La triste fine della sinistra in Italia, la dialettica della storia e il “progresso”
di Stefano G. Azzarà
Nei momenti più convulsi della politica, come quello che stiamo vivendo, è possibile scrutare quasi come in laboratorio il movimento dialettico della storia e quelle sue brusche accelerazioni che rovesciano l’accumulazione quantitativa di fatti e di segni in una nuova qualità.
Il nuovo barbaro Renzi depone l’antico Signore baffuto disarcionandone lo scudiero glabro e dà una sferzata alla ridefinizione in fieri della sinistra italiana inoculandole il programma che fino a questo momento aveva la destra. E cioè – la legge elettorale, la giustizia, l’incompetenza simpatica al potere, il realytismo, l’estetica del silicone e della semplificazione comunicativa e quant’altro - un programma in più diretta sintonia con lo Zeitgeist postdemocratico.
Analogamente a quanto era accaduto con Bersani, il quale aveva già fatto un passettino in direzione di quel programma condividendo assieme a quella destra una pesante responsabilità di governo e lanciando personaggi televisivi improbabili e pronti a tradirlo.
Ancor più analogamente a quanto era accaduto con Veltroni, il quale della destra aveva preso lo stile maggioritario e aveva fatto il PD.
Ancora e ancora più analogamente a quanto aveva fatto D’Alema, il quale della destra aveva fatto proprio lo spirito privatizzatore e italo-liberista e ci ha dato i tre Lothar ecc. ecc.
Ad ogni tornante, ad ogni collisione, il quadro politico complessivo si sposta un passo in più a destra, perché è sollecitato in tal senso dai processi materiali ed è favorito dalla difficoltà di vedere la foresta prima dei singoli alberi. Finché – confrontare i programmi di oggi con quelli di 10 anni fa per credere: sui punti dirimenti, il PD ha fatto proprie pressoché tutte le posizioni dell’avversario – anche le identità e le funzioni politiche sono mutate.
Tutti i soggetti che identificano la scacchiera con la realtà e sgomitano per restarvi dentro sono allora obbligati o invogliati a inseguire questo slittamento.
Gli altri si adoperino però per dilatare la scacchiera, o per rovesciarla, o per scavare una fossa profonda sotto di essa.
Perché il fatto che il tempo abbia per noi una direzione, lo sappiamo, non significa che questa direzione sia necessariamente il progresso. Progresso e reazione, ai quali bisogna credere fermamente, non si misurano con la bussola ma con il metro dei rapporti di forza tra le classi. Conservare quanto abbiamo conquistato quando avevamo rapporti di forza più favorevoli è progresso, non è reazione.
Tra le cose più divertenti ed istruttive c’è poi questa, che ha anch’essa molto a che fare con la dialettica.
Agli amici di SEL e della sinistra PD abbiamo sempre detto che erano dei servi venduti e traditori. E lo ribadiamo.
Adesso loro, che ci chiamavano settari inconcludenti, danno dei servi venduti e traditori ai transfughi nel renzismo e assaporano la gioia dell’essere settari.
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