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Moneta "comune": punti oscuri, pro domo Galliarum...

di Quarantotto

Si diffonde sul web la discussione sulla posizione di Frédéric Lordon relativa alla "moneta comune" che dovrebbe sostituire la "moneta unica", chiaramente insostenibile e modellata su una prevalenza politica delle oligarchie finanziarie.

L'analisi compiuta, che include la considerazione del problema della sovranità e del suo legame con la realizzazione della democrazia in senso moderno, - problema che potremmo dire "centrale" nel discorso qui svolto - ha un interessante, quanto non del tutto convincente, punto critico in questo passaggio:

"L’equilibrio si ritrova se, invece di una moneta unica, si pensa a una moneta comune, ossia un euro dotato di rappresentanti nazionali: degli euro-franchi, delle euro-pesetas, ecc. Immaginiamo questo nuovo contesto in cui: le denominazioni nazionali dell’euro non sono direttamente convertibili verso l’esterno (in dollari, yuan, ecc.) né tra loro.

Tutte le convertibilità, esterne e interne, passano per una nuova Banca centrale europea che funge in qualche modo da ufficio cambi, ma e privata di ogni potere di politica monetaria. Quest’ultimo è restituito a delle banche centrali nazionali e saranno i governi a decidere se riprendere il controllo su di esse o meno.

La convertibilità esterna, riservata all’euro, si effettua classicamente sui mercati di cambio internazionali, quindi a tassi fluttuanti, attraverso la Banca centrale europea (Bce), che è il solo organismo delegato per conto degli agenti (pubblici e privati) europei.

Di contro, la convertibilità interna, quella dei rappresentanti nazionali dell’euro tra loro, si effettua solo allo sportello della Bce, e a delle parità fisse, decise a livello politico. Ci sbarazziamo così dei mercati di cambio intraeuropei, che erano il focolaio di crisi monetarie ricorrenti ali e-poca del Sistema monetario europeo (5), e al tempo stesso siamo protetti dai mercati di cambio extraeuropei grazie al nuovo euro. È questa doppia caratteristica che fa la forza della moneta comune.

Allontanato così il fantasma della convergenza «automatica» delle economie europee, sappiamo che certe economie hanno bisogno di svalutare – a maggior ragione con l’attuale crisi! Ora, il dispositivo di convertibilità interna della moneta comune ha l’immensa virtù di rendere di nuovo possibili queste svalutazioni, ma in un clima di maggior tranquillità.

L’esperienza degli anni ’80 e ’90 ha ampiamente dimostrato l’impossibilità di operare aggiustamenti del cambio in piena bufera di mercati finanziari interamente liberalizzati
. La tranquillità interna di una zona monetaria europea libera dal flagello dei suoi mercati di cambio rende allora le svalutazioni dei procedimenti interamente politici, dove spetta alla negoziazione tra stati il compito di accordarsi su una nuova griglia di parità.

E non solo le svalutazioni! Perché il tutto potrebbe essere configurato secondo l’International Clearing Union proposta da John Maynard Keynes nel 1944, che, oltre alla possibilità di svalutazione offerta ai paesi con forti squilibri esterni, prevedeva anche di obbligare alla rivalutazione i paesi con forti eccedenti
".


Ora, ciò che veramente appare critico è pensare che la mera pressione del mercato dei capitali "interamente liberalizzato", possa essere identificata come la causa delle bufere che possono investire, prima di tutto, le monete e i corsi dei titoli del debito pubblico dei paesi coinvolti, ritenendo che la negoziabilità politica di nuove parità (cioè di nuove svalutazioni e/o simmetriche rivalutazioni delle varie valute europee coinvolte in un sistema di cambi differenziati ma inizialmente "fissi"), senza incisivi complementi istituzionali negoziati con cristallina chiarezza, possa ovviare ai non piccoli problemi che rimarreberro aperti.


La necessità di accordi continui e reiterabili
, implica che la non accettazione della proposta da parte degli interlocutori (ma quali e come? Tutti insieme o solo, secondo il caso, in rapporti bilaterali, alquanto improbabili, trovandosi sempre dei "controinteressati" vulnerati, esclusi dal "patto a due"?), possa rendere impraticabile sine die una eventuale svalutazione, quand'anche assolutamente vitale per l'economia dello Stato che la richieda.


Di fatto il sistema potrebbe essere così farraginoso e incerto da implicare la perpetuazione di politiche "vincolate" (rigorosamente "dall'esterno") e stabilmente volte al deflazionismo (salariale) e alla rigidità fiscale austera, incapace di aggiustamenti anticiclici.
E quindi inidonea a determinare l'uscita dell'Europa dalle demenziale stagnazione oligarchico-neo classica, antistatuale, attualmente dominante. (Leggersi qui come Sapelli, lamenti lo scriteriato abbandono europeo della "cultura di Westfalia", di cui abbiamo parlato qui).


A conferma delle forti perplessità che un meccanismo così genericamente descritto (nonostante la lunga e pur condivisibile premessa sui problemi del sistema attuale), si dice anche che saranno i governi a decidere se riprendere il controllo delle rispettive banche centrali, e, quindi, della "politica" (ma ormai dovrebbe essere chiaro che si dovrebbe dire "costituzional-democratica") relativa alla funzione monetaria.


Una banca centrale nazionale "indipendente pura",
cioè svincolata da obblighi di intervento sistematico sull'emissione dei titoli del debito pubblico corrispondenti al livello del deficit, ritenuto coerente con le esigenze di politica economica di ciascun paese - deficit sulla cui predominante funzionalità anticiclica si è limpidamente espresso Minsky, con un'analisi difficilmente oppugnabile -, è altrettanto efficiente di una BCE per perpetuare il "meraviglioso mondo di von Hayek" nella sua versione strumentale e tattica attuale.

E ciò specialmente in un sistema di cambi fissi che si differenzierebbe dallo SME per la stanza di compensazione di modello "keynesiano", la quale, sul piano normativo-istituzionale, non funziona certo con la via di uscita di continui "consensi reciproci" cioè di accordi modificativi del cambio; essa si potrebbe esplicare, piuttosto, in base ad obblighi, sanciti da un trattato multilaterale, puntuali e indicizzati, tali da non consentire alcuna discrezionalità al paese che si avvantaggia (poniamo, "a caso", la Germania o, nei nostri confronti, la stessa Francia).

Cioè non concedendo al paese in vantaggio commerciale (legato, sia chiaro, al cambio fisso "pro-tempore" vigente) una discrezionalità che è quella stessa dell'attuale adesione ad una modifica delle condizioni dei trattati vigenti (discrezionalità che i paesi "creditori" non hanno mostrato alcuna convenienza ad esercitare).

E questo inconveniente permarrebbe anche se, proseguendo l'assenza di un'autorità capace di imporre "automatismi ed indicizzazioni", esistessero, nel nuovo trattato, degli "obblighi a contrarre"; in tal caso, infatti, il problema, praticamente inaggirabile, sul piano del diritto internazionale, governato da sempre dalla prevalenza "de facto" del più forte, sarebbe quello della "eseguibilità forzata" (si dice "in forma specifica") dell'obbligo di contrarre.


In pratica, il paese che, per auto-colpevolizzazione ideologica, (in questo l'Italia, dai tempi di Andreatta, eccelle), o per altri motivi contingenti (una classe politica impreparata, pavida e disabituata a tutelare gli interessi nazionali, ad es;?), si trovasse in posizione di debolezza negoziale "precostituita", raggiungerebbe, nel sistema suggerito da Lordon, solo una transitoria panacea, nell'iniziale rifissazione dei cambi differenziati della "moneta comune".

Ma l'ignoranza protratta sulle divergenti dinamiche strutturali (e non "colpose")dell'inflazione, dovuta a quella stessa "propaganda" essenziale, nella considerazione del Minsky sopra citato, per l'affermazione delle teorie economiche neo-classiche, porrebbe i sistemi divergenti dei vari Stati europei, di fronte a un rapido riprodursi delle stesse problematiche del 1989-92. Solo che, in più, risulterebbero acuite dalla distruzione strutturale indotta, nei sistemi industriali dei paesi debitori, dalla crisi 2007...ad oggi: la recessione innescata dalla logica del pareggio di bilancio, è infatti praticamente senza termine finale (ben potendosi verificare, in attuazione di two-packs e fiscal compact, continue ricadute nella recessione stessa, per tutto l'arco delle imposizioni pluridecennali ormai istituzionalmente consentite alla Commissione "sostitutiva" dei governi ex-sovrani; aspetto che viene, senza mezzi termini, ribadito da Sapelli nell'articolo sopra linkato).


Un sistema del genere, dunque, invece che sulla contrattazione relativa alla revisione dei "cambi fissi" potrebbe reggersi, come nell'originaria idea keynesiana, solo su meccanismi automatici e intensamente vincolanti che i paesi core, Germania e Francia ("ri-salvata" dall'iniziale ri-aggiustamento), risulterebbero naturalmente restii ad accettare.

Se fossero mai stati "disponibili", in realtà, non saremmo già in questa situazione.


Quello che infatti emerge è che tutta la "costruzione €uropea" attuale, si basa sulla dogmatizzazione super-costituzionale (pretesamente tale, in modo non giuridicamente accettabile), di meccanismi che consegnano alle elites finanziarie - ed a quelle dei grandi oligopoli industriali, praticamente coincidenti negli interessi delle prime, specialmente in Francia-, il controllo pressocché assoluto dell'azione governativa.


Insomma, nonostante la bella premessa, in assenza di precisazioni, di gran lunga più discernibili, sui dettagli di questo nuovo assetto pattizio (pur sempre internazionale), la proposta di Lordon, risulta, allo stato, molto pro-domo propria. Molto filo-francese (e, dal suo punto di vista, è comprensibile): da dove nascerebbero il "volemose bene" e la solidarietà intra-europea che un sistema di ricontrattazione flessibile, ma "negozialmente discrezionale", quale quello da lui proposto, implica necessariamente?

E solo perchè "parrebbe", ma molto in apparenza, un compromesso accettabile per le oligarchie tutte, come sottolinea Lordon, costrette, in caso di rifiuto ostinato ad accettare un tale rinnovato assetto, a perdere tutto a causa della probabile diffusa rivolta popolare?


Ci pare un pò poco, come dimostrazione di buona volontà e, prima ancora, di realismo: in essenza, poi, le elites tedesche, e satelliti in generale, sarebbero certamente ridefinite nel loro potere "egemone" attuale.

Tuttavia, i sistemi nazionali di banche centrali indipendenti all'europea
, figlie di un monetarismo selvaggio stigmatizzato da Lordon che, però, non scorge questa caratteristica come suo perno essenziale, da un lato consentirebbero alla sterile ideologia delle opache elites locali dei PIGS (Italia soprattutto) di continuare a controllare la situazione, dall'altro, riproporrebbero una potenziale egemonia francese in tale atipicissima "area valutaria comune" (anzichè unica e dis-ottimale).

Tanto più se il mondo "crucco" se ne stesse fuori, come pure potrebbe risultare probabile (e forse sperato da Lordon stesso).

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