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Il dissenso in cattedra

Marco d'Eramo

Marcello Cini, un fisico che ha rimescolato le carte della scienza. Una biografia umana e intellettuale oggi impensabile, discussa in una giornata di studi a Roma

E' incredibile come bastino pochi decenni: esperienze di vita che ci parevano esemplari diventano inaudite. Se un giovane volesse ripercorrere la traiettoria umana di Marcello Cini (1923-2012), gli riuscirebbe impossibile, anzi gli sarebbe quasi impensabile. Eppure Cini è stato uno dei migliori intellettuali italiani del '900.

Non solo perché un giovane di oggi ha la fortuna di non vedere la propria madre ebrea licenziata dall'insegnamento a causa della religione dei suoi avi, come invece avvenne a Cini. Ma anche perché un giovane di oggi ha invece la sfortuna di non potere neanche sognare di diventare professore ordinario a 33 anni, come riuscì a Marcello, nominato ordinario di fisica teorica a Catania nel 1956: ma allora i fisici in Italia erano soltanto alcune centinaia scarse.

Ma non è solo il contesto materiale, politico a essere stravolto. Chissà se un giovane di oggi parteciperebbe a una lotta partigiana se un esercito oppressore occupasse il nostro paese?

Né c'è oggi una formazione politica a cui un ventenne potrebbe affidare adesso i propri ideali politici, come invece fece Cini quando s'iscrisse al Partito comunista italiano: fa impressione ricordare come a quel partito, oggi “gettato nella pattumiera della storia” (per usare l'espressione di Lev Trotski), si votassero allora le migliori e più generose intelligenze italiane.

Oggi non si vedono molte figure di scienziati italiani pubblicamente impegnati nella politica, impegnati nell'opposizione, cioè che mettono a repentaglio le proprie carriere per sfidare il partito e gli uomini al potere: per questo ho definito Cini un intellettuale. Perché, come diceva Pierre Bourdieu, un fisico che parla di fisica è un tecnico (come un medico che parla di medicina), ma un fisico che si occupa di società, di politica, di problemi universali è un intellettuale.

Il baratro che pochi anni hanno scavato tra la temperie di allora e quella di oggi è apparso abissale nella giornata di studi che venerdì la filosofa della scienza Elena Gagliasso ha organizzato all'università di Roma, con un panel di relatori di tutto rispetto, dal teorico della biologia Marcello Bujatti, al presidente di Legambiente Vittorio Cogliati, ai fisici Michelangelo De Maria, Gianni Jona-Lasinio, Giorgio Parisi, allo storico della fisica Gianni Battimelli (anche il termine panel sarebbe stato impensabile ancora 20 anni fa).

Già, perché chi sarebbe pronto a rinunciare oggi, insieme, quasi nello stesso tempo, alle proprie certezze sia professionali che politiche? Eppure è quel che successe a Marcello Cini nel 1968 (e negli anni successivi): da fisico di successo divenne a poco a poco un critico della scienza e della fisica; da militante comunista divenne un critico del Pci, tanto da farsi radiare nel 1969 insieme al gruppo del manifesto di cui era uno dei fondatori.

Nella sua relazione, il fisico Giorgio Parisi ha ricordato la critica di Cini ai programmi spaziali: noi allora ventenni ci entusiasmavamo per il primo allunaggio umano, ma lui vedeva già quanto fossero irrilevanti le ricadute di conoscenza e di tecnologia e come invece, al di là della propaganda, fosse la competizione militare a determinare quegli investimenti di “ricerca”; anche allora difendeva una posizione impopolare, ma che si rivelò giusta in brevissimo tempo: bastarono cinque anni e di esplorazione umana dello spazio non se ne parlò più: dal 1974 gli uomini non sono mai più tornati sulla luna e non si sa quando ci rimetteranno piede.

Oltre che a contribuire al lancio del quotidiano il manifesto, negli anni '70 Marcello animò un gruppo di fisici teorici (di cui facevano parte Giovanni Ciccotti, Michelangelo De Maria e Giovanni Jona-Lasinio) che avrebbe prodotto l'unico contributo italiano davvero rilevante alla filosofia della scienza, e cioè L'ape e l'architetto (Feltrinelli 1976, ripubblicato con rivisitazioni degli autori presso Franco Angeli nel 2011). Era la prima volta in Italia che a discutere di neutralità della scienza erano scienziati professionisti.

Fino al fine anni ’60 infatti la sinistra italiana era stata scientista, d’istinto e di convenienza. Lo scientismo era l’orizzonte filosofico più comodo per coniugare insieme emancipazione sociale e progresso tecnologico, razionalismo antisuperstizioso e laicità. Una versione paludata di quello slogan «Soviet + elettrificazione» in cui cui Lenin aveva condensato tutto il comunismo. Sul versante opposto, le critiche alla scienza venivano tutte da un orizzonte irrazionalista, poetante, nietzscheano, aborrente i numeri («la legge di gravità non renderà mai conto della poesia della luna di notte») e la rivendicazione di un’ineffabilità sostanziale del mondo.

Invecei quattro autori rimescolavano le carte, affrontavano la non-neutralità della scienza, la sua storicità, non dalla prospettiva di un irrazionalismo di destra, ma da sinistra  e dall’interno del razionalismo. Non a caso i quattro autori avevano tutti partecipato in modi diversi al '68.

E ci voleva la carica eversiva del ’68 per poter formulare – contro tutto l’establishment accademico e contro la corporazione degli scienziati, in primis dei fisici – una visione storicizzata della scienza. Per poter cioè dire che la scienza è prodotto storico, come ogni altra attività umana, e in quanto tale condizionata dalla società in cui viene esercitata. Fino ad allora aveva prevalso la tesi che la scienza di per sé  è neutra e a-storica, anche se il suo (buono o cattivo) uso può essere determinato dal contesto sociale. L’ambizione dell’Ape era invece quella di mostrare che la correlazione tra società e ricerca scientifica penetrava fino nelle teorie e nei concetti. Un’ambizione che valse al libro una levata di scudi sul genere becero «la legge di gravità fa cadere i corpi allo stesso modo in un regime socialista e in uno capitalista».

Questa non neutralità teorica è stata esposta in modo limpido da Elena Gagliasso nella sua relazione quando ha mostrato come la scienza odierna – proprio perché finanziata dalle grandi corporations, e perciò finalizzata al profitto –  viene meno a quello che sembrava uno dei requisiti fondamentali del suo procedimento: la replicabilità degli esperimenti, il potere falsificarli: ma oggi le scoperte sono coperte dai brevetti e i brevetti fanno sì che gli “ingredienti” della scoperta siano segreti così che diventa impossibile ripeterli e dunque verificarli. Il cardine principale dell'epistemologia di Karl Popper (il filosofo della scienza più vicino al libero mercato), cioè la falsificabilità di un'affermazione scientifica, diventa impraticabile nel regno della scienza “privata”.

Due conclusioni quindi ci lasciano un po' di amaro in bocca e un po' di nostalgia. Una è che sembra venuto meno il piacere dell'eresia, la vocazione al dissenso: siamo talmente obnubilati dalle certezze che ci asfissiano da non renderci conto di essere immersi fino al collo in un mare di ortodossia. Come ha ricordato il filosofo Alfonso M. Iacono, è lo statuto stesso della verità che è stato stravolto. Chi mai si pone oggi il problema di ciò che è vero o è falso? Quale dibattito di verità, quale discussione di fondamenti del pensiero agita la rete, i mass media, i social network?

Nello stesso tempo non possiamo che invidiare la libertà di movimento di uomini come Marcello Cini, cui l'apparato universitario, il sistema di legittimazione accademica, il consenso sociale permettevano di spostarsi dalla fisica alla storia della scienza, allo studio dei sistemi complessi, all'epistemologia, all'impegno politico, alla critica della dittatura del mercato, come ha detto Walter Tocci (un fisico da tempo prestato alla politica). Allora dai benpensanti fu considerato un “cattivo maestro”, oggi non potrebbe essere maestro di nessuno perché chi volesse seguirlo nelle sue peregrinazioni anticonformiste sarebbe condannato alla disoccupazione intellettuale.  


Bibliografia
Giovanni Ciccotti, Marcello Cini, Michelangelo De Maria, Gianni Jona-Lasinio, L'ape e l'architetto: paradigmi scientifici e materialismo storico (Feltrinelli, Milano 1977); nuova edizione presso Franco Angeli (Roma 2011) con  nuovi saggi degli autori e contributi di Arianna Borrelli, Elisabetta Donini, Marco Lippi, Dario Narducci, Giorgio Parisi
Danielle Mazzonis, Marcello Cini, Il gioco delle regole: l'evoluzione delle strutture del sapere scientifico (Feltrinelli, Milano 1981)
Marcello Cini, Trentatre variazioni sul tema: soggetti fuori e dentro la scienza (Editori Riuniti, Roma 1990);
Marcello Cini e Jean Lévi-Leblond (a cura di), Quantum Theory without Reduction (Adam Hilger, London 1990);
Marcello Cini, Un paradiso perduto: dalle leggi naturali al mondo dei processi evolutivi, (Feltrinelli, Milano 1994);
Marcello Cini, Dialoghi di un cattivo maestro (Bollati Boringhieri, Torino 2001);
Marcello Cini, Il supermarket di Prometeo: la scienza nell'era dell'economia della conoscenza, (Codice, Torino 2006);
Marcello Cini, Sergio Bellucci, Lo spettro del capitale: per una critica dell'economia della conoscenza, (Codice, Torino 2009);

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