio Di Pietro ma sempre dentro le ragioni d'impresa

Che ne di te se per qualche minuto usciamo dal terribile teatrino quotidiano della politica italiana per parlare di questioni più concrete e di sostanza? Cioè, di politica economica? Qualcuno potrebbe accusarci di voler parlare d'altro e, a leggere i giornali di oggi, l'argomento rischia di essere elitario. Eppure solo ieri, mercoledì 17 marzo, il Parlamento ha dedicato alla questione più di tre ore di dibattito con la presenza in Aula di tutti i leader, del ministro dell'Economia e, udite udite, anche del presidente del Consiglio che per qualche minuto è riuscito a sopportare l'allergia che nutre per Montecitorio.

Il dibattito era stato chiesto più volte dall'opposizione e in particolare dal segretario del Pd, Bersani, intenzionato a discutere della crisi, «dei problemi veri» come dice lui, piuttosto che di veline, magistrati e intercettazioni. Dal dibattito non è venuto fuori niente di eclatante ma si è discusso, sono state presentate mozioni di indirizzo al governo - 4 dall'opposizione e 2 a sostegno della maggioranza, approvate nel voto finale - i leader hanno parlato tutti e un quadro complessivo alla fine è venuto fuori.

Un quadro non entusiasmante, a dire la verità, perché comunque il dibattito è stato ravvivato più da saltuari riferimenti alle polemiche di giornata - le intercettazioni del presidente del Consiglio - che dall'incisività delle proposte. L'opposizione ha ovviamente accusato il governo di sottovalutare la crisi, di aver ridotto l'Italia in condizioni nemmeno paragonabili ai principali paesi europei e di non aver capacità di guardare al futuro. Il governo, per bocca dello stesso Tremonti, ha ovviamente risposto che invece molto è stato fatto e che l'accusa di «mancanza di coraggio» non va confusa con «l'irresponsabilità» di cui il governo è stato esente. Per motivare la propria azione Tremonti ha fatto l'elenco delle cose fatte. E questo è già interessante per cercare di costruire un'analisi meno episodica e più concreta del profilo economico e sociale del governo. Del perché, ad esempio, per citare Tremonti che cita Epifani «il governo ha avuto la capacità di governare la crisi perdendo poco consenso» (ma si vedrà alle Regionali quanto questa affermazione sia vera).


L'elenco di Tremonti

Il ministro dell'Economia sostiene infatti di aver realizzato «tanto provvedimenti congiunturali quanto provvedimenti strutturali». Per facilitarne la lettura abbiamo evidenziato in nero quelli secondo noi più rilevanti dal punto di vista dell'orientamento politico: «Abbiamo garantito - dice Tremonti - i depositi bancari nel pieno della crisi; abbiamo ammesso l'intervento dello Stato nel capitale delle banche a tutela dei risparmiatori; abbiamo permesso la garanzia dello Stato sulle obbligazioni bancarie; abbiamo emesso e operato strumenti ibridi di patrimonializzazione per 4 miliardi; abbiamo potenziato da 300 milioni a 2 miliardi ed esteso agli artigiani il Fondo centrale di garanzia; abbiamo ampliato l'emissione della Cassa depositi e prestiti, portando ad 8 miliardi il plafond per i finanziamenti a medio e a lungo termine delle piccole e medie imprese; abbiamo incrementato per 18 miliardi le autorizzazioni di cassa per il pagamento dei residui passivi, residui accumulati da chissà chi; abbiamo attivato il fondo di garanzia per le opere pubbliche; abbiamo creato la Cassa depositi e prestiti e Sace e un nuovo sistema di export-banca; abbiamo simulato fino a 8 miliardi la moratoria sui crediti; abbiamo introdotto la carta acquisti; abbiamo potenziato gli ammortizzatori sociali e autorizzato gli ammortizzatori in deroga; abbiamo detassato il salario di produttività; abbiamo ridotto via deduzione fiscale il peso dell'Irap; abbiamo agevolato le ristrutturazioni edilizie; abbiamo eliminato l'Ici prima casa; abbiamo introdotto il bonus per l'acquisto di auto ed altri beni di consumo; abbiamo potenziato il credito di imposta per le spese di ricerca; abbiamo reintrodotto il premio fiscale per le concentrazioni di aumenti di capitale; abbiamo detassato gli utili reinvestiti nei beni strumentali delle imprese e non solo. Provvedimenti strutturali (quelli che si chiamano riforme): abbiamo impostato ed avviato la riforma della pubblica amministrazione, della scuola, dell'università, del lavoro e della previdenza». La non menzione dello "Scudo fiscale" è un chiaro segnale che quell'operazione non è proprio difendibile. E all'elenco di Tremonti è corretto aggiungere invece l'elenco, molto più schematico ma corretto, che, dell'attività di governo, fa Bersani «Di sostanziale, avete fatto una cosa: avete preso soldi dagli investimenti delle regioni e del sud e li avete utilizzati per gli ammortizzatori sociali e per la cassa integrazione». Poi, continua Bersani «avete realizzato quattro o cinque misure grosse. Primo: avete realizzato il megacondono per gli evasori e per gli esportatori di capitali . Secondo: avete previsto un paio, o tre miliardi di euro per Alitalia. Terzo: avete incassato 20 miliardi di euro di IVA in meno in due anni. Quarto: avete aumentato la spesa corrente per beni e servizi della pubblica amministrazione di 12 miliardi di euro in due anni. Quinto: avete tagliato 8 miliardi di euro alla scuola in tre anni». Tremonti poi aggiungerà le cose che intende fare o sta facendo ora: la Banca del Sud, i Fondo italiano di investimenti, il Fondo per l'edilizia privata sociale (per 50mila alloggi in cinque anni) e, infine, la riforma fiscale legata al federalismo fiscale da fare in almeno tre anni.

Da questo quadro emerge un governo che finora si è occupato molto di una sua certa base sociale: i grandi evasori, i risparmiatori forti - quelli che nel termine del suo intervento Tremonti rassicurerà negando qualsiasi nuova tassa sulle rendite - ma anche le banche, le piccole e medie imprese della fascia leghista con tantissimi sgravi, alcuni boiardi di Stato (che ancora esistono sia pure maschierati da manager pubblici) garantiti da un certo attivismo centrale (Cassa Depositi e prestiti, Banca del Sud), la Fiat e le grandi imprese amiche. E poi un generale attacco al mondo del lavoro e ai diritti sociali con le "riforme" Brunetta, Sacconi, Gelmini. Un liberismo statalista, si potrebbe dire, che è più vicino alla Cina che ai paesi occidentali. Sul fronte sociale solo due misure: la carta acquisti (fallita) e la Cassa integrazione. Cioè assistenza senza alcuna lungimiranza. Quindi liberismo di Stato assistenziale. Non sarà scientificamente esatta ma la definizione esprime quanto detto da Tremonti.


E l'opposizione?

L'opposizione ovviamente grida e, per dirla con Bersani, punta a "un'altra Italia". Ma che proposte fa? Per comodità di esposizione abbiamo lasciato da parte Casini e ci siamo concentrati su Idv e Pd. E bene, per quanto riguarda il più grande partito di opposizione, leggendo la sua mozione si scopre che sotto il vestito non c'è niente. Cioè c'è un'indicazione "anticrisi" molto minimalista e per nulla strutturale. Le proposte parlando di "mettere sotto controllo la spesa pubblica", di realizzare "un piano nazionale anti-crisi ad impatto di breve periodo" che viene articolato con: «indennità universale di disoccupazione pari al 60% dell'ultima retribuzione» per chi non ha ammortizzatori; fondo di garanzia per crediti alle piccole imprese; allentamento del patto di stabilità interno a favore dei Comuni. E poi altre cose generiche come: rilanciare competitività del settore agricolo, riforme strutturali in chiave europea, riforma del fisco con l'obiettivo di «semplificare gli adempimenti», «riallocare il carico fiscale» senza dire che rimodulazione di aliquote e quindi di risorse. Fino alla proposta di «dare rapida attuazione alla legge delega sul federalismo fiscale» con un occhio strizzato alla Lega chiamata a gran voce dallo stesso Bersani nel suo intervento. Come si vede nessun intervento strutturale e in particolare nessun riferimento al lavoro, ai lavoratori e alle lavoratrici se non in chiave simbolica. E soprattutto nessuna impostazione alternativa capace di aggredire in profondità la crisi.


Di Pietro fa il radicale

Va meglio nel caso dell'Idv che ha presentato una mozione-fiume, piena di dati analitici e suddivisa, nella parte delle proposte, in una parte più di fondo, una sorta di programma massimo e in proposte immediate per il governo.

Nella mozione di Di Pietro si parla dell'esigenza «di una diversa politica economica» basata soprattutto sul sostegno alla domanda, sulla «modernizzazione ecologica dell'economia», sull'universalizzazione degli ammortizzatori sociali validi per tutti, sulla salvaguardia dell'occupazione. Il lavoro c'è ma appena accennato e l'impianto fondamentale di politica economica assomiglia a un keynesismo moderato molto attento alle ragioni di impresa. Così l'occupazione si salvaguarda «con il ricorso generalizzato ai contratti di solidarietà», cioè riducendo gli stipendi; occorre «prevedere la deduzione graduale del costo del lavoro dall'imponibile Irap», cioè sgravi alle imprese; «accelerare la liberalizzazione dei servizi pubblici locali con l'esclusione del servizio idrico» e in generale «ridurre le barriere a fare imprese in molti comparti aprendo alla concorrenza molti settori dei servizi che ancora mantengono barriere amministrative». Nelle proposte immediate l'Idv propone di «sostenere i redditi da lavoro e da pensione»; raddoppiare la durata della Cassa integrazione da 52 a 104 settimane; portare al 20% la prima aliquota Irpef, ma anche l'aliquota Ires per le imprese e la tassazione delle rendite di attività speculative (quindi non tutte); recuperare le risorse attraverso la lotta all'evasione fiscale e tassazione della speculazione finanziaria. Un po' poco anche se meglio delle proposte Pd.

Questo il quadro ricavato dalla lettura dei documenti ufficiali. Che in genere non godono di grande prestigio e non sono quasi mai letti. Ma è l'unica cosa che abbiamo per cercare di fare un po' di buona analisi politica.

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