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Piccole glosse ad un post di Vincenzo Costa: la fine della Unione Europea

di Alessandro Visalli

von der lyenA partire dalla crisi del 2007 un neolingua si fa avanti. O meglio, a partire dal dispiegarsi degli effetti sociali della crisi sistemica innestata dal crollo della piramide dei debiti intrecciati ed incorporati nei meccanismi riproduttivi della società. Questa neolingua indica l’asserragliamento dei “Giusti” nella difesa delle categorie (rapresentation matters), nella politica delle identità che ne consegue, la ricerca di una zona senza traumi (safe space) ben presidiata da virtue signaling. In un interessante libro (anche se radicalmente aneddotico) da poco uscito[1] viene citato un raccontino di Meghan Daum sulla metropolitana di New York:

“era mezzanotte, nel vagone c’era poca gente: due ragazzi discutevano tra loro, un gruppo di ragazze in minigonna. A un certo punto sale un senzatetto, nero, barcollante, non si capiva se strafatto, ubriaco o con qualche problema psichiatrico (Daum scommette su tutte le cose insieme).

La accosta, lei non se lo fila, lui ripiega sul gruppo di ragazze. Che continuano per qualche fermata a chiacchierare con lui, secondo la (plausibile) interpretazione di Daum perché sono compiaciute del loro rivolgere generosamente la parola a un disagiato, e perché a loro sembra una creatura esotica allo zoo. Quando arriva alla sua fermata, il tizio si avvia all’uscita lanciando baci e auguri alle ragazze, e dicendo a Daum ‘tu invece passa una notte di merda, stronza’.

Daum non fa un plissé: il tizio non era certo minaccioso, non si reggeva in piedi e, anche gli fosse venuto in mente di aggredirla, nella carrozza c’era gente che avrebbe potuto difenderla. Nella New York del Novecento, dice, un episodio del genere sarebbe stato dimenticato dai passeggeri dopo mezzo secondo. In quella di quest’epoca, i passeggeri maschi sentono di dover solidarizzare con lei ed esprimerle il loro dispiacere per il traumaticissimo episodio e l’ingiustizia che le è toccata in quanto donna”.

Cosa era successo?

Come la mette la Daum, i ragazzi “erano diventati uomini che percepivano se stessi come oppressori. La cui risposta a un senzatetto mentalmente instabile che dà della stronza a una donna e le augura una notte di merda era scusarsi a nome dell’intero patriarcato”.

Ma, ovviamente, la cosa non ha nulla a che fare con la misoginia, l'uomo ringrazia affettuosamente le ragazze, ma attiene alla classe sociale, la razza, l’economia e una serie di altri fattori che sono divenuti completamente invisibili a individui che dei diversi campi attivati dall’episodio vedono solo il meno probabile.

Nel 2017 nei dizionari americani è stata inserita la parola “woke” e significa “stare dalla parte dei buoni”, essere sensibile alle ingiustizie sociali, alle giuste cause. Un wokeness sa sempre come punire ogni misgendering.

A partire dal 2010, circa, il New York Times[2], bibbia di questa neolingua altamente influente, è passata da meno di 500 articoli all’anno sulla “whiteness” a oltre 2.000, da quasi nessuno a 15.000 sul “diversity and inclusion”, lo stesso andamento per “sexism”, “misogyny”, “sexist”, “patriarchy”, “manslaining”, “toxic masculinity”, “male privilege”, “women empowerment”, “sistemic racism”, “white privilege”, “white nazionalism”, “Queer”, “hate speech”, “traumatizing”, “cultural appropriation”, “micro aggression”, “intersectionality”, “safe space”, “inclusivity”.

Mentre sono cresciute, ma erano ben presenti anche prima parole come “feminims” (che è comunque quadruplicata), “racism”, “homophobia” (questa è cresciuta solo del 30%), “Gay rights”, “anti semitism” (questa è cresciuta poco, era molto presente), “intolerance”, “social justice”.

Dunque il New York Times è diventato woke da una decina di anni. Un’ondata di razzismo e sessismo aumentata a dismisura? O di qualcosa di altro? Maurizio Tirassa si chiede, giustamente, se ad aumentare a dismisura non siano state, piuttosto, le ingiustizie economiche (e con esse i senzatetto). E se, quindi, il giornale/multinazionale americano non stia cercando di distogliere l’attenzione.

Un poco quel che è successo nell’episodio del “sofagate”. Che apre, in effetti molte domande[3], potrebbe essere l’immagine di uno scontro interno alla gerarchia europea (notoriamente molto rissosa[4]), una questione interna turca[5], un modo per sottolineare che si parla con gli Stati (per essa Germania e Francia) e non con la Commissione, un modo per umiliare in blocco la stessa Ue, ma di tutti questi piani complessi e imbarazzanti (come il motivo fondamentale della visita[6]) si vuole vedere solo il lato “micro-aggressivo”. Nel vocabolario del NYT: “sexism”, “misogyny”, “patriarchy”, “manslaining”, “toxic masculinity”, “male privilege”, “women empowerment”, “traumatizing”, “micro aggression”, “intersectionality”, “safe space”, “inclusivity”.

Tutto questo preambolo, che serve a porre la cornice, nella quale inserire i grandi fenomeni storici dei quali ci parla il post[7] di Vincenzo.

Noi non ci accorgiamo di nulla perché siamo impegnati a discutere di “cancel culture”, di “micro-aggressioni”, di “guerra dei sessi”, e via dicendo… mentre intorno a noi si preparano le guerre, si cancellano intere generazioni, e territori, si accaparra tutto il possibile. Fino a che non lo capiremo saremo sempre inermi. Faremo solo “chiacchiere inutili”.

Scrive Vincenzo, docente di filosofia all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano.

“La fine della UE.

Non ci siamo accorti, ma la UE non esiste più. Certo, esiste un insieme di istituzioni, ma la UE ha cessato di essere l'orizzonte politico entro cui si muove e si muoverà la politica degli stati. Se le istituzioni rimangono, e rimarranno forse per un periodo indeterminato, è solo perché nessuno sa più come farne a meno senza produrre danni. Come se si fosse creato un mostro che tutti vorrebbero abbattere ma che oramai bisogna tenere in vita perché abbattendolo cadrebbe su chi lo ha costruito. Condannati a stare nella UE, senza farsi distruggere da essa: questo è l'orizzonte politico dei prossimi decenni.

Ma come orizzonte ideale e politico la UE non esiste più. Nella realtà la UE non è finita a causa dei sovranisti: è finita perché è una macchina farraginosa, incapace di prendere decisioni in tempi brevi, e di prenderle offrendo certezza. Il recovery Plan non si sa ancora se ci sarà, a quanto ammonterà, il patto di stabilità non si sa se tornerà a regime e quando. Come fa uno Stato a progettare?

La UE non solo non è stata capace di produrre in proprio un vaccino, pur donando abbondantemente denaro alle industrie farmaceutiche, ma non è stata neanche capace di fornire e produrre la necessarie quantità di vaccini. Ora si oppone, per ragioni politiche, a Sputnik, ma i tedeschi e gli austriaci vanno per i fatti loro. Restiamo come al solito noi, gli europeisti esaltati (Binswanger la chiamava esaltazione fissata, una malattia grave eh), a vincolarci alla UE, a immolarci sull'altare dell'ideale.

Il processo di disgregazione è in marcia. Michel e la von der Leyen litigano, e parrebbe che alla base della sedia mancante ci fossero divergenze tra di loro, tra chi aveva stabilito i protocolli. E le ragioni politiche e di dissenso politico tra gli stati rispetto alla Turchia è profondo.

Di fatto, ognuno si muove come se la UE non esistesse. Ognuno capisce che la UE è una disgrazia, per i vincoli che pone e l'incapacità che esprime, che non può non esprimere per il modo in cui è stata costruita. La UE PARALIZZA in un mondo in cui contano decisioni rapide.

E' stata pensata male (a partire da Spinelli, che è giunto il momento di iniziare a decostruire severamente) e costruita peggio. Ora per tutti il problema è: sopravvivere nonostante la UE.

Ma per nessuno è un orizzonte, né ideale né vincolante. Per tutti è solo un fardello di cui è difficile liberarsi oramai.

Morirà giorno dopo giorno, senza clamore, senza rotture, di consunzione. Gli altri sono già tutti usciti dalla UE, fanno come se non ci fosse. Tranne qualche anima bella da noi, come gli europeisti che non hanno mai incontrato gli europei fuori dai confini.

A costoro farebbe assai bene parlare con qualche tedesco, polacco, francese, danese. Sarebbe per loro un sano bagno di realtà. Per dirla con le parole di un mio amico polacco: ‘A noi della UE non ce ne frega niente. CI va bene sin quando arrivano i fondi europei. Il resto sono chiacchiere inutili’.”

Mentre ci distraggono accuratamente il mondo passa avanti e si prepara a trovare un nuovo assetto complessivo nel quale ci sia nuovamente spazio per l’azione intenzionale collettiva e per la concentrazione delle forze. A questo nuovo mondo l’Unione Europea, nata all’alba del mondo che ora tramonta, serve come l’acqua a chi affoga. L’istituzione pensata quando il neoliberismo sembrava millenario e quando l’unica missione era imbrigliare gli Stati nazionali, visti come relitti storici, per lasciar correre la carica distruttiva dei mercati, oggi, che siamo in piedi su un cumulo di macerie, è passata per eccesso di successo.

Dunque è finita, non esiste più. Non è più per nessuno l’orizzonte politico nel quale si possano muovere le forze. Lo scontro che è andato in scena era, si capisce ogni giorno di più, tra il Consiglio degli stati europei, che vogliono muoversi, e la Commissione che lo impedisce con minuziose ed inutili regole, cavilli, commi. Gli Stati Uniti rispondono alla crisi del Covid con una nuova dottrina economica (in formazione[8]) che mette nella cassapanca della storia lo schema tagli/deregolazione/rischio/monetarismo e propone investimenti per 2.000 miliardi, sostegni ai redditi di pari entità, programmi per l’occupazione di massa, aumento delle tasse per le grandi imprese. I centri di pensiero del capitalismo internazionale cercano di pensare a nuove retoriche[9]. L’Europa propone scarsi 700 miliardi e regole, regole, regole, regole… piano di acquisti dei vaccini fallimentare, una burocrazia ad essere gentili (noi non siamo magistrati) prigioniera delle multinazionali, … incapacità assoluta di difendere i confini, e via dicendo.

È chiaro che la risposta alle esigenze del tempo, intanto ora per quanto attiene la risposta alla pandemia (economica, sanitaria, sociale e politica) si dovrà manifestare agendo ognuno per sé e malgrado la Commissione. Che, quindi, resta in piedi. Manifestamente umiliata.

Come vanno questo genere di cose? Vincenzo ha ragione, secondo me. Le istituzioni resteranno, di umiliazione in umiliazione, per molto tempo. I loro riti saranno stancamente ripetuti, ma tutti sapranno che la sedia da mettere a fianco per parlare di cose serie è quella del Consiglio. E, possibilmente, direttamente quella del paese con cui si parla, saltando il ventriloquo. Ogni tanto la Ue parlerà e si farà finta di rispondere.

I paesi deboli saranno redarguiti, e loro risponderanno a Bruxelles incontrando a Washington, o a Berlino, chi ha fatto davvero la domanda. Il mostro, come lo chiama Vincenzo, sembrerà in vita. Ma solo i distratti ed i male informati, e gli ideologi, lo guarderanno ancora.

Per tutti gli altri ci sono le “micro aggressioni” a riempire la vita.

Questo è tutto.


Note
[1] - Guia Soncini, “L’era della suscettibilità”, Marsilio 2021.
[2] - Si veda questo articolo che si chiede se il NYT sia “woke”
https://marginalrevolution.com/marginalrevolution/2019/06/the-nytimes-is-woke.html?
[3] - https://www.facebook.com/andrea.zhok.5/posts/1817287985119259
[4] - A tutti i piani di scontro derivanti dalla impossibile necessità di trovare un equilibrio a paesi che guardano a sud, est, ovest, e che competono molto più di quanto cooperino, si aggiunge il manifesto fallimento del “Next Generation Eu”, la sua insufficienza, e la pressante necessità di mettere in campo soluzioni per le quali la Ue è molto più un freno che non un aiuto. Ne parliamo dopo.
[5] - Nello scontro che è economico e sociale, e quindi culturale, tra conservatori dell’interno anatolico e modernisti/progressisti delle coste e delle città dense.
[6] - Rinnovare l’accordo sugli immigrati.
[7] - https://www.facebook.com/vincenzo.costa.79025/posts/320360702946582
[8] - https://contropiano.org/news/news-economia/2021/04/09/ora-e-lestablishment-a-rifiutare-il-neoliberismo-0137919?
[9] - Si veda Klaus Schwab, Thierry Malleret, “Covid 19: the Great Reset”, 2020.

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