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gustavopiga 

Perché il debito pubblico italiano dopo la faccendaccia delle banche è meno e non piu’ sicuro

di Gustavo Piga

Giavazzi sul Corriere della Sera

Ma c’è un punto più importante. Per anni si è osservato che ciò che conta è il nostro debito netto, non il debito pubblico lordo. Cioè, a fronte degli oltre due trilioni di euro di debito pubblico si dovrebbero contare i circa tre trilioni di ricchezza finanziaria delle famiglie. Il nostro debito pubblico, sostengono alcuni, non è poi tanto rischioso perché compensato da una quantità ancor maggiore di ricchezza privata. Bene: ciò che è accaduto il mese scorso è proprio questo. Alcuni cittadini hanno visto una parte della loro ricchezza impiegata per salvare quattro banche, in tal modo evitando che il salvataggio si tramutasse in maggiore debito pubblico. Se questo ci indigna, la si smetta di dire che la ricchezza delle famiglie è una garanzia per il debito pubblico.

Il mio amico L. dopo aver sentito le mie perplessità su tale affermazione di Giavazzi afferma a sua volta:

Se un paese ha un alto debito pubblico che deve essere ridotto dovrà o aumentare le tasse o ridurre le spese magari di alcuni servizi essenziali. Per un paese i cui cittadini detengono molti asset, politiche di questo tipo possono essere ‘facilmente’ implementabili. Diversamente, per paesi i cui cittadini sono poveri, politiche del genere possono essere impossibili e come spesso è accaduto nei paesi del Sud America l’unica alternativa è il default. Forse Giavazzi non vuol dire semplicemente questo quando dice che la ricchezza delle famiglie è una garanzia del debito pubblico?

Credo che L. abbia ragione (come spesso accade) ma che Giavazzi abbia torto (come spesso accade). Contraddizione?Vediamo di parlarne. Non è questione irrilevante per capire quanto dobbiamo preoccuparci di avere un debito pubblico su PIL così … alto.


Quando possiamo dire che un debito pubblico è sicuro perché “garantito” da un’ampia ricchezza privata?

L’argomento non è di poco conto, visto che è addirittura spendibile ai tavoli europei come giustificazione per ottenere l’autorizzazione ad attuare politiche più flessibili e meno austere: se abbiamo tanto risparmio e ricchezza privati (il caso italiano), il nostro debito pubblico appare meno rischioso. Vero? Perché?

Ecco di seguito una spiegazione che mi pare giusta ed accettabile (e che si basa sulla non sempre verificata cosiddetta “equivalenza ricardiana” che prende il nome da colui che la descrisse con acume ma anche perplessità, l’economista classico David Ricardo).

 

Spiegazione 1.

Immaginiamo che la ricchezza privata di un Paese sia rimasta nel Paese. E, in particolare, che sia andata a finanziare le emissioni dei titoli di debito pubblico del Tesoro, come hanno fatto per lungo tempo le famiglie e le istituzioni bancarie italiane (ricordo solo per memoria che quando a un certo punto il debito pubblico italiano è cominciato a essere detenuto da operatori esteri si è cominciato a mormorare che esso non fosse più sicuro).

Perché ritenere dunque un tale debito italiano sicuro? Credo che abbia a che fare con la percezione che ci troviamo in presenza di famiglie “oculate”, che sanno bene che quando un governo spende a debito – non tassando i cittadini oggi – si riserva di tassare domani per trovare le risorse per restituire l’ammontare del debito maturato, comprensivo di interessi. Sapendo dunque che non sarà tassato di 100 oggi, ma di 100 (più gli interessi maturati) domani, il cittadino che evidentemente non si sente più ricco oggi per non essere stato tassato che fa? Usa quei 100 euro oggi che gli ha liberato lo Stato non tassandolo per comprarci proprio i titoli di Stato del Tesoro, risparmiando, così che quando scadranno avrà in tasca 100 più gli interessi che … proprio lo Stato gli verrà a chiedere per ripagare il proprio debito pubblico venuto a scadenza. Tassato oggi o tassato domani il cittadino sa che è più povero e agisce di conseguenza.

Un debito pubblico sicuro dunque, perché i cittadini hanno le risorse in tasca per permettere allo Stato di farvi fronte, risorse risparmiate a cui lo Stato attingerà per ripagare i suoi debiti. Rassicurante, no? Da notare inoltre che in questo schema i risparmiatori mettono da parte volontariamente soldi per pagare tasse in un Paese di cui rispettano il diritto delle istituzioni a tassare ed il proprio dovere a pagare le tasse che emergono da un processo di rappresentanza democratica. Questo anche rassicura molti sul fatto che il debito pubblico in quel Paese sia sicuro.

Ovviamente questo debito sarebbe percepito come meno sicuro in presenza di cittadini meno oculati che, non prevedendo che domani lo Stato indebitato busserà per tassare, oggi si sentono più ricchi e spendono. E forse domani si troveranno con meno risorse a disposizione per pagare, a sorpresa visto che sono stati imprevidenti, le tasse che servono allo Stato per il debito da rimborsare. A quel punto, tuttavia, con più probabilità potrebbero protestare, evadere, lasciare il Paese pur di non essere tassati e vedersi prelevare risorse che non programmavano di restituire: in questo caso lo stesso debito pubblico potrebbe dirsi meno sicuro proprio perché il Paese non ha risparmiato privatamente a sufficienza.

La mia impressione è sempre stata quella che in effetti gli italiani hanno spesso risparmiato molto (e con lungimiranza) per far trovare le loro future generazioni con sufficienti risorse per ripagare i debiti contratti nel passato: se così fosse, è cosa giusta tenere conto nell’Europa ottusa dell’austerità del debito al netto della ricchezza finanziaria privata e lasciar perdere quelle idiotiche manovre fiscali di rientro dal debito in un momento di così grande difficoltà per il Paese.

 

Spiegazione 2. Quella di Giavazzi.

Tuttavia non credo proprio che un debito pubblico con tanti risparmi e ricchezze privati sia da considerarsi sicuro, contrariamente a quanto sembra pensare Giavazzi, solo perché uno Stato può attingere forzosamente (e non sulla base di uno schema volontario o politicamente accettato) agli (ampi) risparmi dei cittadini, evitando di spendere esso stesso (magari per salvare delle banche) e/o per tassare di meno. Per due ordini di motivi. Primo, perché in un Paese del genere nessuno vorrebbe investire nei suoi mercati finanziari (tantomeno in quelli dei titoli pubblici), tanta sarebbe la paura di perdite di ricchezza a causa della tassazione coatta di questa ad ogni occasione propizia. Secondo (e questo ha più a che vedere con il metodo con cui è stata gestita la crisi del salvataggio bancario in essere) va ricordato che se quel risparmio privato è stato accumulato in maniera non speculativa e il risparmiatore è stato piuttosto ingannato anche a causa della carenza di vigilanza e regolazione su mercati che dovrebbero vederle presenti, si potrebbero creare sacche “politiche” di sfiducia all’interno di quel Paese, che renderebbe più rischioso lo stesso debito pubblico. Infatti, cittadini sentitisi defraudati da privatizzazioni inique del rischio potrebbero, in un Paese del genere – un Paese cioè privato dalla presenza dello Stato come prestatore di ultima istanza verso chi ha sofferto una perdita ingiusta – opporsi a pagare le tasse oppure aderire a partiti populisti, fenomeni che renderebbero il nostro debito pubblico più insicuro.

Prendendo spunto dalla parole di Giavazzi, ma rovesciandole: se ci si indigna perché qualcuno pensa di usare il debito pubblico per salvare quattro banche, in tal modo evitando che vengano tassati cittadini ingannati da regolatori inefficienti, la si smetta di dire all’Europa che quello che conta è la ricchezza netta del Paese e che il nostro debito pubblico è sicuro. Che poi è quello a cui in fondo in fondo crede Giavazzi, nemico giurato (a torto come abbiamo visto sopra) di un ruolo utile e non rischioso per il debito pubblico italiano, specie durante i momenti di crisi. 

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