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lacausadellecose

Dei delitti e delle pene, e del libero arbitrio

A proposito dell’uccisione di Adil, militante del Si Cobas

di Michele Castaldo

2021061901845502639Le nostre leggi sono il risultato delle regole imposte dai romani, mischiate con i riti dei Longobardi e le tradizioni che si sono accumulate in tanti secoli di storia ed i nostri governanti le mettono in pratica come fossero leggi provenienti da Dio; ora io mi provo a fare una critica di questo procedimento, così come ho imparato a fare sotto i miei illuminati sovrani. La società è retta da tre tipi di principi: quelli divini, quelli naturali e quelli politici.
Cesare Beccaria

In piazza Alimonda a Genova fu ucciso con un colpo di pistola Carlo Giuliani, che manifestava con i No global. Il carabiniere Mario Placanica che sparò lo fece per difendersi – si legge nella sentenza – da un lancio di un estintore che Carlo Giuliani tentava di scagliare contro di lui che seduto nella camionetta non aveva via di scampo. Inoltre il fuoristrada, nel tentativo di fuggire rapidamente dai manifestanti, riprende la manovra passando sul corpo di Carlo due volte (una prima in retromarcia, la seconda a marcia avanti). Erano le 17:27 del 20 luglio 2001.

Alle prime luci dell’alba del 18 giugno del 2021, ai magazzini della Lidl di Biandrade in provincia di Novara, il sindacato Si Cobas della Logistica organizza un picchetto per bloccare le merci in uscita e dare forza alla propria lotta.

Da un'altra porta che funge da entrata delle merci esce un camion alla cui guida c’è il giovane autista Alessio Spaziani che, scoperto dai manifestanti, temendo di finire come il topo in trappola ed essere perciò linciato dai manifestanti – questa è la sua versione rilasciata al magistrato che lo ha interrogato – ha accelerato investendo e uccidendo il povero Adil, operaio di 37 anni, padre di due figli e attivista del Si Cobas.

Citiamo questi due casi, che apparentemente non hanno niente in comune se non due morti, perché rappresentano due situazioni in cui sfugge, per così dire, il colpevole. Anzi i due morti rischiano di passare come responsabili di una provocazione contro la quale c’è stato chi per difendersi ha dovuto uccidere. La si può mettere come si vuole, ma la verità che verrà consegnata agli annali della storia sarà questa: il carabiniere Mario Placanica ha sparato per legittima difesa e ha ucciso il manifestante Carlo Giuliani, e Alessio Spaziani per difendersi da un possibile linciaggio dei picchettatori ha accelerato la marcia del camion e ha ucciso Adil Belakhdim. Come dire: «se» il manifestante non avesse tentato di scagliare l’estintore contro il carabiniere Placanica, questi non avrebbe sparato, e Carlo Giuliani non sarebbe morto. Oppure «se» Adil non avesse tentato di fermare il camion, Alessio Spaziani non si sarebbe sentito in pericolo, non avrebbe perciò accelerato e non avrebbe procurato la morte dell’operaio marocchino. A questo punto Z. Bauman a giusta ragione avrebbe citato l’imperatore Adriano «Se il cavallo di Troia avesse figliato, il sostentamento dei cavalli sarebbe costato pochissimo », ad evidenziare la potenza e l’impotenza della parolina «se». Eppure la logica che sottostà all’effetto “giuridico” di questi delitti è proprio quella del cavallo di Troia dell’imperatore Adriano: Carlo Giuliani non doveva trovarsi a Genova in piazza Alimonda e Adil non doveva trovarsi dinanzi al magazzino della Lidl di Bianbrade in provincia di Novara.

Sarebbe questa una nostra forzatura del tutto gratuita? Può darsi, stiamo allora ai fatti, intanto il carabiniere Placanica è libero, vivo e vegeto, e di Carlo Giuliani si saranno polverizzate anche le ossa. Mentre Alessio Spaziani, giovane camionista di soli 25 anni, di un paesino di 2000 abitanti della provincia di Caserta, padre di due bambine, che vive in affitto e per sostenere la famiglia è costretto a fare un lavoro massacrante, è agli arresti domiciliari. Tornerà allo stesso lavoro, con la stessa società? Non è la questione di cui queste note vogliono trattare.

Premesso che nella storia moderna i morti durante le manifestazioni ci sono sempre stati, in questo caso vorremmo evidenziare un filo di continuità causale di un nemico “inesistente”, che non appare come persona. Tranne in certi casi, come quando per spirito di protagonismo, l’imbecille addetto alla sicurezza che si presenta fra i manifestanti per chiarire l’accaduto prende uno schiaffo in pieno volto. Troppo poco, pazienza.

Dunque abbiamo due morti, uno che lottava contro la globalizzazione nel 2001 a Genova, l’altro nel 2021 che lottava contro gli effetti di quella globalizzazione contro cui lottava Carlo Giuliani.

Esagerato! dirà chi pensa che cerchiamo il pelo nell’uovo e a tutti i costi vogliamo fornire una spiegazione reale, vera, cioè la causa sempre e comunque delle cose. E non lo neghiamo, c’è sempre una causa dietro un effetto e le due morti di cui ci stiamo occupando hanno un’unica causa: il punto di arrivo di un modo di produzione che ha dovuto teorizzare, dopo averla praticata, la necessità della globalizzazione. E non avrebbe potuto fare diversamente e di fronte alle opposizioni sociali usò la mano pesante della repressione provocando morti e feriti. Parliamo solo di quelli avvenuti durante le manifestazioni, come quella della mattanza di Genova dove il governo Berlusconi caricò a tal punto i corpi dello stato che inferociti si abbandonarono a una vera e propria ignobile caccia all’uomo.

La storia ha una sua progressione e una sua continuità. Chi erano i responsabili tanto della morte del povero Carlo Giuliani quanto dei massacrati fra manifestanti che fiduciosi della democrazia dello Stato repubblicano nato dalla Resistenza si fidarono a rientrare nei posti dove avevano pernottato per raccogliere le loro cose e rientrare nelle città di residenza in Italia e in altri paesi europei? Ecco la domanda vera che nessuno si pone: in nome e per conto di quali interessi quei poliziotti e carabinieri si comportarono in modo così animalesco?

Per anni, durante gli anni ’70 è risuonato nelle piazze lo slogan “la disoccupazione ti ha dato un bel mestiere, mestiere di merda carabiniere!”. ma non si è mai posto correttamente la domanda del ruolo che svolgono le “forze dell’ordine”, ovvero degli interessi che sono chiamati a difendere per una paga che non li fa ricchi.

E che ci sia stata tanta e troppa confusione su questo è dimostrato dalle posizioni assunte a suo tempo da un intellettuale di tutto rispetto come Pier Paolo Pasolini, utilizzato poi a piene mani dalla stampa dell’establishment. Egli non seppe capire il ruolo oggettivo che andavano a ricoprire quei “figli di contadini poveri” come lui li definì scambiando il dato originario con quello del divenuto ruolo impersonale al servizio dello Stato. Questo sul piano formale è al di sopra delle parti e dovrebbe fungere democraticamente come equilibratore, ma sul piano reale, cioè al dunque, è chiamato a difendere gli interessi dei più forti. Perché, come dicono lor signori, “è il mercato e non lo Stato in grado di generare più crescita”. Ma solo i poveri illusi in buona fede possono credere al fatto che si possa applicare il diritto eguale fra i diseguali.

È il mercato, ovvero lo spirito del profitto, dunque della concorrenza, della sfida a superare l’altro, a ingrandirsi sempre di più e a calpestare i più piccoli, ad avanzare sempre con nuove tecnologie e subordinare l’uomo alle macchine per produrre merci e far divenire gli stessi uomini delle merci inanimate fino a raggiungere i livelli attuali, come quelli di Amazon, Alibaba, FedexTNT e similari. Ma essi sono provvisori fino al prossimo giro di torchio ovviamente, che in Italia per un certo periodo hanno utilizzato caporalato, appalti e subappalti per poi, come sta succedendo in questa fase, internalizzare i lavoratori chiamandoli a schierarsi corporativamente con l’azienda, attraverso contratti capestro senza nessuna presenza sindacale oppure, come alternativa, a scegliere di essere disoccupato.

I lavoratori con la corda al collo sono costretti a sottomettersi ai voleri di queste mostruose strutture senza la forza di reagire, intuendo che si tratta di una fase dove non c’è via di scampo. Si tratta di una legge che vale tanto per il lavoratore all’interno dei magazzini, parliamo della Logistica, quanto dei camionisti, sia del trasporto da un magazzino a un altro o dal posto della produzione a quello della distribuzione o di quelli della consegna delle merci a domicilio. Alessio Spaziani era uno di questi anelli di una catena – ripetiamo – impersonale, dove conta il numero e il nome compare solo di sfuggita di fronte a un fatto “accidentale” come la morte di Adil.

Potrebbe essere condannato Alessio Spaziani per omicidio volontario? No, non voleva uccidere, non c’è traccia di premeditazione, dunque non c’è volontarietà. Potrebbe essere condannato per omicidio preterintenzionale? No, non c’è nessuna intenzione di far male Adil che potrebbe perciò giustificare l’accusa di tentato omicidio. Eppure c’è un morto e non c’è un responsabile che paghi la pena. Perché, come mai?

Eppure c’è un responsabile, anche se è impersonale, e il fatto di volerlo ricercare in una persona individuale rimuove la forza dei fattori che hanno provocato la morte di Carlo Giuliani e di Adil, come la morte di tanti poveri disgraziati per la caduta del ponte, per l’incendio della petroliera, per il deragliamento del treno, per lo scoppio della cisterna di Gpl, per la caduta della cabina della funivia al Mottarone e così via all’infinito. Stiamo però citando solo fatti “accidentali” fuori dagli impianti delle lavorazioni, dunque non dei morti sul lavoro che quotidianamente cadono e ormai non fanno più notizia. Eppure si tratta di un vero e proprio stillicidio giornaliero. Chi è il colpevole? Poi la magistratura se ne occuperà, aprirà un’inchiesta, farà indagini, chiarirà, si farà una commissione, ma tutto, proprio tutto viene consumato dal tempo, dal passaggio di carte, da vizi procedurali e mai compare sul banco degli imputati il reo vero.

Eppure si invoca il libero arbitrio per la stessa ragione che « se » il cavallo di Troia avesse figliato, come diceva l’imperatore Adriano. Ma allora giù la maschera signori! Siamo di fronte a un mondo ipocrita e crudele, un mondo che non vuole interrogarsi sulle cause vere dei disastri che questo modo di produzione provoca.

Se proviamo a fare un percorso di risalita, percorso accidentato e pieno di insidie, scopriamo che Mario Placanica indossava una divisa per un salario, che fu posto in quella camionetta da un sottufficiale, che questi aveva ricevuto l’ordine da un ufficiale, il quale obbediva al comando regionale dell’Arma, che a sua volta obbediva a quello del comando generale che prendeva ordini dal Ministero degli Interni, che a sua volta prendeva ordini dal governo, e che a sua volta prendeva disposizioni dai consiglieri economici delle potenze occidentali che avrebbero dovuto sanzionare il principio della liberalizzazione delle merci, o altrimenti detto della globalizzazione del libero mercato. E perché questa necessità? Perché le leggi del modo di produzione capitalistico non consentono freni inibitori. Una legge valida fin dal sorgere del capitalismo.

Che colpa si poteva assegnare a Mario Placanica? Nessuna, e di fatti non ha pagato nessuna pena in quanto non responsabile di alcun delitto. Dunque Carlo Giuliani o non fu ucciso, oppure il responsabile andava ricercato lì dove non è possibile arrivare per imprigionarlo: ovvero il profitto, questo mostro impersonale inafferrabile.

Se proviamo a fare lo stesso percorso per capire dove nasce la responsabilità della morte di Adil scopriamo che il camionista Alessio, partito da un paesino in provincia di Caserta per mandare avanti la famiglia è già stato fortunato a trovar lavoro come camionista e percorrere centinaia e centinaia di chilometri al giorno, in solitudine nel mezzo, lontano dalla famiglia sottoposto ai ricatti di chi organizza i viaggi, e questo sottoposto a chi invia la merce e chi la richiede in fretta, il più in fretta possibile, perché eventuali ritardi provocano lamentele dei supermercati, c’è il rischio di perdere clienti, dunque non è possibile fermarsi di fronte a un gruppetto di lavoratori che impedisce l’uscita delle merci, perché la forza della necessità delle merci si mostra superiore alle necessità di quei lavoratori che picchettano per difendere i loro diritti. Che fa questo tizio responsabile? Chiama Alessio Spaziani, gli consiglia di uscire da una entrata secondaria e Alessio si presta, deve conquistarsi le simpatie di chi organizza le spedizioni, ha da mandare avanti la famiglia e accetta. Una volta fuori il capannone – e vogliamo credere alla sua totale buona fede – sfida i dimostranti e temendo il peggio, la possibilità di essere linciato, accelera e trascina per alcuni metri il povero Adil che muore travolto sanguinante sul selciato. Alessio fugge, capisce di averla fatta grossa e si costituisce.

Di chi la colpa? Di nessuno, non c’è colpa, tanto è vero che nessuno è in carcere, perché delle due l’una: o la causa dell’assassinio risiede molto in alto, dove non si può e non si vuole arrivare, oppure Adil è morto per colpa sua, e dunque: chi è cagion della propria sorte pianga sé stesso. Così la povera vedova del lavoratore marocchino deve raccogliere le sue lacrime e farsi forza perché il marito è stato un coglione a volersi battere contro un nemico potente e invisibile, dunque inesistente.

Conclusione: Carlo Giuliani poteva decidere di andare o non andare alla manifestazione No global, scelse di andarci e trovò la morte.

Adil Belakhdim poteva decidere di andare o non andare al presidio di picchetto dinanzi ai magazzini della Lidl di Brianbade, ci andò non solo, ma poteva anche decidere di lasciar passare il camion guidato da Alessio Spaziani o tentare di bloccarlo, scelse di tentare di bloccarlo e in questo tentativo trovò la morte.

E per i turisti che morirono nella cabina della funivia di Mottarone? Non ci sono colpevoli, nessuno è in un carcere di massima sicurezza come il peggiore dei criminali, eppure c’è stato un crimine orrendo, o no? Ma, quei turisti, potevano decidere di andare o non andare a Mottarone per quel fine settimana. Scelsero di andare e trovarono la morte.

Ecco il senso del libero arbitrio, ecco il modo di ragionare della moderna demenza al servizio di sua maestà il Capitale.

Si dirà: ma c’è la legge! Quella uguale per tutti! C’è il diritto penale che garantisce tutti! Chiacchiere. C’è un’unica legge che regola tutti i rapporti fra gli uomini ed è quella delle leggi del mercato, della concorrenza, del profitto, cioè quella del dio Capitale.

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