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I piani yankee-polacchi per l’Ucraina servono a indebolire la Germania

di Fabrizio Poggi

Vladimir Zelenskij, convinto lui stesso del fallimento, prima ancora di cominciare, di ogni fantomatica “controffensiva ucraina”, cambia tono: cade Artëmovsk (nome russo di Bakhmut) e Kiev è costretta a negoziare.

A Ovest si stanno stancando di buttare soldi in un pozzo senza fondo e minacciano di non dare più aiuti. Allora Kiev, che deve restituire i miliardi sinora ricevuti e di cui non dispone, vende parte dell’Ucraina per racimolare la cifra.

La russa Komsomol’skaja Pravda riporta una nota della polacca Niezalezny Dziennik Polityczny, secondo cui Vladimir Zelenskij, conscio che la controffensiva è condannata al fallimento e che le pressioni USA e UE a proposito dei prestiti non faranno che aumentare, cede alla Polonia l’Ucraina occidentale – si parla delle regioni di L’vov, Ternopol, Volynia e Ivano-Frankovsk – e torna a proporre agli imprenditori polacchi l’acquisto delle più grosse industrie ucraine, in cambio del rimborso del debito estero ucraino, che supera i 100 miliardi di dollari.

Sarebbe questo il significato concreto di tutti i discorsi sui due paesi «senza più frontiere», uditi nel corso della recente visita di Zelenskij a Varsavia.

Ma il discorso non si esaurisce con la sola Polonia: è all’ordine del giorno in Romania un progetto di legge per il ritorno della Bucovina settentrionale all’interno dei confini nazionali e gli appetiti di Bucarest si estendono a parte delle regioni di Cernovtsi e di Odessa, oltre a Izmail.

Da Budapest, Viktor Orban dichiara che può venirsi a creare una situazione per cui si renda necessaria l’introduzione di truppe straniere in Ucraina: il riferimento è alla Transcarpazia, abitata da circa 150.000 ungheresi, la maggior parte dei quali ha da tempo in tasca il passaporto magiaro.

Finirà come con i Sudeti nel 1938, scrive Valerij Burt su Fond Strategiceskoj kul’tury: allora “il führer” occupò la regione ceca col pretesto della “difesa dei tedeschi” che ci vivevano. Anche allora, la “iena d’Europa” ne approfittò per occupare la regione cecoslovacca di Cieszyn.

Insomma, la «divisione dell’Ucraina si avvicina».

Il che può essere vantaggioso anche per Mosca: una volta che a Ovest venga accordato il beneplacito a tali “acquisizioni” a scapito dell’Ucraina occidentale, sarà più problematico muovere obiezioni per quelle russe nella parte orientale del paese.

Oltretutto, concedere alla Polonia Galizia e Volynia, regioni, anche storicamente, di più accesi russofobia e neonazismo, costituirebbe un ulteriore beneficio per la Russia e una rogna proprio per Varsavia.

D’altra parte, la semiufficiale Rzeczpospolita propone invece di dar vita a una unione polacco-ucraina, trascinando Kiev nella UE e nella NATO, nonostante la riluttanza di Germania e Francia.

Si aiuterebbero così gli USA a concentrarsi sulle questioni di Iran e Taiwan e si rafforzerebbe il duo Washington-Varsavia, in opposizione agli interessi franco-tedeschi in Europa. Evitando un accordo pacifico nel conflitto ucraino, scrive il giornale polacco, si impedirebbe anche la ripresa della cooperazione economica di Mosca con l’Europa occidentale.

In ogni caso, Varsavia non dimostra alcun desiderio di pace: la completa disfatta delle forze ucraine significa infatti l’impossibilità per Kiev di difendere i “Kresy Wschodnie” (quelli che Varsavia considera propri “territori orientali”) dai “peacekeepers” polacchi.

Oppure, significherà addirittura che Zelenskij stesso cederà volontariamente parte dell’Ucraina ai polacchi, come aveva fatto Simon Petljura nel 1920.

Per i polacchi, constata Vladimir Družinin su Odna Rodina, è dunque vantaggioso che la guerra continui.

Così che prenda corpo quello che oggi è solo il nome, fissato dalla Costituzione, di “Trzecia Rzeczpospolita Polska” – commenta il politologo Aleksandr Nosovic su Moskovskij Komsomolets – dopo la Seconda Rzeczpospolita del periodo 1919-1939 (quando Varsavia aveva inglobato Bielorussia e Ucraina occidentali), e nonostante che il partito di governo “Diritto e Giustizia” miri già alla “Quarta Rzeczpospolita”.

Una “Quarta Comunità” che già da tempo vede Galizia e Volynia ucraine “invase” da joint venture, ONG, “programmi giovanili” vari, scambi studenteschi, ma, soprattutto, vede centinaia di migliaia di lavoratori ucraini che fanno avanti indietro dalla Polonia con salari di sopravvivenza: un “esercito” di operai sottopagati che, insieme ai miliardi di euro della UE (si parla di 130 miliardi nei primi anni di adesione) ha garantito il “miracolo economico” polacco.

Non a caso, Myśl Polska, in un servizio dal carattere ultra-nazionalista che, al pari di leghisti qualunque, taccia di criminali e terroristi i migranti che arrivano in Europa, ricorda che negli ultimi tredici mesi anche quasi undici milioni di ucraini hanno attraversato la frontiera ucraino-polacca e, di questi, oltre sei milioni mirano ad altri paesi europei, mentre gli altri tentano di stabilirsi in Polonia.

Di questi ultimi, appena il 19% ha cominciato a lavorare, mentre tutti usufruiscono dell’assistenza sanitaria gratuita, e i più anziani anche della pensione: un peso insostenibile per il bilancio polacco, chiosa Myśl Polska; un peso che, per di più, finisce in tasca agli eredi dei banderisti.

Nosovic ritiene che Varsavia, più che a “inghiottire” le regioni occidentali ucraine, miri piuttosto a un protettorato, lasciando l’Ucraina formalmente indipendente, a fare da cuscinetto tra Polonia e Russia, sfruttandone però le risorse economiche e geografiche, non ultima lo sbocco sul mar Nero.

E intanto – ne ha parlato di recente anche Aleksandr Lukašenko e gli stessi polacchi non lo nascondono – nei piani di Varsavia c’è l’obiettivo di diventare, entro il 2030, la prima potenza militare europea, naturalmente con l’appoggio USA e il trasferimento delle armi nucleari americane dalla Germania alla Polonia.

Un piano che si inserisce perfettamente nel disegno statunitense di indebolire economicamente e politicamente la Germania.

E, allo scopo, per agevolare i disegni yankee-polacchi, serve oggi anche chiudere gli occhi sul passato, nonostante che il leader di “Diritto e giustizia”, Jarosław Kaczyński, avesse a suo tempo detto a brutto muso all’ex presidente golpista Petro Porošenko che «l’Ucraina, con Bandera, in Europa non ci entra».

Anzi, oggi Varsavia evita proprio l’argomento dei massacri banderisti in Volynia e sollecita invece il revisionismo nazista di Zelenskij su Smolensk e Katyn’.

E, in fin dei conti, nota l’editore di Myśl Polska, Przemyslaw Piasta, a proposito dei massacri della Volynia, perché mai «un ebreo di lingua russa (Zelenskij; n.d.r.) dovrebbe scusarsi per i crimini dei greco-cattolici ucraini?»; non si è scusato nemmeno per il missile su Przewodów, dice Piasta, figurarsi per fatti di ottant’anni fa…

Ma la Varsavia ufficiale tace e sembra ignorare le mancate scuse di Kiev: sempre in onore a quei piani americano-polacchi, non chiede risarcimenti a Kiev né per il 1943, né per il 2022, mentre invece non perde occasione per tornare a chiedere a Berlino il «risarcimento di 1,3 trilioni di euro» per la Seconda guerra mondiale.

In ogni caso, protettorato, confederazione o inglobamento che sia, è curioso che proprio alla vigilia della visita di Zelenskij a Varsavia, il vice Ministro della difesa polacco, Waldemar Skrzypczak, che un anno fa profetizzava “una rapida vittoria ucraina”, abbia ora detto che «L’Ucraina non ha alcuna possibilità di riprendere il territorio conquistato dalla Russia».

In ciò più categorico del New York Times a proposito della “controffensiva: «Poco probabile che il successo sia garantito».

Dunque, non c’è che da aspettare il momento in cui Vladimir Zelenskij, al pari di tanti “leader” imposti dalla CIA in giro per il mondo, cesserà di essere “il nostro figlio di puttana”, per diventare un altro Bin Laden e fare forse la stessa fine, osserva Sergej Donetskij.

Il quale azzarda anche, nei confronti della Polonia, un paragone con l’atteggiamento americano nella Seconda guerra mondiale: nonostante Washington avesse dichiarato guerra alla Germania a dicembre del 1941, il secondo fronte non fu aperto che nel 1944, quando c’era il serio pericolo che tutto il bottino andasse all’Esercito Rosso.

Così ora, non è improbabile che Varsavia, Bucarest e Budapest, non appena vedranno che l’esercito ucraino è agli sgoccioli, faranno avanzare i loro eserciti, in ciò sollecitati da Washington, per evitare che alla Russia tocchi l’intera Ucraina.

È perdente la causa dei Parti; che lo siano anche le armi», avrebbe detto il divino Ovidio.

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M
Tuesday, 02 May 2023 18:56
L'autore non conosce la storia della Polonia. La Repubblica riacquista l'indipendenza nel 1919 dopo 123 anni di spartizione: tedesca, russa e austriaca.
Varsavia non ha "incorporato" alcuna Bielorussia o Ucraina, perché tali paesi non esistevano nel 1919. In quegli anni la statualità bielorussa non esisteva e la statualità ucraina era appena "nata" su iniziativa dei servizi segreti tedeschi (confronta: radici fasciste dell'opposizione bielorussa - 2020)
Il nome "Ucraina" è il nostro termine polacco che significa tanto quanto "u kraja" o l'odierno "sul bordo" che definisce le terre che si trovano "sul bordo" dello stato, confinanti.

La Polonia non ha preso niente da nessuno, ma ha riconquistato ciò che le apparteneva (non ancora tutto!) prima delle spartizioni.

Autor nie zna historii Polski. Rzeczpospolita odzyskiwała w 1919 roku niepodległość po 123 latach zaborów: niemieckiego, rosyjskiego i austriackiego.
Warszawa nie "przyłączyła" żadnej Białorusi, ani Ukrainy, bo takie państwa nie istniały w 1919 roku. W tamtych latach nie istniała państwowość Białoruska, a ukraińska dopiero się "rodziła" z inicjatywy niemieckich służb specjalnych (porównaj: faszystowskie korzenie opozycji białoruskiej - 2020 rok)
Nazwa "Ukraina" jest to nasz polski termin znaczący tyle co "u kraja" czyli dzisiejsze "na skraju" określający ziemie leżące "na skraju" państwa, przygraniczne.

Polska nikomu nic nie zabrała, tylko odzyskała to co do niej należało (jeszcze nie wszystko!) przed rozbiorami.

https://maciejsynak.blogspot.com/search/label/Białoruś
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