Print Friendly, PDF & Email

chartasporca

Era digitale, era provinciale

di Eleonora Zeper

imageo986yu5La verità è che la verità cambia
Friedrich Nietzsche

Ho sempre deprecato il proliferare del lessico filosofico nel corso dei secoli, mi è sempre sembrato che la storia della filosofia fosse una storia di incomprensioni lessicali: sarebbe dunque onesto dichiarare, all’inizio di ogni nostro discorso, l’inaffidabilità dello strumento di cui ci serviamo.

Nell’ultimo anno molte delle parole e delle categorie che usavamo per definire la nostra realtà sociale hanno perso ogni consistenza. Ce ne sono state offerte prontamente delle altre quali distanziamento sociale, didattica a distanza, assembramento… Chiedo scusa dunque se quest’articolo procede a tentoni: a me mancano ancora le parole per descrivere tutto questo.

*

Un mio collega e amico si è dichiarato favorevole alla chiusura totale nel periodo natalizio: il problema sono gli ospedali e un “paese civile” non può far morire la gente. L’ha detto con convinzione e io, come con lui mi capita spesso, non ho saputo ribattere in alcun modo.

Qualche giorno fa un altro mio caro amico mi ha detto che non sarebbe passato a casa mia per chiacchierare delle nostre rispettive vite e stare un po’ assieme, così come avevamo concordato da qualche giorno. Mi scrive per dirmi che il giorno di Natale intende vedere i suoi genitori e che dunque, nei giorni precedenti, preferisce evitare ogni rischio di contagio e vedersi all’aperto. Ero dispiaciuta e un po’ irritata.

Mia nonna ha insistito perché la cena della vigilia fosse il più normale possibile, siamo andati da lei a due a due e abbiamo cenato in fretta e furia, per il resto è stato tutto uguale agli altri anni. Il mio fidanzato era contrario, non solo perché significava violare la legge, ma anche perché si sarebbe trattato di un assembramento. Posso dire a mia discolpa che l’ultimo decreto non era chiaro e che ci eravamo assembrati fino alla domenica prima e che quindi non ci sarebbe stata una gran differenza. Mi sono ugualmente sentita in colpa, per la nonna e per la legge. Gli ho detto, dopo averci pensato un po’ su, che poteva fare come desiderava e che non me la sarei presa in nessun caso; alla fine ha partecipato alla cena.

*

Scrivo questo articolo anche per rispondere a queste tre persone. Come mi è accaduto spesso nel corso della mia vita, infatti, mi trovo a dover ribattere non avendo subito sotto mano gli strumenti e le categorie linguistiche e di pensiero per farlo; giungere all’origine del mio dissenso mi costa dunque una certa fatica. Voglio dir loro che le mie prese di posizione non sono frutto di superficialità né sono legate solo al mio temperamento.

Come verrà chiamata la nostra epoca? Quale sarà il suo colore, la sua nota dominante, il suo sapore? Se ancora qualche anno fa mi ponevo questa domanda, ora la risposta mi è chiara: è l’epoca del iper-razionalismo e dello scientismo, un’epoca davvero digitale dove per digitale si intende, secondo il dizionario, di “apparecchi che trattano grandezze sotto forma numerica, cioè convertendo i loro valori in numeri”. L’era digitale è dunque il regno della quantità, della traduzione dell’uomo e della vita in numero, è un’era nella quale in ogni campo del sapere e dell’azione si pretende che, dato un input, sia prevedibile e calcolabile l’output. Si tenta, come mi è già capitato di affermare, di abolire ciò che sta nel mezzo, ossia l’essere umano. Lo si vede in ogni campo, da decenni; è questo il fondamento della cosiddetta digitalizzazione: la riduzione a numero.

Ogni fenomeno storico, però, non è assoluto, in gioco ci sono forze e controforze. Mi sono sempre immaginata la storia come una sorta di fiume che cambia colore a seconda dell’epoca che prendiamo in considerazione. Il colore dominante è uno per ogni epoca, ma nella corrente ci sono ruscelli sotterranei e mulinelli di altri colori, forze controcorrente, residui di correnti passate. Ognuno deve seguire la propria via e non ci si deve scoraggiare poi troppo se si fa parte di una forza che soccombe.

Scriveva nel 1944 T.S. Elliot.

Nell’epoca nostra, quando gli uomini sembrano essere più portati a confondere la saggezza con la dottrina e la dottrina con l’informazione e a cercare di risolvere i problemi della vita in termini di ingegneria, sta sviluppandosi una nuova specie di provincialismo che forse merita anch’esso un nome nuovo. È un provincialismo non di spazio, ma di tempo, per cui la storia non è che la cronaca delle invenzioni umane via via superate e messe da parte, e il mondo proprietà esclusiva dei vivi, una proprietà di cui i morti non possiedono azioni

L’uomo del XXI secolo, o per lo meno l’uomo che fa parte della corrente storica dominante, è un provinciale del tempo, un senza memoria, un nano che ha ben pensato di scendere dalle spalle dei giganti. Non vuole più girarsi indietro, ha quello che Jean-Claud Michea chiama “il complesso di Orfeo”. Vede solo se stesso, i propri modelli, la propria spiegazione del mondo e il proprio criterio di verità. Se ricordiamo poi che per Platone la memoria è la via del sapere e che conoscere significa solo richiamare alla memoria una conoscenza che è già in noi, il quadro si fa desolante.

Anche senza supporre che esistano diverse visioni del mondo, è lo stesso paradigma dei provinciali del tempo a soffrire di una fallacia logica. Essi stessi affermano che la medicina, fino ad un certo punto, ha fatto più danni che altro, essi stessi ritengono quasi ogni teoria medica passata risibile, sciocca, frutto di ignoranza e superstizione. Ridono degli uomini di due secoli fa, di cent’anni fa, di dieci anni fa: ridono insomma, uomini senza memoria né scienza, di se stessi. Il tempo, al giorno d’oggi, pare correre sempre più veloce, presto la scienza vedrà le cose da un altro punto di vista, offrirà nuovi modelli, nuove interpretazioni, nuove cure: i provinciali le accoglieranno come nuove verità e rideranno di quelle odierne come menzogne superate.

All’interno dello stesso mondo medico-scientifico ci sono uomini sciocchi e uomini intelligenti, uomini provinciali e uomini che non lo sono affatto. L’interpretazione che ci viene data in pasto dai media non può né deve essere definita quella scientifica sic et simpliciter.

Ci sono moltissimi uomini di scienza che sono ben degni di questo nome e sanno pertanto che la loro disciplina è il luogo dell’incertezza e del dibattito, che ogni teoria è un modello, un’approssimazione, non una verità. Definirei, per tanto, l’interpretazione che ci viene offerta da quasi tutti i mezzi di informazione come un’iper-semplificazione figlia di uno scientismo populista. Esistono, infatti, tre fattori principali che determinano l’insorgere di una malattia di natura virale o batterica: l’agente patogeno, l’ambiente e l’organismo ospitante.

Nell’interpretazione dominante tutto viene ridotto, per semplicità, all’agente patogeno, all’input. Se io entro in contatto con il virus sto male (unico output previsto) e ciò determina un pericolo per la sopravvivenza mia e degli altri uomini, se io non entro in contatto con il virus non sto male e non vi è pericolo. Gli uomini sono veicolo di contagio. Se io dunque evito ogni forma di contatto con l’altro uomo, evito di propagare il contagio e di mettere in pericolo me stesso e gli altri. Bisogna dunque evitare ogni forma di contatto con gli esseri umani (unica soluzione prevista: l’abolizione del prossimo di cui parla Agamben in A che punto siamo?).

Secondo tale interpretazione, quindi, non solo si parte dal presupposto che l’uomo è solo un corpo e che la vita è solo sopravvivenza del corpo, ma viene del tutto annullata la complessità del fenomeno. Viene offerta una spiegazione semplice. Falsa anche secondo i criteri di verità che lo stesso mondo medico-scientifico si dà, ma semplice. Mi è stato detto da un amico che, come i ragazzini, anche la gente ha bisogno di regole semplici.

In ogni caso, però, esistono tuttora e sono sempre esistite altre interpretazioni dei fenomeni rispetto a quella che, in senso lato questa volta, possiamo chiamare scientifica. Una delle più antiche domande del genere umano, infatti, riguarda le ragioni dell’esistenza del male: perché la vecchiaia, la malattia, la morte? Vi sono state, nel corso dei secoli diverse risposte: il male come punizione di una colpa, il male come necessità, il male come fonte di conoscenza e crescita interiore, il male come mistero. Tutte dimenticate e abolite dallo scientismo populista, così come da decenni la nostra società ha abolito la dignità della vecchiaia e il pensiero stesso della morte. Quando morire era più semplice, la gente ne aveva meno paura. Quando morire era più semplice, la gente aveva più energia e più amore per la vita nel senso più pieno del termine.

Tali diverse interpretazioni dovrebbero, in teoria, esistere tuttora: la questione del male, infatti, è una delle questioni principali per numerosi sistemi filosofici e per pressoché tutte le religioni. Dobbiamo tristemente constatare, però, che l’unico credo rimasto a livello globale è quello che Agamben chiama nuova “religione della salute”, un culto che propone regole semplici e rapide soluzioni, non lascia posto alla complessità, non al dubbio né al dissenso. Se, come ricorda lo stesso Agamben, la maggior parte di noi è stata disposta a rinunciare del tutto alle proprie idee, alle proprie credenze e alla propria quotidianità in nome di questo nuovo culto, significa, purtroppo, che ciò che avevamo era privo di un vero e stabile fondamento, era solo un paravento dietro al quale nascondevamo quell’invincibile noia che caratterizza l’uomo contemporaneo, noia che ora è stata sostituita dalla paura. Forse però la libertà, soprattutto quella di pensiero, è sempre stata troppo dolorosa e quindi mal accetta dal genere umano, “giacché nulla mai è stato per l’uomo e per la società umana più intollerabile della libertà”, così ne I fratelli Karamazov il Grande Inquisitore rinfaccia a Cristo l’assurdità del libero arbitrio.

Complessità, dubbio, dissenso si chiamano oggi negazionismo e complottismo. La spiegazione dei media, fornita a livello globale, è considerata la più semplice, la più razionale e, credo, la più funzionale. I cosiddetti complottisti di contro offrono una spiegazione altrettanto semplice e razionale, che ha il pregio, però, di non voler sistematicamente abolire la variabile umana e che, anzi, dei suoi lati deteriori tiene ben conto. Ma anche non volendo sottoscrivere la teoria del Great Reset, mi sembra che ci siamo del tutto dimenticati di tremila anni di storia del pensiero.

Un “paese civile” non lascia morire la gente negli ospedali? Può essere, ma non lascia nemmeno soli gli anziani nelle case di riposo senza possibilità di vedere per mesi e mesi i propri cari. Chiediamolo a loro se preferiscono una sopravvivenza simile a quella del vegetale o una carezza da parte dei loro figli. Anche in questo caso vige la regola della quantità: i vecchi sopravvivono un anno un giorno un mese in più, ma, senza gli affetti, non vivono davvero. Un “paese civile” non impedisce (vale sempre la pena ricordarlo) di celebrare le esequie funebri, così come è accaduto nel marzo scorso. Non impedisce ai ragazzi di vivere la propria adolescenza, di crescere e di cogliere le possibilità che la vita offre loro. Anche considerando le cose da un punto di vista scientifico, alla condizione psicofisica dell’organismo ospitante prima di entrare in contatto con il virus nessuno pensa più: sarebbe troppo complesso, poco prevedibile e difficilmente calcolabile. Forse, invece, abbracci e carezze ci renderebbero tutti più forti e più umani.

Mi si chiede: cosa ti costa rimandare a tempi migliori un aperitivo o un pranzo in famiglia? Voglio testimoniare, per quanto mi è possibile, la complessità di questa situazione, la complessità di ogni situazione. Voglio ragionare in termini di qualità e non di quantità. Non voglio che la vita umana sia ridotta a quella biologica e l’uomo al suo corpo. Voglio per lo meno ricordare che ci sono state epoche per le quali la vita, la morte e l’uomo erano molto più di una semplice questione biochimica. Per quanto io sia ben consapevole di non far parte della corrente dominante di questo secolo, credo sia necessario che ognuno faccia la propria parte perché, come ricorda la Bhagavad-Gita è sempre meglio morire seguendo la propria legge che sopravvivere seguendo quella degli altri.

Comments

Search Reset
0
Raul Schenardi
Friday, 08 January 2021 19:53
A chi fosse interessato ad approfondire i temi della digitalizzazione, suggerisco la lettura di Francesco Varanini, Le cinque leggi bronzee dell'era digitale e perché conviene trasgredirle, Guerini e associati.
Le miracolose promesse della cd Intelligenza artificiale analizzate da un punto di vista umanista (dunque anti-transumanista) e confrontate con la saggezza che ci viene da poeti e pensatori del passato. Molto raccomandabile
Like Like Reply | Reply with quote | Quote
0
jimmie moglia
Friday, 08 January 2021 17:17
Brava, anzi bravissima Eleonora! E' sempre confortante scoprire limpide fonti di pensiero, prive della (frequente) assolutezza di opinioni (eufemismo per 'sicumera'). Purtroppo la logica sta morendo, insieme alla lingua e a quello che, ancora recentemente, si chiamava buon gusto.
Mi permettero' di citarla in uno dei prossimi articoli pubblicati sul sito saker.is, nonche' sul mio yourdailyshakespeare.com. E magari anche in uno dei prossimi episodi dei videos che produco per il canale youtube di Diego Fusaro, serie intitolata "Shakespeare nel Salotto"
Cordiali saluti,
Jimmie Moglia
Portland, Oregon
Like Like Reply | Reply with quote | Quote
0
Eleonora Zeper
Sunday, 10 January 2021 09:51
Grazie mille! Sono onorata del fatto che voglia citarmi.
Non vorrei suonare apocalittica ma...è un momento in cui è necessario, se la si pensa in maniera simile, stare vicini il più possibile.
Un cordiale saluto a Lei
Eleonora Zeper
Like Like Reply | Reply with quote | Quote
0
Paolo Selmi
Friday, 08 January 2021 08:28
Cara Eleonora,

Mi accodo ai ringraziamenti. Sarebbe bello assegnare un tema di questo tipo:

Tema:
Mao Zedong scrisse alle "sua" Jiang Qing (1914-1991), nel lontano 1966, riprendendo Confucio: 天下大乱,达到天下大治. (C'è "Grande disordine" sotto il cielo, occorre arrivare al "Grande ordine" sotto il cielo http://www.mzdbl.cn/maoxuan/huibian/geijiangqingdexin.html).

Oggi si parla di "Grande reset" successivo a questo "grande disordine" pandemico. Da decenni si parla di New World Order, ma in alcune sue versioni non è andato oltre lo slogan, in altre invece ha preso forme diverse e, in altre ancora, inattese. Analogie e differenze tra le varie epoche e i vari "disordini" e "riordini".

Svolgimento: ...

I temi hanno di bello che ti danno l'imbeccata, se hai studiato, altrimenti continui a guardarli come la mucca vede passare il treno. Di brutto hanno che l'imboccata è, ovviamente, pilotata. Tant'è vero che spesso mi son trovato a prendere l'imboccata e a contestarla, a ribaltarla, con risultati che andavano dall'otto al cinque al sei, a seconda di quanto ero riuscito a essere convincente o efficace nel ribaltarla. Palestra anche questa, a proposito della differenza fra "dissenso" e "complottismo".

L'idea che mi son fatto e mi sto facendo tutt'ora è che il "Grande disordine" sia voluto. Perché funzionale a farci digerire cose che altrimenti ci avrebbero visti in piazza. Esempio semplice che ripeto da mesi: non puoi ordinare ventisette milioni di dosi di un vaccino che deve stare a -75 altrimenti, dopo 5 minuti che è fuori, si corrompe e perde di efficacia, senza sapere come tenerlo a -75. Se lo fai, o sei un cialtrone, o un ladro in malafede. Considerando che le "commissioni scientifiche" sono composte da "tecnici", io l'imbeccata su quale versione propendo l'ho data... :-)

Torniamo al vaccino. Un mio carissimo amico è infermiere in rianimazione Covid "da queste parti" (mai bruciarsi le fonti... e ora anche a Milano nell'ospedale "Covid" zona fiera, perché i produttori di disordine ovviamente prevedono ospedali ma non prevedono infermieri, quindi TUTTI gli ospedali della zona, già intasati di loro, han dovuto prestare personale, d'altronde... per fare "grande disordine" basta poco, basta che tutti i decisori decidano "ad cazzum", senza guardare cosa fa la mano destra, o la sinistra, in Russia lo chiamano "sciopero italiano", ovvero quello che noi chiamiamo "sciopero bianco", lo rinforziamo un po' con qualche norma incomprensibile e il caos è assicurato). Ha già fatto il vaccino, fine mese ha il richiamo (doppia dose), a febbraio è immune. Mi ha parlato di due ambulatori che somministrano vaccini laddove ne servirebbero dieci, e mi ha detto anche:

"è inutile che diano il vaccino PRIMA a me, paradossalmente. Io lavoro bardato da testa a piedi, con una tuta, una maschera, dei guanti, una visiera che fuori da qui si sognano. Io non l'ho preso finora pur essendoci a contatto ogni giorno e non potrò mai prenderlo, se non per errori madornali miei. chi invece lo può prendere sono gli insegnanti, i bidelli, in generale chi è in generale a contatto con le persone e non con i dispositivi di cui io mi servo. Il vaccino avrebbero dovuto farlo PRIMA a loro. Nel caso degli insegnanti e di tutto il suo personale, le scuole potrebbero restare aperte molto più facilmente".

"in effetti..." è stata l'unica cosa che sono stato in grado di replicare.

Il disordine è voluto, ma senza un piano specifico. Non serve un piano per organizzare il casino. Anzi, in quelle condizioni più ognuno fa il "proprio dovere" e più si produce il casino.

Dal punto di vista sociale hai scritto delle cose bellissime con cui concordo pienamente. E aggiungo: un paese che costringe un vecchio a scegliere tra la morte e la carezza di un suo caro non è un paese civile. Ed è un anno ormai che andiamo avanti così.

Aggiungo una cosa sulle parole.

Distinguere fra "promiscuità", per esempio, che è un modo di socializzare ben più specifico di un più generico "assembramento", e "assembramento", ovvero distinguere fra sotto-insieme e suo insieme, non è mai stato neppure preso in esame. Io è un anno che faccio più o meno la stessa vita, mi incontro (senza più o meno) con le stesse persone, gli incontri "nuovi" avvengono in luoghi dove si entra lavandosi le mani, indossando la mascherina, prendendo la temperatura, incazzandosi se quello dietro invade il tuo spazio mentre stai scegliendo su quello scaffale di quel bancone tra due detersivi, ecc. Se il mio interlocutore/i, se la persona/e che incontro "in presenza" (altra bella parola...) fa la stessa vita, le possibilità che ciascuno di questo gruppo sia contagiate sono ridotte al lumicino. Se poi l'incontro lo pianifichiamo e facciamo tutti un tampone di quelli veloci, sono proprio ridotte allo zero virgola.

Basterebbe fare un'autocertificazione dove, se fermati, si è pronti a dichiarare tutto questo. E la PROMISCUITA' è azzerata. Certo, non in un ristorante, ma in un luogo dove anche le "visite" sono controllate. Ma è un anno che facciamo questa vita. C'è anche chi la faceva prima che diventasse un dipicciemme...

Scappo al timbro.
Buon Anno e non mollare
Paolo Selmi
Like Like Reply | Reply with quote | Quote
0
unoqualsiasi
Thursday, 07 January 2021 19:15
Grazie...
Like Like Reply | Reply with quote | Quote

Add comment

Submit