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sinistra

Coerenza del materialismo: variazioni filosofiche sullo stato di cose presente

di Eros Barone

edward hopper 003La morte rappresenta per il pensiero un oggetto necessario e impossibile. Necessario perché tutta la nostra vita ne è segnata; impossibile perché non vi è niente, nella morte, da pensare. Accade perciò che, quando la realtà e le immagini della morte giungono ad occupare interamente la nostra percezione – è questo il caso delle conseguenze psicologiche prodotte dall’attuale pandemia -, un unico sentimento giunge a dominare il nostro animo.

Mi riferisco, in primo luogo, al problema del male, poiché, come scrive il Manzoni nei capitoli dedicati alla peste, «noi uomini siam in generale fatti così: ci rivoltiamo sdegnati e furiosi contro i mali mezzani, e ci curviamo in silenzio sotto gli estremi; sopportiamo, non rassegnati ma stupidi, il colmo di ciò che da principio avevamo chiamato insopportabile». 1

E, a proposito del silenzio uniforme che caratterizza la quarantena, sempre nei Promessi Sposi troviamo una ‘espressione che si attaglia perfettamente al nostro stato attuale, là dove l’autore evoca, per descrivere gli interludi fra gli orrori della peste e gli orrori della guerra, il subentrare di “una quiete spaventata”... 2 la stessa che esala in queste settimane dal profondo silenzio dei nostri centri urbani, rotto soltanto dalle sirene delle autoambulanze.

Si dirà: è un grande scrittore che paga il suo debito all’ideologia religiosa. Eppure si tratta di descrizioni e di narrazioni che raggiungono non solo i vertici dell’arte letteraria, ma anche quelli di un realismo asciutto, potente, aspro (non indegno di quello che innerva le descrizioni delle pestilenze in Tucidide o in Lucrezio). 3

Ci sono allora due modi di rappresentare la morte: come nulla o come vita (passaggio, cioè, ad un’altra vita). Si tratta di due posizioni contraddittorie e, in quanto tali, sottomesse al principio del terzo escluso. È dunque necessario che la morte sia qualcosa, oppure non sia niente. Insomma, il mistero della morte autorizza solo due tipi di risposta, ed è forse per questo che esso struttura così fortemente la storia della filosofia e dell’umanità: vi è chi prende la morte sul serio, come un nulla definitivo (è in questo campo che si troverà la quasi totalità degli atei e dei filosofi materialisti), e chi al contrario vi vede solo un passaggio, una transizione fra due vite, addirittura l’inizio di quella vera (come annunciano la maggior parte delle religioni e, con esse, delle filosofie spiritualiste o idealiste). 4

Passiamo allora dal Manzoni, scrittore cattolico con forti venature gianseniste, 5 a Bertolt Brecht, scrittore comunista, ateo e materialista, autore di una poesia che si conclude con questi versi: “Non lasciatevi indurre a servire e logorarvi. / La paura, come vi può ancora toccare? / Dovete morire come tutti gli altri animali, / e poi non viene più nulla”. 6 Sono versi spogli, quasi aridi, ma contengono un’esposizione nitida, secca e stringente della concezione materialistica.

Ho ricordato pocanzi Lucrezio, e ora il pensiero corre inevitabilmente al suo maestro, a colui che è il grande rappresentante, assieme a Democrito, del materialismo antico: Epicuro. 7 Il quale ammonisce che «riguardo a tutte le altre cose, è possibile procurarsi la sicurezza; ma a causa della morte, noi, gli uomini, abitiamo tutti una città senza mura». 8

Qui va detto che lo scopo del materialismo, quale filosofia che fin dall’inizio tende per principio a demistificare le illusioni, è duplice: negare la rappresentazione volgare degli dèi e negare la rappresentazione che mette capo a idee concepite come pure invenzioni, mere proiezioni soggettive. Molta acqua è passata sotto i ponti da allora, se si considera che oggi ad essere temibile non è più la paura degli dèi (la ‘deisidaimonìa’, per curare la quale si poteva ricorrere ad una delle quattro medicine del tetrafarmaco epicureo), 9 ma, a partire dai credenti per i quali costituisce un problema non da poco, l’assenza e il silenzio di Dio...

Occorre quindi ricordare, sulle orme di Epicuro, che il materialismo ha uno scopo terapeutico ben preciso: guarire l’uomo dalla paura. Il materialismo infatti ha un rapporto profondo con una dimensione che di solito la filosofia trascura: la dimensione del piacere e del dolore, laddove l’accento batte anche e soprattutto sul dolore.

Georg Simmel al riguardo ha avanzato un’osservazione non meno centrata che ironica, vale a dire che è sorprendente quanto poco nella storia della filosofia siano presenti i dolori dell’umanità. 10 In questo non è da vedere soltanto la prova del carattere ideologico che ha assunto la filosofia, ma anche la conseguenza di un indirizzo gnoseologico che, riducendo la coscienza alla pura funzione cognitiva, esclude a priori ciò che è essenziale in quella esperienza su cui essa stessa si fonda. Al contrario il materialismo ha un rapporto decisivo con la dimensione del piacere sensibile, così come anche con quella del suo opposto.

«L’uomo libero non pensa a niente meno che alla morte: e la sua saggezza è una meditazione della vita, non della morte », scrive Spinoza. 11 La seconda parte della frase è tanto evidente quanto la prima sembra paradossale. E tuttavia è vero che il saggio, l’unico che sia libero secondo Spinoza, è colui, chiunque egli sia e quale che sia la sua condizione, il quale pensa l’essere piuttosto che il non essere, la vita piuttosto che la morte, la forza piuttosto che la debolezza. Essere, vita, forza, libertà: obiettivi da conquistare innanzitutto per (e ad opera di) coloro che della pienezza e integrità di questi attributi vengono privati dal sistema economico e sociale vigente; obiettivi che costituiscono perciò il programma a cui tende, insieme con altri coefficienti storici, il materialismo comunista.

La concezione materialista che afferma la “verità” del concreto – ‘veritas rei’ la chiamavano gli Scolastici – è antica quanto il pensiero umano, inteso anche in senso non strettamente filosofico. Sua caratteristica è la negazione che vi sia una barriera gnoseologica invalicabile tra le cose ed i processi del mondo reale, e la loro conoscibilità. Non intaccano questo assunto né la possibilità, sempre presente, anche nella più compiuta e ‘vera’ delle teorie, di ‘errori’, e nemmeno il fatto che la ricapitolazione del concreto ad opera del pensiero sia incompiuta, perché infinitamente progressiva. Ciò che importa è che la realtà sia intesa come conoscibile, e che la specifica teoria, volta a volta formulata per conoscerla, sia intesa come aderente ad essa, anche se il progresso del sapere ne mostra poi il carattere lacunoso od errato. Ne scaturisce una relazione molto complessa tra verità ed errore. 12 In questa prospettiva filosofica, l’ottimismo del poter conoscere ed il pessimismo degli ostacoli che occorre superare si intrecciano strettamente; ma, dal punto di vista gnoseologico, l’ottimismo è il tratto dominante.

Un magnifico esempio di approccio sanamente materialistico alla realtà concreta, per certi aspetti convergente con l’ottica disincantata di Manzoni, è quello che ha fornito Alain Badiou in un articolo pubblicato un mese fa in questa stessa sede. Ivi il filosofo materialista francese imposta il suo discorso riepilogando in modo piano e distaccato i precedenti della situazione:

«Ho sempre ritenuto che l’attuale situazione, segnata da un’epidemia virale, non aveva certo nulla d’eccezionale. Dalla pandemia (anch’essa virale) dell’HIV, passando per l’influenza aviaria, il virus Ebola, il virus SARS 1, per non parlare di diversi tipi d’influenze, persino del ritorno del morbillo o delle tubercolosi, che gli antibiotici non guariscono più, sappiamo ormai che il mercato mondiale, combinato con l’esistenza di vaste zone sotto-medicalizzate del pianeta e con l’insufficienza della disciplina mondiale nelle necessarie vaccinazioni, produce inevitabilmente delle epidemie serie e devastanti (nel caso dell’HIV, diversi milioni di morti)... la situazione dell’attuale pandemia colpisce, stavolta, l’abbastanza confortevole mondo detto occidentale – fatto in sé stesso privo di significato innovativo, e che chiama in causa sospette deplorazioni e asinerie rivoltanti sui social network - [...] Del resto, il vero nome dell’epidemia in corso dovrebbe indicare che essa dipende, in un certo senso, dal «niente di nuovo sotto il sole» contemporaneo. Questo vero nome è SARS 2, ossia Severe Acute Respiratory Syndrom 2”, denominazione che tiene inscritta, infatti, un’identificazione ‘in secondo tempo’, dopo l’epidemia di SARS 1, che s’era manifestata nel mondo durante la primavera del 2003. Questa malattia era stata denominata, all’epoca, “la prima malattia sconosciuta del XXI secolo”. È dunque chiaro che l’epidemia attuale non è in alcun modo il sorgere di qualcosa di radicalmente nuovo o d’inaudito. È la seconda del secolo, nel suo genere, ed è situabile nella sua filiazione. Al punto stesso che la sola critica seria rivolta oggi alle autorità, in materia predittiva, è di non aver sostenuto seriamente, dopo la SARS 1, la ricerca che avrebbe messo a disposizione del mondo medico dei veri mezzi d’azione efficace contro la SARS 2. [...] Non ho trovato dunque nient’altro da fare che provare, come tutti, a sequestrarmi in casa mia, e nient’altro da dire se non esortare tutti a fare altrettanto. [...] Queste obbligazioni sono, è vero, sempre più imperiose, ma non comportano in sé, almeno a un primo esame, grandi sforzi di analisi o di costituzione di un pensiero nuovo. Ma ecco che veramente leggo troppe cose, sento troppe cose, ivi compreso nella mia cerchia, che mi sconcertano, per il turbamento che manifestano e per il loro carattere del tutto inappropriato rispetto alla situazione, a dire il vero semplice, nella quale ci troviamo. Queste dichiarazioni perentorie, questi appelli patetici, queste accuse enfatiche, sono di diverse specie, ma hanno tutte in comune un curioso disprezzo della temibile semplicità, e dell’assenza di novità, dell’attuale situazione epidemica. O sono inutilmente servili nei confronti dei poteri costituiti, i quali di fatto non fanno altro che ciò a cui sono costretti, per la natura del fenomeno. Oppure ci tirano fuori la retorica del Pianeta e la sua mistica, il che non ci fa avanzare di un passo. Oppure, ancora, scaricano tutto sulle spalle del povero Macron, che fa unicamente, e non peggio di un altro, il suo lavoro di capo di Stato in tempo di guerra o di epidemia. Oppure gridano all’evento fondatore di un’inaudita rivoluzione, che non si vede quale rapporto potrebbe intrattenere con lo sterminio di un virus, e per la quale, del resto, i nostri ‘rivoluzionari’ non hanno il minimo mezzo nuovo. O ancora, sprofondano in un pessimismo da fine del mondo. [...] 13

Si direbbe che la prova epidemica dissolva dappertutto l’attività intrinseca della Ragione, e obblighi i soggetti a ritornare ai tristi effetti – misticismo, affabulazioni, preghiere, profezie, maledizioni ecc. – a cui il Medioevo era consueto addivenire quando la peste devastava i territori. Di conseguenza, mi sento in certa misura costretto a raccogliere alcune idee semplici. Direi volentieri: cartesiane.» 14

Colpisce che una lezione intellettuale, politica e morale come questa abbia suscitato l’interesse di un numero limitato di lettori, nel mentre altre esternazioni, tutte intonate al suono di tromba in chiave ‘eccezionalista’, chiliastica e financo ‘rivoluzionaria’, hanno raccolto un vasto pubblico di incantati lettori. Tutto ciò in effetti sorprende, come può sorprendere un sobrio in una compagnia di ubriachi, ma è pur vero che, in questa lunga preistoria che l’umanità sta vivendo, è ancora valida l’antica massima che recita: ‘vulgus vult decipi’. 15

Certo, la pandemia è anche la cartina di tornasole che mette allo scoperto il conflitto sempre più acuto che intercorre tra l’opulenza imperialistica dell’Occidente e un funzionamento del ricambio organico con la natura che è essenzialmente determinato dal valore di scambio, dal capitale fittizio e, in ultima istanza, dal carattere anarchico del modo di produzione capitalistico. Le pestilenze non hanno mai segnato svolte epocali né generato le condizioni di processi rivoluzionari, ma, agendo come selettori darwiniani, hanno semmai incentivato processi di razionalizzazione delle strutture produttive e socio-politiche. 16 In realtà, la “situazione epidemica” sta conferendo, ogni giorno che passa, un’investitura plebiscitaria alla borghesia imperialista, rafforzandone la direzione in termini di immaginario ideologico, di consenso sociale e di potere politico. 17 E anche la crisi economica già ingravescente, e ancor più aggravata dalla situazione epidemica, non modificherà l’annoso dilemma, che paralizza le energie creative del movimento di classe mondiale, tra uno stato di cose insopportabile e una rivoluzione impossibile. Quella che stiamo vivendo è infatti, sotto la maschera grottesca e carnevalesca di una solidarietà spettacolare imposta a livello mediatico, 18 una tragedia dissimulata e diluita nel tempo. 19 Per questo ci attende un lungo e paziente lavoro di preparazione di massa che rifugga dai falsi scopi, per questo è così preziosa la coerenza del materialismo storico-dialettico.


Note
1 A. Manzoni, I Promessi Sposi, cap. XXVIII, righe 297-300. Qui viene descritta la carestia, cui si aggiungeranno, tra il 1628 e il 1630, prima la guerra e poi la pestilenza, rappresentate dal grande scrittore nei capitoli successivi e, segnatamente per quanto riguarda Milano, nei capp. XXXI e XXXII.
2 Ivi, riga 666.
3 Sono descrizioni meritamente celebri quella di Tucidide nelle Storie o Guerra del Peloponneso (l. II, capp. 47-53), relativa alla peste che infierì su Atene tra il 430 e il 429 a. C., e quella di Lucrezio nel poema De rerum natura (l. VI, vv. 1145-1196 e 1230-1286). Nella letteratura italiana resta esemplare la descrizione della pandemia pestosa del 1348, delineata da Giovanni Boccaccio nelle pagine introduttive alla prima giornata del Decameron.
4 Sul rapporto tra la morte, l’elaborazione del lutto e la speranza nell’ottica cristiana è da tenere presente la lettera 263 di S. Agostino alla vergine Sàpida, scritta dopo il 395.
5 Corrente religiosa cattolica rigorista rappresentata da teologi e pensatori, quali C. Giansenio, A. Arnauld e B. Pascal, che fiorì in Francia fino alla fine del XVIII secolo e giunse ad influenzare nel secolo successivo scrittori e uomini politici come Manzoni e Mazzini.
6 «Contro la seduzione. Non vi fate sedurre: / non esiste ritorno. / Il giorno sta alle porte, / già è qui vento di notte. / Altro mattino non verrà. / Non vi lasciate illudere / che è poco, la vita. / Bevetela a gran sorsi, / non vi / sarà bastata / quando dovrete perderla. / Non vi date conforto: / vi resta poco tempo. / Chi è disfatto, marcisca. / La vita è la più grande: nulla sarà più vostro. / Non vi fate sedurre / da schiavitù e da piaghe. / Che cosa vi può ancora spaventare? / Morite con tutte le bestie / e non c'è niente, dopo (1918)» (B. Brecht, Poesie e canzoni, Versioni di Ruth Leiser e Franco Fortini, Einaudi, Torino 1968, p. 3).
7 Sulle differenze filosofiche tra i due massimi rappresentanti del materialismo antico non si può non citare la geniale dissertazione di laurea del giovane Marx, Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro, trad. di A. Sabetti, La Nuova Italia, Firenze 1962.
8 Epicuro, Sentenze Vaticane, 31.
9 Il tetrafarmaco (o quadrifarmaco) mira a rimuovere gli ostacoli che impediscono di riconoscere e di possedere stabilmente il piacere, quali la paura degli dèi, del dolore e della morte. Merita sottolineare che la possibilità di ciascuno di questi obiettivi terapeutici è dimostrata in modo logicamente rigoroso. Ad esempio, nella Lettera a Meneceo (c. 125) Epicuro così argomenta: «Renditi abituale il pensiero che la morte per noi non è nulla; giacché ogni bene e ogni male è nel senso, e la morte è privazione di senso. Il male che più fa rabbrividire, la morte, non è dunque nulla per noi; perché quando noi siamo, non c’è la morte, e quando c’è la morte, noi allora non siamo. Per modo che essa non riguarda né i vivi né i morti; per gli uni non c’è, e gli altri non sono più».
10 G. Simmel, I problemi fondamentali della filosofia, Laterza, Bari 1996, p. 74.
11 B. Spinoza, Etica, Parte quarta, Prop. LXVII (in Etica e Trattato teologico-politico, UTET, Torino 1988, p. 325).
12 Su questo tema mi sia consentito segnalare il seguente articolo: https://www.sinistrainrete.info/filosofia/15262-per-una-teoria-materialistica-dell-errore-degli-opposti-e-della-soggettivitaeros-barone.html.
13 È chiaro che Badiou intende ridimensionare (non la drammaticità della “situazione epidemica” ma) la sua novità dal punto di vista medico-sanitario, giacché le conseguenze sociali e politiche sono, almeno per alcuni aspetti, diverse rispetto, che so, alla “spagnola” del 1918. Come si può vedere a occhio nudo, le conseguenze della pandemia che stiamo vivendo hanno un’amplificazione ben diversa rispetto a un secolo fa. Pertanto, è pienamente da accogliere la critica ad una certa retorica sensazionalistica di cui abbondano articoli e commenti sui ‘social network,’ retorica che sembra indulgere ad un certo gusto morboso nel farsi coccolare dal brivido dell’evento straordinario che tutti stiamo vivendo e che rende davvero, in questo momento, tutto il mondo paese. Ciò nondimeno, è giusto non sottovalutare questi stessi aspetti, in quanto fanno parte, checché se ne dica e se ne pensi, di quel mostro gommoso che risponde al nome di opinione pubblica e che rimane l’imbarazzante convitato di pietra di tutte le mense, specie di quelle politiche.
14 Il testo integrale dell’articolo è reperibile al seguente indirizzo: https://www.sinistrainrete.info/filosofia/17303-alain-badiou-sulla-situazione-epidemica.html
15 ‘Il volgo vuol essere ingannato’.
16 In questo senso devo recitare un’autocritica per la sopravvalutazione dei margini di eccedenza rispetto allo ‘status quo antea’ (in concreto un potenziamento del ruolo dello Stato), in cui avevo inizialmente ritenuto di riconoscere uno degli insegnamenti ricavabili dall’esperienza della pandemia. Al riguardo si veda il seguente articolo: https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/17280-eros-barone-gli-insegnamenti-del-compagno-corona.html.
17 Ho analizzato il significato storico e attuale delle pandemie dal punto di vista dei loro effetti sociali in un articolo pubblicato in questa stessa sede: https://www.sinistrainrete.info/societa/17176-eros-barone-specchi-lontani-e-vicini-la-malattia-come-evento-e-come-rappresentazione.html.
18 Naturalmente è doveroso distinguere tra l’encomiabile solidarietà prestata dai volontari che, per esempio, portano la spesa agli anziani e la untuosa solidarietà ìnsita negli appelli per donazioni, che in uno Stato con un ‘welfare’ funzionante non dovrebbero esserci, oppure, ancor peggio, forme di peloso evergetismo imprenditoriale come quelle di stampo berlusconiano e, in genere, simil-caritatevole).
19 Sullo sfondo di uno scontro mondiale sempre più aspro tra i grandi monopoli e i rispettivi Stati-nazione, è in atto il passaggio dalla democrazia formale alla fascistizzazione, laddove la cosiddetta ‘post-democrazia’ è solo la porta girevole che introduce, se e quando occorre, dalla prima alla seconda. L’assenza di soggettività rivoluzionarie e di antagonismo organizzato, e il carattere mimetico delle ‘strutture intermedie’ (sindacati, scuola, ‘mass media’ ecc.) rispetto alle esigenze dei monopoli e dei relativi poli di aggregazione regionale e/o continentale sono il lubrificante e, insieme, il comburente della nuova “grande trasformazione” che si sta disegnando.

Comments

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Alfonso
Monday, 27 April 2020 17:40
Caro Eros, penso di poter sentire quanto esponi. Fortini ebbe la forza di ergersi 'uno', e solo. Spartaco, ci piace pensare, fu solo, ma mai uno. L'ignoto a cui accennavo non è 'uno', e non si cade nella allegoria a saperlo 'mai solo'. Grazie per questo ricordo di Fortini, scalda il cuore.
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Eros Barone
Monday, 27 April 2020 13:25
Caro Alfonso, grazie per il tuo acuto commento. Permettimi di rispondere citando uno scritto di Franco Fortini. Scriveva Fortini in un testo, "Ultime volontà", apparso il 19 marzo del 1989 su "L’Espresso": «Vale ancora, credo, la vecchia verità hegeliana che anche l’antropologo Ernesto de Martino ricordava nel suo straordinario libro postumo sulla "Fine del mondo": la morte, bisogna starle accanto ogni giorno se si vuole uscire dalla condizione del servo che la fugge e se ne consola con miti di catastrofi che travolgerebbero insieme a lui i suoi signori. Se c’è un momento davvero “sacro”, non è quello che ha già trasformato il Servo in Signore. In quell’ora, rammenta la Weil, “la giustizia abbandona il campo del vincitore”. È invece il moto immediatamente antecedente, quando il Servo che abita in noi decide di “far fronte”. Il momento di Spartaco, che non perde mai del tutto, né dimentica, la propria condizione servile se vuole essere di aiuto ai propri compagni e riceverne».
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Alfonso
Monday, 27 April 2020 10:53
Caro Eros, tra i tanti principi empirici di impossibilità a disposizione, quello della rivoluzione ha un risvolto alienato che genera mostri. Chi lo invoca a ogni pie' sospinto placa i propri crucci tutte le volte che lo enuncia nella sua esclusiva autoaffermazione come soggetto individuale. Tutte meno una, ovvero quando per affermarlo si costringe a negare la rivoluzione stessa in fieri. Enunciarlo nega ogni volta a chi ne fa il punto di partenza del proprio agire non solo l'essere, ma la stessa esistenza. Privando all'altro la potenzialità dell'esistere, nega a priori il passaggio dall'esistere all'essere. Persino Parmenide aveva capito che non basta. Essere è, non essere non è. Insomma, se qualcuno si trova nella condizione di non poter non fare quello che fa, operando per rompere le catene, proclamare la rivoluzione come impossibile non lo uccide come fa l'imperialismo. Lo lascia solo. Grazie
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