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Anno zero

di Salvatore Bravo

Ritratti alla Borsa Portraits la Bourse un dipinto a olio su tela di Edgar Degas di 100x82 cm conservato nel Mus e dOrsay di Parigi databile tra il 1878 ed il 1879Lo scandalo del denaro

I Manoscritti economico-filosofici del 1844 di Marx e pubblicati nel 1932, sono giudicati un’opera “giovanile”. In realtà i manoscritti sono fondamentali per riscontrare – in un periodo di passaggio tra le opere giovanili e le opere della maturità – il nucleo profondamente umanistico del pensiero marxiano. Per umanistico si intende la centralità dell’essere umano nella storia e nel sistema sociale e politico, che può essere giudicato positivamente, se risponde all’essenza generica e sociale dell’essere umano.

L’umanesimo marxiano pone al centro della storia l’essere umano. Non si tratta di un essere umano astratto ed idealizzato, ma colto nella concretezza della sua realtà materiale. L’umanesimo marxiano riporta il male ed il dolore alle condizioni storiche che ne determinano la genesi, per trascenderlo. Il male non ha realtà ontologica, ma alligna nei rapporti sociali ed economici. Marx è nello stesso solco di autori come Spinoza e Rousseau, i quali hanno smascherato il male metafisico per riportarlo a quella che è realmente la sua dimensione all’interno delle relazioni sociali. Il male è l’epifenomeno dei sistemi che negano la natura sociale dell’essere umano. L’essere umano che soffre è spesso il portatore infetto di relazioni sociali sbagliate, innaturali.

Marx ha la capacità di scandalizzarsi dinanzi al male, non indietreggia, ma lo attraversa. Il negativo, ove necessario, va vissuto e compreso per poter riportare l’ordine razionale dove vige e regna il male. Scandalo[1] in greco significa “inciampo”, per cui bisogna inciampare in esso, per potersi cognitivamente rialzare e ritrovare la dignità dell’essere umano. Essa vive nell’autonomia del giudizio che si coniuga con la prassi storica: teoria e prassi sono tra di loro in una tensione feconda e sono capaci di riorientare l’umanità. Il male non è un destino, ma una condizione socialmente fondata dalla struttura economica e dalla sovrastruttura.

Lo scandalo primo è il denaro. Sembra dotato di poteri taumaturgici, visto che è adorato come divinità, al punto da far apparire ciò che non è per ciò che è: il denaro ha il potere di ridurre la persona a sola quantità. È il possesso a determinare il valore della persona, al punto che il possessore di denaro è giudicato eccezionale, ogni virtù gli appartiene miracolosamente: la persona autentica scompare per lasciare spazioin verità ai processi di derealizzazione dell’essere umano; ci si “dis-orienta” dinanzi alla nuova divinità, al feticcio che tutto converte in oro – come Re Mida – fino a morirne.

«Ciò che mediante il denaro è a mia disposizione, ciò che io posso pagare, ciò che il denaro può comprare, quello sono io stesso, il possessore del denaro medesimo. Quanto grande è il potere del denaro, tanto grande è il mio potere. Le caratteristiche del denaro sono le mie stesse caratteristiche e le mie forze essenziali, cioè sono le caratteristiche e le forze essenziali del suo possessore. Ciò che io sono e posso, non è quindi affatto determinato dalla mia individualità. Io sono brutto, ma posso comprarmi la più bella tra le donne».[2]

Il male alberga nel possesso, nella nuda quantità, tanto che se il possessore di denaro è osannato, colui che ne è privo è giudicato un reietto, una non persona, il paria a cui tutto si può chiedere e niente donare. L’antiumanesimo, già si svela nell’analisi del denaro, poiché in realtà colui che possiede il denaro e colui che non ne ha sono egualmente oggetto dello stesso paradigma: il possesso. Il valore delle persone è transeunte: dipende dal denaro; mentre quest’ultimo è ipostatizzato dà il valore. Il denaro imprime il valore, si rende autonomo, non è più mezzo, ma fine, feticcio dinanzi al quale ci si inginocchia:

«S’intende da sé che l’economia politica considera il proletario, cioè colui che senza capitale e senza rendita fondiaria vive unicamente del lavoro, di un lavoro unilaterale ed astratto, soltanto come lavoratore. Essa può quindi sostenere il principio che egli, al pari di un cavallo, deve guadagnare tanto che gli basti per poter lavorare. Essa non lo considera come uomo nelle ore non dedicate al lavoro, ma affida questa considerazione alla giustizia criminale, ai medici, alla religione, alle tabelle statistiche, alla politica e alla polizia».[3]

 

Economia classica e critica dell’economia

L’economia classica occulta la verità che si cela nella genetica della proprietà privata; essa non è semplicemente l’effetto del lavoro. La proprietà privata ha nel suo grembo la violenza del sistema. La proprietà ha la sua ragion d’essere nell’alienazione, non nel semplice sfruttamento, ma nella riduzione graduale della persona in cosa (Ding), l’alienazione (Entfremdung) è dunque male non ontologico, ma sociale. La persona diviene straniera (Fremd) a se stessa, è sciolta da ogni relazione con se stessa e con gli altri, è solo nuda vita. La persona – divenuta oggetto – è negata nella sua natura sociale e generica (Gattungswesen) per diventare strumento di una struttura sociale nichilista, perché idolatra il possesso per negare l’essere umano. Il soggetto che pone la storia diviene oggetto della realtà economica che si rende autonoma. L’alienazione riguarda anche il possessore, ma nell’operaio, nel lavoratore dipendente si rivela la violenza (Gewalt) di un sistema inemendabile:

«L’economia politica nasconde l’estraniazione insita nell’essenza stessa del lavoro per il fatto che non considera il rapporto immediato esistente tra l’operaio (il lavoro) e la produzione. Certamente, il lavoro produce per i ricchi cose meravigliose; ma per gli operai produce soltanto privazioni. Produce palazzi, ma per l’operaio spelonche. Produce bellezza, ma per l’operaio deformità. Sostituisce il lavoro con macchine, ma ricaccia una parte degli operai in un lavoro barbarico e trasforma l’altra parte in macchina. Produce cose dello spirito, ma per l’operaio idiotaggine e cretinismo».[4]

 

Prassi e comunità

L’essere umano è nella natura, ma se ne differenzia in quanto non è semplice presenza, non si limita a rispecchiare la realtà (Obiectum), ma la trasforma (Gegenstand) in modo consapevole. L’essere umano trasforma la natura, l’economia, i valori ed in tal modo pone il suo mondo (Welt), il quale non è semplice ambiente (Umwelt). L’animale riproduce il suo ambiente, le sue attività sono complesse, ma istintive e ripetitive. L’essere umano crea mondi, è capace di immaginare il futuro, e di cogliere nel presente non solo le contraddizioni, ma anche le potenzialità da mettere in atto. L’essenza generica dell’essere umano è generatrice di mondi, e ciò non si concretizza in solitudine, ma in modo comunitario. Nell’azione comunitaria vi è la rinuncia al titanismo romantico, all’eroe che fa di se stesso il trasformatore dei mondi. Solo la comunità può operare un’autentica prassi, e quest’ultima è responsabilità etica verso la storia e verso la comunità. La partecipazione collettiva è attività che esige l’impegno etico di tutti, perché la storia non è proprietà esclusiva di taluni o proprietà esclusiva di classe: la storia è il luogo topico dell’umanità, è la casa dell’essere umano:

«L’universalità dell’uomo appare praticamente proprio in quella universalità, che fa della intera natura il corpo inorganico dell’uomo, sia perché essa 1) è un mezzo immediato di sussistenza, sia perché 2) è la materia, l’oggetto e lo strumento della sua attività vitale. La natura è il corpo inorganico dell’uomo, precisamente la natura in quanto non è essa stessa corpo umano. Che l’uomo viva della natura vuol dire che la natura è il suo corpo, con cui deve stare in costante rapporto per non morire. Che la vita fisica e spirituale dell’uomo sia congiunta con la natura, non significa altro che la natura è congiunta con se stessa, perché l’uomo è una parte della natura.

Poiché il lavoro estraniato rende estranea all’uomo 1) la natura e 2) l’uomo stesso, la sua propria funzione attiva, la sua attività vitale, rende estranea all’uomo la specie; fa della vita della specie un mezzo della vita individuale. In primo luogo il lavoro rende estranea la vita della specie e la vita individuale, in secondo luogo fa di quest’ultima nella sua astrazione uno scopo della prima, ugualmente nella sua forma astratta ed estraniata. Infatti il lavoro, l’attività vitale, la vita produttiva stessa appaiono all’uomo in primo luogo soltanto come un mezzo per la soddisfazione di un bisogno, del bisogno di conservare l’esistenza fisica. Ma la vita produttiva è la vita della specie. E la vita che produce la vita. In una determinata attività vitale sta interamente il carattere di una “species”, sta il suo carattere specifico; e l’attività libera e cosciente è il carattere dell’uomo. La vita stessa appare soltanto come mezzo di vita.

L’animale è immediatamente una cosa sola con la sua attività vitale. Non si distingue da essa. E quella stessa. L’uomo fa della sua attività vitale l’oggetto stesso della sua volontà e della sua coscienza. Ha un’attività vitale cosciente. Non c’è una sfera determinata in cui l’uomo immediatamente si confonda. L’attività vitale cosciente dell’uomo distingue l’uomo immediatamente dall’attività vitale dell’animale. Proprio soltanto per questo egli è un essere appartenente ad una specie. O meglio egli è un essere cosciente, cioè la sua propria vita è un suo oggetto, proprio soltanto perché egli è un essere appartenente ad una specie».[5]

 

Comunismo

Nei Manoscritti Marx indica gli elementi essenziali del comunismo, il paradigma a cui deve rispondere. La storia non si può prevedere, pertanto si limita a descrivere i fondamenti del comunismo. Il comunismo è la fine dell’autoestranazione: l’essere umano nel comunismo metterà in atto un sistema sociale che favorisce lo sviluppo e l’affinamento della natura dell’essere umano. Si tratta dell’umanesimo integrale, in quanto la persona deve poter sviluppare le sue potenzialità, dev’essere il fine che guida il sistema socio-economico e non certo esserne l’oggetto. Comunismo, dunque, come inizio della storia e fine della lotta darwiniana che ha reso l’essere umano simile agli animali non umani, come movimento dialettico che trascende le scissioni alienanti che hanno attraversato la storia:

«3) Il comunismo come soppressione positiva della proprietà privata intesa come autoestraniazione dell’uomo, e quindi come reale appropriazione dell’essenza dell’uomo mediante l’uomo e per l’uomo; perciò come ritorno dell’uomo per sé, dell’uomo come essere sociale, cioè umano, ritorno completo, fatto cosciente, maturato entro tutta la ricchezza dello svolgimento storico sino ad oggi. Questo comunismo s’identifica, in quanto naturalismo giunto al proprio compimento, con l’umanismo, in quanto umanismo giunto al proprio compimento, col naturalismo; è la vera risoluzione dell’antagonismo tra la natura e l’uomo, tra l’uomo e l’uomo, la vera risoluzione della contesa tra l’esistenza e l’essenza, tra l’oggettivazione e l’autoaffermazione, tra la libertà e la necessità, tra l’individuo e la specie. È la soluzione dell’enigma della storia, ed è consapevole di essere questa soluzione».[6]

 

Anno zero

Si può ricominciare da Marx per comprendere il presente e per immaginare il futuro. Ma se non vi è il senso etico dello scandalo ogni inizio è improbabile, non bastano le condizioni socio-economiche per guidare la prassi, è necessario ascoltare la profondità etica che ciascuno reca con sé per riprendere il cammino storico. La grande operazione attuale del capitalismo assoluto è l’addomesticamento del senso etico: la nuova disciplina del potere “educa” all’indifferenza ed all’utile personale, in modo che l’ingiustizia possa essere normalizzata e diventare la seconda natura dell’essere umano.

Resistere significa donarsi, trasgredire il comandamento dell’utile, e testimoniare che la violenza (Gewalt) è un accidente storico e non la verità dell’essere umano. La nostra è un’epoca che necessita di testimonianza attiva per smentire gli imperativi del turbocapitalismo. I principi di ogni civiltà sono negati in nome della finanza: è l’anno zero della civiltà, è l’epoca della grande dispersione, dopo il diluvio della finanza. Vico ha descritto il diluvio e la regressione umana conseguente, ma ne ha evidenziato anche la devastazione ambientale, in quanto l’abbandono della civiltà riguarda l’umanità e l’ambiente in cui concretamente si vive. Dinanzi al diluvio della storia si ha il dovere di attraversare il negativo per ritrovare il fondamento onto-assiologico senza il quale non vi è che il male di vivere. I classici sono di ausilio per comprendere il reale storico, ci donano immagini con cui concettualizzare la storia: resistere significa, anche, centralità dei classici nelle nostre vite:

«Ma delle Nazioni di tutto il restante Mondo altrimenti dovette andar la bisogna; perocchè le razze di Cam, e Giafet dovettero disperdersi per la gran Selva di questa Terra con un’ error ferino di dugento anni, e così raminghi e soli dovettero produrre i figliuoli con una ferina educazione nudi d’ogni umano costume, e privi d’ogni umana favella, e sì in uno stato di bruti animali: e tanto tempo appunto vi bisognò correre, che la Terra disseccata dall’umidore dell’Universale diluvio potesse mandar’in aria delle esalazioni secche a potervisi ingenerare de’ fulmini, da’ quali gli Uomini storditi, e spaventati si abbandonassero alle false religioni di tanti Giovi, che Varrone giunse a noverarne quaranta, e gli Egizj dicevano, il loro Giove Ammone essere lo più antico di tutti; e si diedero ad una spezie di Divinazione d’indovinar l’avvenire da’ tuoni, e da’ fulmini, e da’ voli dell’ aquile, che credevano essere uccelli di Giove».[7]


Note
[1] Scandalo, latino scandalum, a sua volta dal greco σκάνδαλον (skàndalon), ossia “inciampo”.
[2] Marx, Manoscritti economico-filosofici, Il denaro, da Archivio Marx-Engels, 2007.
[3] Ibidem.
[4] Ibidem, Il lavoro estraniato, da Archivio Marx-Engels 2007.
[5] Ibidem.
[6] Ibidem, Proprietà privata e comunismo, da Archivio Marx-Engels 2007.
[7] G. Vico, La Scienza Nova, Edizione Centro di Umanistica Digitale dell’ISPF-CNR, progetto ISPF, “Biblioteca vichiana”, 2007, pag. 44.

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Eros Barone
Wednesday, 02 September 2020 10:49
Riferendosi a Marx, AlsOb così conclude il suo intervento: "La sua potente e efficace rappresentazione del capitalismo contiene degli elementi di ottimistico automatismo che giustificherebbero l'approdo doveroso a un inizio del regno dei cieli sulla terra". Che un riscatto dell'idealismo - e financo dello spiritualismo - sia possibile è stato dimostrato da Gramsci in alcuni passi dei suoi "Quaderni" (pp. 1488-1490 dell'edizione einaudiana del 1975), là dove questi scrive: "Ma se anche la filosofia della prassi è una espressione delle contraddizioni storiche, anzi ne è l'espressione più compiuta perché consapevole, significa che essa pure è legata alla 'necessità' e non alla 'libertà' che non esiste e non può ancora esistere storicamente... Ciò non significa che l'utopia non possa avere un valore filosofico, poiché essa ha un valore politico... In questo senso la religione è la più gigantesca utopia, cioè la più gigantesca utopia 'metafisica', apparsa nella storia, poiché essa è il tentativo più grandioso di conciliare in forma mitologica le contraddizioni reali della vita storica... E' anche da dire che il passaggio dalla necessità alla libertà [dal capitalismo al comunismo] avviene per la società degli uomini e non per la natura (sebbene potrà avere conseguenze sull'intuizione della natura, sulle opinioni scientifiche ecc.). Si può persino giungere ad affermare che mentre tutto il sistema della filosofia della prassi può diventare caduco in un mondo unificato, molte concezioni idealistiche, o almeno alcuni aspetti di esse, che sono utopistiche durante il regno della necessità, potrebbero diventare 'verità' dopo il passaggio ecc.". Quindi, nel sostenere che "l'approdo a un inizio del regno dei cieli sulla terra" è una necessità sia morfologica che teleologica si può addurre anche questo significativo passo della "Introduzione alla filosofia" stesa da Gramsci tra il 1932 e il 1933 (pp. 1362-1509 della precitata edizione).
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Mario Galati
Wednesday, 02 September 2020 07:23
La chiave di lettura di AlsoB ha le sue ragioni d'essere, come tutte le letture teologiche. Ma, d'altronde, per larghissima parte della sua storia, l'umanità non ha forse discusso della realtà e di se stessa in termini teologici e religiosi? Tutto può rientrare in schemi teologici.
Mi accorgo adesso che c'è un "Goethe" in coda al mio commento. Non è la firma del commentatore, un pochino più modesto del tedesco, ma un residuo sbadatamente non cancellato.
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AlsOb
Monday, 31 August 2020 23:14
>>>A me sembra che Salvatore Bravo attribuisca a Marx l'angolazione che non gli è propria. Egli attribuisce a Marx il punto di vista teologico, o meglio, per essere più precisi, della teologia più elementare, manichea e popolare, ovvero, quella teologia che coincide, sul piano laico, col moralismo.>>>
[Mario Galati]
Questa specifica osservazione, che tra l'altro potrebbe
sintetizzare le altre interessanti considerazioni incluse quelle di Eros Barone, se da un lato organizza l'insieme delle critiche proposte in merito all'articolo, che personalmente ho più preso a veloce spunto o pretesto, dall'altro per quanto possa essere vera non tocca problemi importanti seppur magari solo sfiorati dall'articolo.
Marx, il più intelligente esponente dei giovani hegeliani, si confronta con la teologia di Hegel, con l'affascinante e logica soluzione o lettura che questi da al mistero della Trinità e con il rapporto con il Cristianesimo. Perciò è ovvio che non indugerebbe mai in teologie moralistiche o più in generale approssimative o propense a giustificare interessi secolari che finiscono per strutturare la religione come una agenzia di classe di controllo comportamentale.
Un punto però per esempio importante da valutarsi è quanto la sua visione e punto di vista teologico in qualche modo ricadano nella sue sue preferenze interpretative riguardo alla rappresentazione categoriale scientifica che fa della dinamica dell'accumulazione capitalistica, del progresso tecnologico, dello sviluppo della configurazione delle crisi e sul ruolo dell'individuo unversale concreto costituito dalla classe operaia. La sua potente e efficace rappresentazione del capitalismo contiene degli elementi di ottimistico automatismo che giustificherebbero l'approdo doveroso a un inizio del regno dei cieli sulla terra.
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Mario Galati
Monday, 31 August 2020 15:19
Si potrebbe pure affrontare la storia in termini di bene e male, ma dipende da quale angolazione. A me sembra che Salvatore Bravo attribuisca a Marx l'angolazione che non gli è propria. Egli attribuisce a Marx il punto di vista teologico, o meglio, per essere più precisi, della teologia più elementare, manichea e popolare, ovvero, quella teologia che coincide, sul piano laico, col moralismo. A me sembra, invece, che il punto di vista di Marx fosse pienamente storico materialistico e dialettico, e potrebbe riassumersi nella riflessione hegeliana di Engels, secondo il quale il male è la forma nella quale si manifesta lo sviluppo storico. Qui l'opposizione tra bene e male non è l'opposizione presentata da Salvatore Bravo tra una essenza eterna e le sue forme degenerative storiche. Qui il cosiddetto male non è altro che il termine contraddittorio del rapporto dialettico, il negativo, a partire dal quale, la realtà storica si sviluppa. Se poi consideriamo anche la possibilità dell'effettivo capovolgimento di senso storico di una determinata azione sulla base della cosiddetta astuzia della ragione e dell'eterogenesi dei fini, allora possiamo completare il quadro e uscire dalla concezione moralistico-teologica primitiva. Su questo punto è anche opportuno richiamare l'esplicitazione hegelo-marxiana e gramsciana del fondamento della morale ("Ogni società si pone soltanto i problemi di cui esistono già, in nuce, i mezzi per la loro soluzione". Perciò, la morale consiste nell'assecondare la soluzione dei problemi storici che la società ha davanti. Secondo Gramsci, in questa fase, è conforme alla morale storica l'azione per il socialismo, per il superamento e la soluzione dei problemi posti dal capitalismo. Tutto ciò in linea con la concezione della libertà come coscienza della necessità storica, naturalmente, non della conformità della propria azione alla verità su Dio e sull'uomo).
Riconosco che un dato ontologico di genere (umano) richiamato da Bravo esiste, ma nella visione di Marx esso non coincide con un astratto comunitarismo. Infatti, anche la disgregazione atomistica della società borghese è un legame sociale secondo il quale si dispone la comunità sociale. Non si può pensare di superare questa forma ossimorica di legame disgregato semplicemente sostenendo la sua innaturalità ontologica e prodigandosi in prediche sul capitalismo-maligno (in effetti, Bravo riconosce il fondamento materialistico della critica ontologica marxiana, ma non sembra farsene un gran che. Ogni qualvolta tocca un concreto argomento storico, per es. inerente al movimento comunista novecentesco e alla concreta lotta di classe sviluppatasi nella storia, non fa che esprimere condanne per ciò che non coincide con i suoi astratti precetti da pulpito).
Anche la critica del denaro forse omette l'aspetto materialistico della critica marxiana: il carattere di massima astrattezza della merce denaro e il suo ruolo nei meccanismi di dominio capitalistici. Marx riprende, se non erro, il Faust di Goethe, laddove si dice, più o meno, cito a memoria: "Se io posso comprarmi 10 cavalli, forse non mi appartiene la loro forza?". Possedere danaro significa possedere, dominare, ogni tipo di rapporti sociali da esso rappresentati. Indubbiamente gli aspetti evidenziati da Salvatore Bravo esistono, ma il dato più importante è il ruolo del denaro all'interno del dominio capitalistico.
Mi sembra che Eros Barone abbia individuato acutamente la fase misera e subalterna che attraversa una certa critica anticapitalistica. Curiosamente, la citazione vichiana in coda all'articolo anticipa la critica di Eros Barone: dal diluvio universale l'umanità esce timorosa e fabbrica superstizioni.
Goethe
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Eros Barone
Monday, 31 August 2020 10:02
Si tratta di elaborati che scaturiscono, come altrettante superfetazioni, da documenti pontifici quali la 'Centesimus annus’ di Giovanni Paolo II e la 'Caritas in veritate' di Benedetto XVI, ove la categoria dell’alienazione (sempre evocata con toni eulogici dagli autori) occupa un posto centrale. La parenesi è tipica di quella strategia dell’accattonaggio ideologico in cui la Chiesa è maestra, come dimostra l’utilizzazione cattolica della sociologia positivistica, della stessa sociologia nordamericana e della teoria economica keynesiana, nonché delle varie forme di critica romantico-spiritualistica del capitalismo con il correlativo ricorso ai filosofemi della scuola di Francoforte. Non a caso la categoria di alienazione viene scorporata dalla concezione marxiana, la quale viene confinata in una "mistica penombra" in quanto fa derivare l’alienazione "solo" dalla sfera dei rapporti di produzione e di proprietà, cioè le assegna un fondamento materialistico, e viene definita nei seguenti termini: “inversione tra i mezzi e i fini”, rifiuto della “‘capacità di di trascendenza’ della persona umana”, “prevalenza dell’avere sull’essere” e, soprattutto, venir meno dell’“obbedienza alla verità su Dio e sull’uomo”, che “è la condizione prima della libertà”. Sennonché il vacuo sermone spiritualistico che, quasi sempre in forma implicita, ci viene ammannito esibisce una regressione intellettuale il cui significato assume un valore emblematico nel lungo Termidoro subentrato agli anni Settanta del secolo scorso. Può essere quindi opportuno, per misurare tutta la distanza che la separa da un corretto approccio scientifico e filosofico, confrontare la posizione ideologica qui esemplificata con la posizione di Albert Einstein sulle religioni: «Per me, la parola dio non è niente di più che un’espressione e un prodotto dell’umana debolezza, e la Bibbia è una collezione di onorevoli ma primitive leggende, che a dire il vero sono piuttosto infantili… Nessuna interpretazione, non importa quanto sottile, può farmi cambiare idea su questo… Per me la religione ebraica, come tutte le altre, è un’incarnazione delle superstizioni più infantili. E il popolo ebraico, del quale pur mi compiaccio di far parte e con la cui mentalità sento un’affinità profonda, per me non ha qualità differenti da quelle di qualsiasi altro popolo. Per quanto posso dire sulla base della mia esperienza, gli ebrei non sono migliori di altri esseri umani, a parte il fatto di essere protetti dai cancri peggiori perché hanno poco potere. In essi non vedo niente di eletto». Così scriveva il grande scienziato e filosofo, il 3 gennaio 1954, un anno prima di morire, al filosofo Eric Gutkind, che gli aveva inviato una copia di un suo libro sulla religione. Le affermazioni di Einstein, contenute nella lettera testé citata, sono limpide e chiare come l’acqua dei laghi svizzeri e dimostrano la forza profonda e irresistibile della razionalità filosofica e scientifica, allorché questa viene applicata all’analisi e alla valutazione delle ideologie religiose. Naturalmente, Einstein non poteva prevedere rivolgendosi nel 1954 a Gutkind, il quale aveva rifiutato l’offerta dello Stato di Israele di diventare il suo secondo presidente della repubblica, che gli ebrei, “protetti dai cancri peggiori perché hanno poco potere”, sarebbero stati colpiti anch’essi da quella malattia mortale, di cui la politica militarista, razzista ed espansionista dello Stato di Israele ha fornito così tanti esempi nella seconda metà del Novecento e in questi due decenni del ventunesimo secolo. Ma le sue considerazioni sul carattere superstizioso e infantile della religione (di qualsiasi religione), da cui, fra l’altro, discende la constatazione dell’eguaglianza degli ebrei rispetto a qualsiasi altro popolo, hanno il significato e il valore che appartengono alle verità che non temono confutazione alcuna.
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AlsOb
Monday, 31 August 2020 01:28
Bell'articolo che sottolinea un momento centrale in Marx, la definizione del suo punto di vista e fini in rapporto al senso del mondo e dello starvi. E è un punto di vista teologico che parte dalla teologia di Hegel ma che se ne differenzia per approdare a una teologia moderna (Marx probabilmente sarebbe dovuto diventare professore di teologia) per la quale il singolo non è solo una sorta di recettore accidentale, uno strumento dello spirito che fa di se stesso l'oggetto, ma l'irrevocabile punto di partenza e il soggetto principale che accoglie lo spirito e che nella misura che lo fa deve diventare tempio. Di qui il suo senso dello scandalo e della non accettazione intellettuale e etica del sacrificio di un qualunque uomo, che avvenga per una ragione astratta o per l'abbruttimento morale e fisico proprio dell'estrazione di plusvalore via sfruttamento del lavoro astratto. Il modo di produzione capitalistico per perseguire programmaticamente l'alienazione e svalutazione dell'uomo e la inibizione della sua crescita spirituale e edificazione in tempio si pone come irrimediabilmente antietico e anticristiano per disconoscere la libertà e infinità di ogni singolo individuo. E perciò va superato.
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