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“Sto dalla parte dei ragazzi delle Università. Il boicottaggio di Israele è ragionevole"

Serena Riformato* intervista Carlo Rovelli

Sul quotidiano La Stampa di ieri è stata pubblicata una significativa intervista al fisico Carlo Rovelli che ha preso posizione a sostegno delle mobilitazioni degli studenti che chiedono la sospensione della collaborazione tra le università italiane e le istituzioni israeliane. Qui di seguito il testo dell’intervista

Carlo Rovelli, fisico teorico, autore dei bestseller di divulgazione scientifica “Sette brevi lezioni di fisica” e “L’ordine del tempo”, non è uno da giri di parole. Nemmeno quando le idee rischiano di essere impopolari. Di contestazione, da ragazzo, ne ha fatta tanta, il 1977.

Oggi insegna in Francia e Canada, e difende gli studenti che protestano contro la guerra in Palestina: «Brandire la clava dell’accusa di antisemitismo – dice – contro dei giovani generosi che si indignano per 30 mila morti e per la situazione disperata di milioni di esseri umani non è combattere l’antisemitismo: è alimentarlo».

* * * *

Cosa pensa delle proteste negli atenei contro il bando del ministero degli Esteri in collaborazione con Israele?

«Lo strumento del boicottaggio ha dato buoni frutti in passato.

Per l’Apartheid in Sudafrica funzionò, gli studenti di tutto il mondo ottennero dalle università di tagliare i legami con il Paese. Le scelte del governo di Netanyahu sono condannate in maniera pressoché unanime, perfino dagli Usa, che hanno ripetutamente espresso un disagio per il massacro di palestinesi in corso. La speranza è che la situazione evolva verso la ragionevolezza e si torni alla piena collaborazione scientifica».

 

Quindi è giusto interrompere i rapporti con gli istituti israeliani?

«Non lo metterei nei termini di “giusto o sbagliato”, penso sia opportuno. Un’azione di pressione su Israele potrebbe essere ragionevole».

 

Non si rischia di colpevolizzare un popolo per le scelte del suo governo? Molti professori israeliani saranno in disaccordo con le politiche del premier.

«Spero proprio che lo siano. Ne conosco diversi che lo sono e per questo motivo sono favorevoli al boicottaggio. È un gesto simbolico, questa è la sua forza. In concreto, i suoi effetti sono irrisori».

 

La Normale mette l’accento sul rischio che le ricerche siano “dual use”, applicabili all’ambito militare. C’è questo pericolo?

«Si, molta ricerca scientifica ha applicazioni militari. Lo dico, da scienziato, con profonda tristezza».

 

Eppure non per questo smette di fare il suo lavoro.

«Faccio di tutto per evitare che i miei studi contribuiscano alle ricerche militari. Non accetto finanziamenti che possano avere qualsiasi ricaduta del genere».

 

Per la ministra Anna Maria Bernini, gli atenei che scelgono forme di boicottaggio sbagliano perché «le università non entrano in guerra».

«Vorrei che fosse vero. Le università partecipano indirettamente alla guerra, eccome».

 

Una delle linee di ricerca del bando contestato riguarda “ottica di precisione, elettronica e tecnologie quantistiche, per applicazioni di frontiera, come i rivelatori di onde gravitazionali di prossima generazione”. Sono strumenti militari?

«I rilevatori di onde gravitazionali non hanno alcuna applicazione militare oggi concepibile. Ma “elettronica e tecnologie quantistiche per applicazioni di frontiera” includono una gran parte della ricerca militare. Oggi la guerra si fa moltissimo grazie a queste tecnologie».

 

Nelle settimane passate, i manifestanti hanno negato la parola al direttore di Repubblica Maurizio Molinari e al giornalista David Parenzo. Contestazioni legittime?

«Molinari e Parenzo sono fra le persone la cui voce è più ascoltata in Italia. Chiedere che non parlino non è certo togliere la parola a qualcuno. Invece ignorare gli studenti non è ascoltare tutte le opinioni».

 

Vede un rischio antisemitismo?

«Leggere tutto, incluse le proteste, in chiave di razze o religioni, questo è razzismo, e questo alimenta l’antisemitismo. Quello che è male, come massacrare esseri umani, è male indipendentemente dalla religione di chi prende queste decisioni. Chi protesta per Gaza non ha nulla contro gli ebrei: molti adorano Noam Chomsky e Bob Dylan».

 

Le università italiane hanno rapporti con Cina, Russia, Iran. Perché l’indignazione nei confronti di queste partnership non è altrettanto forte?

«Forse perché le opinioni sulla politica internazionale di chi protesta nelle università italiane sono diverse da quelle che lei qui sta dando per scontate. La condanna sulle decisioni recenti al governo israeliano è pressoché unanime, perfino dai suoi alleati politici più stretti».

 

Non è scontato che Cina, Russia e Iran non rispettino i diritti umani?

«Lo è, certo. Ma anche gli Usa e altri Paesi come l’Arabia Saudita non rispettano sempre i diritti fondamentali. Chi è senza peccato scagli la prima pietra».

 

Secondo FdI le proteste nelle università italiane possono portare al ritorno del “terrorismo rosso”. È credibile?

«Più o meno credibile quanto pensare che Fratelli d’Italia al potere significhi un ritorno del terrorismo nero e alle stragi compiute dai fascisti negli anni ‘70. In altre parole, è ovviamente una sciocchezza usare trite storie di altri tempi per accusare del peggio chiunque la pensi diversamente da noi».


* da La Stampa

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