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DIARIO DELLA CRISI | Il conflitto è una potenza economica (reddito e norme giuridiche dentro la crisi)

di Gianni Giovannelli

Quarto Stato 696x376 1.jpgIn questa nuova puntata del Diario della Crisi, progetto lanciato congiuntamente da Effimera, Machina ed El Salto, Giovanni Giovannelli analizza, alla luce del caso italiano, le diverse configurazioni che la povertà assume nell’attuale contesto di crisi e le modalità della sua gestione da parte degli attuali governi dell’Unione Europea, con l’obiettivo di disciplinare la forza lavoro e segmentarne le traiettorie socio-economiche. In questo contesto, la questione del salario minimo assume una grande rilevanza nella misura in cui consente di opporre un criterio di uguaglianza all’enorme diversità di figure contrattuali assunte dal rapporto di lavoro, molte delle quali tenuemente regolamentate.

* * * *

Occorre sapere che il conflitto
è presente in ogni cosa
la Giustizia è Contesa
tutto nasce secondo
Contesa e Necessità
(Eraclito, Frammento 22B80 DK)

Il 25 ottobre 2023 ISTAT ha reso disponibili i dati relativi al 2022, come raccolti ed elaborati dall’Istituto. Si veda il report Le statistiche dell’ISTAT sulla povertà/Anno 2022: Ne esce un quadro complessivo che appare coerente sia con il sentiment popolare percepito da ogni osservatore non prezzolato (o pur se retribuito almeno onesto) sia con le decisioni dell’apparato governativo; un quadro che conferma il durissimo violento attacco ai lavoratori subordinati e al precariato della vecchia Europa.

Nel 2021 si era già registrato un picco di povertà, attribuito dalla sociologia di regime alla contingenza sanitaria connessa alla pandemia e alle conseguenze sopraggiunte della guerra in Ucraina. Venuta meno l’emergenza Covid, nonostante le assicurazioni circa la inevitabile sconfitta russa grazie alle sanzioni e alla fornitura di armi, il picco non è risultato davvero tale. Anzi. Il grafico evidenzia una ulteriore diminuzione del bilancio familiare fra i meno abbienti in ogni regione italiana, nessuna esclusa. Nel 2021 la fascia di povertà raccoglieva il 7,7% dei nuclei conviventi (9,1% degli abitanti); smentendo le promesse marinaresche degli esperti istituzionali (al gran completo) nel 2022 le famiglie povere sono diventate 2.180.000 (8,3%), per un totale di 5.600.000 persone, pari al 9,7% della popolazione residente. Non sono disponibili i dati relativi ai primi nove mesi del 2023; quelli ufficiosi (come tali non disponibili) escludono inversione della tendenza ormai costante (a causa del persistere di guerra e inflazione con aggiunta di calamità ecologico-climatiche) e si tratta solo di quantificare l’allargamento dell’area. Oggi almeno un cittadino su dieci è un povero che necessita di aiuto per la sussistenza; sopravvive erodendo il risparmio di chi interviene per ragioni affettive o indebitandosi più o meno pesantemente. Scorrendo il report del 25 ottobre (reperibile nel sito ISTAT) ci si imbatte in annotazioni piuttosto inquietanti. Nella fascia indigente trovano, ad esempio, collocazione 1.270.000 minori, pari al 13,4%, una nuova generazione che l’ineffabile ministro per la famiglia Eugenia Maria Roccella non ritiene di prendere in considerazione trattando il bilancio annuale nelle sedi parlamentari (aula, commissioni, disegni di legge). Inoltre la percentuale di povertà assoluta sale al 14,7% quando in famiglia è presente come riferimento un operaio, segno di quanta attenzione la coppia governativa Draghi-Meloni abbia riservato loro, agendo in continuità oggettiva di scelte. Ma più ancora colpisce il fatto che la percentuale di povertà schizza verso l’alto, raggiungendo il 28,9%, laddove in famiglia ci sia almeno uno straniero (quando sono tutti italiani da più generazioni scende invece al 6,4%). Lo sciame migrante si caratterizza dunque per tre persone su dieci al di sotto della soglia di sussistenza, pur senza considerare la folta presenza di fantasmi sprovvisti di permessi e documenti, presumibilmente privi di cospicue risorse. Eppure la costante riduzione della natalità (ISTAT segna una diminuzione aggiuntiva di 1,7% rispetto al 2021, 393.000 nascite in totale) comporta un necessario ingresso dei già migrati nel ciclo di valore; il dato percentuale costituisce una discriminazione oggettiva, con o senza l’ulteriore presenza del razzismo soggettivo consapevole. Ma non neghiamo che esista, per piacere, anche il razzismo tradizionale, magari in nome di una versione aggiornata dello storico fascistissimo italiani brava gente così caro a G. Meloni.

I dati ISTAT di norma venivano resi disponibili nel mese di giugno dell’anno successivo. Questa volta si registra un ritardo e la pubblicazione è slittata al mese di ottobre. Questo perché ISTAT è ancora in attesa della nomina di un nuovo presidente, in sostituzione di quello scaduto il 21 marzo (Gian Carlo Blangiardo, un tecnico di formazione cattolico-reazionaria, nominato durante il primo governo Conte, in quota Lega, area CL). Infuria la guerra fra i caporali per coprire la carica, indice palese di quanto ormai la statistica abbia assunto rilevanza politica e necessiti di un controllo dell’esecutivo che garantisca all’occorrenza idonee falsificazioni utili alle strutture autoritarie.

 

La questione del salario minimo

Nella seduta del 12 ottobre 2023, su sollecitazione del governo in carica, con lo scopo evidente di disinnescare la rivendicazione politica dei lavoratori, il CNEL – organismo costituzionale consultivo diretto dall’ex ministro Brunetta – ha approvato la relazione in tema di salario minimo poi consegnata alla Camera dei Deputati, insieme a osservazioni conclusive che suggerivano di non intervenire per via legislativa, affidandosi invece alla dialettica della contrattazione sindacale, ritenuta sufficiente ad assicurare protezione ai lavoratori. La Direttiva Europea 2022/2041, in effetti, non obbliga lo stato membro a dotarsi di uno strumento legislativo che assicuri una retribuzione dignitosa, purché questa risoluzione programmatica sia garantita dal buon funzionamento della contrattazione collettiva quando sia prevista dalla legislazione nazionale come esclusiva. La relazione del CNEL è uno strumento di perfetto supporto all’autoritarismo costruito dentro la sintesi fra legislativo ed esecutivo, funzionante non solo in Italia, ma ormai anche in Francia, nonché con caratteristiche diverse negli altri paesi dell’Unione Europea. Approvata a maggioranza politica la relazione nasconde consapevolmente elementi essenziali: a) in mancanza di attuazione degli articoli 39 e 40 della Costituzione Italiana in tema di rappresentanza non è mai consentito conferire ai contratti collettivi forza di legge. La Corte Costituzionale, con sentenza del 19 dicembre 1962 n. 327, aveva annullato la c.d. legge Vigorelli (la legge delega 741 del lontano 14 luglio 1959, con i connessi decreti attuativi) che voleva estendere erga omnes alcuni CCNL di settore, fra cui quello importante del settore metalmeccanico; b) esiste una norma, l’art. 36 della Costituzione, di natura pacificamente precettiva, che impone un salario minimo vitale a prescindere dalla contrattazione collettiva. Questo principio è stato ribadito da ben sei recenti decisioni della Corte di Cassazione; c) i lavori meno protetti, come quello di stagisti, coordinati continuativi, parasubordinati non trovano attualmente protezione alcuna nei contratti collettivi. Inoltre a oggi , come anche la relazione CNEL riconosce, il 57% dei contratti collettivi (oltre 900 fra territoriali e nazionali) sono scaduti! Come rilevato nelle inchieste giudiziarie penali in corso alcuni contratti collettivi sottoscritti da CGIL, CISL e UIL, lungi dal proteggere i lavoratori sono invece alla base della frode e dello sfruttamento illecito. Lo ha ribadito di recente anche la Corte di Cassazione con la decisione 10 ottobre 2023 n. 28.323. Ma il governo non intende ascoltare ragioni; ricevuta la relazione del CNEL ha bloccato il 17 ottobre l’esame della proposta di legge sul salario minimo, senza passaggio in aula, rimettendo tutto alla Commissione della Camera dei Deputati, con rinvio senza scadenza certa. Al tempo stesso nulla compare in sede di bozza ministeriale della legge annuale di bilancio; tutti sanno che non ci sarà discussione in aula grazie all’imposizione del voto di fiducia che tronca ogni possibile modifica e ogni discussione. La legge sul salario minimo è invece necessaria, a tutela di quasi sei milioni di lavoratori subordinati, cui vanno aggiunti stagisti, parasubordinati, precari di vario ingaggio. Il lavoro di cura è ormai un elemento strutturale nella quotidiana esistenza; i tagli alla sanità e al welfare hanno consegnato alla famiglia l’onere di assistenza, dei bambini, degli anziani, dei malati. L’elasticità precaria e la messa a valore della vita singola costringe all’utilizzo della collaborazione domestica, della cura in generale. Ma in assenza di risorse statali un povero non è in grado di pagare un altro povero. Ma la scelta attuale dello stato è quella di finanziare la guerra, di finanziare i ponti sullo stretto; recuperando i fondi dai tagli continui. Anche le pensioni sono oggetto di pesca a strascico. La già intervenuta abrogazione del reddito di cittadinanza rende sostanzialmente certo l’incremento della fascia di povertà nel 2023. Infatti l’incremento della povertà nel corso del 2022, quando ancora trovava applicazione il reddito di cittadinanza, è prova certa che la misura non era sufficiente neppure a fronteggiare le conseguenze dell’inflazione e la connessa perdita del potere d’acquisto. Nell’incremento si nota l’ingresso in povertà di pensionati (dal 4,6 al 5,9%), dei lavoratori autonomi (dal7,8 a 8,5%) oltre che degli operai sopra evidenziati. Stabile era rimasta la percentuale fra i non occupati; la cancellazione del reddito di cittadinanza in danno dei c.d. abili al lavoro avrà questo effetto: la fascia di povertà schizzerà verso l’alto in percentuale nel segmento dei non occupati.

 

Il conflitto

In questo mese di ottobre 2023 sembra pervenire al capolinea un’altra esperienza di cui molto abbiamo parlato nell’ultimo biennio: quella di GKN. In occasione del primo licenziamento erano 422 i lavoratori coinvolti. Ora ne sono rimasti 172 (o 185, secondo il calcolo). I committenti di ciò che veniva prodotto esistono ancora: Stellantis (nuovo abito della vecchia Fiat), Maserati, altre case d’auto. Esiste pure il vecchio padrone, una multinazionale. Ma si è sfilato, tramite il suo advisor, l’imprenditore Borgomeo, che ha preso in carico GKN , ha cambiato il nome, non ha mai ripreso l’attività, e ora chiude il sito di Capalle Campi Bisenzio mandando tutti a casa alla fine della Cassa Integrazione (erogata naturalmente a spese non sue). E’ la risposta imprenditoriale: ora, si presume, cercheranno di ricavare profitto dall’immobile e/o dall’area. Dietro una finta solidarietà istituzionale si celava, come sempre, la frode. Rimane soltanto la ricchezza di una esperienza di lotta condotta con generosità, il tentativo di costruire forme alternative di associazione risultate sul campo alternative al potere, tassello di possibili future risposte ai progetti di sussunzione in atto (nota 1)

Non accade solo in Italia. L’autoritarismo delle istituzioni è funzionale alla scelta delle imprese. Le imprese hanno deciso di costringere i lavoratori alla resa incondizionata, ogni lotta viene considerata un delitto contro l’economia, dunque contro la nazione, dunque contro lo stato. Le istituzioni governative agiscono secondo il collaudato schema del “pilota automatico”, ignorando i programmi elettorali con cui sono stati eletti. Reprimono, seguono il medesimo schema, quasi uguali nell’azione quando si parla di guerra, moneta, fonti energetiche, profitto. Le differenze consentite ai governi nazionali sono quelle ideologiche in senso lato: se consentire o punire un diverso orientamento sessuale, una diversa religione, una diversa forma d’arte, un diverso modo di costruire nuclei familiari, un diverso modo di nutrirsi. Non sono dettagli, non sono questioni prive d’importanza: sia chiaro. Ma l’odierno assetto capitalistico lascia liberi i governi per un altro motivo: i c.d. diritti civili non incidono (troppo) sul profitto, sul valore. E comunque non debbono generare “conflitto” perché ogni conflitto è pericoloso di per se stesso, costituisce una tentazione nel metodo. Ma dimenticano che il conflitto è al tempo stesso una potenza economica, è un motore indispensabile per qualsiasi ordinamento.

 

Infatti

Nella recente puntata del Diario Christian Marazzi ci ha descritto una serie di scioperi e di agitazioni sindacali negli Stati Uniti. Un segnale in decisa controtendenza: ma non ha portato erosione dei redditi da lavoro, anzi, si registrano aumenti salariali anche consistenti. Dopo quello con Ford anche gli operai di Stellantis hanno attenuto, nell’accordo di questo ottobre, un aumento del 25%. Che ne penseranno i lavoratori di Pomigliano, Melfi, Vigo, Metz, Sochaux? La grande tornata di lotta negli Stati Uniti, tradotta nell’Unione Europea come risultato, equivale a 400/500 euro al mese per addetto! Sul piano politico il presidente Biden invece di reprimere i ribelli ha difeso le loro ragioni. Un tipo come Biden si comporta in questo modo per una sola ragione: ha capito che non aveva davvero scelta se voleva sostenere l’aumento generale del risultato economico.

In Italia la repressione intesa come unica opzione d’ordine si accompagna invece ad una sostanziale bonaccia, senza indizi veri di una possibile crescita nel breve periodo. In Francia Macron ha certamente sedato le proteste di massa contro il taglio del trattamento pensionistico, ha imposto la legge del manganello e dell’idrante nelle piazze, dopo aver esautorato il parlamento e ignorato le ragioni di una generale opposizione composta da almeno due terzi della popolazione. Ma questo non si è tradotto in una forte ripresa dell’economia; la crisi permane. Questa è una insanabile contraddizione del capitale: ha bisogno della schiavitù pacificata per imporre la messa a valore delle esistenze, dunque deve criminalizzare il conflitto; al tempo stesso senza l’indispensabile motore della lotta di classe il capitale non è in grado di svilupparsi, di rinnovarsi, di arricchirsi rassegnandosi ad arricchire anche l’avversario. Lo stesso sistema delle leggi non riesce a funzionare senza conflitto: la Francia sorge nelle barricate della Bastiglia, tutte le c.d. democrazie della vecchia Europa sono nate con -e dentro- una rivoluzione. Senza conflitto gli stati muoiono, non hanno ragione di esistere. Aveva ragione Eraclito. Dunque non ci sono motivi per non sperare.


 

Nota 1
Ancora oggi i lavoratori mantengono ferma la mobilitazione e hanno programmato una sequenza di iniziative, fino al 31 dicembre, ultimo giorno di Cassa Integrazione. Il 5 novembre si terrà un’ meeting internazionale & giornata di lotta per il rilancio delle mobilitazioni.

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