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In guerra con la Cina? I pericoli di una conflagrazione globale

L'ASCESA E IL DECLINO DEI POTERI ECONOMICI: IL CONFLITTO CINA-USA SI INASPRISCE

James Petras

Introduzione

I conflitti sempre più intensi tra Stati Uniti e Cina condurranno inevitabilmente ad una conflagrazione globale? Se cerchiamo una risposta nel passato recente, questa sembra essere un clamoroso sì. Le guerre più rovinose del XX secolo sono state il risultato di bracci di ferro tra potenze imperieliste affermate e nascenti. Le esperienze e politiche delle prime fungono da linea guida per le seconde.

Lo sfruttamento coloniale dell'India da parte dell'Inghilterra, dei suoi affari, dei suoi tesori, delle materie prime e del lavoro sono servite da modello per la guerra tedesca e per il suo tentativo di conquista della Russia [1]. L'ostilità tra Churchill e Hitler aveva tanto a che fare con le loro comuni mire imperialistiche quanto ne aveva con le loro contrastanti idee politiche. Inoltre, il saccheggio coloniale perpetrato da Europa e Stati Uniti nel sudest asiatico e nelle città della costa cinese sono state uno spunto per l'iniziativa del Giappone volta allo sfruttamento di Manciuria, Corea e Cina continentale.


Ogni qualvolta si siano verificati, i conflitti tra antiche, ma stagnanti, potenze imperialistiche e imperi appena svluppati e dinamici ha condotto a guerre mondiali in cui solo l'intervendo di un terzo potere imperialistico - gli Stati Uniti (così come l'inattesa prodezza militare dell'Unione Sovietica) - ha assicurato la difesa dell'impero nascente. Gli Stati Uniti stessi sono emersi come potenza imperialistica dominante a seguito di una guerra, hanno rimpiazzato le affermate potenze europee e subordinato quelle nascenti di Germania e Giappone, affrontando il blocco cino-sovietico [2]. Con il crollo dell'URSS e la mutazione della Cina in un paese dinamico e capitalista, il terreno era preparato per un nuovo scontro tra una potenza affermata, ovvero quella di Stati Uniti ed Europa, e una nuova potenza emergente a livello mondiale: la Cina.

L'impero degli Stati Uniti conta nel mondo circa 800 basi militari [3], alleanze multilaterali (NATO) e bilaterali, una posizione dominante all'interno delle istituzioni finanziarie internazionali sedicenti (Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale), nelle banche multinazionali, nelle società finanziarie e nelle industrie presenti in Asia, America Latina, Europa e altrove.

La Cina non ha sfidato né adottato il modello statunitense di costruzione di un impero attraverso l'imposizione di un potere militare. Né tantomeno si ispira agli approcci utilizzati da Giappone e Germania per competere con le potenze imperialiste affermate. La sua crescita dinamica è stimolata dalla competitività economica, i rapporti commerciali vengono guidati da uno stato in via di sviluppo e con la volontà di trarre spunti, imparare, innovare ed espandersi, internamente e oltreoceano, scalzando la supremazia statunitense nell'America Latina, nell'Medio Oriente e in Asia, così come negli Stati Uniti stessi e nell'Unione Europea [4].


Stati Imperialisti Affermati


Le guerre mondiali e regionali, nella misura in cui hanno coinvolto gli stati imperialisti affermati (e gran parte delle guerre erano state direttamente o indirettamente innescate da stati imperialisti), sono state il risultato di sforzi volti a conservare posizioni di privilegio nei mercati stabili, ottenere l'accesso alle materie prime, sfruttare l'industria attraverso accordi mercantili, coloniali, bilaterali e multilaterali. Le regioni caratterizzate da un alto numero di scambi hanno creato legami con gli stati imperialisti, rendendoli dipendenti ed escludendo i potenziali concorrenti.

Vista la condizione di privilegio e di antica fondazione del loro dominio imperialista, gli stati affermati hanno descrito quelli emergenti come "aggressori" che minacciavano la "pace", ovvero la loro condizione egemonica. Così come era successo per le potenze affermate, gli stati imperialisti emergenti hanno seguito uno schema di conquista militare di paesi coloniali e non coloniali degli stati affermati, con tanto di saccheggio finale [5]. Mancando della rete d'appoggio, di governatori e coloni delle potenze affermate, hanno fatto leva sul potere militare, sui movimenti separatisti e sui "collaborazionisti" (movimenti locali, fondamentalmente fedeli alla potenza imperialista emergente). Le potenze emergenti hanno dichiarato che la "legittimità" della loro richiesta ad una suddivisione del potere mondiale era stata ostacolata da boicottaggi economici illegali, come quello per l'accesso alle materie prime e ai sistemi mercantili coloniali, che hanno chiuso loro dei potenziali mercati [6]. La sconfitta degli stati affermati da parte degli emergenti (Germania e Giappone), con la sostanziale marcia indietro di Unione Sovietica e Stati Uniti, ha visto nascere una nuova configurazione di potenze che competono e lottano su nuove basi. L'Unione Sovietica ha fondato un gruppo di stati satelliti aggregati attorno a principi ideologico-militari, confinati nell'est europeo, in cui un potere imperialistico centrale sovvenziona i propri subordinati in cambio di controllo politico. Gli Stati Uniti hanno sostituito le potenze coloniali europee con una rete di trattati militari su scala mondiale e una violenta infiltrazione negli ex stati coloniali con un sistema di dipendenze neo-colonialiste [7].

Il collasso dell'impero sovietico e l'implosione dell'Unione Sovietica hanno aperto in tempi brevi nuove prospettive a Washington, per un impero unipolare privo di concorrenza, una "pax americana" [8]. Questa "visione", basata su un'analisi superficiale e monodimensionale sella supremazia militare statunitense, ha trascurato molte debolezze cruciali:

Il relativo declino del potere economico degli Stati Uniti, posto di fronte all'ostinata competizione europea, giapponese, dei nuovi paesi industrializzati e - all'inizio dei primi anni novanta - della Cina.

Le fragili fondamenta del potere imperialista statunitense nel terzo mondo, poggiate sull'alta vulnerabilità dei sistemi economici dei subordinati, soggetti a saccheggio, non sono riuscite a reggere.

La de-industrializzazione e la finanziarizzazione dell'economia statunitense hanno portato ad un declino dello scambio di merci e ad un aumento della dipendenza dai servizi finanziari. La quasi totale speculazione del settore finanziario ha comportato una enorme volatilità e lo sfruttamento delle risorse produttive, parallelamente all'aumento del debito.

In altre parole, la "facciata esterna" di un impero unipolare ha offuscato la crescente degenerazione interna e la profonda contraddizione tra l'espansione esterna e il deterioramento nazionale. La rapida espansione militare degli Stati Uniti e la sostituzione del patto di Varsavia con l'incorporazione dei paesi dell'est europeo nella NATO hanno creato l'immagine di un impero economico dinamico.

Si sono creati svariati problemi, dal momento che il bottino è stato trafugato in un'unica soluzione; il saccheggio, principalmente per mani di un'oligarchia di gangster russi arricchiti; la privatizzazione di gran parte delle ditte pubbliche, con il passaggio nelle mani della Germania e dei paesi dell'Unione Europea. L'impero statunitense, che ha sostenuto i costi di promozione della caduta dell'URSS, non ne è stato il primo beneficiario - i suoi guadagni sono stati principalmente di carattere militare, ideologico e simbolico.

Tra le inevitabili conseguenze a lungo termine del dopo Russia, le vittorie militari collezionate dagli Stati Uniti durante i regimi di Bush padre e Clinton, nella prima metà degli anni '90. L'invasione dell'Iraq e il rapido crollo della Jugoslavia hanno dato un enorme impeto alla costruzione dell'impero militare statunitense. Le rapide vittorie militari, la conseguente colonizzazione de facto del Nord dell'Iraq e il controllo imposto sui suoi scambi, oltre che sulle sue ricchezze, ha ridato vita all'idea che l'imperialismo colonialista fosse un progetto storico realizzabile. Inoltre, la fondazione dell'entità kosova (conseguente al bombardamento di Belgrado) e la sua trasformazione in una immensa base militare NATO ha rafforzato l'idea che l'espansione globale attraverso manovre militari fosse "la tendenza del futuro" [9]. Ancor più disastroso, la supremazia militare su quella economica ha comportato la costruzione dell'impero, portando ad un influenza sempre maggiore di ideologie militaristiche profondamente legate alla metafisica militare israeliano-sionista di guerre coloniali senza fine [10]. Come risultato, all'inizio del nuovo millennio tutte le parti politiche, militari e ideologiche erano al loro posto, pronte a lanciare una serie di guerre imperialistico-sioniste, che avrebbero poi corroso l'economia statunitense, abbassato profondamente il suo budget e il suo deficit d'affari, e aperto la strada ai nuovi imperi basati sul mercato dell'economia dinamica [11].

A differenza delle potenze imperialiste nascenti, la Cina ha puntato fin dall'inizio sullo sviluppo di forze produttive locali, costruendo sulle conquiste fondamentali della propria rivoluzione sociale. Tale rivoluzione ha creato un paese unificato, ha spodestato le enclavi coloniali, ha creato una forza lavoro sana ed istruita, infrastrutture di base e industrie. Le nuove leadership capitaliste hanno convertito l'economia all'estero e portato capitale estero per fornire tecnologia, hanno aperto ai mercati oltreoceano e alle abilità manageriali capitalistiche, pur mantenendo il controllo sul sitstema finanziario e sulle industrie più strategiche. Cosa ancor più importante, hanno quasi privatizzato l'agricoltura, creando un aumento della forza lavoro in svariati milioni di posti a basso reddito, e quindi un'intenso sfruttamento del lavoro nelle industrie di assemblamento. I nuovi capitalisti hanno eliminato la rete di sicurezza sociale del servizio sanitario e dell'istruzione di base gratuite, forzando i tassi sui risparmi per coprire le spese mediche e per l'insegnamento, e aumentando i tassi sugli investimenti a livelli astronomici. Inizialmente, quantomeno, la Cina, a differenza delle precedenti potenze imperialiste nascenti, ha intensificato lo sfrutamento del lavoro e delle risorse locali, anziché impegnarsi in conquiste militari oltreoceano, nel saccheggio delle risorse e nello sfruttamento di "lavori forzati".

L'espansione oltreoceano della Cina si è basata su aspetti economici, su una triplice alleanza tra capitali statali, stranieri e nazionali, all'interno della quale, col passare del tempo, il ruolo di ogni attore è variato a seconda delle circostanze politiche ed economiche, e con loro si è avuto il riallineamento delle foze capitaliste interne.

Fin dall'inizio il mercato interno è stato sacrificato a favore di quello estero. Il consumo di massa veniva dopo gli investimenti, i profitti, il benessere dello stato e di una élite privata. L'accumuilazione rapida e massiccia ha amplificato le ineguaglianze e concentrato il potere al vertice del nuovo sistema ibrido di classi statal-capitalistiche [12].

A differenza di quanto accaduto per le potenze imperialiste affermate e per gli Stati Uniti di oggi, la Cina, come potenza emergente, ha subordinato le banche a finanziare le industrie, specialmente quelle impegnate nelle esportazioni. A differenza degli Stati Uniti, la Cina ha ripudiato l'idea di sostenere grosse spese miliatri per basi oltreoceano, guerre coloniali e costose occupazioni militari. I suoi beni, invece, sono entrati nei mercati, incudendo quelli delle potenze affermate. La Cina si è ritrovata in una situazione sui generis, nella quale prende in prestito la tecnologia e acquista esperienza da multinazionali con basi imperialistiche, per poi riutilizzare le capacità acquisite per migliorare il ciclo produttivo, dall'assemblamento alla manifattura, ottenendo innovativi prodotti di alto valore [13].

I paesi imperialisti emergenti hanno aumentato le proprie esportazioni, limitando con fermezza l'infiltrarsi di servizi finanziari, la nuova forza trainante delle potenze consoldate. Il risultato, nel tempo, è stato un crescente deficit di scambi non solo con la Cina, ma con circa un centinaio di altri paesi nel mondo. Il primato delle élite imperialiste guidate finanziariamente dalle proprie forze militari ha inibito lo sviluppo del mercato di prodotti ad alta tecnologia, che sarebbe stato in grado di introdursi negli scambi dei paesi emergenti, riducendo il deficit d'affari. Invece, il settore industriale arretrato e sottosviluppato, non è stato in grado di competere con i prodotti cinesi a basso costo di produzione, e insieme all'élite di burocrati superpagati e ancorati al passato, hanno reclamato una competizione ingiusta e "una svalutazione della moneta cinese". Hanno trascurato il fatto che il deficit statunitense è in realtà il prodotto di configurazioni economiche interne e madornali sbilanci tra il settore finanziario, quello manifatturiero e quello produttivo. Un'armata di autori finanziari, economisti, ed esperti di varia natura, legati al capitale finanziario dominante, hanno fornito l'alibi ideologico alla campagna contro il potere economico nascente della Cina [14].

In passato, i paesi imperialisti affermati avevano organizzato una "divisione del lavoro". Nel modello coloniale, le regioni sotto il controllo straniero fornivano i materiali grezzi ed importavano beni manifatturieri dai coloni. Nel primo periodo post-coloniale la divisione del lavoro prevedeva la produzione intensiva di beni nei paesi neo-indipendenti in cambio di beni tecnologicamente più avanzati provenienti dai paesi imperialisti affermati. Un "terzo stadio" della divisione del lavoro è stato diffuso dalle ideologie del capitale finanziario, che vede le potenze affermate esportare servizi (finanziari, tecnologici, d'intrattenimento, ecc...) in cambio sia di forza lavoro che di beni manifatturieri avanzati. Le ideologie alla base di questa terza fase davano per assunto che il guadagno invisibile risultante da capitale finanziario rimpatriato avrebbe "bilanciato" le uscite generate dagli scambi commerciali. Il monopolio finanziario di Wall Street e della City di Londra dovrebbe assicurare il rientro di capitali in grado di mantenere in equilibrio il bilancio. Quest'assunzione errata si era basata sui primi modelli coloniali e post-coloniali, nei quali i paesi agro-minerari e industriali non controllavano le proprie finanze, le assicurazioni o il trasporto internazionale e interno delle materie prime. Oggi le cose non vanno così. I paesi come la Cina, che non sono in grado di dominare i mercati finanziari, hanno intensificato le proprie attività speculative interne ed intra-imperialistiche. Questo ha portato ad una spirale dell'economia fittizia, al suo inevitabile collasso e all'accumulazione di debito esterno, oltre ad una carenza di scambi.

Al contrario, la Cina sta facendo crescere il proprio settore industriale dosando le importazioni di materie prime semi-raffinate per l'assemblaggio, la tecnologia necessaria alla propria produzione industriale e il capitale legato alla maggior parte degli impianti di proprietà nazionale, con la vendita di prodotti finiti negli Stati Uniti, in Europa e nel resto del mondo. Attraverso le banche statali mantiene il controllo sul settore finanziario, grazie al quale può contenere l'uscita di "guadagni invisibili" sborsati alle potenze imperialiste affermate.

D'altro canto, le potenze affermate sono impegnate in spese militari, altamente non produttive e inefficienti (con costi di miliardi di dollari), e in guerre coloniali prive di "rendimento imperialista" [15]. Paesi come la Cina versano, invece, centinaia di miliardi nella costruzione della propria economia interna, come trampolino per la conquista dei mercati esteri. Le brutali guerre imperial-colonialiste delle potenze affermate hanno comportato la conquista, attraverso l'uso della forza, di milioni di persone, ma anche la dispersione di ingenti quantità di capitale. La Cina, invece, nel processo di accumulazione di capitale per la riproduzione estensiva nel mercato interno ed estero, ha sfruttato al massimo centinaia di milioni di lavoratori emigranti. A differenza del passato, oggi sono le potenze affermate a ricorrere all'aggressione militare per mantenere i mercati, mentre le quelle emergenti si espandono oltreoceano attraverso la competitività sui mercati.

La "malattia economica" dei paesi imperialisti affermati risiede nella loro tendenza ad allargare i settori finanziari, spostando il proprio piano d'azione dalla promozione dell'industria e degli affari alla speculazione e ad altre attività malsane, che hanno come unico effetto quello di alimentare se stesse ed autodistruggersi. Al contrario, i paesi emergenti convertono i capitali dai finanziamenti industriali interni per assicurarsi i materiali grezzi per l'industria oltreoceano.


Differenze tra basi dell'impero e "diaspore"


Ci sono importanti differenze tra i paesi imperialisti del passato, quelli attuali, e le varie diaspore oltreoceano. Nel passato, le basi imperialiste generalmente dettavano legge alle proprie colonie assicurando mercenari, coscritti e volontari per le loro guerre di conquista, così come facendo investimenti vantaggiosi e tessendo relazioni di scambio favorevoli. In alcuni casi i coloni hanno influenzato la politica dell'impero attraverso i loro rappresentanti, arrivando ad ottenere anche il decentramento del potere. Inoltre, alcuni coloni rimpatriati hanno ricevuto supporto politico dai poteri centrali, ottenendo garanzie di compensazioni finanziarie per le proprietà espropriate. Ad ogni modo, il potere centrale ha sempre calpestato le resistenze dei coloni oltreoceano quando si è trattato di scendere a patti con le ex-colonie che avevano mantenuto interessi economici e politici più ampi [16].

Lo stato imperialista statunitense, al contrario, paga un tributo multimiliardario e si sottomette alle politiche di guerra di Israele, apparentemente suo "sottoposto", come risultato delle configurazioni del potere sionista e della diffusione capillare delle sue strategie politiche. Dobbiamo anche fare i conti con la circostanza straordinaria della "Diaspora" di uno stato straniero (Israele), che vince a mani basse la bataglia delle strategie economiche (industria del petrolio), oltre a battere di diverse lunghezze i comandanti in capo e agenzie di intelligence dell'impero per quanto riguarda le decisioni politiche in Medio Oriente [17]. A differenza delle vecchie potenze affermate, negli Stati Uniti l'intero apparato di propaganda dei mass media, gran parte delle università, la maggioranza delle think tank storiche producono enormi quantità di programmi, pubblicazioni, articoli di politica che riflettono perfettamente il punto di vista filo-israeliano, censurando in vario modo qualunque dissidente, oppure forzandolo ad un'umiliante abiura.

Le nuove potenze imperialiste come la Cina non hanno alcuna dipendenza "egemonica" di tale calibro. A differenza della Diaspora israeliana, utilizzata come strumento politico-militare, quella cinese serve a sostenere l'economia dello stato. Occasioni di mercato agevolati per gruppi d'affari continentali, impegnati in joint venture dentro e fuori dalla Cina, senza che le regole interne dello stato coinvolto vengano stravolte. La Diaspora cinese non agisce come una "quinta colonna" contro l'interesse nazionale dei paesi in cui si trovano, diversamente da quanto accade per i sionisti americani, la cui organizzazione di massa convoglia tutti i loro sforzi nell'obiettivo di subordinare le politiche statunitensi per massimizzare i propri interessi.

Le differenze nelle relazioni tra i poteri centrali del presente e del passato e le loro diaspore, interne ed esterne, hanno enormi e sfaccettate conseguenze nel contesto della competizione per il potere globale. Proviamo ad elencarle in maniera "telegrafica".

Le potenze affermate europee, sacrificando la diaspora coloniale, pretendono il protrarsi delle forme di imperialismo a stampo coloniale-razzista, favorendo una transizione verso una maggiore indipendenza che sia graduale e condotta da trattative, nel frattempo hanno mantenuto e lasciato crescere gli investimenti a lungo termine e a larga scala, gli affari, i legami finanziari, e in alcuni casi anche le basi militari. Gli abitanti delle colonie sono stati così sacrificati per promuovere un nuovo tipo di imperialismo.

Le potenze imperialiste mergenti di oggi, vale a dire la Cina, non è ostacolata da coloni razzisti. Sono liberi di promuovere i propri interessi economici ovunque nel mondo, particolarmente nelle regioni, nei paesi e tra le persone scelte dalla quinta colonna, ovvero quelle che si trovano all'interno della potenza affermata rivale: gli Stati Uniti [18].

La Cina ha oltre 24 miliardi di dollari in investimenti vantaggiosi in Iran e nei suoi principali importatori di petrolio. Gli Stati Uniti non hanno alcun investimento o scambio. La Cina ha rimpiazzato gli USA come principale importatore di petrolio saudita, oltre ad essersi affermato come il primo paese negli scambi con la Siria, il Sudan e altri paesi musulmani, dove i sionisti avevano promosso sanzioni volte a minimizzare o eliminare l'attività economica statunitense [19]. Mentre per la Cina le politiche nazionaliste e di marketing sono state una forza motrice per innalzare la sua posizione economica globale, la durezza con cui gli Stati Uniti hanno gestito il proprio potere coloniale è stato un grosso errore economico. Allo stesso tempo, mentre la diaspora della Cina ha come unico scopo l'espansione dei legami economici, quella israeliana è strettamente vincolata alla militarizzazione delle politiche statunitensi, che devono impegnarsi in costose e prolungate guerre, ponendosi contro quasi ogni popolazione islamica con chiassosa retorica islamofobica e propaganda d'odio.

La svolta ad una politica estera militarizzata e totalmente "sbilanciata", promossa a favore di Israele, ha completamente stravolto il legame tra le decisioni militari e gli interessi economici oltreoceano degli Stati Uniti. Paradossalmente, la quinta colonna israeliana è stata un importante fattore a favore della sostituzione da USA a Cina nei maggiori mercati mondiali. Quelli che erano stati storicamente definiti come un popolo "senza patria" (cittadini di stati anticamente non-ebraici), essenzialmente definiti dalle loro capacità imprenditoriali, sono stati recentemente ridefiniti in America, ovvero dai suoi leader principali, come i difensori di una dottrina di guerre offensive (da cui "guerra preventiva") legate ad Israele, il paese più militarizzato del mondo [20]. Come risultato della loro influenza ed alleanza con estremistri di destra, Washington ha rinunciato ad importanti opportunità economiche, favorendo progetti di natura militare.


Come gli imperi reagiscono al declino: passato e presente

Così come sta accadendo oggi agli Stati uniti, gli imperi in declino hanno adottato nel passato varie strategie per minimizzare le perdite, alcune con maggior successo di altre. In generale, la scelta meno proficua è stata quella di ristabilire la dominazione coloniale facendo mosse anti-imperialiste nel tentativo di tornare al passato. Nel periodo in cui il potere economico globale è in declino, le politiche di restaurazione coloniale hanno sempre fallito. La strategia non militare è stata quella meno costosa e di maggior successo, assicurando almeno la parvenza di una presenza imperialista. Il successo si è basato sulla negoziazione delle transizioni verso l'indipensenza, grazie alle quali la supremazia di mercato era garantita dall'egemonia imperialista, associata ad un'emergente borgesia coloniale.

Storicamente, i poteri imperialisti in declino hanno fatto ricorso a cinque strategie differenti, o ad una loro combinazione.

Cercando di riottenere le colonie o le neo-colonie attraverso il rinnovo delle offensive militari. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Francia e l'Inghilterra, rispettivamente in Indocina ed Algeria e in Kenia, hanno pagato un prezzo molto salato sia economico che politico nel tentativo di reistituire regole coloniali, e in definitiva hanno fallito.

Negoziando un assetto neo-coloniale. L'Inghilterra, severamente indebolita dalle perdite subite durante la Seconda Guerra Mondiale e messa di fronte ad un movimento di indipendenza che contava svariati milioni di persone, ritenne saggio negoziare e concedere indipendenza all'India, in modo da conservare una facciata imperialista e legami d'investimento, oltre ad influenze politiche indirette attraverso ufficiali militari e civili addestrati in terra britannica.

Cedendo la guida ad un altro potere imperialista emergente. Diventando un partner giovane, l'approccio permette di assicurarsi almeno una quota ridotta di benefici economici e di influenza politica. L'Inghilerra, trovandosi ad affrontare il massiccio movimento comunista/anti-fascista, ha lasciato che il movimento di resistenza in Grecia assumesse un ruolo sempre più secondario, mentre gli Stati Uniti si innalzavano al ruolo di gendarme politico e prendevano il controllo dello stato emergente. La Gran Bretagna ha conservato una sfera d'influenza ridotta nei Balcani e nel Mediterraneo. Similmente, il Belgio ha tentato di sovvertire il nuovo governo nazionalista in Congo, guidato dal Presidente Patrice Lumumba soltanto per lasciare un posto d'onore al governo fantoccio di Mobutu appogiato dagli Stati Uniti.

Cedendo il governo a sovrani locali disposti a proteggere le manovre finanziarie ed economiche dell'era coloniale. Il ritiro del regime coloniale britannico dalla zona dei Caraibi ha abbassato i costi amministrativi e di polizia, necessari per proteggere e promuovere gli investimenti la posizione privilegiata della sterlina nel primo periodo post coloniale. Le "preferenze" dell'impero venivano promosse attraverso la rete dei "vecchi ragazzi" dell'Anglicizzazione - ufficiali britannici istruiti e indottrinati, che venivano arruolati forzatamente con cerimonie pompose dell'élite dominante. Ad ogni modo, nel tempo la dominazione del mercato attraverso "dottrine di libero scambio" ha rimpiazzato la vecchia rete post coloniale e ha spalancato le porte all'egemonia statunitense.

Il rapido collasso di un impero concorrenziale può dar vita ad un impero che sperimenti un declino più lento e prolungato. L'improvviso e totale collasso del sistema comunista e la disgregazione dell'URSS ha fornito un'eccezionale opportunità per gli Stati Uniti di estendere il proprio impero di basi militari e di reclutare mercenari per combattere le proprie battaglie imperialiste. Le principali potenze europee hanno vissuto la rinascita delle sorti imperialiste entrando in possesso di settori strategici come quello finanziario, industriale, dei servizi, dei trasporti e degli immobili nell'Europa dell'est, negli stati del Baltico e nei Balcani, prendendo il posto della Russia nel predominio del mercato e delle ideologie.

Esperienze recenti di come le classi dirigenti hanno gestito il proprio declino imperialista hanno rilevanza diretta sulle reazioni dei governatori dell'impero statunitense.


Le reazioni statunitensi al declino: salvare l'impero sacrificando la nazione


Washington ha manifestato almeno sei tipologie di reazioni differenti al proprio declino.

1. La reazione a lungo termine e a larga scala di Whashington al declino della propria posizione nel mondo dell'economia e a quello della propria influenza in svariate regioni è quella di estendere e rinforzare la rete mondiale di basi militari [21]. A partire dagli anni '90, ha convertito i paesi del patto di Varsavia - Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, ecc... - in membri della NATO sotto la guida militare statunitense. Ha poi esteso la propria portata militare incorporando l'Ucraina e la Georgia come membri "associati" della NATO. A questo è seguito l'allestimento di basi in Kirghizistan, Kosovo e altri stati dell'ex Jugoslavia.

Col nuovo millennio abbiamo assistito ad una serie di guerre prolungate ed invasioni militari in Iraq e Afghanistan, culminate nella costruzione massiccia di basi e nel reclutamento di polizia ed eserciti mercenari locali. Inoltre la Casa Bianca si è assicurata sette basi militari in Colombia, ha aumentato la propria presenza militare in Paraguay, Honduras e ha firmato trattati militari bilaterali con Perù, Cile e Brasile, nonostante la cacciata statunitense dalla base di Manta, in Ecuador [22]. Mentre gli Stati Uniti estendevano la propria influenza militare in Asia e in America Latina, la Cina li rimpiazzava in Brasile, Argentina, Perù e in Cile, diventando il principale partner d'affari [23]. Mentre gli Stati Uniti finanziavano un grosso esercito mercenario in Iraq, la Cina diventava il primo importatore di petrolio saudita. L'espansione militare globale statunitense non ha comportato un aumento parallelo o ad un recupero del potere economico globale. Al contrario, ad una crescita militare è corrisposto un ulteriore declino economico.

2. La seconda risposta della Casa Bianca al declino economico è stata una campagna molto attiva e ben finanziata per creare regimi clientelari. Gran parte degli sforzi hanno riguardato il finanziamento di élite locali, organizzazioni non governative, oppositori politici malleabili ed ex patrioti risiedenti negli Stati Uniti con legami a Washington e nelle agenzie di intelligence. Le cosiddette "rivoluzioni colorate" in Ucraina e Georgia, la "ribellione dei tulipani" in Kirghizistan, il collasso etnico della Jugoslavia, la divisione de facto dell'Iraq e l'instaurazione di una "repubblica" curda, la promozione dei separatisti tibetani e uiguri in Cina, degli oligarchi nella Bolivia dell'est e l'intervento militare in Taiwan possono essere considerati parte degli sforzi fatti per estendere la dominazione politica come reazione al declino economico globale.

Eppure la costruzione di un apparato clientelare è stata un fallimento per due distinte ragioni. I padroni hanno depredato l'economia, esaurendo i beni pubblici ed impovereno la popolazione, questo ha comportato in alcuni casi il loro rovesciamento, attraverso l'uso della forza o di elezioni [24]. In secondo luogo, i padroni sono più che altro un costo, con tutti i prestiti e i sussidi scuciti al Ministro Tesoro statunitense, e non apportano certo contributi alle aspirazioni dell'economia globale americana. La costruzione di un sistema clientelare costoso e il mantenimento di satrapi locali non fanno che minare l'instaurazione di un impero economico. Nel frattempo gli investimenti cinesi nella manifattura e la conseguente richiesta di materie prime e generi alimentari ha permesso di ampliare e rendere più proficua la sua presenza anche negli stati sotto controllo statunitense. Se da un lato gli Stati Uniti hanno seguito questi paesi nelle loro crescite e cadute in rapida successione, la presenza del mercato cinese ha comportato una crescita stabile.

3. Sotto la direzione di un'élite altamente militarizzzata, inclusi gli autorevoli politologi sionisti, Washington si è mossa in un ginepraio di guerre pluribilionarie di occupazione coloniale nel Medio Oriente e nell'Asia del sud, assumendo erroneamente che con "dimostrazioni di forza" avrebbero intimidito gli stati indipendenti e nazionalisti, nonché sostenuto la presenza economica statunitense. Al contrario, le guerre hanno diminuito l'influenza americana, e lasciato crescere i nazionalismi locali e l'emarginazione musulmana, specialmente alla luce dell'appoggio incondizionato di una Washington filo-sionista nei confronti del colonialismo israeliano. Più di qualunque altra mossa a sostegno dell'impero, le guerre coloniali prolungate hanno pesantemente reindirizzato le risorse economiche, che teoricamente avrebbero potuto rivitalizzare la presenza statunitense nell'economia globale, migliorandone la competitività rispetto alla Cina, trasformandole invece in spese militari non produttive.

4. Le guerre coloniali volte a ristabilire le potenze imperialiste, abbiamo notato, sono state messe in atto (e fallite) dagli stati europei in seguito alla Seconda Guerra Mondiale. Gli Stati Uniti, analogamente, internamente indeboliti dal saccheggio di Wall Street, della sua economia produttiva e dalle multinazionali, che hanno trasferito capitale oltreoceano, esternalizzando il lavoro - principalmente in Cina e in India - è sempre meno in grado di ripristinare e trarre profitto dalla costruzione dell'impero coloniale. L'ironia sta nel fatto che mezzo secolo fa sono stati proprio gli Stati Uniti ad optare per il predominio del mercato, preferendolo al modello coloniale europeo. Ora sta succedendo esattamente il contrario. L'Europa e la Cina cercano di ottenere l'egemonia attraverso gli affari, mentre gli Stati Uniti adottano il modello colonialista su basi militari che ha già fallito in passato.

5. Le operazioni clandestine, vale a dire colpi di stato, sono diventate il metodo più utilizzato per ribaltare i regimi nazionalisti nell'America Latina, in Iran, nel Libano e altrove. In ciascun caso, Washington ha sbagliato a reinstaurare un regime clientelare poiché ha causato un effetto boomerang: i governi che erano posti come obiettivo hanno radicalizzato le proprie politiche, ottenendo supporto e diventando ancora più trincerati. Ad esempio, un colpo di stato appoggiato dagli Stati Uniti in Venezuela è stato rovesciato, il Presidente Chavez è stato reintegrato, e ha proceduto alla nazionalizzazione delle principali multinazionali, spingendo l'opposizione latino americana ad accordi di libero scambio e alla costruzione di basi militari [25]. Analogamente, il supporto americano all'invasione di Israele in Libano e la successiva difesa ad opera di Hezbollah ha rafforzato la sua presenza all'interno del regime pro-statunitense di Rafiq al-Hariri.

6. L'appoggio incondizionato degli Stati Uniti allo stato militarista e razzista di Israele come suo principale alleato nelle guerre coloniali in Medio Oriente ha di fatto avuto l'effetto opposto: l'alienazione di 1.5 miliardi di persone di origine islamica, la distruzione di qualunque alleanza precedente (Turchia e Libano) e il rafforzamento dell'autorevolezza della politica sionista a difesa di un "terzo fronte militare" - una guerra con l'Iran, con i due milioni di persone armate.


Le strategie statunitensi per insidiare, indebolire e tagliare fuori dalla competizione la Cina come potenza imperialista emergente

Ai primi segni del potenziale cinese come come concorrente globale, Washington ha promsso una strategia economica liberale, sperando di creare un rapporto di "dipendenza". Successivamente, quando la liberalizzazione ha fallito il suo scopo, ma anzi ha accelerato la crescita cinese, Washington ha fatto ricorso a politiche più punitive.

Durante gli anni ottanta e novanta, la Casa Bianca ha incoraggiato la Cina a seguire una politica di "porte aperte" nei confronti delle multinazionali statunitensi, e ha fornito incentivi allo scopo di incoraggiare le multinazionali stesse a "colonizzare" settori strategici della crescita cinese. Gli americani hanno promosso con successo l'ingresso della Cina nell'Organizzazione Mondiale del Commercio, con l'idea che il "libero scambio" avrebbe agevolato la conquista del mercato cinese da parte delle multinazionali statunitensi. La strategia ha fallito: la Cina ha imbrigliato le corporazioni americane nella loro stessa strategia di esportazioni, conquistando il mercato statunitense; ha forzato le multinazionali in associazioni che hanno accelerato il trasferimento delle conoscenze tecnologiche, promuovendo la crescita industriale cinese e aumentando la propria capacità produttiva. L'accordo dell'Organizzazione Mondiale del Commercio ha indebolito le barriere agli scambi statunitensi e facilitato l'afflusso di capitali americani nei settori produttivi cinesi, erodendo così le basi produttive degli Stati Uniti e minandone la competitività. Col tempo, le aziende cinesi, statali e private, crebbero e superarono, in parte, le proprie "dipendenze" assumendo maggior controllo sulle associazioni e svilupparono i propri centri di innovazione, affari e finanza [26].

La strategia liberale di creazione di una dipendenza aveva fallito; era stata la Cina ad accumlare eccedenze negli scambi e quindi ad assumere il ruolo di creditore mentre gli Stati Uniti erano diventati il "debitore". La liberalizzazione poteva aver funzionato in America Latina e in Africa. Quegli stati, guidati da governanti corrotti, hanno assistito al saccheggio delle proprie materie prime, alle rovinose privatizzazioni e denazionalizzazioni di società strategiche e al massiccio deflusso di guadagni. Ma in Cina i governatori hanno imbrigliato le corporazioni statunitensi ai loro progetti nazionali, assicurandosi il controllo sul processo dinamico dell'accumulazione di capitale. Hanno sacrificato i profitti a breve scadenza per l'obiettivo, ben più a lungo termine, di ottenere i mercati, le conoscenze e di diffondere e approfondire nuove linee produttive attraverso "regole di produzione locale" (dal testo originale "content rule" o anche "local content rule" è la legge che regola la produzione di un prodotto attraverso lo sfruttamento di materie prime locali in una percentuale minima fissata, ndt) e trasferimenti di conoscenze tecnologiche. La liberalizzazione ha favorito l'esplosione degli scambi commerciali cinesi, mentre l'economia guadagnava autonomia, migliorando il ciclo produttivo.

La Cina ha tenuto le redini del settore finanziario, bloccando una presa di controllo da parte dei settori finanziari principali, dei media, degli immobili e delle assicurazioni statunitensi [27]. Limitando il subentro, la speculazione e l'instabilità, la Cina ha evitato le crisi periodiche che hanno afflitto gli Stati Uniti tra il 1990 e il 2001, tra il 2000 e il 2002, tra il 2008 e il 2010. La versione cinese delle "porte aperte" non era una replica di quella precedente, che permetteva la dominazione straniera di enclavi costiere. Piuttosto, le multinazionali straniere diventarono "isole di crescita", affievolirono la possibilità di ulteriori controlli da parte dello stato cinese e permisero l'espansione oltreoceano.

Dai primi anni del nuovo millennio, Washington si è resa conto che la strategia liberale non era riuscita a frenare l'ascesa cinese come potenza globale, e che anzi si era convertita in un piano punitivo.


Strategie per minare e indebolire la Cina come potenza globale emergente


Gli Stati uniti hanno sviluppato una strategia dettagliata, complessa e ramificata per minare l'ascesa della Cina a potenza globale. La strategia include mosse economiche, politiche e militari studiate per indebolire la crescita dinamica cinese e contenere la sua espansione all'estero.


Strategie economiche


Washington, appoggiata dalla stampa finanziaria più autorevole, così come dai principali economisti ed "esperti", sostenne che occorreva intervenire nelle politiche economiche interne cinesi con misure pensate per smembrare il suo modello di crescita dinamica. La richiesta più diffusa è che la Cina sopravvaluti la sua valuta in modo da corrodere i suoi margini di competitività e indebolire le industrie impegnate nell'esportazione dinamica [2].

Nel passato, tra il 2000 e il 2008, la Cina ha rivalutto il suo tasso di scambio del 20%, riuscendo comunque a duplicare le proprie esportazioni verso gli Stati Uniti [29]. Ci sono riusciti aumentando la produttività, diminuendo i tassi di profitto e migliorando i controlli di qualità. Inoltre, il problema dei bilanci negativi per gli affari statunitensi è un problema cronico e mondiale - gli USA hanno bilanci negativi con oltre 90 paesi, inclusi Giappone e Unione Europea [30].

La coalizione anti-cinese, guidata dal complesso Washington - Wall Street, ha continuato a fare dure pressioni su Pechino affinché deregolamentassi il proprio settore finanziario per facilitare la scalata dei mercati finanziari cinesi, invocando violazioni di "scambi ed investimenti". La Casa Bianca vede nel potente settore finanziario l'unica leva attraverso la quale conquistare le vette di comando dell'economia cinese, attraverso fusioni ed acquisizioni. Questa campagna ha perso forza durante le crisi del periodo 2008 - 2010, indotta dall'attività speculativa di Wall Street. Il sistema finanziario cinese ne è stato a mala pena colpito, grazie alla sua struttura di regolamentazione pubblica e grazie ai vincoli sull'ingresso delle banche statunitensi.

Washington ha imposto misure protezioniste, contrarie alle regole dell'Organizzazione Mondiale del Commercio, sotto forma di tariffe sulle esportazioni cinesi di acciaio e abbigliamento, e il Congresso ha minacciato una tassa del 40% su tutte le esportazioni cinesi negli Stati Uniti - un invito ad una "guerra d'affari".

Gli Stati Uniti hanno bloccato svariati investimenti cinesi a larga scala, nonché l'acquisto di compagnie petrolifere, società tecologiche e altre imprese. In opposizione a questo, la Cina ha permesso alle multinazionali statunitensi di investire decine di miliardi di dollari e di subappaltare in vari settori dell'economia cinese. La Cina, come potenza mondiale emergente, è sicura del fatto che la propria economia dinamica può arginare le corporazioni statunitensi nella loro crescita, mentre gli Stati Uniti, di fronte al deterioramento della propria posizione, si preoccupano per qualunque accelerazione della "scalata cinese", una preoccupazione generata dalla fragilità economica, nascosta e camuffata da una retorica di "minaccia alla sicurezza".

Washington ha incoraggiato gli investitori oltreoceano e i fondi di investimento a sovranità cinese a creare un collegamento con le società finanziarie statunitensi impegnate in attività speculative, sperando così di rafforzare l'afflusso di capitali negli Stati Uniti e di creare una "cultura della speculazione" in Cina, per indebolire la produzione di capitale nell'apparato di pianificazione statale.

La Casa Bianca ha intensificato le sue minacce di rappresaglia economica in modo da minare ed escludere le esportazioni cinesi, oltre ad assicurare concessioni che compromettano la legittimità politica interna dei suoi governanti, se e quando dovessero accettare i dettami di Washington. I leader politici cinesi che dovessero concedere agli Stati Uniti la possibilità di decidere le politiche economiche interne provocherebbero pesanti opposizioni da parte degli uomini d'affari e dei lavoratori, che sono prevenuti nei confronti di quelle politiche. Una volta compromessi e indeboliti, messi di fronte ad un'opinione pubblica indiammata, i leader cinesi affronterebbero le pressioni interne ed esterne - mettendo a serio rischio la stabilità della Cina.

Washington ha dato vita ed orchestrato una campagna sui media internazionali, mobilitando il Fondo Monetario internazionale e l'Unione Europea per indebolire il modello industriale cinese, accusando la sua ascesa come potenza mondiale del proprio declino. Dai principali cronisti della stampa finanziaria "seria" alla sensazionale stampa scandalistica a grande tiratura, dai leader politici del Congresso ai funzionari anziani dell'esecutivo, ai proprietari di aziende manifatturiere non competitive e sindacalisti burocrati di un movimento laburista moribondo, è stata allestita una campagna per "affrontare" la Cina con una schiera di crimini e peccati che si estendende dalla competizione scorretta, salari bassi, sussidi statali, fino alla qualità scadente e alla scarsa sicurezza dei prodotti.

Gli accademici, gli economisti, i consulenti, gli esperti finanziari statunitensi e inglesi profondamente radicati nell'impero hanno incoraggiato le proprie controparti cinesi, così come gli investitori e i politici stranieri, a diffondere politiche in linea con le richieste della Casa Bianca. Lo scopo era di facilitare l'ingresso statunitense e di limitare l'espansione cinese verso l'estero.

Ogni giorno gli "esperti" statunitensi scroprivano nuover ragioni per invocare una "crisi imminente" in Cina: l'economia sta rallentando, o crescendo troppo in fretta; una "bolla" è pronta ad esplodere nel campo immobiliare [31]; le banche sono sovraccaricate da debiti, ponendo il sistema finanziario a rischio di collasso; l'inflazione sta crescendo senza controllo; gli investimenti oltreoceano stanno seguendo percorsi coloniali; l'economia è sbilanciata, troppo legata all'esportazione e non al consumo interno; la competitività delle esportazioni è uno dei fattori principali di squilibrio negli affari globali; i rapporti con la crescite economica asiatica minacciano la sicurezza nazionale cinese, ecc... Queste e molte altre argomentazioni, presentate come serie analisi economiche sul Financial Times, il Wall Street Journal e il New York Times, sono studiate per incolpare la Cina delle debolezze e del declino della competitività economica statunitense nel mondo. Lo scopo è quello di influenzare ed esercitare pressioni sui neoliberali cinesi "malleabili" o "accomodanti" affinché cambino le loro politiche. Cosa altrettanto importante, queste "critiche" sono pensate per unificare l'élite degli affari, della politica e militare, oltre a giustificare azioni aggressive nei confronti della Cina. Il problema di base con le analisi di questi esperti è che sono stati confutati dalla continua crescita dinamica della Cina, dalla sua abilità a gestire e regolare i prestiti finanziari per prevenire l'esplosione della bolla, dall'accoglienza sempre migliore da parte segli ospiti africani verso nuovi accordi di investimento, grazie a prestiti relativamente generosi e progetti per infrastrutture affiancati ad investimenti nel settore estrattivo [32]. Più di recente Washington ha convinto India e Brasile ad unirsi al coro di accuse alla Cina per scorrettezze negli affari, una delle alleanze piè pericolose che si stiano formando.


Offensiva politica


Il declino delle potenze imperialiste affermate, come gli Stati Uniti di oggi, ha un repertorio di automatismi pensati per screditare, sedurre, isolare e contenere le potenze mondiali emergenti come la Cina, mettendole sulla difensiva.

Uno degli stratagemmi politici che dura da più tempo è la campagna di propaganda americana per i diritti umani, con cui sottolinea le violazioni perpetrate dalla cine, ignorando i propri attacchi e minimizzando le azioni dei propri alleati, come quelle dello stato di Israele. Screditando la politica interna cinese, il Dipartimento di Stato spera di gonfiare artificialmente l'autorità morale degli Stati Uniti e di spostare l'attenzione dalle proprie violazioni ai diritti umani, a lungo termine e su larga scala, costruendo una coalizione anti-Cina.

Mentre la propaganda sui diritti umani viene usata come arma per combattere l'avanzata economica cinese, Washington cerca la cooperazione della Cina nel tentativo di rallentare il proprio declino. I diplomatici statunitensi insistono nel voler "trattare la Cina alla pari", riconoscendola come "potenza mondiale" che deve "assumersi le proprie responsabilità" [33]. Dietro a questa retorica dipomatica c'è lo sforzo di costringere la Cina ad una politica di collaborazione e di sostegno alle strategie statunitensi come socio giovane, alle spese degli interessi economici cinesi. Ad esempio, se da un lato la Cina ha investito miliardi di dollari in joint venture con l'Iran e ha sviluppato relazioni d'affari in crescita, Washington pretende il supporto cinese per sanzioni che indeboliscano e degradino l'Iran per aumentare il potere militare statunitense nel Golfo [34]. In altre parole, la Cina dovrebbe rinunciare all'espansione del proprio proprio mercato per condividere la "responsabilità" nel controllo del mondo, cosa in cui gli Stati Uniti primeggiano. Allo stesso modo, sintetizzando il significato delle richieste avanzate dalla Casa Bianca di "assunzione di responsabilità" per "ribilanciare l'economia mondiale", questo si riduce ad imporre a Pechino una riduzione della propria crescita dinamica, in modo da permettere agli Stati Uniti di ottenere vantaggi negli affari e di ridurre ("ribilanciare") il proprio deficit.

Alternando gesti simbolici e positivi, come il riferirsi a Stati Uniti e Cina come il G2, le due potenze mondiali determinanti, la Casa Bianca ha di fatto incoraggiato un "fronte unito" con l'Unione Europea contro le presunte manovre cinesi di "protezionismo", "manipolazione della valuta" e altre norme economiche "ingiuste" [35].

Agli incontri internazionali come la recente conferenza tenutasi a Copenhagen sul riscaldamento globale, l'incontro sul GATT (General Agreement on Tariffs and Trade, ovvero l'accordo generale su tariffe e scambi, ndt), in cui si è discussa la liberalizzazione degli scambi, e l'incontro delle Nazioni Unite sull'Iran, Washington ha tentato di demonizzare la Cina indicandola come il principale ostacolo alla buona riuscita degli accordi globali, allontanando l'attenzione dalle azioni cinesi, quali la conformità agli standard sul clima, con cui si posiziona ben al di sopra degli Stati Uniti [36], l'opposizione al protezionismo e la ricerca di negoziazioni con l'Iran.

Nel tempo, questa offensiva imperialista ha provocato una risposta aggressiva da parte della Cina, che ha raggiunto una maggiore fiducia nelle proprie capacità di gestione del potere.


Strategie per contrastare le potenze imperialiste affermate


Una delle risposte più formidabili ed efficaci di una potenza economica emergente verso gli sforzi fatti da potenze imperialiste affermate per bloccare la sua avanzata è... di continuare a crescere ad un tasso raddoppiato o triplicato rispetto alla decrescita del suo avversario. Nulla mette alla prova la propaganda di "crisi" emanata dagli esperti statunitensi quanto, ad esempio, la notizia che nel primo trimestre del 2010 la Cina ha avuto una crescita del 12%, sei volte quanto previsto per gli Stati Uniti [37]. La politica cinese nei confronti degli attacchi e delle minacce statunitensi è stata soprattutto reattiva e difensiva, anziché aggressiva, specialmente durante la prima decade dell'avanzata verso la condizione di potenza globale.

La Cina ha sostenuto che il proprio tasso di scambio fosse un "affare interno" e ha risposto alle richieste statunitensi, rivalutando la propria valuta (2006 - 2008) del 20%. Più tardi la Cina ha specificato che il trambusto relativo alla valuta aveva poco a che fare con il deficit di scambi degli Stati Uniti, evidenziando come questo fosse legato alla debolezza strutturale dell'economia statunitense, ovvero ai pochi risparmi, la bassa creazione di capitale e la perdita di competitività.

Inizialmente la Cina ha protestato soltanto per quanto riguarda gli attacchi ai diritti umani, negando le proprie colpe o sostenendo che riguardassero affari interni. A partire dal 2010, comunque, la Cina ha iniziato a muoversi in maniera più aggressiva, pubblicando il proprio inventario di violazioni ai diritti umani perpetrate dagli Stati Uniti [38]. Quando Washington ha protestato per le violazioni ai danni dei separatisti Tibetani e Uiguri, la Cina ha rimproverato l'interferenza americana negli affari interni cinesi e ha minacciato di compiere rappresaglie, cosa che ha spinto Washington a fermare la propria crociata.

Pechino ha incoraggiato le multinazionali statunitensi ad investire in Cina e ad esportare i prodotti negli Stati Uniti. Vista la crescita complessiva cinese, l'ingresso delle corporazioni non ha aumentato il potere americano, ma piuttosto ha fornito alla Cina una lobby a Washington che si è opposta alle misure protezioniste.

La Cina ha fatto poco per vincolare l'espansione oltreoceano degli Stati Uniti, (dal momento che Washington ha un'eccellente attività di autodistruzione) e si è invece preoccupata di rafforzare la propria strategia su base economica di aumento degli investimenti, prendendo in prestito la tecnologia e arricchendo le proprie industrie di alta tecnologia. La Cina, nonostante le pressioni ricevute da Washington, si è rifiutata di appoggiare la sua campagna di sanzioni nei confronti dell'Iran e ha deciso di creare legami commerciali con l'Afghanistan, laddove l'occupazione militare statunitense costa miliardi di dollari e allontana gran parte degli afghani, inclusi i suoi investitori [39]. La Cina ha rifiutato di dare il proprio supporto alla strategia militare di Obama, volta a rafforzare l'impero. Se da un lato, quindi, partecipa agli incontri e alle conferenze bilaterali, dall'altro la strategia cinese è di non fare concessioni che possano mettere a rischio i suoi mercati oltreoceano, senza mettere direttamente a confronto le missioni militari promosse da Obama.

Cosa ancor più singolare, in Asia i paesi in maggior crescita hanno ignorato gli avvertimenti americani circa la "minaccia alla sicurezza" rappresentata dalla Cina e hanno espanso i loro affari e legami economici con il loro vicino. Col tempo l'Asia sta rimpiazzando gli Stati Uniti come il partner d'affari di Pechino con la crescita più rapida. Più di recente, nell'aprile 2010, l'India ha espresso preoccupazione sull'iniquità dei propri scambi con la Cina ed ha intrapreso negoziazioni per aumentare le proprie esportazioni.

Nell'insieme, la strategia imperialista statunitense, volta ad arginare il proprio declino e bloccare la crescita della Cina come potenza mondiale, ha fallito. I politici e i detrattori finanziari della Casa Bianca hanno ignorato le importanti fondamenta su cui è costruito l'impero cinese e la sua capacità di rimediare agli squilibri interni per sostenere l'espansione dinamica.


Le colonne portanti del potere globale


La Cina, come era capitato ad altre potenze globali emergenti, ha tentato - in questo caso con successo e senza l'utilizzo della forza - di porre le basi per un'impero economico sostenibile. La strategia include una complessa miscela di misure adottate dentro e fuori dai confini:

1. Gli investimenti oltroceano, per assicurarsi risorse strategiche, specialmente energia, metalli e cibo [40].

2. Gli investimenti interni di alto livello, per incrementare la capacità manifatturiera, introducendo tecnologia avanzata per migliorare il valore aggiunto e smorzare la propria dipendenza dall'importazione di componenti. Elevati investimenti sono percepiti come necessari per sostenere la competitività nelle esportazioni.

3. Le consistenti spinte a migliorare l'istruzione della forza lavoro, al fine di ottenere la supremazia industriale - con maggior rilievo ad ingegneri, scienziati e manager industriali rispetto a speculatori, banchieri e avvocati. Ad ogni modo, gli sforzi della Cina per promuovere la propria forza lavoro non otterranno successi a meno che non vengano riconosciuti ed integrati quei 200 - 300 milioni di lavoratori emigranti i cui figli sono attualmente esclusi dall'istruzione avanzata nelle principali città del paese [41].

4. Gli investimenti multi miliardari nelle infrastrutture, includendo dozzine di nuovi aeroporti, autostrade ad alto scorrimento e corsi d'acqua a creare collegamenti tra le regioni costiere e l'interno del paese, aumentando la crescita dinamica delle industrie. Tra i risultati, una minore migrazione ai centri di manifattura costieri, che in alcuni casi ha comportato scarsità di lavoro, ma che poi ha anche permesso un aumento significativo dei salari e minori squilibri geografici nello sviluppo dei poli vecchi e nuovi.

5. Mentre il lavoro professionalizzato comincia a prendere il posto di quello non professionalizzato, e mentre la crescita dinamica scala le vette della produzione ad alto valore aggiunto, altrettanto fanno i salari medi e la consapevolezza sociale, consentendo di diminuire la pressione sociale dovuta alle disuguaglianze tra classi.

6. Come risultato delle pressioni sociali, evidenziate in oltre 100.000 proteste locali, scioperi e dimostrazioni all'anno, il governo si è mosso cercando di diminuire le tensioni di classe, e lo ha fatto in parte con investimenti in assistenza sociale e altre spese di natura sociale. La Cina si sta spostando dall'acquisto di buoni del Tesoro statunitensi agli investimenti in sussidi per la sanità e l'istruzione pubblica nelle aree rurali. Riportando lo Stato nello sviluppo sociale, anziché affidarsi al mercato, che ha dimostrato la propria inefficienza, la Cina sta migliorando e ammodernando i processi di produzione nei lavori rurali.

Riassumendo, le colonne portanti della spinta dinamica cinese a diventare una potenza globale risiedono nel ribilanciamento dell'economia, nel miglioramento della propria base produttiva, nell'espansione del mercato interno, nel perseguire la crescita e la stabilità sociale e nel massimizzare l'accesso agli articoli essenziali alla produzione.


La versione cinese del "ribilanciamento" dell'economia: nuove contraddizioni

Il ribilanciamento cinese dell'economia interna è stato accompagnato da una trasformazione delle rapporti economici con gli Stati Uniti. Visto l'atteggiamento apertamente ostile adottato dai leader del Congresso e vista la condizione stagnante del mercato americano, la Cina ha aumentato i propri affari ed investimenti con l'Asia, in modo da diminuire la propria idpendenza dal mercato statunitense e con essa il rischio di dover affrontare la morsa protezionista [42]. Sebbene la Cina sia ancora un "creditore" per gli Stati Uniti, sta spostando i propri investimenti in affari più produttivi (e lucrativi). Non tutte le speculazioni cinesi oltreoceano sono state un successo, si vedano ad esempio alcuni uomini d'affari "istruiti in occidente", che hanno perso svariati miliardi di dollari investendo nel gruppo Blackstone o simili.

Il "ribilanciamento della crescita" cinese ottenuto attraverso il rafforzamento delle fondamenta per successive espansioni, deve affrontare rischi maggiori provenienti dall'interno che non dall'esterno. Entro i confini cinesi, svariati cambiamenti nella struttura sociale possono mettere in pericolo la stabilità del sistema, così come è successo per altre potenze affermate. La spinta verso un'espansione oltreoceano ha dato vita ad una parte della nuova classe dirigente pubblico-privato che ignora la necessità di sviluppare un mercato interno, specialmente per quello che riguarda gli investimenti nello sviluppo sociale. In secondo luogo, l'intera classe dirigente e l'élite al governo, se da un lato appoggiano formalmente il bisogno di migliorare le condizioni di lavoro, costruendo una rete di sicurezza sociale nelle aree rurali ed estendendo il diritto alla salute e all'istruzione agli emigranti, dall'altro si rifiutano di aumentare le proprie tasse, si oppongono a qualunque politica di redistribuzione e difendono i propri privilegi di famiglia creando le condizioni affinché si intensifichino le tensioni e i conflitti di classe.

Altrettanto deleterio per il futuro delle fondamenta dell'espensione cinese è l'emergere di una classe di speculatori particolarmente influente, soprattutto nel campo immobiliare, bancario e in quell'élite politica locale che favorisce le bolle economiche, che a loro volta minacciano l'intero sistema finanziario [43]. Mentre il regime, nonostante il controllo sulla politica monetaria e sul sistema finanziaro, adotta strategie per "sgonfiare" la bolla, non fa nulla dal punto di vista strutturale che possa insidiare questo settore o la classe dirigente. Inoltre, la speculazione nell'ambito immobiliare aumenta il costo delle case oltre le possibilità di gran parte dei lavoratori, e allo stesso tempo i prezzi gonfiati delle terre permettono l'espropriazione arbitraria dei proprietari da ufficiali locali e regionali legati agli speculatori edilizi, alimentando agitazioni di massa e in alcuni casi violente proteste.

La crescita delle importazioni, degli speculatori finanziari e di coloro che diventano miliardari grazie ad investimenti immobiliari potrebbe garantire un'apertura per il settore principale dell'impero statunitense: la classe dirigente finanziaria, immobiliare e delle assicurazioni. Fino ad ora le ripetute crisi ed instabilità indotte da questi settori nei periodi 1990 - 2001, 2000 - 2002, 2007 - 2010, hanno messo in pericolo la loro abilità di infiltrarsi nell'economia cinese.

Vista la continua crescita della Cina, particolarmente evidente oggi, con un +9% nel 2009 e un +12% nel 2010, mentre gli USA rantolavano attorno ad una crescita zero, chi ha di più da perdere se e quando Washington deciderà di innescare una guerra commerciale?


Confronto esterno sulla riorganizzazione interna: con gli USA ?


Gli Stati Uniti ha contratto debiti con almeno 91 paesi oltre alla Cina, a dimostrazione del fatto che il problema risiede nella struttura dell'economia statunitense. Qualunque misura punitiva per limitare le esportazioni cinesi negli USA non farebbero altro che aumentare i debiti con altri esportatori concorrenti. Una diminuzione delle importazioni statunitensi dalla Cina non risulterebbero in un aumento della manifattura americana, a causa della natura sottocapitalizzata di quest'ultima, direttamente legata alla posizione dominante del capitale finanziario nel trovare e nel ridistrubuire i risparmi. Inoltre, "terzi" paesi potrebbero ri-esportare prodotti fabbricati in Cina, mettendo gli Stati Uniti nella non invidiabile posizione di dover ingaggiare una guerra commerciale con chiunque oppure ammettere il fatto che un'economia basata sulla finanza, al giorno d'oggi, non è competitiva.

La decisione della Cina di trasferire sempre di più il proprio surplus dagli acquisti in buoni del Tesoro statunitense in investimenti più produttivi, come ad esempio lo sviluppo del proprio "hinterland" o speculazioni strategiche oltreoceano in materie prime e nel settore energetico, potrebbero forzare il Ministro del Tesoro americano ad aumentare i tassi d'interesse per impedire una massiccia fuga dal dollaro. Tassi d'interessi in aumento potrebbero giovare ai commercianti, ma potrebbero anche affievolire qualunque possibilità di recupero o addirittura far affondare il paese di nuovo nella depressione. Nulla indebolisce un impero globale più del fatto di fover rimpatriare gli investimenti oltreoceano e vincolare i prestiti stranieri al sostentamento di un'economia interna in continuo riassetto.

Il perseguimento delle politiche protezioniste avrebbe un impatto maggiormente negativo sulle multinazionali americane in Cina, poiché la maggior parte dei loro prodotti viene esportata nel mercato statunitense: Washington si darebbe la zappa sui piedi. Non solo, una guerra commerciale potrebbe espandersi ed influenzare negativamente il mercato automobilistico degli Stati Uniti. General Motors e Ford fanno molti più affari in Cina che negli USA, dove stanno andando pesantemente in rosso [44]. Una guerra commerciale da parte degli Stati Uniti avrebbe un impatto inizialmente negativo sulla Cina, fino a che questa non riuscisse a rimettersi in sella, traendo vantaggio dai potenziali 400 milioni di consumatori nelle regioni più interne del paese. Non solo, gli economisti cinesi stanno rapidamente diversificando gli scambi con l'Asia, l'America Latina, l'Africa, il Medio Oriente, la Russia, e anche con l'Unione Europea. Il protezionismo potrebbe creare qualche posto di lavoro negli Stati Uniti in alcuni settori manifatturieri non competitivi, ma costerebbe molti più posti di lavoro nel settore commerciale (Wal Mart), che dipende dagli articoli a basso prezzo per i consumatori con scarse possibilità economiche.

La retorica commerciale bellicosa sul Campidoglio e sulle politiche di contrasto diretto adottate dalla Casa Bianca è un atteggiamento pericoloso, pensato per deviare l'attenzione dalle debolezze profonde e strutturali delle basi su cui è fondato l'impero. Il settore finanziario pesantemente arroccato e l'altrettanto dominante metafisica militare, che impartisce ordini alla politica estera, hanno portato gli Stati Uniti lungo il ripido pendio delle crisi economoche croniche, delle costose guerre senza fine, delle disuguaglianze di classe ed etico-raziali sempre più profonde, così come del declino degli standard di vita.

Nel nuovo ordine mondiale competitivo multi-polare, gli USA non riescono a seguire con successo la tattica di ostacolare una potenza imperialista emergente bloccandole l'accesso a risorse strategiche attraverso boicottaggi coloniali. La Casa Bianca non riesce a fermare la Cina con i suoi investimenti lucrativi e gli accordi commericali nemmeno nei paesi sotto occupazione americana, come l'Iraq e l'Afghanistan. Per quanto riguarda i paesi sotto la sfera d'influenza americana, come il Taiwan, la Corea del Sud e il Giappone, il tasso di crescita degli scambi e degli investimenti con la Cina supera già di gran lunga quelli statunitensi. Tanto meno si può sperare da un assedio militare unilaterale, quindi gli Stati Uniti sembrano destinati a non poter contenere l'avanzata cinese come protagonista dell'economia mondiale, come potenza imperialista di recente affermazione.

La principale debolezza della Cina è al suo interno, nelle radicate divisioni di classe e nello sfruttamento di alcuni ceti, che l'attuale elite politica, profondamente legata da vincoli economici e familiari, potrà migliorare ma non eliminare [45]. Per ora la Cina è stata in grado di espandersi a livello globale attraverso una forma di "imperialismo sociale", distribuendo una parte delle ricchezze prodotte all'estero ad un ceto medio urbano in crescita e a manager, professionisti, speculatori immobiliari e membri dei partiti regionali.

Al contrario, le conquiste militari oltreoceano degli Stati Uniti sono state costose e senza alcun ritorno economico, ma anzi, con danni a lungo termine all'economia civile, sia nelle sue manifestazioni interne che in quelle esterne. L'Iraq e l'Afghanistan non contribuiscono all'erario se si confronta con quanto è stato depredato dall'Inghilterra in India, Sud Africa e Rhodesia (Zimbabwe). In un mondo sempre più basato sui rapporti commerciali, le guerre coloniali non hanno futuro economico. Immensi budget militari e centinaia di basi, alleanze con stati neo-coloniali sono gli ultimi strumenti con i quali è possibile competere in un mercato globale. Questa è la ragione per cui gli Stati Uniti sono un impero in declino e la Cina, con il suo approccio di tipo commerciale, è un impero emergente con una "nuova modalità" (sui generis).


Transizione da impero a repubblica?


Di fronte all'evidente declino economico statunitense, la classe dirigente può ammettere che questo impero non è sostenibile? Gli Stati Uniti potrebbero aumentare le proprie esportazioni in Cina e la propria quota di scambi mondiali per bilanciare i conti solo se decidessero di portare avanti profondi cambiamenti politici ed economici.

Nulla all'infuori di una rivoluzione politica ed economica può ribaltare il declino degli Stati Uniti. La cosa fondamentale √® dare un nuovo assetto all'economia statunitense, passando da basi finanziarie ad altre industriali, ma un cambiamento di questa portata richiede un maggior benessere sociale, anzichè un potere arroccato tra Wall Street e Washington [46]. Quello che passa per l'attuale settore manifatturiero americano non dimostra alcuna spinta per un cambiamento così¨ storico. Al momento gli industriali hanno permesso l'acquisito quote o addirittura il rilevamento da parte di istituzioni finanziarie: hanno perso la loro caratteristica distintica come settore produttivo.

Anche assumendo che ci sia un cambiamento politico verso una nuova industrializzazione degli Stati Uniti, l'indistria dovrebbe abbassare i propri profitti, aumentare gli investimenti in ricerca applicata e sviluppo, e migliorare in modo significativo la qualità dei propri prodotti per diventare competitiva nei mercati interni ed esteri. Occorrerebbe ricollocare enormi somme ora impegnate in guerre, "marketing" e speculazioni, dedicandole a servizi sociali, quali piani di unificazione nazionale della sanità, ingegneria di alto livello e formazione professionale industriale avanzata, solo in questo modo si potrebbe aumentare l'efficienza e la competitività del mercato interno.

Il trasferimento di un bilione di dollari in spese militari per guerre coloniali potrebbe facilmente finanziare settori dell'economia come la produzione di beni di qualità per il consumo locale ed oltreoceano, includendo la riduzione di componenti tossiche nelle merci e nelle materie prime, oltre alle sorgenti energetiche dannose per l'ambiente.

Ricollocando il denaro speso nelle basi militari si potrebbe aumentarne l'afflusso e ridurne il deflusso all'estero. Ponendo fine ai legami politici e ai sussidi plurimiliardari agli stati militarizzati come Israele e abolendo le sanzioni sui principali mercati economici, come quello dell'Iran, si potrebbe diminuire lo sperpero di soldi dalle casse degli Stati Uniti e aumentarne l'ingresso, oltre alle opportunità per il settore produttivo da un capo all'altro del mondo musulmano, che conta circa 1.5 miliardi di persone.

Concentrando gli investimenti interni ed oltreoceano sui mercati in crescita dell'energia pulita e della tecnologia si creerebbero nuovi posti di lavoro e si abbasserebbero i costi di vita, migliorandone peraltro gli standard. Tasse di confisca per milionari/miliardari, specialmente per l'intera elite di Wall Street, e limiti superiori di tasso su tutte le entrate oltre il milione di dollari potrebbero finanziare la sicurezza sociale e un sistema sanitario pubblico su base nazionale, che ridurrebbe le spese sia all'industria che allo stato. Il passaggio da impero a repubblica richiede un totale riassetto del potere sociale, e una vasta ristrutturazione dell'economia. Solo allora gli Stati Uniti sarebbero in grado di competere economicamente con la Cina.

Un cambiamento da potenza imperialista militare, corrosa da un'elite politica corrotta e vincolata ad un'élite economica parassita e speculatrice, ad una repubblica produttiva con un'economia equilibrata e competitiva richiede cambiamenti politici fondamentali e una rivoluzione ideologica profonda. Per innescare questo riassetto politico ed economico occorre una nuova configurazione dello stato che persegua investimenti pubblici creando industrie competitive, che intensifichi il mercato interno ed aumenti i servizi sociali.

Per espandere i mercati esteri, Washington deve dare un taglio ai boicottaggi e al servilismo militare verso Israele, tanto propagandato dalla quinta colonna pro-isreliana radicata nelle più importanti istituzioni finanziarie e politiche, che hanno il pieno controllo dell'assemblea legislativa [47].

Porre fine alla costruzione di un impero su basi militari permetterebbe di dare il via ai finanziamenti pubblici per innovazioni tecnologiche civili; eliminando le restrizioni sulle vendite di articoli tecnologici all'estero si potrebbe ridurre il deficit di scambi, migliorando la produzione locale e i livelli di competitività.

Per un'accelerazione maggiore è necessario un confronto faccia a faccia tra gli ideologi del capitale finanziario e un rifiuto deciso di qualunque loro sforzo nel dirottare l'attenzione dal loro ruolo nella distruzione dell'America. La campagna di "biasimo" per la Cina, per ciò che in realtà è stato causato da squilibri strutturali interni agli USA, deve essere affrontato prima che ci porti ad una nuova, costosa ed autodistruttiva guerra commerciale, se non peggio.

Gli "squilibri" interni della Cina sono profondi e diffusi, pillarse col tempo possono indebolire le basi dell'espansione verso l'esterno. Le disuguaglianze di classe, lo sviluppo regional non uniforme, la corruzione della sanità pubblica e privata e i trattamenti discriminatori nei confronti degli emigranti, trattati come cittadini di serie B (un sistema di cittadinanza a due facce) saranno risolti internamente nonappena le divisioni socio-economiche si trasformeranno in lotta di classe. Cambiamenti radicali del sistema sanitario privatizzato in un sistema pubblico e nazionale sono essenziali, ma tali cambiamenti richiedono la ripresa della lotta di classe contro interessi acquisiti, sia statali che privati [48].


Conclusioni

Come già successo nel passato, una potenza imperialista che deve affrontare profondi squilibri interni, perdita di competitività nel mercato e un'eccessiva dipendenza dalle attività finanziarie va in cerca di retribuzioni politiche, alleanze militari e restrizioni commerciali che possano rallentare il proprio crollo [49]. La propaganda, che fa leva su sentimenti sciovinisti utilizzando come capro espiatorio uno stato imperialista emergente e modellando le alleanze militari per "circondare" la Cina, non hanno avuto alcun impatto. Non hanno fermato i paesi geograficamente vicini alla Cina dal rafforzare i legami economici. Non c'è alcuna speranza che questo dato cambi nell'immediato futuro. La Cina continuerà a crescere con tassi a due cirfe. L'impero statunitense continuerà ad essere impantanato in una condizione di torpore cronico, nelle sue guerre senza fine, farà sempre più affidamento sulle potenzialità della sovversione politica, promuovendo i regimi separatisti che - prevedibilmente - collasseranno o verranno abbattuti. Gli Stati Uniti, a differenza delle potenze coloniali affermate del passato, non possono negare alla Cina l'accesso alle materie prime, come si è visto nel caso del Giappone. Viviamo in un mondo post-coloniale, dove la maggior parte dei regimi fa affari e investe denaro con chiunque paghi i prezzi di mercato. La Cina, a differenza del Giappone, dipende dalla salvaguardia dei mercati attraverso la competitività economica - potere di mercato - non dalla conquista militare. A differenza del Giappone, ha una forza lavoro consistente; non ha bisogno di conquistare e sfruttare lavoratori di paesi stranieri
La costruzione dell'impero cinese, basata sull'economia, è in sintonia con i tempi moderni, guidata da un'elite libera di creare legami senza rendere conto a nessuno, mentre gli Stati Uniti sono afflitti dagli speculatori finanziari, che hanno corroso ed eroso l'economia, devastanto i complessi industriali e trasformando case abbandonate in enormi parcheggi.

Se è vero che l'elite imperialista statunitense è in perdita e quindi non è in grado di contenere l'ascesa cinese a potenza mondiale, √® altrettanto vero che anche la classe lavoratrice americana è in perdita e non può quindi sostenere il passaggio da impero militare a repubblica produttiva. La caduta economica e le elite politice e sociali hanno depoliticizzato il malcontento; le crisi economiche sistemiche sono state trasformate in malattie individuali e private. A lungo termine, qualcosa dovrà rompersi; il militarismo e il potere sionista salasseranno e isoleranno gli Stati Uniti, che si troveranno a dover reagire con violenza... Più tempo passerà, più sarà violenta la rinascita della repubblica. Gli imperi non si spengono pacificamente, nè tantomeno le elite finanziarie, immerse in una condizione di straordinario benessere e potere, abbandoneranno le loro posizioni di privilegio senza opporre resistenza. Solo il tempo ci dirò quanto resisterà il popolo americano all'espropriazione delle case, allo schiavismo dei datori di lavoro, alla colonizzazione della quinta colonna e al declino interno di un impero costruito su basi militari.


Fonte: www.globalresearch.ca
Link: http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=18913
29.04.2010

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ELISA NICHELLI


[1] Ian Kershaw, "Hitler: 1936-1945" Vol. 2 (Londra: 2008). Stando a quanto affermato dall'eminente studioso Frederick Clairmont "Per Hitler, l'India era un modello di impero coloniale predatorio, "L'Unione Sovietica sarà la nostra India", ha dichiarato trionfante”. "Operation Sea Lion: Looking Back" ["Ricordando l'operazione Leone Marino"] lettera ad un collega della Sorbona, Aprile 2010.

[2] Gabriel Kolko, "The Politics of War" ["Le politiche di guerra"] (New York: Pantheon 1990)

[3] Chalmers Johnson, "Nemesis: The Last Days of the American Republic" ["Nemesi: gli ultimi giorni della repubblica americana"] (New York: Metropolitan Books 2007)

[4] James Petras "The US and China: One Side is Losing, the Other is Winning" ["Gli Stati Uniti e la Cina: una parte sta perdendo, l'altra sta vincendo"] e "US and China: Provoking the Creditor, Hugging the Holyman" [a href="http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=6881&mode=thread&order=0&thold=0 "USA - Cina: provocare il creditore, abbracciare il sant'uomo"] petras.lahaine.org

[5] Herbert Bix "Hirohito and the Making of Modern Japan" ["Hirohito e la nascita del Giappone moderno"] (New York: Harper Collins 2000)

[6] Edward Miller "Bankrupting the Enemy: The US Financial Siege of Japan before Pearl Harbor" ["Mandare in rovina il nemico: l'assedio finanziario del Giappone da parte degli USA prima di Pealr Harbor"] (Annapolis MD: United States Naval Institute Press 2007) in particolare: Cap. 6 "Birth of the Embargo Strategy" ["Nascita della strategia dell'embargo"], Cap. 7 "Export Controls" ["Controllo delle esportazioni"], Cap. 10 "Japan‚ Vulnerabilities: Strategic Resources" ["Vulnerabiltà del Giappone: risorse strategiche"].

[7] James Petras e Morris Morley "The Imperial State" ["Lo stato imperialista"] in James Petras et al. "Class, State and Power in the Third World" [Classe, Stato e Potere nel Terzo Mondo] (Montclair: Allenheld e Osmun 1981)

[8] "Defense Strategy for the 1990’s" ["Strategie di difesa negli anni '90"] pubblicato più tardi come "Defense Planning Guidance" ["Guida ai piani di difesa"] (bozza 1992)

[9] Diana Johnstone, "Fools Crusade: Yugoslavia, NATO and Western Delusions" ["La Crociata degli sciocchi: Jugoslavia, NATO e delusioni ocidentali"] (Monthly Review: NY 2002).

[10] Il manifesto dei neo-conservatori è emblematico per l'ascesa al potere di questa elite. Si veda "The Project for the New American Century" ["Il progetto per il nuovo secolo americano"] (Information Clearance House) Settembre 2000.

[11] Riguardo agli ufficiali statunitensi schierati con Israele nel promuovere la guerra in Iraq, si veda l'articolo di James Petras "The Power of Israel in the United States" ["Il potere di Israele negli Stati Uniti"] (Atlanta: Clarity Press 2006)

[12] Le affinità all'interno della classe dirigente cinese hanno prodotto svariate centinaia di miliardari e probabilmente le peggiori disuguaglianze in Asia. Si veda il Financial Times (FT) del 30 Marzo 2010, p. 9.

[13] L'avanzamento della Cina e la crescita di nove industrie ad alta tecnologia ha permesso di migliorare i controlli sulle multinazionali, FT 22 Febbraio 2010, p.2. La Cina ha preso il posto degli Stati Uniti come maggior produttore di turbine eoliche e di "carbone pulito", FT Rapporto Speciale sull'Energia, 29 Marzo 2010. Riguardo aull'aumento del controllo cinese sulla propria economia, si veda FT 8 Aprile 2010, p.9.

[14] Quasi in ogni numero del Financial Times c'è almeno un articolo che incolpa la Cina per gli "squilibri globali". Si veda FT 31 Marzo 2010, p.3; FT 6 Aprile 2010, p. 3 e 8.

[15] Il budget militare statunitene è più che raddoppiato negli ultimi dieci anni, arrivando ad un bilione di dollari, dei quali circa il 70% viene speso nelle guerre in corso e nella preparazione di nuove guerre, mentre il resto è destinato a pensioni e altri pagamenti relativi a guerre del passato.

[16] Sia nel caso del Kenia che in quello dello Zimbabwe (già noto come Rhodesia), i funzionari britannici, messi di fronte ad una prolungata resistenza, hanno accordato l'indipendenza, che includeva generosi compensi per le perdite subite dai coloni.

[17] Si veda, di Petras, "Power of Israel in the United States" ["Il potere di Israele negli Stati Uniti"] op. cit.; "Zionism, Militarism and the Decline of the US Power" ["Sionismo, militarismo e declino del potere statunitense"] (Atlanta: Clarity Press 2008).

[18] Questo è vero nei casi in cui il potere sionista ha promosso all'interno del governo sanzioni contro l'Iran, la Siria e ancor prima contro l'Iraq. La Cina ha investito circa 5 miliardi di dollari in Iran in bacini gassiferi, e questo √® solo uno di molti altri investimenti, Global Research, 8 Marzo 2010.

[19] Dal 2010 la Cina, così come l'India, ha preso il posto degli Stati Uniti come maggior importatore di petrolio saudita. FT, 22 Febbraio 2010, p.4

[20] Israele ha la pi√π grande forza armata pro capite, il maggior numero di caccia e bombe nucleari nel mondo. Insieme agli Stati Uniti ha invaso più paesi di quanto non abbia fatto il resto del Medio Oriente, considerando tutti i paesi messi insieme.

[21] Chalmers Johnson, "The Sorrows of Empire" ["Le pene dell'impero"] (Owl Books, New York 2005).

[22] Iniziando col Presidente Clinton (nel 200) e continuando fino ad Obama, gli Stati Uniti hanno versato pi√π di 6 miliardi di dollari in Colombia, appoggiando militari, servizi segreti e squadre della morte. Gli Stati Uniti hanno oltre un migliaio di consiglieri militari e di mercenari che operano in Colombia. Gli accordi militari con il Brasile e il resto dell'America Latina sono ad un livello di intrusione ampiamente minore.

[23] La destituzione degli Stati Uniti da parte della Cina come principale partner commerciale del mercato latinoamericano ha ottenuto solamente una piccola parte dell'attenzione ricevuta dalla visita di un importante ufficiale Israeliano.

[24] I coloni statunitensi sono stati abbattuti in Kirghizistan (nel 2010), sconfitti con le elezioni in Ucraina (nel 2009) e affrontati da una massiccia opposizione dopo la disastrosa avventura militare in Georgia.

[25] James Petras, "US - Venezuela Relations: Imperialism and Revolution" ["Rapporti USA - Venezuela: imperialismo e rivoluzione"] su petras.lahaine.org 5 Gennaio 2010.

[26] Si veda "China Mobile Group axes Google" ["La China Mobile elimina Google"] FT 25 Marzo 2010, p. 1; FT 22 Febbraio 2010, p. 2.

[27] Congressional Research Services, “China’s Holdings of US Securities: Implications for the US Economy” ["Pacchetto azionario cinese della Sicurezza USA: implicazioni per l'economia statunitense"] 30 Luglio 2009.

[28] FT 6 Aprile 2010, p. 8. Offre un resoconto sull'attività del senato americano allo scopo di incolpare la cina di "manipolazioni della valuta".

[29] Yang Yao "Renmibi Adjusted will not cure trade imbalances" ["La sistemazione di Renmibi non risolverà gli squilibri commerciali"] FT 12 Aprile 2010.

[30] Stephan Roach "Blaming China will not solve America’s Problems" ["Dare la colpa alla Cina non risolverà i problemi dell'America"] FT 30 Marzo 2010, p. 11.

[31] Un tipico esempio di "finta bolla" si può trovare sul numero di FT del 22 Febbraio 2010. Due mesi dopo, la Cina ha "sgonfiato" la bolla forzando le banche ad abbassare i propri prestiti del 43%. Al Jazeera, 15 Aprile 2010.

[32] In opposizione alle accuse di negligenza nel proprio mercato interno, la crescita cinese è stata del 15% nell'ultimo anno. Le importazioni stanno crescendo più in fretta delle esportazioni. Si veda Jim O‚ÄôNeill "Tough Talk on China ignore Economic Reality" ["Discussioni pesanti sulla Cina perdono di vista la realt√† economica"] FT April 1, 2010, p. 9.

[33] FT 12 Aprile 2010, p. 3.

[34] "Obama to press Hu on Teheran Sanctions" ["Obama mette alle strette Hu sulle sanzioni a Theran"] FT 13 April 2010, p. 3

[35] All'incontro del G20 gli Stati Uniti hanno fatto circolare una lettera di condanna alla Cina, ma solo cinque paesi l'hanno firmata. (Il titolo dell'FT era ingannevole). "G20 attack China on exchange rate" ["Il G20 attacca la Cina sui tasi di cambio"] FT 31 Marzo 2010, p. 3.

[36] La Cina si sta impegnando molto sull'energia pulita, superando gli Stati Uniti nel 2009 nella corsa a maggior investitore nelle tecnologie che coinvolgono le energie rinnovabili, e con una crescita del 79% in capacità d'installazione in 5 anni. BBC News, 26 Marzo 2010.

[37] FT del 12 April 2010, p. 22. Proiezioni di crescita basate sul primo trimestre del 2010.

[38] Al Jazeera, 12 Marzo 2010.

[39] China Daily, 24 Marzo 2010 per le differenze tra l'approccio statunitense e quello cinese con l'Afghanistan.

[40] La spinta dinamica per assicurarsi le materie prime è dimostrata dai massicci investimenti nelle miniere di ferro in Russia e Africa, FT 13 Aprile 2010, p. 17.

[41] Al Jazeera 5 Marzo 2010.

[42] Il commercio USA-Cina rappresenta attualmente solo il 12% degli affari cinesi. FT 30 Marzo 2010, p. 11.

[43] FT 24/25 Aprile 2010, p. 1. "Shanghai plans to equal New York as a global financial centre by 2020" ["Shanghai progetta di uguagliare New York come centro finanziario mondiale"].

[44] FT 13 Aprile 2010, p. 19.

[45] "China vows to tackle the social divide" ["La Cina afferma di voler affrontare le disuguaglianze sociali"] Al Jazeera 5 Marzo 2010.

[46] Per una richiesta simile di "riequilibrio" dell'economia britannica da finanziaria ad industriale di veda, di Ken Coults e Robert Rowthorne, "Either a Large Trade Surplus or Grim Prospects for Profits and the Fiscal Deficit cited" ["O un enorme surplus di affari o prospettive difficili per i profitti e per il deficit fiscale"] sul numero di FT del 14 Aprile 2010, p. 11.

[47] La lettera scritta dall'AIPAC a sostegno di Israele, e in cui si chiede che Obama ritratti le sue "pressioni" affinchè si desista dal sequestrare le terre palestinesi è stata firmata con un margine di oltre 300 su 10 persone afferenti al Congresso. Si veda FT 24/ 25 Aprile 2010, p. 3.

[48] Waikeung Tam, "Privatizing Health Care in China: Problems and Reforms" ["Privatizzare la sanità in Cina: problemi e riforme"]. Journal of Contemporary Asia Vol 40(1), Feb. 2010, p. 63-81.

[49] "US tightens missile-shield encirclement of China and Russia" ["Gli Stati Uniti serrano lo scudo missilistico attorno a Cina e Russa"]. Global Research, 4 Marzo 2010.

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