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marx xxi

La pace per la pace. Il conflitto in Ucraina e l’opinione pubblica europea. Editoriale

di Francesco Galofaro - Università IULM

Il 22 febbraio l’agenzia ANSA ha diffuso i dati di un sondaggio realizzato in 12 paesi europei (Austria, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Italia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Romania, Spagna e Svezia) sulle prospettive della guerra in Ucraina. Il committente è un think-tank paneuropeo, lo European Council on Foreign Relations, che comprende ex-ministri, politici, diplomatici, imprenditori. Il sito dell’ECFR è pieno di buoni consigli ai politici europei: come convivere con una guerra di lungo periodo; come convincere l’opinione pubblica sull’allargamento a est dell’UE; come mantenere il supporto all’Ucraina anche dopo il terremoto delle prossime elezioni europee e americane. Poiché la maggior parte degli articoli ha per oggetto la manipolazione di un’opinione pubblica riottosa, ci si chiede quali interessi servano i politici cui il think tank si rivolge.

Venendo al sondaggio, il morale dei cittadini è piuttosto basso. In media, solo 10 cittadini europei su 100 pensano che l’Ucraina vincerà. Il 20% crede che vincerà la Russia, mentre il 37% è convinto che il conflitto si risolverà con un accordo. Quanto al nostro Paese, solo 6 italiani su 100 credono nella vittoria ucraina; il 19% pensa che vincerà la Russia; il 43% ritiene che l’accordo sia lo scenario più probabile.

Per quanto riguarda gli auspici, le opinioni dei cittadini sono più polarizzate. Il 31% dei cittadini pensa che il proprio governo dovrebbe spingere perché l’Europa supporti l’Ucraina fino a riprendersi i territori perduti; il 41% ritiene invece che l’Europa dovrebbe spingere l’Ucraina a negoziati. In Italia, gli irriducibili sono soltanto il 18%; i diplomatici sono il 52%. Gli unici Paesi in cui i rapporti di forza sono invertiti sono Svezia, Portogallo e Polonia.

C’è inoltre un nuovo dato, destinato a pesare sui prossimi scenari elettorali: il 23% degli europei pensa che gli immigrati ucraini (che la domanda etichetta come “persone provenienti dall’Ucraina” e non come “rifugiati”) siano una minaccia per il proprio Paese, mentre il 28% li considera un’opportunità. I valori italiani sono in linea con la media europea; i Paesi dove i rifugiati sono percepiti come una minaccia sono la Polonia (40%); l’Ungheria (37%); la Romania (35%). Seguono Austria e Germania.

Lo stesso think tank aveva commissionato un sondaggio simile al principio della guerra, nel maggio 2022. Appare evidente quanto le cose siano cambiate da allora. All’epoca, la contrapposizione principale era tra il campo dell’opinione pubblica che chiedeva la pace (35%) e un campo che le opponeva la “giustizia” (22%). Nonostante la contrapposizione pace/giustizia sia di per sé, evidentemente, una semplificazione ideologica, i rapporti di forza rendono l’idea di quanto impopolare sia stata questa guerra fin da principio. In Italia le due fazioni erano rispettivamente al 52% e al 16%. Nonostante due anni di propaganda, gli evidenti insuccessi sul campo di battaglia hanno mantenuto questi rapporti di forza inalterati, anche se l’opposizione ideologica è oggi diplomazia/soluzione militare.

In questa situazione, il think tank deve ammettere che una gran parte dell’opinione pubblica crede che la guerra in Ucraina sia una guerra europea e che gli europei saranno i principali responsabili del suo esito. Nel dibattito pubblico, i politici favorevoli alla guerra sostengono che questa posizione è propaganda russa; in sede di analisi, non possono mentire a se stessi sulle proprie responsabilità, se vogliono disegnare scenari ragionevoli circa l’evoluzione del conflitto. Gli autori del sondaggio propongono dunque le seguenti riflessioni: i politici non devono progettare le loro politiche sulla base dei sondaggi d’opinione: l’UE e gli Stati membri hanno l’imperativo di continuare a sostenere l’Ucraina; il pericolo è che Trump e Putin dipingano l’Ucraina (e i suoi sostenitori) come il partito della “guerra eterna” mentre rivendicano il manto della “pace”.

Occorre quindi cambiare il significato della parola pace:in vista delle elezioni, i leader europei dovranno distinguere tra “pace duratura” e “pace alle condizioni russe”. Dunque, nella prossima campagna elettorale il tema della pace sarà dominante: tutti i partiti politici si schiereranno per la pace, inclusi quelli che in realtà sono per proseguire la guerra a tempo indeterminato.

La lunga analisi di ECFR ci riporta a una triste verità che fu enunciata, a chiare lettere, da Simone Weil. In realtà le guerre, tutte le guerre, sono una faccenda di politica interna. Joe Biden non sta affatto combattendo contro Vladimir Putin; il suo vero nemico è Donald Trump e l’elettorato repubblicano. Così, come rivela il sondaggio, il nemico di Ursula von der Leyen non è il popolo russo, ma quello europeo. È dunque una guerra di classe, con i leader europei che fanno l’interesse di una risicata minoranza di paperoni, la borghesia cosmopolita, e il popolo europeo che, nonostante i numeri favorevoli alla pace e al compromesso, non riesce a farsi rappresentare. Quest’ultimo è accusato di “volere la pace per la pace”, per dirla con una formula usata dall’agenzia ANSA come se la pace non fosse più in sé e per sé un valore.

Un tempo Umberto Eco consigliava, in situazioni simili, di ricorrere alla guerriglia semiologica: una pratica tesa a mutare i codici comunicativi utilizzati dal potere per creare consenso. Si direbbe però che la situazione si sia rovesciata: avendo agito per anni senza alcun consenso danneggiando l’economia e scaricando i costi della guerra sulla classe lavoratrice che da essa non trae alcun vantaggio, è il potere politico a dover ricorrere alla guerriglia semiologica, se vuole salvarsi.

Scenari: secondo tutti i sondaggi, l’opinione pubblica europea si sposterà a destra. Per la prima volta, all’interno del Parlamento europeo potrebbe emergere una coalizione composta da cristiano-democratici, conservatori ed eurodeputati della destra radicale. Sebbene questa coalizione possa mutare significativamente la politica europea su temi come il clima e i diritti dei cittadini, è improbabile che cambi realmente le cose per quanto riguarda la politica estera.

Una vittoria di Donald Trump può certamente influire sullo scenario, dato il carisma che egli pare esercitare sulla destra radicale. Tuttavia, la cieca e acritica fedeltà atlantica non è l’unica ragione se l’Unione ha infilato il collo nel cappio ucraino: solo il mantenimento della parola sulle forniture militari e sull’allargamento a est può far sì che l’Ucraina continui a darle retta. Il problema è che la borghesia cosmopolita europea è cieca e ottusa come i consigli dei suoi think-tank: chiede agli europei di considerare cosa accadrebbe se la UE non negoziasse da posizioni di superiorità, ma non si chiede a propria volta cosa potrebbe accadere nell’eventualità di un improvviso tracollo militare dell’Ucraina, giunta ormai allo stremo delle forze. Trattandosi di una guerra per procura, l’esercito ucraino può essere considerato come una forza mercenaria, che si batte per noi finché viene pagata. Nello scenario di una sconfitta, le forze politiche ucraine scioviniste scaricheranno la colpa del fallimento sul tradimento dell’Occidente, accusandolo di aver mentito circa le prospettive di vittoria.

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