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Se pensi ti cancello

di Emanuel Pietrobon

Un vecchio adagio sostiene che “la realtà supera la fantasia”, e quanto sta accadendo negli Stati Uniti è l’ennesima dimostrazione che la saggezza antica è fonte di verità sempreverdi. In uno scenario che ricorda – quantomeno a livello di metodica – la trama del film drammatico “Se mi lasci ti cancello”, qualcuno ha scoperto come cancellare il ricordo di una persona, Donald Trump in questo caso, dalla mente delle persone: la de-piattaformizzazione.

Tutto ha avuto inizio il 7 gennaio, giorno in cui Mark Zuckerberg ha deciso di bloccare le pagine ufficiali del presidente su Facebook e Instagram. Il casus belli è stato l’assalto al Campidoglio – il cui bilancio provvisorio è di cinque morti, più di sessanta feriti e oltre ottanta arresti – che, secondo Zuckerberg, sarebbe avvenuto su istigazione di Trump.

Misure restrittive basate sulla sospensione temporanea dei profili ufficiali di Trump sono state adottate anche da Twitter e Snapchat, i quali hanno legittimato il ricorso alla censura in termini medesimi, ma il boicottaggio si sta estendendo a macchia d’olio, ad esempio su YouTube, travolgendo anche realtà identificate con il presidente, come la piattaforma sociale Parler.

Il mondo liberal-progressista è in festa: è ormai prossima l’uscita di scena dell’amministrazione più contestata della storia degli Stati Uniti, e l’assalto al Campidoglio potrà essere utilizzato come pretesto per muovere una guerra senza quartiere alle destre di tutto l’Occidente. Edward Snowden, che simpatizzante trumpista non è mai stato, osserva con inquietudine gli eventi che stanno sconvolgendo la madrepatria e lancia l’allarme: il silenziamento di Trump ha creato un precedente pericoloso che potrebbe condurre alla normalizzazione della censura.

 

L’opinione di Snowden

Edward Snowden, l’ex agente della National Security Agency che fra il 2012 ed il 2013 ha dato vita ad uno dei più grandi scandali della storia recente degli Stati Uniti divulgando informazioni ultra-riservate sulle attività di sorveglianza, ha commentato i fatti del 7 gennaio con la lucidità analitica che lo caratterizza. Affidando a Twitter il proprio pensiero, la prima reazione di Snowden è stata la seguente: “Facebook silenzia ufficialmente il Presidente degli Stati Uniti. Nel bene o nel male, questo verrà ricordato come un momento di svolta nella battaglia per il controllo del discorso digitale”.

Le reazioni dei lettori al tweet, indicative della polarizzazione che ha diviso la società americana in due realtà non-comunicanti, hanno convinto l’attivista ad esprimere e strutturare più chiaramente la propria opinione in merito. Snowden, pur non essendo un simpatizzante trumpista, crede convintamente nella libertà di parola e pensiero – per la quale ha sacrificato la propria carriera – e ha invitato l’opinione pubblica a interpretare la decisione di Facebook per quel che è realmente: un precedente destinato ad avere un impatto duraturo e generalizzato, il trampolino di lancio verso la normalizzazione della censura.

Scrive Snowden: “Lo so, un mucchio di gente nei commenti sta leggendo questo [ndr. la notizia della censura] ed è tipo ‘Sìììi!’; una cosa che, va bene, comprendo. Ma, immaginate per un momento un mondo che esista per più dei prossimi tredici giorni: questo diventa una pietra miliare che durerà”.

Essendo che questo mondo – il mondo della censura politica delle opinioni da parte dei grandi privati da cui dipende l’esistenza della società virtuale – sopravvivrà, evolvendo sino a incidere in maniera sempre più profonda nella quotidianità delle persone, la riduzione al silenzio di Trump è già storia e la normalizzazione della censura è alle porte. Un pensiero simile, ma più strutturato, è stato espresso anche dal politologo Francis Fukuyama.

 

Se non mi piaci ti de-piattaformo

Mark Zuckerberg, proprietario dell’impero social più esteso e popolato del pianeta, ha emesso il proprio verdetto incontrovertibile sui fatti del 6 gennaio: Trump, accusato di essere il mandante morale degli scontri (e dei morti), è stato punito con l’esilio da Facebook e Instagram, del cui spazio non può più avvalersi. La censura, di natura straordinaria e senza precedenti storici – è la guerra di una piattaforma sociale contro un capo di Stato –, durerà sino all’avvenuto insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca, anche se non è da escludere un prolungamento.

La decisione di Facebook è stata letta come una chiamata alle armi da parte dei giganti della rete che, molto rapidamente, ha dato vita ad un effetto valanga: misure restrittive basate sulla sospensione temporanea dei profili ufficiali di Trump sono state adottate da Twitter e Snapchat, PayPal e Shopify hanno effettuato un repulisti di utenze legate e/o simpatetiche verso il presidente, e Twitch e YouTube hanno annunciato controlli più stringenti per cancellare contenuti non-conformi relativi all’inquilino della Casa Bianca e al mondo della destra – il canale “War Room” di Steve Bannon è stato tra i primi a cadere.

Quella che è iniziata come una campagna di boicottaggio e censura indirizzata a Trump, però, ha assunto la forma inquietante di un assalto parossistico alla libertà di pensiero quando nel mirino delle grandi corporazioni è finita Parler, la piattaforma sociale “alternativa”, la quale è stata rimossa dai server e dagli spazi acquisti e scaricamenti (store) di Amazon, Google e Apple. Trump, in breve, si è rivelato il pretesto per silenziare un intero mondo politico.

La vera novità, rispetto alle schermaglie degli scorsi mesi fra Casa Bianca e grandi realtà della nuova comunicazione, è data dal fatto che, questa volta, al boicottaggio nel nome della verifica dei fatti (fact-checking) e alla caccia ai profili di destra, sta venendo preferita la condanna all’esilio dalla società virtuale di un’intera realtà ideologica. Questo tipo di censura, la damnatio memoriae ai tempi dei social network, ha un nome preciso – de-piattaformizzazione – ed è una delle tante forme che sta assumendo la soppressione del dissenso nei Paesi occidentali.

L’eliminazione da una piattaforma sociale può sembrare irrilevante, ma non lo è: nell’epoca in cui ogni singolo aspetto della quotidianità è stato trasferito dalla realtà fisica alla rete, e dove lo streaming ha sostituito i cinema nello stesso modo in cui le dirette Facebook hanno rimpiazzato i comizi elettorali, de-piattaformizzare significa condannare all’oblìo, privare un individuo dei diritti inalienabili di parola e pensiero, che, oggi come mai prima d’ora, vengono esercitati in rete. Se, poi, con il pretesto di silenziare il singolo viene colpito un intero gruppo, non è censura difensiva, ma criminalizzazione delle idee propedeutica e funzionale alla costruzione di una colpa collettiva.

Snowden ha ragione: il silenziamento di Trump dovrebbe essere motivo di preoccupazione per chiunque. Questo, infatti, è soltanto l’inizio – gli attacchi a Parler non necessitano alcuna interpretazione – di una lunga stagione di censura e sorveglianza nel nome dell’eutanasia del pensiero libero, che, presto o tardi, finirà per colpire inevitabilmente anche chi oggi è dedito all’esultanza: il pensiero unico non ammette la possibilità di replica.

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