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ilcomunista

Econ-apocalypse: aspetti economici e sociali della crisi del coronavirus

di Riccardo Bellofiore

Il testo è la sbobinatura di un intervento orale svolto online il 10 aprile 2020 per la Confederazione Unitaria di Base, con qualche piccola correzione e aggiunta, ma mantiene lo stile colloquiale. Mi sono giovato di alcuni commenti di Francesco Saraceno. (R.B.)

coronavirus 169984.660x3681. La crisi non è ‘esogena’: natura e forma sociale.

Quello che proverò a fornire è un inizio di scrematura dell’orizzonte problematico in cui leggo questa crisi. Vado per punti, in un discorso che si articola in diversi movimenti.

Primo movimento. Questa crisi non è, come spesso si legge, una crisi ‘esogena’, cioè qualcosa che da un esterno (la natura) investe la sfera economica. Se vogliamo, questa è una crisi ‘semi-esogena’ perché per un aspetto è indipendente dalla forma sociale, ma nella grande sostanza è invece legata a doppio filo all’organizzazione capitalistica della produzione, della circolazione delle merci, della distribuzione e dei modi di vita. Non è vero neanche che questa crisi giunga inaspettata. Una crisi del genere di quella che stiamo attraversando fu prevista, per esempio, nel 2005, sulla rivista Foreign Affairs, in un articolo preveggente sulla prossima pandemia.

Questa crisi mette in evidenza il rapporto perverso tra società e natura, che è peraltro già stato al centro della discussione, negli ultimi anni, in merito al cosiddetto ‘cambiamento climatico’, ma non è mai stato veramente preso sul serio dalla politica e dalla politica economica. Certo, si potrebbe dire che il problema non è il capitalismo, ma la struttura industriale. Le cose però non stanno proprio così. Il primato di una produzione tesa all’estremo al fine di una estrazione di profitto si è andato ad accompagnare ad un approfondimento della diseguaglianza globale, in alcuni casi in modo anch’esso estremo, dunque a malnutrizione, a forme di agricoltura e allevamento intensivi, al sovraffollamento abitativo, ad una urbanizzazione eccessiva. Tutto ciò ha fatto sì che trasmissioni virali che avrebbero altrimenti avuto una evoluzione lenta hanno visto una drammatica accelerazione.

Ad una pretesa di crescita esponenziale del capitale ha risposto una crescita esponenziale nella diffusione dei virus. Questo è presumibilmente il futuro che abbiamo davanti. L’alternativa non è, ai miei occhi, una ‘decrescita’ (che sta pur sempre nell’orizzonte della crescita, solo volta in negativo), semmai uno sviluppo qualitativo radicalmente differente. È stato proprio l’orizzonte di una crescita tutta interna alla forma sociale capitalistica che ha prodotto anche le politiche cosiddette ‘neo-liberiste’ degli ultimi quarant’anni, a partire dalla privatizzazione della sanità.

Il discorso appena svolto rende problematico il ragionamento diffuso nella sinistra quando si vuole andare alla caccia di ‘colpevoli’ o si pone la questione del ‘chi’ paga la crisi. Fatemelo dire così, con una battuta: i colpevoli stanno tra un pipistrello in Cina ed il sistema sociale, quel sistema da cui si ricava reddito e lavoro, non sono la finanza cattiva o questa o quella associazione industriale. Non è una questione di persone, è una questione di sistema.

 

2. Mario Draghi: è bene che il debito pubblico aumenti

Secondo movimento del ragionamento. Iniziamo ad affrontare la questione della situazione economica in cui ci troviamo a vivere. Qui non si può non prendere come riferimento l’articolo di Mario Draghi sul Financial Times del 25 marzo, un articolo importante. Il problema, in questa crisi, non è la mancanza di domanda effettiva o le sopraffazioni della finanza. Non è una crisi dove Keynes è la risposta. È una crisi, ci dice Draghi, dove ad essere in questione è direttamente la sopravvivenza delle imprese, soprattutto medie e piccole, dove è occupata la gran parte della forza-lavoro. È una crisi dove esiste un problema di sopravvivenza delle famiglie. Per questo si deve fornire un sussidio, alle imprese come alle famiglie.

Il SURE (Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency) approvato in sede comunitaria è una forma di garanzia del reddito di fronte ai problemi dell’occupazione. È chiaro che si tratta di una misura che è piena di problemi, molti però derivano dalla struttura del mercato del lavoro che deriva dal passato, e dai modi ereditati con cui è disegnato il sostegno ai lavoratori. Da questo punto di vista, sono d’accordo con quanto ci ha detto Giovanna Vertova. Un sostegno al reddito è più che opportuno, è necessario, ma è un sussidio: qualcuno lo chiama ‘reddito di quarantena’, e non ha molto a che vedere con il reddito di esistenza.

In questo contesto, afferma Draghi, le banche non possono che intervenire fornendo liquidità senza limiti ed azzerandone i costi di accesso. È un insieme di misure che, certo, vengono da lui viste come temporanee, ma sono percepite come inevitabilmente di dimensioni massicce, come un fenomeno del tutto inedito che segna una svolta. Di qui il tema della garanzia da dare alle banche: non molto tempo dopo in Italia è intervenuta la copertura statale. Come è stato sostenuto, non si vede perché a questo punto non dovrebbe intervenire una banca nazionalizzata. Il problema, in ogni caso, esiste, ed è un problema reale; così come può esistere un problema di sospensione temporanea della fiscalità su imprese e lavoro. Draghi è giunto sino a parlare di cancellazione del debito privato.

 

3a Come si finanzia il debito pubblico: MES e Coronabonds

Il punto chiave è comunque che Draghi ha detto forte e chiaro che non solo il debito pubblico non può che aumentare: ha chiarito che è bene che aumenti. E qui si pone evidentemente la questione, forse oggi la più dibattuta, quella del ‘finanziamento’: il terzo movimento del mio ragionamento. Come si può finanziare questo aumento del debito pubblico e qual è il ruolo delle imposte?

Cominciamo con l’European Stability Mechanism, il MES, che fu approvato tra il 2011 e il 2012. Quando Draghi dichiarò che avrebbe fatto tutto il possibile per salvare la moneta unica stava mettendo mano ad uno strumento, l’Outright Monetary Transactions, che consisteva nel consentire alla Banca Centrale Europea l’acquisto in quantità illimitata di titoli a breve termine emessi da paesi in difficoltà, aggirando così le strettoie poste all’azione della politica monetaria: ma quel paese doveva aver acceduto al programma del MES. Il problema è che il MES prevedeva pesanti condizionalità. Nella sua nuova veste disegnata in questa crisi tali condizionalità sono state pesantemente abbattute. Almeno secondo alcuni resta vero che, stante la struttura dei trattati europei, esiste il rischio che tale condizionalità possa essere inserita successivamente: altri sottolineano che l’Italia, dato il peso della sua quota, potrebbe (come Francia e Germania) porre il veto ad un mutamento delle condizioni. Nel primo caso è molto poco appetibile attivare questa procedura (un po’ come, va ricordato, l’OMT, che rimase sulla carta: a ‘funzionare’ per uscire dalla crisi non fu quel meccanismo, mai impiegato, ma il whatever it takes). L’Italia dichiara al momento di non volerla utilizzare.

La forma alternativa di cui si discute è il finanziamento via Eurobonds che, in questa circostanza, vengono ribattezzati Coronabonds. In questi anni, dentro la comunità, se uno stato vuole finanziare mediante titoli il suo disavanzo pubblico emette titoli venduti ad agenti come i fondi di investimento, i fondi pensione, e così via, in cambio di interessi a lungo termine. Questi interessi dipendono evidentemente da come il mercato valuta il rischio del paese in questione. Di qui i famigerati spread: la Germania con i suoi buoni del tesoro a 10 anni ha dei tassi di interesse negativi, l’Italia li ha molto più alti, anche se mille miglia lontani dal livello che fu raggiunto in Grecia. L’idea degli Eurobonds interviene qui: si tratta di procedere ad una emissione di titoli non come singolo stato nazionale, ma come intera comunità europea, dando luogo così ad una garanzia collettiva e ad una compartecipazione del rischio. Si parla perciò di ‘mutualizzazione’ del debito, che consentirebbe di ottenere tassi di interesse molto più bassi per la gran parte delle nazioni coinvolte (e un po’ più alto, per quelle oggi privilegiate).

Un dilemma iniziale, a questo punto è: per cosa impieghiamo le entrate da questi Coronabonds? Una idea, in qualche misura minimale, è quella che propone di coprire le spese dei vari paesi, a partire evidentemente da quelli adesso più colpiti. C’è un’altra idea, diciamo massimale, che poi è l’unica veramente interessante secondo me, che muta il soggetto della spesa (anche se non chi dovrebbe avvantaggiarsene) che dice: partiamo da questi Coronabonds per costruire finalmente un bilancio pubblico della comunità europea degno di questo nome.

Avremmo una spesa pubblica comunitaria sostanziosa immediatamente a livello europeo, legata finalmente ad un bilancio pubblico di un qualche peso (crescente). Il passo ulteriore sarebbe evidentemente quello di poter prelevare imposte al livello comunitario, cosicché si potrebbe parlare davvero di una politica fiscale comune, di una più immediata integrazione di politica monetaria e politica fiscale, e quindi anche di una unione politica in formazione dietro la unione monetaria. Da questo punto di vista il vero nodo risiede in questa possibile connessione: capacità di emettere debito europeo => capacità di spendere comunitariamente => unione politica. Se non si arrivasse mai a questo non si potrebbe parlare in modo compiuto di autentica moneta unica, e prima o poi il suo simulacro attuale non potrebbe reggere.

Detto questo, resta che il dibattito Mes versus Coronabonds non è forse la cosa più importante e certo non è la fine della storia, perché se si chiude lì lo sguardo si rischia di non vedere quello che sta succedendo. Il patto di stabilità, in questo momento, semplicemente non c’è più: questo vuol dire ‘sospeso’. In teoria l’Italia può spendere quanto vuole. Però, chi la finanzia? Di fatto, la Banca Centrale Europea che, almeno in questo momento, sta comprando i suoi titoli senza più alcun tetto. E questa è la seconda novità: ogni limite agli acquisti dell’istituto di Francoforte, dopo la (benvenuta?) gaffe di Christine Lagarde è saltato, sicché, sia pure in modo non del tutto trasparente, ma pure abbastanza palesemente, si agisce come prestatore di ultima istanza. Come per il patto di stabilità, la BCE come finanziatore degli stati nazionali, il cambiamento è stato a 180 gradi, drastico e subitaneo. Nell’uno e nell’altro caso, proprio sui due punti (giustamente) al centro della critica all’ideologia di Bruxelles la velocità della metamorfosi è stata pari alla diffusione del virus.

 

3b Il debito pubblico come problema ‘politico’: monetizzazione e helicopter money

Consentitemi di aggiungere che il debito non è mai un problema tecnico, è sempre una questione politica: il che non può voler dire qualcosa che è ‘arbitrario’, è un nodo centrale legato alla forma capitalistica di produzione, è legato a filo doppio al comando sulla moneta, al controllo della sanzione monetaria. Proprio per questo i critici del capitalismo dovrebbero prestare a ciò che sta avvenendo la dovuta attenzione. Che il debito non si riduca mai ad un problema meramente tecnico significa anche questo: che non opera come un vincolo sino a che viene semplicemente rinnovato, come può effettivamente essere. Il vero problema è, insomma, il pagamento degli interessi. Ed è anche qui vero che la politica monetaria può fare in modo che il tasso di interesse resti stabilmente basso.

Di nuovo, qui incontriamo – come per i Coronavirus – un ‘campo di battaglia’, e un campo di battaglia oggi come oggi aperto: non certo per nostro merito, non per una evoluzione positiva nei rapporti di forza, ma per la gravità di una crisi (virale) che si innesta su una doppia crisi (globale, europea).

Quanto sia aperto lo stato delle cose presente lo si vede da altre due considerazioni sul tema del ‘finanziamento’. La prima è questa. Ieri, la banca centrale inglese, la Bank of England, dopo aver appena spergiurato che non l’avrebbe mai fatto, ha aperto alla monetizzazione del debito, dichiarando che nell’emergenza finanzierà le spese del governo mediante anticipazioni sul conto del Tesoro presso di sé. Si tratta, evidentemente, di verificare quanto significativo sarà l’intervento (al momento appare esiguo, ma è un primo passo), e quanto temporaneo (dipende dal decorso della crisi). La seconda, che se si vuole può essere vista come una radicalizzazione della prima ma in realtà la precede, è la proposta di alcuni economisti, che viene impropriamente definita di Helicopter Money, di finanziare tutte le spese dagli investimenti nella salute al sostegno di redditi e imprese, via un finanziamento diretto a fondo perduto dell’istituto di emissione. Qui ovviamente svanisce anche la questione della crescita del rapporto debito pubblico sul prodotto interno lordo. Certo, si aggiunge sempre ‘temporaneamente’. Ed è appunto un campo di battaglia.

 

3c E le imposte?

Un punto spesso sollevato, come se avesse a che vedere con il finanziamento delle spese, è un accentuato prelievo delle imposte. Si ragiona come se lo stato dovesse prelevare le imposte per poter spendere, e come se, nella misura in cui le imposte non bastassero, dovesse rivolgersi altrove, emettendo titoli di debito pubblico o indebitandosi con la banca centrale. Non è proprio così. Lo stato ha il potere di spendere nella propria moneta, ‘autonomamente’. Non ha bisogno di prelevare imposte per questo, cosa che avviene successivamente. Ciò non significa che possa non essere opportuno un più alto prelievo fiscale per diecimila altri fini, magari del tutto condivisibili – che so, porre rimedio alla diseguaglianza, incidere sulla struttura dei consumi. Un fine può essere aggiustare la distribuzione del reddito, un altro colpire i patrimoni. Ed è anche vero che il prelievo fiscale può influire sull’andamento temporale di disavanzo e debito pubblici, incidendo su costi e benefici, anche distributivi, della gestione di quest’ultimo.

Il mio punto di vista, come avete capito, è diverso da quelli usuali tra gli economisti alternativi (puntualmente rappresentati nel solito balletto degli appelli, spesso condotti non guardando allo stato delle cose ma con lo sguardo incollato allo specchietto retrovisore). Provo a mettere insieme il problema del finanziamento ed il problema della costruzione di una Unione Europea degna di questo nome. Qui si potrebbe (dovrebbe) essere addirittura più coraggiosi, non solo su scala europea, ma su scala mondiale (si pensi alla vera bomba ad orologeria che è la situazione dei paesi emergenti). Se ha senso il riferimento a questa crisi come ad una guerra è anche perché, proprio come avvenne dopo la Seconda Guerra Mondiale, può avere un senso ‘rimettere’ il debito passato, come avvenne allora a favore dei vinti. Si deve dare il segno dell’inizio di una nuova storia, e mai come nel caso dell’Unione Europea questo sarebbe opportuno. La forma – non strettamente di riconversione, ma di riallocazione del costo – potrebbe essere quella di una conversione del debito passato in titoli a lunghissimo termine, tipo a 50 anni se non irredimibili, a un tasso di interesse minimo. Il segno di un investimento politico collettivo. Non c’è purtroppo da contarci.

 

4a. La crisi del coronavirus è in continuità con la grande crisi finanziaria del 2007-2008

Giungiamo così al quarto movimento del mio discorso: ragionare della natura di questa crisi che, per un verso, è la prosecuzione della crisi del 2007-2008, e per un altro ne è l’esatto opposto. Perché è la prosecuzione della Grande Crisi Finanziaria? Guardate quello che è successo. La Cina è investita dal virus almeno dalla fine di dicembre. Ancora alla fine di gennaio il virus viene visto un po’ da tutti, ciecamente, come un problema solo cinese: la Cina ci ha fatto il regalo di un vantaggio temporale, almeno un mese, per prepararci, del tutto sprecato. A fine febbraio è ormai chiaro che Bergamo e la Lombardia sono il focolaio principale dell’infezione nel continente europeo, ma ancora gli amministratori locali sdrammatizzano e anzi invitano a continuare nella ‘normalità’. A marzo il virus dall’Italia dilaga al resto dell’Europa. In aprile ha ormai raggiunto con violenza il Regno Unito e gli Stati Uniti.

In pochissimo tempo, con grande velocità nonostante qualche incertezza iniziale, le autorità monetarie e la tecnocrazia finanziaria hanno reagito allo shock, ‘agganciando’ la loro azione esattamente al punto dove si erano fermati nella crisi precedente: ad un insieme di politiche e procedure che allora avevano conquistato con lentezza e indecisione, chi più chi meno. In particolare, la Federal Reserve ha ripreso il centro della scena, riaprendo con vigore i rubinetti della liquidità mondiale regolati dagli swap concessi a condizioni sempre più larghe ad un numero di banche centrali superiore che nella crisi precedente.

Ancora una volta una potenziale crisi egemonica ha rinsaldato il primato del dollaro e dunque degli Stati Uniti. La loro tecnocrazia monetario-finanziaria, per quanto possa dispiacerci riconoscerlo, ha agito in qualche misura da ‘agente’ di paese egemone e benevolente – se non altro impedendo che non crollasse l’edificio. Altrimenti, il sistema delle materie prime sarebbe esploso (e quello è stato il primo allarme di possibile estensione della crisi sociale ed economica al mondo finanziario), o i paesi emergenti sarebbero affogati (il secondo allarme, anch’esso non rientrato definitivamente). Altrettanto certamente sarebbe saltato in aria anche l’insieme dei paesi sviluppati, questa volta al centro della pandemia. Tutto ciò, dopo i timori iniziali, non si è verificato.

Come ho chiarito, la stessa Banca Centrale Europea non ci ha messo quattro o cinque anni, come nell’altra crisi, ad arrivare alle posizioni del whatever it takes. Ci è arrivata quasi subito, se non istantaneamente, ed è iniziato un finanziamento senza limiti e senza precedenti nell’area della moneta unica. In questo senso, abbiamo assistito al successo dei tecnocrati nella repressione della crisi finanziaria.

Sul terreno dell’agire reale, sfortunatamente, le cose non stanno così. L’azione è stata efficace in Cina, cioè in un regime comunistico-autoritario. Il problema riguarda in primis gli Stati Uniti o l’Europa. Nessuno, si deve dire, mette in dubbio la necessità dell’intervento massiccio dello stato (qualcuno usa addirittura il termine socialismo). Nessuno fa intervenire come variabile analitica lo stato delle bilance commerciali o delle partite correnti. Però impressiona negli Stati Uniti lo scarto tra il comportamento della tecnocrazia monetaria e la gestione politica di Trump, in Europa lo scarto tra la Banca Centrale Europea e le lentezze di Bruxelles.

 

4b. La crisi del coronavirus è in discontinuità con la grande crisi finanziaria del 2007-2008

Qual è la grande differenza tra la crisi del 2007-2008 e la crisi attuale? La differenza principale è che allora, al di là della gestione della crisi finanziaria, si poneva la questione di come uscire dalla crisi reale in cui si era precipitati, si poneva il problema di un ritorno alla crescita. Poteva avere un senso l’idea di una grande spesa pubblica di tipo ‘keynesiano’ come asse del rilancio, guardando all’impulso dal lato della domanda effettiva (come fece la Cina tra il 2008 e il 2009). In questa crisi, invece, il punto non è stato un rilancio dal lato della domanda effettiva. La necessità immediata è stata quella di una enorme mobilitazione per ‘mettere in coma’ il sistema produttivo, di mobilitare per smobilitare: mettere in fermo l’industria, i servizi, i trasporti, e così via, con tutti gli effetti sui consumi e investimenti. Una crisi altrettanto se non più grave di quella degli anni Trenta del Novecento, ma indotta e gestita dall’alto, che va organizzata.

È, in questo senso paradossale, e un po’ all’incontrario, davvero una economia di guerra, dove è la ‘pianificazione’ (dell’offerta e della domanda insieme) che deve appunto organizzare prima il blocco e poi la ripresa della produzione. Ora, qui, noi ci troviamo di fronte il rischio di una doppia temporalità come nella possibile incoerenza tra l’oggi (non condizionalità) e il domani (nuova condizionalità?), per il MES, che alcuni temono. La doppia temporalità di cui parlo è quella tra il dire, ‘ora facciamo in modo che l’economia riparta rapidamente’, e aggiungere ‘dopo ragioneremo dei suoi contenuti’. È una illusione. Ed una illusione pericolosa.

È pericolosa già per solo questo fatto. In queste settimane abbiamo vissuto una scelta brutale, tra salute ed economia, numero di morti da tollerare affinché il costo in termini di produzione e reddito non fosse troppo ‘alto’. Per ora, con molte contraddizioni (e lo scandalo del lavoro che è continuato in molte delle produzioni non fondamentali), ha prevalso l’esigenza di difendere la salute, di rendere minore la mortalità. Ma il proposito di promuovere una dinamica del reddito a V (crollo e subitanea ripresa per tornare dove si era), o al peggio a U (con uno stimolo dilatato nel tempo), al proseguire della crisi, che non sarebbe né affrontata né compresa davvero, può facilmente determinare una revisione di quel trade-off. Visto che produzione comunque significa occupazione e salari, e vista magari la delusione rispetto ai risultati sperati dal lockdown, il rischio cresce che aumenti il costo che si è disposti a pagare in termini di salute, brutalmente di morti. Il resto della società dovrà pur andare avanti: questo si dirà.

 

5. Se non è una crisi keynesiana, che crisi è?

Per comprendere l’insensatezza di ragionare in una logica dei due tempi, bisogna tornare da un altro angolo visuale alla questione fondamentale: che crisi è questa? Passo qui al quinto movimento del mio ragionamento. Da quel che precede risulta che questa crisi non è keynesiana, quasi in nessun senso. Non è una crisi di domanda, e non se ne esce ‘keynesianamente’.

Lasciatemi, per un attimo, tornare al filo di ragionamento che c’è nei miei lavori da sempre. Se guardiamo alle grandi crisi che hanno attraversato il capitalismo, Keynes non è molto utile. Voglio essere chiaro: non possiamo che scrivere e pensare dopo Keynes, ma in qualche misura anche contro e oltre Keynes.

La grande crisi capitalistica di fine Ottocento è da caduta tendenziale del saggio di profitto in senso abbastanza tradizionale, perché aumenta il rapporto macchine-lavoratori e questo deprime la profittabilità (il capitale al denominatore è troppo alto perché il plusvalore al numeratore sia sufficiente: sovrapproduzione di capitale).

Negli anni Trenta del Novecento, si ha un problema di realizzazione del plusvalore (il plusvalore potenziale è troppo alto, il problema è al numeratore del saggio del profitto: sovrapproduzione di merci). Se volete, Keynes questa volta c’entra, almeno in parte.

Dalla metà degli anni Sessanta e negli anni Settanta del Novecento la crisi non è dal lato della domanda, è piuttosto un problema dal lato dell’offerta, nuovamente dal lato della profittabilità ma (a parte il conflitto tra paesi industrializzati e produttori di materie prime, e scontato il conflitto intercapitalistico) la ragione centrale della crisi sta nelle lotte della classe lavoratrice sul terreno della distribuzione, e ancor di più sta nelle lotte nella produzione e sull’uso della forza-lavoro (parte essenziale furono allora le lotte sul corpo dei lavoratori: la ‘salute non si vende’). Il plusvalore estratto non è ‘abbastanza’, ma senza alcun oggettivismo meccanicistico.

La crisi del 2007-2008 è, ancora una volta, una crisi dal lato dell’offerta, però questa volta dell’offerta di finanziamento (come si dice nella letteratura anglosassone, non sempre in modo appropriato, una crisi del funding). Il modo con cui le attività venivano finanziate era a brevissimo termine, e collassa facendo crollare l’intero edificio. È una grande crisi finanziaria, ma è legata a quel capitalismo dei fondi e dei money manager che ha incluso in modo subordinato le famiglie nell’universo finanziario del capitale, che voi richiamavate giustamente nella introduzione e che per mio conto ho definito come una sussunzione reale del lavoro alla finanza e al debito.

Almeno dagli anni Sessanta/Settanta del Novecento il nodo sociale della crisi – di quella come di tutte le successive – è ‘cosa’, ‘come’, ‘quanto’ e ‘per chi’ produrre. E qui sta la continuità più profonda di questa con le crisi precedenti. Qui sta l’impossibilità di separare i tempi, il tempo della ‘ripresa’ e il tempo della ‘riforma’ (ma in realtà rivoluzione) dei modi e contenuti della produzione. Non si tratta evidentemente di rifare il mondo da capo, di distruggere lo stock di capitale ereditato, si tratta però di un ri-orientamento radicale di produzione e consumo: non farlo assieme alla ripresa significa non farlo mai.

È una crisi che in questo rimanda alla guerra, questa volta davvero ‘la’ Guerra, la Prima Guerra Mondiale, perché allora si pose il problema di una ‘pianificazione’ (qui più di Marx o Lenin, conta Otto Neurath): ma come chiarisce il mio discorso sulla crisi degli anni Settanta, non basta invocare Leontief, non basta cantare le lodi del piano, se non vi è un legame stretto, e vincolante, con il soggetto sociale ‘lavoro’. Ma rimanda anche al Grande Crollo degli anni Trenta, alla via di uscita (non strettamente keynesiana) che fu il New Deal, e che, come dirò in conclusione, va riletto alla luce di una radicalizzazione della minskyana ‘socializzazione dell’investimento’.

Il nodo del ‘cosa’, ‘come’, ‘quanto’ e ‘per chi’ produrre lo poneva – a suo modo, certo: ma come ci manca in queste settimane – anche Greta Thunberg. E dunque la connessione è immediata con la questione della natura.

 

6a. Un paio di conclusioni, per iniziare a ragionarne: una rivoluzione dal lato dell’offerta

Il sesto movimento è quello di un primo ragionamento sulle prospettive. Se quest’ultima non è una crisi keynesiana e non basta un richiamo generico al piano, che non sia legato a lavoratori e lavoratrici, ad un vincolo sociale, come ce la rappresentiamo? Consentitemi di ricorrere a due citazioni alquanto inusuali.

Nella teoria economica, lo sapete, a destra di Keynes, c’è il monetarismo cioè Milton Friedman, e alla destra di Friedman c’è Robert Lucas ovvero la scuola della Nuova Macroeconomia Neoclassica. Ancora più a destra, cosa troviamo? La scuola del Ciclo Economico Reale, la quale sostiene che ci sono degli shock tecnologici, come arrivassero dal cielo, e la banca centrale non può che offrire endogenamente la moneta che viene domandata, mentre le economie si devono aggiustare per conto proprio. Qualsiasi intervento dello stato è deleterio, ci si trova sempre sul sentiero ottimale definito dalle scelte volontarie dagli agenti.

Bene, uno degli interventi più interessanti nella crisi è stato un tweet di John Cochrane, che fa parte di questa corrente. Il 4 aprile ha scritto, in sostanza, che il virus, certo, potremmo arrivare a contenerlo, dimenticandoci così che siamo entrati in un mondo dove le pandemie rischiano di essere eventi ‘normali’, e per un po’ torniamo a vivere come prima, ma dopo quello stesso virus o altri ritornano con più forza. Questa è in realtà l’ipotesi pessimistica. L’ipotesi ottimistica è che non dimentichiamo: che ci rendiamo conto che il virus è come un grandioso shock tecnologico negativo, dunque dal lato dell’offerta, che non può che cambiare completamente il modo di vivere, il tipo di domanda, di trasporto, di consumo.

Dovremo imparare a convivere con test e ricorso continuo al sistema della sanità. ‘Valgono’ di più i lavoratori della logistica, gli infermieri, e così via. È un mondo ad alta intensità di lavoro (con tanti saluti all’ennesima versione della scomparsa del lavoro per l’intelligenza artificiale) e gli individui si devono ‘aggiustare’ – per lui miracolosamente, senza intervento della politica. Bene, credo che abbia capito quasi tutto, salvo che la società non si aggiusta via mercato. Ma quello che non possiamo non porci come compito ora, non domani, è una rivoluzione dal lato dell’offerta. Compito che è politico e programmatico urgente.

 

6b. Un paio di conclusioni, per iniziare a ragionarne: una rottura radicale

Seconda citazione che potrebbe sorprendere. Prendiamo il Financial Times, che è il grande quotidiano della borghesia inglese ed internazionale. Il 3 aprile, pubblica un editoriale il cui titolo proclama che “il virus espone la fragilità del contratto sociale”.

Al centro dell’articolo si scrive che occorrono riforme radicali che rompano con gli ultimi quattro decenni. I governi devono abituarsi ad essere più attivi e servizi pubblici come l’istruzione o la sanità devono ora essere visti non come passività, ma come un investimento sul futuro della società. Non ci si può permettere più mercati del lavoro caratterizzati da una diffusa precarietà, il lavoro deve tornare ad essere garantito. È necessaria una sostanziosa redistribuzione, proposte come il basic income o tasse patrimoniali (sulla ricchezza) possono farne legittimamente parte.

Questo – è scritto nero su bianco nell’editoriale – non va pensato domani, va pensato oggi, iniziando a costruirlo. Come al tempo della Seconda Guerra Mondiale. Si citano il rapporto Beveridge (che dette origine al welfare postbellico, e che è del 1942) e la conferenza di Bretton Woods (che dette origine al sistema di cambi fissi e, ricordiamolo, comprendeva di fatto una repressione della finanza, e che è del 1944).

Il Financial Times finisce con l’essere molto più radicale delle nostre sinistre o degli economisti radicali.

 

Le dernier metro

Pochi mesi fa con Francesco Garibaldo, abbiamo scritto un pezzo sull’Europa, destinato alla rivista di Slavoj Žižek (Crisis and Critique) e che portava avanti il discorso del nostro libro L’euro al capolinea?. Lo abbiamo intitolato Le dernier metro.

In questo testo sostenevamo che in Europa, dal 2013-2014, si era usciti dalla crisi anche via esportazioni nette, e ciò sarebbe stato foriero di altra crisi. L’eurozona ce l’aveva fatta ad uscire dalla crisi generalizzando il modello germanico. Tutti i paesi, anche quelli della periferia, esportavano nel resto del mondo, sicché le esportazioni nette di ogni paese dell’area fuori dall’eurozona erano in attivo, e per l’intera area le esportazioni nette sul prodotto interno lordo dell’eurozona avevano raggiunto il 4%. Storicamente non avevano mai avuto uno scarto sostanziale da un saldo nullo. Ora la situazione era cambiata.

Questo stato delle cose, lungi dal segnalare una forza, rivelava una debolezza, in quanto consegnava il continente europeo al traino della domanda estera, e proprio nel momento in cui la temuta (e poi realizzata) Brexit, le incertezze dell’Italia, la crescita del sovranismo, la presidenza Trump, il ritorno del protezionismo, la crisi dell’automotive, addensavano nuove nuvole, il che ci portava a prevedere difficoltà crescenti e una possibile grave crisi in Europa. Così è stato già dal 2019, prima della crisi del coronavirus, con il prodotto interno lordo tedesco in forte riduzione, e gli effetti conseguenti sull’Italia e l’Europa.

Chiudevamo quello scritto scrivendo che questo è il peggiore dei tempi, ma è questo anche il migliore dei tempi. Si avvicinava quella che definivamo una ‘tempesta perfetta’: e però è chiaro da molto tempo che l’eurozona (nella sua tecnocrazia monetaria, nella sua testa politica) non cambia se non è messa al muro. In questo senso, e senza alcun ottimismo, il peggiore dei tempi poteva rivelarsi il migliore che ci era consegnato. Ovviamente, non ci aspettavamo il Coronavirus. Ma la pandemia non fa che moltiplicare per mille la portata del discorso rispetto a come lo pensavamo noi. Il tempo è ora.

Visto che stiamo discutendo di ri-orientare la produzione orientandola a valori d’uso immediatamente sociali, visto che questa è la sfida, un tempo la avrei messa così: che le condizioni estreme in cui viviamo segnalano la ‘maturità’ del comunismo. Ancora oggi la penso così, anche se, lo so, non è più ‘rispettabile’ dirlo. Maturità di un comunismo inattuale: perché ci deve essere chiara l’incapacità nostra di essere all’altezza di quel problema. Ma pur sempre quello è il problema. Quello che ci viene contro, quello che rivelano i movimenti del mio ragionamento, è l’assoluta urgenza di un comando sulla moneta e sulla produzione, sotto il controllo ‘dal basso’ di una soggettività sociale, che per me vede al centro il lavoro, per poter pensare e iniziare a praticare un modello alternativo dello stare insieme.

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Michele Castaldo
Sunday, 03 May 2020 08:39
Certi personaggi nel loro modo di ragionare somigliano alle anguille che ricoperte di grasso sulla pelle non riesci a stringerle, scivolano da ogni parte; ma chi ha le mani piene di calli ha una sorta di carta vetrata, l'afferra e le impone di venire al dunque. E AlsOb al dunque ci è arrivato dichiarando l'eternità del modo di produzione capitalistico. Di fronte a cotanto ardire non c'è niente da fare o da dire. Ce ne son tanti, uno in più cosa vuoi che sia.
Ci sarebbe solo una "semplice" domanda: ma prima non c'era, è sorto per cause e Marx dice che
«venendo meno quelle cause non avrà più motivo di esistenza».
Io sto con questo Marx, se lui, scoraggiato e depresso, come tanti della nostra generazione, perché hanno misurato l'avvento della rivoluzione in base alla loro meschina esistenza, si accomodino pure. Ci sono stati tanti sessantottini che sono finiti a fare i manager in Italia o all'estero, (capisci a me, amico mio), direttori di giornali e altre robe da "granitica" vita piccolo borghese. Buona fortuna. In questi casi il silenzio sarebbe d'oro.
Quanto alla rivoluzione, per fortuna non dovrà chiedere il permesso agli opportunisti e agli incensatori di un modo di produzione che si avvia al disastro.
Per concludere: se siete vecchi e vi vergognate per come siete invecchiati perché cercate di allontanare da voi la cattiva coscienza che vi perseguita? Siete vecchi! Rassegnatevi e basta., tanto la vita prosegue oltre voi, senza di voi e contro di voi!
Questo modo di produzione ha imboccato la strada che lo porterà al disastro per «motu proprio». E voi non ci sarete, dunque potete dormire sogni tranquilli.
Michele Castaldo
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Ernesto Rossi
Sunday, 03 May 2020 00:22
È incredibile voler fare la Rivoluzione, da parte di persone che hanno vissuto in Italia dal dopoguerra ad oggi. Con la loro formazione marxista che nei fatti li portò alla cogestione pseudo-socialdemocratica, della società. Fino al rappresentare solo un interesse personale di lustro e potere, fine a se stesso. Con un popolo che ha perso il senso di appartenenza di classe, per divenire fra tanto, aderente a propri riferimenti sentimentali. Comunque... Il discorso di Riccardo Bellofiore è molto interessante, rappresenta un ulteriore passo di questo studioso verso quel che dice, questo sempre più ampio e calzante con quel che veramente pensa. Purtroppo deve rapportarsi ed è così comunque, con soggetti pseudo e paleo marxisti, oltre che opportunisti. Non dimentichiamoci che gli anni 70 sono stati fratricidi. Il passaggio da un economia primaria, ad una mercantilista e capitalista, non sarà tale se non industriale, sempre però in quanto monetarista... Questo punto o lo conosciamo o non dimentichiamocelo. Ovvero se si potè passare alle enclosure, con espulsione di soggetti, già espulsi dal sistema primario, sarà per via dell'aumento di produzione alimentare in grado di mantenere i fuoriusciti come cittadini, che altrimenti sarebbero morti. Il titolo a campare, fù l'impiego nelle industrie e il mezzo la moneta... Quì si dimentica sempre, perché inesistente nei trattati ottocenteschi, che l'industria a sua volta dava la motivazione del suo esistere, grazie all'uso di materie prime... Cambiando i ruoli dei soggetti e le tecniche pratiche delle coltivazioni e le tecniche psicologiche dei prodotti industriali, abbiamo un aumento della popolazione, per meglio dire si evita così l'esclusione mortale di molti. Liebig successivamente, con i suoi fertilizzanti offrì ulteriore spazio all'espansione numerica umana. E così via, in una sequenza lineare verso l'alto, con piccole flessioni, come le crisi o le guerre... Mentre in passato ogni sistema che avesse successo, preparava il suo insuccesso. La crescita sociale e demografica era tale, che il territorio raggiungeva l'impossibilità di reggere la popolazione. Quindi avevamo non una progressione lineare verso l'alto e continua, magari fino all'oggi, ma una salita che ad un certo punto cedeva di colpo; la carestia, la malattia, la guerra, l'epidemia conseguente, erano l'azione compiuta dalla Natura per ristabilire l'equilibrio. Dalla fase mercantilista a quella industriale si è riusciti ad evitare crisi così pesanti, anche grazie al colonialismo... Ovvero si abbandonò una organizzazione solidarista per una sempre più individualista. Nella fase industriale matura, si cercò di riportare l'alveo in una gestione sociale, cosa che i capitalisti sono riusciti ad evitare, grazie all'introduzione del consumismo e dell'edonismo. Ora che le materie prime sono finite e rappresentano solo il titolo monetario che l'umano ha per campare, ecco che sorge la necessità, di un agire nuovamente sociale, nel decidere - come, cosa, quanto e per chi, produrre. Resta il pericolo, che se la minestra è sempre quella e i cucchiai non possono aumentare, allora alcuni possono decidere di uccidere di uccidere gli altri commensali. Evitare questo, salvare tutti, non escludere nessuno è compito dell'uomo di Sinistra.
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AlsOb
Saturday, 02 May 2020 16:53
Caro Michele Castaldo, non è in questione la tua passione, generosità e senso di indignazione, neppure la biografia di coerente rivoluzionario.
Ciò che scrivi e la logica sottesa ti espongono e sottopongono al vaglio critico. Non ha perciò molto senso il sentirti irritato e incompreso come se nella comunicazione il problema e I limiti fossero dal lato del ricevente.
Marx non dice solo che il capitalismo è un modo di produzione storicamente determinato ma costruisce un potente e efficace modello scientifico di analisi e rappresentazione che ne spiega le determinazioni, dinamica e contraddizioni. Magari alcune volte per non soccombere a un desolato sconforto ha aggiunto qualche apparente spruzzata meccanicistica di autoillusione ma la validità e potenza del suo modello scientifico restano inalterati. E è un modello che può essere utilizzato anche dai capitalisti per salvare la loro accumulazione e infatti dal 2007-2008 il capitalismo è radicalmente cambiato, e per certi versi si potrebbe anche dire per fortuna.
Invece tu cali dall'alto, assiomaticamente, per non dire superstiziosanente, delle affermazioni-conclusioni per le quali il capitalismo per insondabile motu proprio va alla sua fine e da li spunterebbe il nuovo genere umano e modo di produzione. Il che è improbabile
Individuare il nemico e manifestare una ansia rivoluzionaria è una cosa, ma sfociare senza consapevolezza in atteggiamenti da martire, o nel donchisciottismo o nell'opportunismo dei sessantottini che urlavano slogan altra cosa. Marxianamente occorre conoscere le condizioni di rapporti di forza, le determinazioni storiche e il modello per capire che cosa accade all'accumulazione e quali idee e azioni sviluppare.
Con immutata ammirazione,
AlsOb
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carlo rao
Saturday, 02 May 2020 00:45
L’articolo di Bellofiore ci offre diversi spunti di riflessione. Senza pretese esaustive, solo accenni da approfondire e discutere, partendo dalla situazione che si prospetta per l’Italia, e pur premettendo che Bellofiore svolge un discorso che riguarda il capitalismo nel suo complesso. Da almeno 5 anni e sino al 2019 compreso la bilancia commerciale italiana è stata in attivo, e da molti anni lo Stato è in avanzo primario. Già in queste condizioni un debito pubblico, seppur alto rispetto al PIL, può essere retto senza nemmeno avvicinarsi al rischio di default, tanto più che, diversamente che dal 2011 oggi il debito dello stato è per circa due terzi in mano a creditori italiani (banche soprattutto), quindi soggetti al regime fiscale dello stesso Stato che ha emesso questi titoli, cioè debitori e creditori sono per gran parte soggetti allo stesso regime di compensazione fiscale; anzi, in queste condizioni si potrebbe dire che i debitori sono in posizione vantaggiosa rispetto ai creditori! Quando, dal 2015, alle volte lo “spread” ha superato il limite di guardia, è ipotizzabile che ciò sia avvenuto, e in parte avvenga tuttora, per ragioni politiche ben più che economiche in senso stretto: una questione di egemonia intercapitalistica da affermare, o ribadire. Ma da adesso, nello scenario determinato dal covid-19? Già dai primi dati che si possono ricavare (Istat, Banca d’Italia, FMI) è ipotizzabile che quasi tutti i paesi europei (e di altre aree ovviamente) dovranno per forza di cose aumentare a dismisura la spesa pubblica in disavanzo, ma con differenze significative da paese a paese. L’Italia in particolare, o meglio il capitalismo italiano soffrirà pesantemente per il fatto che il suo sistema produttivo è per il 98% circa basato su imprese medio piccole, e che ad esempio diversamente dalla Germania non godono di una delocalizzazione della produzione in paesi dove la serrata per l’epidemia è stata a dir poco blanda, come in Est Europa, che lavora in gran parte come filiera tedesca. Risultato? Ancora è troppo presto per certezze, date le molte variabili in gioco di cui non si conoscono ancora i connotati, ma ritengo plausibile che l’Italia, come la Spagna e forse anche la Francia, subiranno due effetti assai pesanti: 1) la bilancia commerciale andrà in negativo, nonostante la propensione all’ importazione sarà limitata dalla crisi di domanda interna (questo già avviene in Italia da diversi anni, ma presumo che peggiorerà ulteriormente); 2) l’indebitamento di famiglie e imprese dovuto alla serrata di questi 2 o anche 3 mesi determinerà un forte aumento del debito privato, che in qualche modo si trasferirà nel debito pubblico aggiuntivo a quello per dir così “endemico”, già molto elevato in Italia. In queste nuove condizioni il rischio di default dello Stato italiano diverrà concreto, o perlomeno è ipotizzabile che il capitale internazionale lo metterà in conto come esito non certo ma possibile; è significativo che in questi giorni già si registra una fuga consistente dai titoli sovrani a suo tempo emessi dallo Stato, che banche estere e finanza internazionale stanno vendendo già in queste ore. Questo processo costringerà la Stato italiano a offrire interessi più alti per piazzare questi titoli, a meno che essi non vengano acquistati massicciamente dalla BCE, anche in presenza di declassamenti delle Agenzie di rating, il che sta già avvenendo, altrimenti lo spread sarebbe già in queste ore vicino ai valori del 2011 / 2012! Il capitale europeo, segnatamente tedesco, accetterà questo “salvataggio” del capitalismo italiano senza porre pesanti condizioni? Non credo proprio! Non la chiameranno troika, ma nella sostanza questo è lo scenario che si prospetta per il capitalismo italiano nei prossimi mesi e anni.
Dato che la situazione italiana probabilmente sarà simile a quella di non pochi altri paesi del capitalismo sviluppato, ciò è il segnale che l’epidemia e i suoi effetti incidono sulle sorti del capitalismo nel suo complesso? O che una rimodulata prospettiva comunista si affaccerà di nuovo come riproponibile o quantomeno pensabile, magari preceduta da una ripresa della prospettiva keynesiana come propedeutica a un ritorno in auge del socialismo? Mi sembra del tutto privo di realismo. Piuttosto, avremo una ennesima profonda ristrutturazione / ridefinizione del modo di produzione dato, nella quale vi saranno aree perdenti e altre vincenti, sia in termini di aree geopolitiche sia, all’interno di ogni area, in termini di ridefinizione dei rapporti tra le classi, e non certo favorevoli alle classi proletarie. Previsione funesta? Non illudiamoci che un virus, per quanto ignorante e maligno faccia il “lavoro sporco” per noi, anche perché non mi risulta che ciò sia mai accaduto, neanche all'epoca della “spagnola”.
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Michele Castaldo
Friday, 01 May 2020 22:29
Egrtegio "AlsOb",
io sono Michele Castaldo, anni 75, un voluminoso carteggio nelle questure di Napoli e Roma, più volte incarcerato per attività alla testa della masse operaie, disoccupati, occupanti di case, contadini poveri. Tu chi sei? presentati prima di parlare di gnoseologia e altro.
Il capitalismo è un movimento storicamente determinato degli uomini con i mezzi di produzione. Tu non girare troppo intorno alle parole. Concordi o no con questo giudizio che è di Marx? Piantatela tu e Bellofiore e tutti i professori di sinistra di fare accademia fra accademici.
Riccardo Bellofiore in questo scritto arriva a conclusioni socialdemocratiche ammantate di "basismo", mentre la fase attuale chiama a un confronto diretto col modo di produzione capitalistico, UN MODO DI PRODURRE, lei AlsOb CAPISCE QUELLO CHE SCRIVO o le ci vuole l'interprete? Non si tratta di mettere a confronto due modelli ma UN MODO DI PRODURRE CHE VA VERSO IL DECLINO E UN FUTURO INCERTO, di cui le future generazioni di oppressi e sfruttati si dovranno incominciare a preoccupare e occupare. Le fumisterie ideologiche di un passato da sognatori non servono. HA CAPITO, Piantatela di raccontare ideologia passatempo. Siamo arrivati al punto, la storia sta presentando il conto al capitalismo, ai suoi sostenitori, ma anche a chi si comporta da pesce in barile dietro linguaggi artefatti e filosoficamente di sinistra.
Siamo al dunque: il nemico non è il solo liberismo, no, è il capitalismo in crisi. Non vi potete più nascondere.
Michele Castaldo
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AlsOb
Friday, 01 May 2020 20:41
Caro Michele Castaldo non si può che concordare che è preferibile una genuina e un poco superstiziosa fede in Padre Pio, che si manifesti in modo preminentemente epiteliale alla pretense di fare teologia senza averne basi e inclinazione. Nonostante magari la passione e generosità che valgono mille artificiosi e bronzei astrattismi e che positivamente ti caratterizzano, ti inducano a tracimare e miscelare in modo un po' incongruo categorie gnoseologiche come per esempio impersonale e determinazioni storiche.
Il modello descrittivo di Marx del capitalismo resta il più potente e adeguato finora costruito, rimosso ovviamente per includere le categorie di sfruttamento e conflitto che I capitalisti vogliono togliere dalla testa degli schiavi. Per sostiturvi quelle pseudo-metafisiche di armonia e felice ottimizzazione tra uguali!
Marx poteva stimare Joseph Dietzegen ma solo per lo sforzo di studiare e proporre una visione, una grammatica che riflettesse l'acquisizione, a partire dalla sua opera e da parte della classe sfruttata, di un principio di emancipazione dalle mitologie della classe dominante. (Oggi gli schiavi non sanno invece che I grandi giornali e televisioni contrabbandati come stampa libera sono bieco insulso propagandismo dei dominanti).
Era però troppo sofisticato per accontentarsi o stimarlo alla pari: nondimeno J. Diegtzen meritò e merita il suo specifico riconoscimento per essere partito da Marx e ignorare pure Hegel.
Tuttavia la teoria della conoscenza che egli ambisce formulare non giustifica le tue conclusioni dato che seppur magari articolata in modo non sofisticato e approssimativo tenta di definire il legame mediato dai sensi tra realtà esterna e categorie mentali utilizzate per rappresentarla, senza inferire che non sia conoscibile o soggetta a leggi fisiche non rappresentabili.
Infine è ingiusta l'accusa a Bellofiore di guardare indietro o nello specchietto retrovisore. È esente da tale cedimento, è magari il filtro degli occhiali che usa per guardare avanti che suscita qualche osservazione
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Davide Casartelli
Friday, 01 May 2020 15:15
In questi confusi commenti, qualche punto fermo - nonostante alcuni continuino a vagare attorno a ideologici e astratti pensieri personali - sembra esserci: premesso che non siamo davanti ad un idolo da adorare, il marxismo, bensì ad uno specifico modo di produzione e ad una ben definita società. Dopo altre organizzazioni economiche e sociali, il capitalismo è stato determinato dallo sviluppo storico di forze produttive diventate gigantesche. Fino ad ora ha cercato di accompagnarle, inizialmente traendone dei vantaggi, ma ormai è evidente che lo stanno portando alla propria fine. Inoltre, il capitalismo ha fatto della specie umana quella dominante sul globo terrestre, però mettendone a repentaglio la stessa esistenza naturale.
Dato non trascurabile per la tenuta di questo modo di produzione e distribuzione: stiamo camminando verso una popolazione globale di quasi 10 miliardi di individui. Concretizzando un drammatico dilemma: o comunismo o barbarie, checchè ne pensino quelli che stanno in cima alla scricchiolante piramide e accusano quelli che stanno in basso di superstizioni religioso-teleologiche…. E sono proprio i primi a cicaleggiare, tanto più che mezzi – in abbondanza - a loro non mancano. Ma nonostante ciò, siamo vicini (anche se non certo domani, giacchè ancora potrebbero passare decenni e decenni…) ad una svolta storica.
Ed ora ecco il corona virus il quale – chiaramente – dimostra come il capitalismo non sia assolutamente in grado di sostenere e superare ogni eventuale pandemia che esso stesso contribuisce a diffondere. Questo mentre il progresso scientifico e le diverse applicazioni in campo tecnologico stanno riducendo sempre più gli interventi della forza-lavoro umana nei processi produttivi. Si avverte qualche suono di campana a morto per il capitale e per la società borghese divisa in classi; si evidenzia la contraddizione tra le forze produttive e i rapporti di produzione; i consumi di merci subiscono una forte riduzione a fronte di una massa di capitale che non trova così la possibilità di valorizzazione, di riprodursi produttivamente, proprio perché lo sviluppo delle forze produttive riduce la fonte del plusvalore. La legge della caduta tendenziale del saggio di profitto si mostra allo scoperto e tutte le contraddizioni interne del capitalismo si avvicinano ad un punto prossimo all’esplosione. Più ci si concentra sulla estorsione di plusvalore relativo (meccanizzazione e automatizzazione), più si vengono a formare condizioni oggettive drammatiche.
E veniamo alle condizioni soggettive, in un rapporto dialettico con quelle oggettive, ma comunque mai immediate e automatiche, soprattutto in un processo rivoluzionario. Ben diceva Trotsky: “Non si deve dimenticare che la coscienza umana, presa sulla scala della società, è paurosamente conservatrice e lenta a cambiare. Solo gli idealisti immaginano che il mondo venga fatto avanzare attraverso la libera iniziativa del pensiero umano. In realtà il pensiero della società o di una classe non fa un solo passo avanti, se non in caso di estrema necessità… Il pensiero umano è conservatore e lento a muoversi; si aggrappa ostinatamente al passato, a tutto ciò che è conosciuto, familiare, ancestrale – fino al prossimo colpo del flagello!”. E Lenin aggiungeva: "l'idea dominante è l'idea della classe dominante". Attenzione: essa rimane valida in tempi "normali" quando vince la paura di perdere anche quel poco che si ha. La miseria, la fame e la morte di milioni di uomini, il peggioramento di condizioni oggettive, può fare da motore ad una rivoluzione! Certo la “coscienza” non sorge in un mattino e la lotta di classe vede spesso in attività uno solo dei protagonisti. Il quale sta oggi attentando alla vita degli altri i quali potrebbero presto rifiutarsi di scavare, passivamente, fosse comuni per i loro morti. Anche “un nuovo movimento Neo-Gandhiano” non solo non avrebbe… più spazio, ma non risolverebbe alcuno dei problemi, ormai di vita o morte per la stragrande parte dell’umanità. - Davide
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Michele Castaldo
Friday, 01 May 2020 08:41
Egregio "AlsOb" (non so cosa o chi ci sia dietro questa sigla o acronimo), comunque:
innanzitutto ringrazio per l'attestato di "passione e generosità", troppo buono Vussia, dicono in Sicilia, ma veniamo al sodo. Il mio ragionare sarebbe «profondamente equivoco e anti-marxiano»? Che vuol dire marxiano? Marx fu un laboratorio di oltre mezzo secolo, in un'epoca di straordinarie trasformazione che si riflettevano in tanti personaggi. Il laboratorio di Marx-Engels è fra i più interessanti dal punto di vista degli oppressi e sfruttati. Da ciò a farne un Totem dinanzi al quale genuflettersi ce ne corre. E se proprio volessimo essere sinceri fino in fondo dovremmo dire che richiamarsi a Marx come hanno fatto e fanno tanti marxisti è il modo per affossarlo.
Marx fece un percorso partendo dall'ideale politico - Il Manifesto - per arrivare alla scienza, cioè a scoprire in che modo una classe sfruttava un'altra classe. Sicché rifarsi a Marx dovrebbe significare non partire da dove lui era partito, no, ma da dove lui era arrivato, cioè dalla natura di un modo di produzione IMPERSONALE, storicamente DETERMINATO, dunque transitorio e che
venendo meno i motivi, le ragioni che lo fecero sorgere non avrà più motivo di esistere» diceva il Moro.
L'umile MIchele Castaldo si riconosce totalmente in questa tesi.
Se l'AlsOb definisce il sottoscritto «pseudo religioso teleologico deterministico» deve sapere che definisce Marx in questo modo e, bontà sua, chiarisca perché.
La verità è un'altra e consiste nel fatto che non si vuole accettare l'idea che il CAPITALISMO è un movimento storico e perciò determinato, lo si vuole per forza di cose definire come espressione della volontà degli uomini, di una parte degli uomini contro un'altra; e dunque che altri uomini potrebbero fare meglio correggendolo. Una certa letteratura degli ultimi 150 anni è piena di assurdo volontarismo a riguardo. Fra i suoi ispiratori troviamo un certo Antonio Gramsci che - buttando il cuore oltre l'ostacolo ed entusiasmandosi oltremodo per l'insurrezione contadina (appoggiata dai bolscevichi) nell'ottobre del 1917 definì quell'atto una rivoluzione contro il Capitale di Marx.
Fin da Marx-Engels si scambiò un movimento storico come il capitalismo in ascesa e avviato verso il suo apogeo come alla prossimità dell'assalto da parte del proletariato. Si sbagliavano Marx, Engels, Lenin e tutti gli epigoni. Ma Engels lo seppe riconoscere parlando al plurale «ci siamo sbagliati sulla tenuta del capitalismo».
La tragedia vera è questa: quando il capitalismo si espandeva e si avviava verso il suo apogeo i marxisti ne vedevano la fine sotto i colpi del proletariato. Oggi che in quanto movimento storico il capitalismo è entrato in una crisi che ne segnerà la fine, certi marxisti, impauriti, corrono al suo capezzale per rianimarlo.
L'AlsOb è il naturale rappresentante di questo stato d'animo, perché fa parte di un mondo del passato che non riesce a guardare avanti e come Riccardo Bellofiore pensa alla valle verde di un tempo della classe operaia, alla sua autonomia, al suo antagonismo, alla sua capacità rivoluzionaria, alla sua capacità democratica, ai suoi consigli ecc. ecc.
Scriveva J. Dietzgen, un autore molto stimato da Marx, in L’essenza del lavoro mentale umano (Mimesis, 2009)
«La scienza induttiva ha modificato il concetto di causa in modo sostanziale. […] Essendo ancora inesperto, l’uomo misura la realtà oggettiva con un metro soggettivo, giudica il mondo prendendo se stesso come criterio. E poiché egli produce in base a un progetto e a un’intenzione, attribuisce questo suo modo d’essere umano anche alla natura: ritenendo che, come egli è causa separata e distinta di quanto produce, anche i fenomeni del mondo sensibile abbiano una propria causa creatrice esterna» (p.80)».
Ecco, questo è materialismo, per di più storico, quello di Riccardo Bellofiore e suoi sostenitori è ideologismo che col marxismo materialista non ha niente a spartire.
Il capitalismo si avvia verso la catastrofe, in quanto tempo non mi interessa, ma non arriverà a fine secolo.
Se è vero che io sono "uno", tutti gli altri non fan trentuno.
Michele Castaldo
Ecco, c
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AlsOb
Thursday, 30 April 2020 23:49
L'approdo pseudo religioso teleologico deterministico di Michele Castaldo nonostante la sua ammirevole passione e generosità è profondamente equivoco e anti-marxiano. Anche metodologicamente è dannoso perché oppone nello specifico a una semi-mitologia una critica basata completamente su una mitologia al quadrato e superstiziosa.
Il fatto che la rivoluzione non accada in modo lineare, meccanico e guidata dalla classe schiavizzata, che avrebbe tutte le ragioni a emanciparsi e realizzarla e dalla sua acquisita coscienza di classe non significa che avvenga sulla base del caso deterministico e superstizione. Autosuggestione e fideismi non fanno scienza.
Semmai vi è una indiscutibile rivincita della teologia critiana e suo pessimismo storico, ma il Salvatore Assoluto né ricorre al caso né fa ammucchiate.
Claudio Napoleoni, tra I pochissimi a non scadere nell'opportunismo e a non cedere alla devastante adesione della sinistra alla pseudo-metafisica neoclassica invitò a cercare ancora, ma quando osservava che sia la classe inferiore che I dominanti erano vittime del feticismo della merce dava l'impressione di ammucchiare e non discriminare tra forze con interessi rivoluzionari e chi avrebbe solo e sempre sfruttato.
L'ironia della storia è che il capitalismo per la sua immanente oggettiva rivoluzionarietà viene superato dalla classe dominante che preferisce la tranquilla estrazione di rendita di un lugubre neofeudalesimo e neoschiavismo.
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paolo regolini
Thursday, 30 April 2020 23:38
Grande Bellofiore, che signorilmente (odi profanum vulgus et arceo) non risponde a tanto cicaleccio.Chi non sa cosa dire (o non sa quel che dice) meglio si affidi all'aurea massima un bel tacer non fu mai scritto. Legga, piuttosto e provi ad imparare un 10% di quanto elaborato da Riccardo.
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Franco Trondoli
Thursday, 30 April 2020 19:36
Quote#10.Caro Davide, per quello che capisco di ciò che hai ben scritto, sei in accordo con M. Castaldo. Se è così, siamo al collasso. Anche io penso in questo modo. Il Capitalocene però , a questa "nuova barbarie", gli darà una forma e una sostanza. Per forza di cose. Aumentera' tutto il peggio del peggio. Senza dubbio. Quello che vedo, come semplice persona, è che una "rivoluzione" che inverta coscientemente tutti i modi di vivere, da tutti i punti di vista, non si può dare. Non esiste, non può esistere, nessun ingrediente che possa generarla coscientemente. Ci saranno delle manifestazioni di disagio, e tutto quello che non possiamo prevedere, ma poi i gangli terminali che reggono i destini del Mondo non sono in mano ai "malcapitati" della terra, noi compresi. Su questo credo che sia inutile dire. Penso che siamo tutti in accordo. Quando diciamo "rivoluzione" , cosa intendiamo ?. La presa del palazzo d'inverno (se c'è stata) non è prendere il "potere". Forse il problema non è neanche prenderlo. Forse è disfarsene. Sappiamo ,anche se molto banalmente, che i processi sociali si perdono nell'infinita' dei rapporti umani, Tecnici e Scientifici. Parlo per me ovviamente. Esiste una Enorme Macchina Sociale che presiede alla gestione della Vita nel Capitalocene. Perché di questo si tratta. Quindi...qualsiasi "proposta" in campo non può che essere contingente a quello che esiste. Se no, stiamo in riva al fiume a guardare quello che succede. Ed è quello che facciamo ora. Dove è la Sinistra ?. Se non siamo in milioni nelle piazze a "manifestare" come negli anni '70 vuol dire che è cambiato tutto. Non dico certo che lo faccia tu, ma basta predicare che il problema è il fatto che non c'è coscienza e quindi non ci può essere lotta di classe; e che comunque il problema è sempre quello. Bisogna rilanciare la lotta di classe. A mio parere non funziona più così. Perche ?. Volete la mia risposta ?. Eccola: le persone, in gran maggioranza, hanno coscienza di tutto. Non è che non capiscono. Capiscono benissimo. Ma hanno paura. Hanno paura di perdere quello che hanno. In tutti i sensi. Compreso la vita e la "libertà". Credo che ci siamo capiti. Tutti sanno che non viviamo nel paradiso terrestre. Pero' la "vita", se la vogliono salvare il più possibile. Bisogna impedire che degli innocenti mettano in pericolo la propria vita. Ci vorrebbe un nuovo movimento Neo-Gandhiano. In bocca al lupo.
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Davide Casartelli
Thursday, 30 April 2020 16:50
Nell’articolo e nei commenti la confusione è enorme. Si parla di comunismo coltivando le illusioni di poter “migliorare” il capitalismo: “correggerlo, dominarlo, controllarlo ecc. dal basso…”. Ma quale comunismo si contrabbanda? Quello che – secondo Bellofiore – dovrebbe “comandare moneta e produzione” per migliorare il governo del presente stato di cose e lo “stare insieme”? Altro che ambiguità e vaporosità: siamo al di sotto delle “chiacchiere da bar dell'ideologia”.
Quanto alla caduta tendenziale del saggio di profitto, essa rimane – sempre più aggravandosi – al centro di tutte le crisi: qualsiasi “riforma”, per quanto la si presenti come radicale, alla fine altro non fa che solletico! Quanto poi al “garantire il lavoro” (rigorosamente salariato!) e riverniciare illusioni attorno a “sostanziose redistribuzioni e tasse patrimoniali”, beh, siamo alla vera e propria “presa in giro”. Compreso il “ri-orientare a valori d’uso sociali la produzione”. Col modo di produzione capitalistico!
A questo punto, disperato, anche il liberista Financial Times propone piani statalisti pur di salvare - anche lui d’accordo e preoccupato - il “contratto sociale”, per l’appunto diventato “fragile”. Lo si riformi, e nel frattempo avanti con la barzelletta degli “investimenti” nei servizi pubblici (già, ma poi questi, nei sacri libri delle Entrate e Uscite, restano “passività”…). E sappiamo chi le paga!
Ritorna dunque l’elisir che assicurerebbe lunga vita al capitalismo: perché non puntare all’alternativa del valore-utilità accanto al valore-lavoro? Sempre merce, s’intende, con tanto di plusvalore, cioè con quella che sarebbe un’aggiunta di valore: è pur sempre il vento del profitto che spinge le navi a vela del capitale! Altrimenti gli “equilibri di mercato” vanno all’aria, gli stessi movimenti di capitale si bloccano, aumentano spaventosamente debiti e disoccupazione, con cifre impressionanti. E le contraddizioni insite nel capitalismo stanno venendo tutte alla luce, comprese le tensioni commerciali.
Chi fa credere ai proletari che la situazione migliori soltanto se sarà lo Stato a essere proprietario di aziende e Banche, assumendo lui tutti gli operai e pagando loro un salario, in realtà cerca di confondersi fra le schiere dei tanti servi sciocchi che – anche se fossero in buona fede – fanno gli interessi del capitale, quanto meno di una sua sopravvivenza in abiti non privati ma statali. Si parla quindi ancora di salari che, in quantità più giuste…, dovrebbero remunerare il lavoro; di costi e ricavi, di entrate e uscite di denaro. Col sindacato, “riconosciuto e ammesso nelle fabbriche”, che “attua nuove misure”… Rimesse in ordine le aziende, i nuovi gestori del capitale proporrebbero programmi di “sviluppo” con tasse sulle grandi imprese per finanziare quelle minori, con la nazionalizzazione delle Banche per meglio gestire le “risorse finanziare”, aiutando le piccole imprese (!) e i settori in difficoltà, nazionalizzando le industrie col controllo operaio (eccolo che ritorna!).
Conclusione: sullo sfondo sta avanzando una pandemia economica che difficilmente l’ordine capitalistico e il suo modo di produzione potrà sopportare, anche dopo aver scaricato sulle masse proletarie nel mondo quelle che saranno le più drammatiche conseguenze. Al momento ci si aggrappa alla consueta tattica della “sacra unione” fra capitalisti e proletari, per asservire questi ad una sopravvivenza del capitale, e della precaria stabilità di un sistema economico, sociale e politico, che ci sta letteralmente strangolando.
E mentre i debiti pubblici lievitano a vista d’occhio, basterebbe qualche eclatante fallimento (come quello di Lehman Brothers nel 2007) e, allora, si salvi chi può! Il tracollo del 2008 può ripetersi da un momento all’altro, in una situazione economica che – a livello globale – comincia a far tremare i polsi agli “scienziati” borghesi, in preghiera attorno ad un malato al quale il virus del profitto sta scavando la fossa. E non sottovalutiamo un altro fatto: la produzione di merci, da vendersi sui mercati, vede paralizzarsi e frantumarsi proprio quel metro di misura sul quale si dovrebbe basare la sua sopravvivenza che si affida ad uno sviluppo costante dei mercati. Senza il quale i cosiddetti “servizi” – e in questa drammatica situazione innanzitutto la salute! – mostrano tutta la loro inadeguatezza di fronte alle necessità di un loro “finanziamento” (e non certo di… tagli alle spese eccessive!) che però non si giustificherebbe a lungo andare proprio in quanto non c’è quella produzione di merci da vendersi sul mercato a una clientela pagante e chefornisca le quote necessarie di plusvalore. Del quale in troppi pretendono una parte!
Ed ecco perché si torna a spingere per parziali “nazionalizzazioni” (o “socializzazioni”, come in Cina) del capitalismo, al fine di rendere “pubbliche” le perdite sempre più gravose: guai a toccare i suoi rapporti di produzione, sia chiaro! La mistificazione sarebbe quella che così si pianificherebbe una “buona” produzione e una “giusta” distribuzione, entrambe da “finanziare con emissioni sul mercato dei capitali”. I quali si “muoveranno” – dopo un primo loro “sviluppo” - menando legnate sulle spalle di un proletariato (masse di centinaia di milioni di individui) inevitabilmente immiserito e disperato. E non mancano altri servi sciocchi del capitale che propongono spese con tassazioni e finanziamenti in deficit, pur di “creare nuove attività produttive può far ripartire l’economia”. Valori d’uso?
Infine, ecco il corona virus: tremano i mercati e i fondamentali macroeconomici del capitalismo, compresi i suoi mercati finanziari. E chiedono “misure di risanamento economico”, in presenza di un malato cronico ormai in preda di spasmi agonici... - Davide
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Davide Casartelli
Thursday, 30 April 2020 16:50
Nell’articolo e nei commenti la confusione è enorme. Si parla di comunismo coltivando le illusioni di poter “migliorare” il capitalismo: “correggerlo, dominarlo, controllarlo ecc. dal basso…”. Ma quale comunismo si contrabbanda? Quello che – secondo Bellofiore – dovrebbe “comandare moneta e produzione” per migliorare il governo del presente stato di cose e lo “stare insieme”? Altro che ambiguità e vaporosità: siamo al di sotto delle “chiacchiere da bar dell'ideologia”.
Quanto alla caduta tendenziale del saggio di profitto, essa rimane – sempre più aggravandosi – al centro di tutte le crisi: qualsiasi “riforma”, per quanto la si presenti come radicale, alla fine altro non fa che solletico! Quanto poi al “garantire il lavoro” (rigorosamente salariato!) e riverniciare illusioni attorno a “sostanziose redistribuzioni e tasse patrimoniali”, beh, siamo alla vera e propria “presa in giro”. Compreso il “ri-orientare a valori d’uso sociali la produzione”. Col modo di produzione capitalistico!
A questo punto, disperato, anche il liberista Financial Times propone piani statalisti pur di salvare - anche lui d’accordo e preoccupato - il “contratto sociale”, per l’appunto diventato “fragile”. Lo si riformi, e nel frattempo avanti con la barzelletta degli “investimenti” nei servizi pubblici (già, ma poi questi, nei sacri libri delle Entrate e Uscite, restano “passività”…). E sappiamo chi le paga!
Ritorna dunque l’elisir che assicurerebbe lunga vita al capitalismo: perché non puntare all’alternativa del valore-utilità accanto al valore-lavoro? Sempre merce, s’intende, con tanto di plusvalore, cioè con quella che sarebbe un’aggiunta di valore: è pur sempre il vento del profitto che spinge le navi a vela del capitale! Altrimenti gli “equilibri di mercato” vanno all’aria, gli stessi movimenti di capitale si bloccano, aumentano spaventosamente debiti e disoccupazione, con cifre impressionanti. E le contraddizioni insite nel capitalismo stanno venendo tutte alla luce, comprese le tensioni commerciali.
Chi fa credere ai proletari che la situazione migliori soltanto se sarà lo Stato a essere proprietario di aziende e Banche, assumendo lui tutti gli operai e pagando loro un salario, in realtà cerca di confondersi fra le schiere dei tanti servi sciocchi che – anche se fossero in buona fede – fanno gli interessi del capitale, quanto meno di una sua sopravvivenza in abiti non privati ma statali. Si parla quindi ancora di salari che, in quantità più giuste…, dovrebbero remunerare il lavoro; di costi e ricavi, di entrate e uscite di denaro. Col sindacato, “riconosciuto e ammesso nelle fabbriche”, che “attua nuove misure”… Rimesse in ordine le aziende, i nuovi gestori del capitale proporrebbero programmi di “sviluppo” con tasse sulle grandi imprese per finanziare quelle minori, con la nazionalizzazione delle Banche per meglio gestire le “risorse finanziare”, aiutando le piccole imprese (!) e i settori in difficoltà, nazionalizzando le industrie col controllo operaio (eccolo che ritorna!).
Conclusione: sullo sfondo sta avanzando una pandemia economica che difficilmente l’ordine capitalistico e il suo modo di produzione potrà sopportare, anche dopo aver scaricato sulle masse proletarie nel mondo quelle che saranno le più drammatiche conseguenze. Al momento ci si aggrappa alla consueta tattica della “sacra unione” fra capitalisti e proletari, per asservire questi ad una sopravvivenza del capitale, e della precaria stabilità di un sistema economico, sociale e politico, che ci sta letteralmente strangolando.
E mentre i debiti pubblici lievitano a vista d’occhio, basterebbe qualche eclatante fallimento (come quello di Lehman Brothers nel 2007) e, allora, si salvi chi può! Il tracollo del 2008 può ripetersi da un momento all’altro, in una situazione economica che – a livello globale – comincia a far tremare i polsi agli “scienziati” borghesi, in preghiera attorno ad un malato al quale il virus del profitto sta scavando la fossa. E non sottovalutiamo un altro fatto: la produzione di merci, da vendersi sui mercati, vede paralizzarsi e frantumarsi proprio quel metro di misura sul quale si dovrebbe basare la sua sopravvivenza che si affida ad uno sviluppo costante dei mercati. Senza il quale i cosiddetti “servizi” – e in questa drammatica situazione innanzitutto la salute! – mostrano tutta la loro inadeguatezza di fronte alle necessità di un loro “finanziamento” (e non certo di… tagli alle spese eccessive!) che però non si giustificherebbe a lungo andare proprio in quanto non c’è quella produzione di merci da vendersi sul mercato a una clientela pagante e chefornisca le quote necessarie di plusvalore. Del quale in troppi pretendono una parte!
Ed ecco perché si torna a spingere per parziali “nazionalizzazioni” (o “socializzazioni”, come in Cina) del capitalismo, al fine di rendere “pubbliche” le perdite sempre più gravose: guai a toccare i suoi rapporti di produzione, sia chiaro! La mistificazione sarebbe quella che così si pianificherebbe una “buona” produzione e una “giusta” distribuzione, entrambe da “finanziare con emissioni sul mercato dei capitali”. I quali si “muoveranno” – dopo un primo loro “sviluppo” - menando legnate sulle spalle di un proletariato (masse di centinaia di milioni di individui) inevitabilmente immiserito e disperato. E non mancano altri servi sciocchi del capitale che propongono spese con tassazioni e finanziamenti in deficit, pur di “creare nuove attività produttive può far ripartire l’economia”. Valori d’uso?
Infine, ecco il corona virus: tremano i mercati e i fondamentali macroeconomici del capitalismo, compresi i suoi mercati finanziari. E chiedono “misure di risanamento economico”, in presenza di un malato cronico ormai in preda di spasmi agonici... - Davide
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paolo regolini
Thursday, 30 April 2020 13:57
Michele, BENISSSSSSSIMO.
Se capita la scintilla, addossss. Carpe diem, nulla interposita mora, quam qui maxime, quam celerrime.
Chiamiamo i pochi che ci sono, ma niente illusioni palingenetiche, magari.
Estote parati, lo sono.
ma non sono il conte ugolino, regolins, semplicemente, il guerriero, come ebbe a dirmi una fata che poi mi mandò pure a fare in culo.
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Michele Castaldo
Thursday, 30 April 2020 12:41
Caro Paolo Ugolini,
la rivoluzione non è alle porte? Bene.
Un certo Ilic Ulianov Wladimiro, in arte Lenin, a gennaio del 1917 - ripeto: gennaio 1917 - in un convegno di giovani socialisti in Svizzera, dove era esule, affermò testualmente:
«La rivoluzione in Europa non è alle porte e per quanto riguarda la Russia è ancora più lontana».
Solo venti giorni dopo scoppiò uno degli eventi che tutti conosciamo. Qualora non dovessi credere alla mia parola, e ne avresti tutto il diritto, ti puoi documentare. Ho scritto un libro di 480 pagine (Marx e il torto delle cose) a riguardo, però puoi, a giusta ragione documentarti altrove.
I rivoluzionari non ne hanno mai - dico mai - azzeccata una sui tempi, anche perché i tempi vengono definiti dalle casualità a noi sconosciute. In ogni caso, chi si definisce comunista non vive questo ideale perché si realizzi durante la sua vita, ma per contribuire a un fine comune.
Attenzione bene: questo virus più essere più pericoloso per il capitalismo di quanto si creda. Chi vivrà vedrà.
Michele Castaldo
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paolo regolini
Thursday, 30 April 2020 09:08
Buon navigatore come tanti genovesi (lasciamo perdere colombo,ca va sans dire...) ho imparato che per raggiungere atene,salpando appunto da genova, conviene navigare a est. Se fai rotta ad ovest, devi circumnavigare il globo intero, col rischio di perderti, della deriva tra correnti insidiose, di astri impazziti e incapaci di darti risposte affidabili (pure le cannoniere usa a caccia di improbabili gusci iraniani).
Così in politica.
Senza pretese taumaturgiche, col bagaglio critico (sottolineo, critico non talmudico) del moro di treviri che ci ha insegnato un metodo e non una regola,.provo a pormi le domande giuste, pratica severa e più ostica del lanciare risposte approssimative.
Ma non sono eclettico né scettico, differenzio tattica/strategia da progetti a lungo termine, provo a costruire fili di alleanze capaci di usare cinicamente e con disincanto altri senza esserne svillaneggiato e senza illusioni(cina, via della seta,iran, putin & c.).
Con due convinzioni tetragone: la rivoluzione non è alle porte, c'è un deserto orribile da attraversare, bussola, scarpe rotte eppur bisogna andare.
Secondo, c'è tanta merda nel mondo che seminare è investimento sicuro: nascerà un giardino, forse l'eden sulla terra.
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Franco Trondoli
Wednesday, 29 April 2020 21:09
Quote#4.Addentrati pure Regolini. Si è vero, grande è la confusione sotto il cielo. Sarebbe facile augurare almeno ai più anziani di vivere ancora 30 anni. Alternative please !?. 1) fare la rivoluzione in Italia ?. 2) farla in Europa ?. 3) farla nel Mondo ?. 4) intraprendere rapporti molto stretti con le Società dette "Socialismo di Mercato" ?. Ripeto dette, quando non si vede neanche che più Capitalistiche di così si muore ?. L'unica posizione realistica è quella che richiama Michele Castaldo. Collasso progressivo del Sistema. Certo li' dentro, in quel collasso, le forze che esistono qualcosa devono fare e faranno. Gia ora si vede con il virus, è una occasione e una opportunità che chi ha il potere ha l'obbligo di prendere. Ripeto l'obbligo. Come sta usando ambedue ?. Intanto per "motivi di salute" traccerà i movimenti delle persone, installando il 5G (già previsto) e prevedendo vaccini forse obbligatori. A parte tutto quello che seguirà in termini organizzativi generali della vita sociale e delle misure economiche-finanziarie complessive. Cosa pensi che rimarrà dell'Italia e della sua popolazione dopo avere sottoscritto i patti con la Comunità Europea, aver subito i contraccolpi della speculazione finanziaria internazionale, e dulcis in fundo magari arrivare ad una secessione del Nord che potrebbe legarsi ad una grande Baviera in via di possibile opzione ?. Senza dimenticare che potremmo, se non lo hanno già fatto, concedere ai Cinesi la facolta di utilizzare le nostre infrastrutture portuali per diventare via di transito delle loro merci verso il Nord Europa ?. Cosa ci guadagneremo ?. Tu la conosci Genova no ?. Il porto di Vado a Savona anche. Sai cosa diventeranno le località balneari ancora parzialmente intatte ?. Quello che è diventata Genova. Tanti Containers, tanto inquinamento, e poco lavoro. O no !. Ed il Ligure è solo un esempio ravvicinato. No al Neofeudalesimo. Lasciamo fare gli attuali dilettanti allo sbaraglio ?. Ci vendono e ci fanno comprare per quattro lire. Come hanno già fatto i loro predecessori. Non credo che valga la pena farne i nomi. Ripeto, magari ci fosse un gruppo dirigente solido Nazionale, fatto di Imprenditori e Politici veri, con dei Tecnici di riferimento capaci e preparati. Ma dubito che ci siano, è questo il vero guaio. Fine. In bocca al lupo.
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paolo regolini
Wednesday, 29 April 2020 19:35
Grazie a Bellofiore per questo contributo chiaro e ricco di proposte. Non mi addentro nei commenti apparsi ma perle come agganciarsi in toto al blocco anglo-americano o la qualifica di Keynes come grande socialista mi danno la misura della grande confusione che regna sotto il cielo.
Ma la situazione non è affatto eccellente. Aiuto!
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Michele Castaldo
Wednesday, 29 April 2020 19:21
Caro Riccardo,
diciamoci la verità: i nodi sono venuti al pettine di un movimento storico che Marx definì Modo di produzione capitalistico. E con essi si stanno bruciando tutte le illusioni di poterlo migliorare perché vive di leggi proprie mentre il comunismo - figlio legittimo d'esso - ha ritenuto di poterlo correggere, dominarlo, controllarlo ecc.
Ora tu scrivi, a conclusione del tuo ragionamento: .
.«Maturità di un comunismo inattuale: perché ci deve essere chiara l’incapacità nostra di essere all’altezza di quel problema. Ma pur sempre quello è il problema. Quello che ci viene contro, quello che rivelano i movimenti del mio ragionamento, è l’assoluta urgenza di un comando sulla moneta e sulla produzione, sotto il controllo ‘dal basso’ di una soggettività sociale, che per me vede al centro il lavoro, per poter pensare e iniziare a praticare un modello alternativo dello stare insieme». Mi perdonerai la schiettezza (o la sfrontatezza come qualcuno mi rimprovera), ma in questo modo mostri di non aver colto l'essenza del modo di produzione, il suo carattere impersonale legato a leggi proprie.
«Un comando sulla moneta e sulla produzione» e per di più «dal basso» quando l'insieme del modo di produzione si avvia verso una disastrosa catastrofe nel suo insieme?Sei fuori del tempo come tutto il movimento comunista sorto col capitalismo. Siamo suoi figli legittimi e con esso destinati a morire, perché solo dalle sue ceneri nascerà l'araba fenice con caratteristiche comuniste.
Un movimento storico è come il vento: nasce, cresce fino alla sua massima potenza e poi si arena e muore, in malomodo, come tutti gli altri movimenti storici che lo hanno preceduto.
Detto in modo brutale: noi non gioiamo per la sua catastrofe e non ce ne rammarichiamo perché non abbiamo nessuna possibilità di governare i suoi tempi, chi ci ha provato ci ha rimesso le penne. Noi stiamo ai fatti, i quali ci indicano una linea di tendenza obbligata. Lenin pensava alla rivoluzione proletaria e dovette sostenere l'apocalisse per le campagne dei mugichi; invocava l'Assemblea Costituente e la sciolse, predicava la solidarietà e la comunità fra i contadini e fu costretto ad assegnare loro la terra; pensava di sciogliere l'esercito zarista e fu costretto a ricostruirlo ed affidarlo agli ufficiali cacciati a calci dai soldati a maggioranza contadini poveri; pensava a una nuova macchina statale e fu costretto a richiamare in servizio la burocrazia zarista. La storia ha il suo corso storicamente determinato. Le nostre proposte «dal basso» sono fantasie metafisiche che prima cancelliamo dalla nostra mente e meglio riusciremo ad affrontare una fase, questa fase, molto più complicata di quando pensavamo che la classe operaia avrebbe fatto la rivoluzione che invece sarà impersonale, caotica, violenta e improvvisa. Il resto sono chiacchiere da bar dell'ideologia.
Michele Castaldo
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Franco Trondoli
Wednesday, 29 April 2020 15:21
Alla fine saremo "diretti" dai "mediocrissimi" noti. Nessun vero "statista" , ammesso che questi siano i tempi di tali soggetti, e che c'è ne siano mai stati. Il Capitalocene ha i suoi guai, ma anche, avendo il potere, le sue opportunità. Che peggioreranno la vita di tutto e tutti, ma quello è la missione del Capitale. Mentre la popolazione ordinaria avrà solo guai. Ha messo la testa sotto la sabbia da parecchio tempo. Solo i giovani sono "innocenti", non possono proprio capire. Pur essendo abituati male e cresciuti per conto loro molto peggio di quello che avrebbero potuto fare. Se capi dobbiamo avere, che sia uno solo. Poi si vedrà come finirà il Sistema Mondo. Intanto l'Italia deve uscire dall'euro, agganciarsi in toto al blocco Angloamericano, mantenere lo Stato Nazionale e ritagliarsi un ruolo manifatturiero e alimentare autonomo per il mercato sia interno che esterno ,avendo il riferimento citato. Non dare in concessione o svendere i nostri porti a nessuno. Per non ridursi a fare da via di transito e di consumo interno di merci (scadenti) prodotti altrove. Rinsaldarsi all'interno per non affamare la popolazione con poco lavoro, di scarsa qualità e salari da fame. Con i risultati che possiamo immaginare. Compreso Ambiente, Salute e Sfera Politico Sociale. No alla neofeudalizzazione Italiana. Linea possibile ?. Che non ci affondi comunque ?. Non sono in grado di dirlo ovviamente. Quello che si va prosprettando è il peggiore scenario possibile. Essere comprati e svenduti contemporaneamente da tutti. Il dramma vero è che tutti i politicanti "nazionali" , e la maggioranza della popolazione, si possono annoverare, ciascuno con le proprie responsabilità,
sotto la dizione di "anarchici di centro" , e cioè "Franza o Spagna basta che se magna ". Ma ora non si mangia neppure più. L'ho già detto, Dante, Machiavelli e Leopardi, i nostri Padri traditi. Saluti
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AlsOb
Wednesday, 29 April 2020 02:25
A prescindere dal fatto che la parola esogena è troppo spesso mutuata dall'economia volgare l'impiego del valore semi-esogena appare un espediente puerile e privo di senso.
La similitudine della guerra contro il virus è un artificio retorico di scontato impiego da parte dei fabbricatori di narrazioni, tuttavia la vera e occultata guerra imperialistica combattuta da decenni è quella di Germania e Francia contro l'Italia mascherata dietro la moneta unica. Perciò la situazione “semi-esogena” creatasi rappresenta l'occasione per affondare il colpo e abbattere il nemico. Le parole di Draghi sono un reminder di quello che si dovrebbe fare e non si farà e più ancora la sottintesa ammonizione che se si va alla guerra come alla guerra I sub- imperialisti non devono dare per scontato le risposte.

Dire che la crisi non è keynesiana e che non se ne può uscire keynesianamente fa parte del repertorio di slogan coniati per distrarre e giustificare personali incomprensioni. A parte soggettive tassonomie fa un poco sorridere sostenere che la crisi del 2007-2008 sarebbe da offerta di funding, di crediti a breve, quando più adeguatamente si potrebbe dire che fu una crisi di solvenza, dopo che era sorta la “democratica” moda e politica di concedere ampio credito a tutti, specie a coloro che non avevano e hanno redditi, per sostenere I loro sogni di consumo. Come si vede liquidare il grande e socialista JMK con slogan non è produttivo né fa capire.
Paradossalmente la crisi “semi-esogena” ha rappresentato una enorme opportunità per la classe dominante che gestisce l'attuale capitalismo fittizio e che si può appropriare di enormi risorse pubbliche necessariamente da impiegarsi, in forma regressiva, per proteggere capitale fittizio bruciato e frenare riforme sgradite. Se la crisi fosse nata dinuovo nell'ambito finanziario e del capitale fittizio probabilmente vi sarebbero state più pressioni per rimettere ordine nel capitalismo contemporaneo nel senso suggerito dal FT.
Indubbiamente condivisibile è l'auspicio di una risposta di tipo comunista, purtroppo come detto alquanto immatura, anzi inesistente per l'assenza delle minime condizioni intellettuali e partitiche. Tuttavia ciò non significa che nel contesto dato non si debbano prendere posizioni e schierarsi per non rassegnarsi e lasciare nella steritilità qualificate prospettive per quanto formulate in modo ambiguo e vaporoso come, “l’assoluta urgenza di un comando sulla moneta e sulla produzione, sotto il controllo ‘dal basso’ di una soggettività sociale”.
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