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sinistra

La filosofia non è definibile dai contenuti

di Domenico Accorinti

Nota all'incontro del 13 febbraio 2002 nell'ambito del "Cenacolo filosofia e vita" con il prof. Diego Marconi in cui sono svolte alcune brevi considerazioni sul rapporto tra i vari modi di concepire ed avvicinare la filosofia

LANZIERI 320x213L'incontro del 13 febbraio u.s. del nostro Cenacolo con il prof. Diego Marconi mi sembra che, al di là dell'immediato interesse che ha senz'altro suscitato nei partecipanti di per sé per l'argomento trattato (il rapporto tra filosofia e scienze cognitive), sia stato molto proficuo anche in quanto, mettendo a confronto la filosofia "professionale" e quella "dilettantesca", ci ha suggerito alcune considerazioni sull'orientamento dell'impegno filosofico del nostro Cenacolo e, più in generale, sullo stato odierno della filosofia.

Dovendo scegliere un punto di partenza per affrontare la questione ritengo che sia opportuno che ci si soffermi brevemente sul concetto di filosofia quale si è venuto consolidando nei secoli e, più particolarmente, quale è stato sinteticamente illustrato alla voce "Filosofia" del "Dizionario di filosofia" di Nicola Abbagnano (alla quale rinvio chi volesse ulteriormente approfondire la questione de qua).

Alla suddetta voce l'Abbagnano propone, come momento supremo di sintesi delle varie modalità con cui la filosofia si è manifestata quale "creazione originale dello spirito greco e condizione permanente della cultura occidentale" (ma, malgrado il riferimento ad una peculiare civiltà, la definizione presentataci mi pare che si mostri in grado di fare in qualche modo riferimento anche a modalità meditative proprie di altre civiltà), la definizione illustrata nell'Eutidemo platonico, secondo cui la filosofìa è l'uso del sapere a vantaggio dell'uomo. La filosofia è dunque la scienza nella quale coincidono il fare ed il sapersi servire di ciò che si fa (Eutid., 288e - 290d). Platone osserva che a nulla servirebbe possedere la scienza di convertire le pietre in oro se non ci si sapesse servire dell'oro; a nulla servirebbe la scienza che rendesse immortale se non ci si sapesse servire dell'immortalità; e via dicendo.

Secondo questo concetto, la filosofia implica due elementi (che, osserva l'Abbagnano, ricorrono frequentemente nelle definizioni che sono state date in epoche diverse e da diversi punti di vista, citando, a mo' di esempio, Cartesio, Hobbes, Kant, Dewey):

1) Il possesso o l'acquisto di una conoscenza che sia nel contempo la più valida e la più estesa possibile;

2) L'uso di questa conoscenza a vantaggio dell'uomo.

Osserva poi l'Abbagnano che questa formula ha il pregio di non assumere nulla circa la natura ed i limiti del sapere accessibile all'uomo (I punto) o circa gli scopi cui l'uso può essere indirizzato (II punto).

Ma, a mio giudizio, da un diverso punto di vista andrebbe rilevato che la definizione platonica si caratterizza per il fatto di essere una definizione ab extra, cioè una definizione che si caratterizza non per dei contenuti conoscitivi specifici ma, unicamente, per il riferimento che essa fa ad un orientamento finalistico della conoscenza (come usarla a vantaggio dell'uomo?) a priori indeterminato (il vantaggio per l'uomo, la sua felicità nascenti da quella specifica conoscenza, in che cosa consistono?), anzi delle conoscenze che già esistono di per sé come conoscenze particolari (ed utilizzate con finalità tecniche) al di fuori della filosofia, e che la filosofia fa proprie vagliandone la validità e l'estensione. Se le cose stanno così si deve concludere che, sostanzialmente, l'oggetto della filosofia è la totalità del sapere e non può quindi darsi una contrapposizione tra il sapere oggetto della filosofia e quelli oggetto delle scienze particolari, in quanto il primo ed i secondi da sempre coincidono.

Per conseguenza andrebbe rigettata quella impostazione che tende a contrapporre le scienze positive alla filosofia, o, peggio, a considerare quest'ultima come un dominio di conoscenza "arretrato", ancillato alle scienze positive, al quale, inevitabilmente, queste ultime finiranno con l'erodere sempre più gli spazi conoscitivi man mano che la ricerca scientifica progredirà. Infatti, così impostato, il problema è, in astratto, un falso problema.

Naturalmente nella concretezza dell'evoluzione storica del pensiero occidentale le cose sono andate diversamente: è ben noto infatti che la scienza moderna è nata per contrapposizione alla filosofia (naturale) nella forma concreta della scolastica aristotelica, e che ciò ha determinato un atteggiamento di (illusoria) estraneità della scienza moderna alla filosofia. Sappiamo però che, andando oltre le apparenze, non è così. In realtà la scienza moderna è nata dalle disquisizioni tra due dottrine di filosofia naturale. Galileo si sentiva un filosofo che polemizzava con altri filosofi e, addirittura, soleva dire ai suoi avversari scolastici, dogmaticamente aristotelici, che se Aristotele fosse stato vivo avrebbe considerato lui il suo vero allievo, e non i suoi contraddittori.

Dall'indagine filosofica sul metodo per giungere alla conoscenza della natura si è successivamente passati, aumentando la c.d. autonomia della scienza, alla tecnicizzazione dei risultati ottenuti grazie alla nuova costruzione teorica. Evidentemente in tutto ciò non vi è nulla di antifilosofico, si tratta semplicemente di specifici esiti extrafilosofici sui quali, comunque, la filosofia avrà pur sempre da dire la sua vagliando che vadano effettivamente a vantaggio dell'uomo.

Il fatto è che la modernità, in particolare nei secoli XVIII e XIX, si è spinta sino ad attribuire incondizionatamente alla conoscenza scientifica, che sostanzialmente finisce con l’inglobare teoria e pratica in un’unica disciplina, che potremmo definire technepisteme, qualità salvifiche (l’uso del sapere a vantaggio dell’uomo di cui parla Platone), la presenza delle quali invece, secondo la tradizione umanistica, spetterebbe proprio alla filosofia vagliare criticamente introducendo giudizi di valore. Per cui proprio le dottrine filosofiche ancor oggi dominanti (anche se sempre più sottoposte a forti critiche negli ultimi tempi), hanno finito con l'avallare dogmaticamente il principio che automaticamente nella scienza vi siano comunque qualità salvifiche, segnando in questo modo la propria decadenza e, soprattutto, la fine della centralità dell’uomo a favore della centralità delle strutture tecnologiche che, da semplice strumento, quali erano sempre state intese, diventano un vero e proprio fine (si pensi allo strumentalismo del Dewey che, come ci ricorda l’Abbagnano, attribuisce al pensiero scientifico, che viene così sostanzialmente "filosofizzato", nei termini dogmatici di cui sopra, l'impegno morale di una "ricostruzione razionale" della vita umana, della formazione di una tecnica diretta a dominare gli eventi individuali e sociali dell'attività economica, politica, pedagogica, logicamente omogenea alla tecnica costituita per controllare la natura fisica).

Certo così non era agli albori della scienza moderna (ancora squisitamente filosofica): basti pensare a quanto affermato da Francesco Bacone ne La nuova Atlantide circa l'obbligo, da parte del consiglio dei saggi della polis della scienza da lui descritta, di vagliare se fosse opportuno o meno diffondere le scoperte effettuate nei laboratori della comunità e se fosse utile o meno la loro applicazione tecnica. Di fatto oggi, al posto di tale controllo etico - politico noi osserviamo che sono le forze economiche (non dimentichiamo che l’economia di mercato, che non tollera controlli etico – politici in nome di una degenerata dottrina liberale, che nulla ha più a che spartire col liberalismo classico, ha fatto dell’innovazione tecnologica il fulcro del suo operare brandendo lo scientismo come sua bandiera. Una bandiera teoreticamente logora sin che si vuole, ma sostanzialmente egemone e incontrastata come principio di organizzazione della vita umana globale) che, in base ai propri interessi, decidono se un’applicazione tecnologica è utile o meno alle singole collettività umane organizzate (in modo sempre più fragile) su base politica.

In sostanza l'odierno scientismo nelle sue varie espressioni ha effettuato nei confronti della filosofia un'operazione affine a quella operata nel medio evo dalla teologia: la sua ancillatio a dogmi di fede. Quindi al presente si tende ad affermare, ma, per la verità, negli ultimi decenni in forma sempre meno convinta (si pensi allo svilupparsi della bioetica e delle filosofie ecologistiche), che la scientia activa,come la chiamava Bacone, o technepisteme che dir si voglia, (e con essa la tecnostruttura, vista come una vera e propria chiesa salvatrice) salva sempre e comunque, è un bene in assoluto, per cui non ci sarebbe bisogno, come invece affermava Bacone, di alcun vaglio da parte di saggi dell’utilità per l’uomo di quanto essa mette a nostra disposizione. Ne consegue, dal momento che le scoperte scientifiche (con la conseguente, connessa, innovazione tecnologica) e l’attività economica oggi tendono a presentarsi come due facce della stessa medaglia, che sarà il mercato, che non è certo il luogo della riflessione razionale, ma, caso mai, il luogo del soddisfacimento degli appetiti, più o meno naturalmente necessitati, o più o meno artificiosamente vellicati, a decidere.

Tra il rapporto che lo scientismo, particolarmente nella sua rozza forma attuale, ha imposto tra la scienza (nei fatti la tecnologia applicata nell’ottica delle sue ricadute economiche) e la filosofia (nei fatti la politica) ed il rapporto medievale che vi fu tra teologia e filosofia resta però una differenza: che, mentre la teologia per lo meno lasciava alla filosofia degli spazi (ancorché limitati) in cui muoversi, ciò non accade per lo scientismo, in quanto quest'ultimo contesta della filosofia proprio ciò che gli è peculiare, e cioè il controllo circa la vantaggiosità per l'uomo dell'uso del sapere, dandolo per scontato (scienza = verità = utilità per l'uomo). E' proprio da ciò che ritengo nasca, in concreto, il c.d. contrasto tra scienza e filosofia. Un contrasto impari che, se non venisse sanato ponendo di nuovo la scienza (le conoscenze particolari) sotto il dominio della sapienza (il vaglio critico della vantaggiosità o meno per l'uomo delle conoscenze particolari), non potrebbe che portare alla fine della filosofia (per mancanza della sua componente essenziale), con tutti i rischi che ciò comporterebbe. Rischi enormi, convinti come siamo che per l'uomo la ricerca della saggezza e della felicità tenga luogo dell'infallibilità istintuale dei bruti come strumento di conservazione della specie. L'uomo è fatto "per seguir virtude e conoscenza" non tanto per finalità quanto per necessità.

In conclusione, sopra abbiamo visto che tradizionalmente la filosofia è fatta constare di due elementi. Il primo, e cioè l'acquisto di una conoscenza che sia nel contempo la più valida e la più estesa possibile, è ancor oggi ritenuto validamente facente parte del sapere filosofico, quale momento metascientifico della conoscenza (epistemologia). Il secondo, e cioè l'esame critico che consenta la possibilità di fare un uso della conoscenza (avente le caratteristiche sopra precisate) che sia vantaggioso per l'uomo, invece, viene oggi accantonato in nome dell'egemone scientismo, che vede come salvifica in modo assoluto ed indiscutibile l’applicazione pratica della conoscenza scientifica, che si trasforma in esaltazione della crescita economica senza limiti. E questo accantonamento mette irrimediabilmente in crisi l'idea stessa di filosofia poiché per essa, come abbiamo visto, l'acquisto di una conoscenza è necessariamente in funzione dell'indagine sapienziale che ne vaglia criticamente l'uso a vantaggio dell'uomo. Ma è proprio questa ulteriore nota, avente carattere specifico, cioè questo funzionalizzare la conoscenza alla sapienza (*) (che, ribadiamo, non comporta specificità di oggetto, bensì di atteggiamento), che fa sì che la filosofia sia tale e si distingua da ogni altra forma di sapere e, in particolare, dalla semplice metascienza, che, pur legittimamente, comprende nel suo ambito come momento di conoscenza.

La meditazione filosofica quindi può avere ad oggetto qualsiasi cosa (per cui su tutto si può filosofare e, conseguentemente, al suo interno tutte le specializzazioni d'oggetto sono ammissibili), ma, perché essa possa essere identificata come tale, richiede, a chi compie la meditazione, di stabilire una connessione tra il mondo delle specifiche conoscenze (scienze particolari) ed il mondo delle scelte sapienti, usando poi quelle come mezzo e queste come fine.

A corollario del fatto che la meditazione filosofica può avere come oggetto qualsiasi cosa rileviamo che quindi filosofare non può essere considerata un’attività professionale (cosa ben diversa, naturalmente, è la professione di docente di materie filosofiche per cui sono richieste specifiche competenze sull’evoluzione storica del pensiero filosofico depositatesi nel corso dei secoli nel patrimonio culturale onde istruire ai rudimenti della storia del pensiero) per cui, come diceva Aristotele, ognuno di noi è filosofo per quel tanto che si pone delle domande.


(*) Riteniamo che una delle più felici definizioni di sapientia (l’opposto della stultitia) sia quella che rinveniamo nel Dizionario della lingua latina di Ferruccio Calonghi: “Grande abilità nel giudicare il valore ed il corso delle cose”, e quindi di comprendere il significato di queste ultime. E’ infatti proprio dell’uomo saggio agire conoscendo a fondo gli altri uomini con cui si relaziona e le situazioni in cui versa. Tutto ciò, com’è ben noto, è invece precluso allo stolto, che tale abilità non possiede.

 

 

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DOMENICO ACCORINTI
Wednesday, 26 April 2023 12:03
Preciso che l'autore di questo articolo è:

DOMENICO ACCORINTI
NATO A TORINO IL 1° APRILE 1945
RESIDENTE A TORINO
AVVOCATO
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DOMENICO ACCORINTI
Wednesday, 26 April 2023 12:01
Preciso che il sottoscritto è l'autore del presente articolo:

DOMENICO ACCORINTI
NATO (1° APRILE 1945) E RESIDENTE A TORINO
AVVOCATO
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