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Hegel e Marx: dall'idealismo al materialismo storico. Una risposta a Fusaro e Gentile

di Concetto Solano

Karl Marx ProfiloMandare in soffitta Marx è un’ambizione che ha accomunato, nel tempo, reazionari e progressisti, revisionisti e sedicenti “marxisti”. In anni recenti si è andato rafforzando il velenoso tentativo di liquidare Marx adagiandolo sul letto di Procuste di Hegel, con il duplice scopo di dimostrare che Marx è inferiore al maestro e il Marx che si professa non hegeliano è, invece, un metafisico che, applicando la dialettica hegeliana alla materia della vita, approda a tutta una serie di contraddizioni inestricabili. In conclusione, Marx sarebbe un filosofo da strapazzo che oscillerebbe tra “autofraintendimenti ed equivoci di varia natura”[1] frutto di “un’ambiguità che perseguiterà Marx”[2] nel corso della sua vita intellettuale.

Nel fiorente campo del revisionismo filosofico antimarxista spicca Fusaro, autore di Marx idealista. La chiave di lettura di Fusaro è, per sua stessa ammissione, la medesima che adottò Giovanni Gentile a fine Ottocento, per il quale Marx era un hegeliano comunista e la critica ad Hegel era una critica aporetica.[3]

Ci occuperemo, quindi, di Fusaro, esaminando, oltre che la copia sbiadita, anche l’originale, prodotto da Gentile con la sua Filosofia di Marx. L’intento, apertamente dichiarato da Gentile, è quello di colpire Marx, la teoria del materialismo storico, “da lui messa a leva d’una gravissima dottrina sociale”,[4] e “tutto lo scheletro insomma di quella filosofia, che si vuole insita nella concezione materialistica della storia, posta a fondamento della dottrina comunista”.[5]

L’interpretazione gentiliana di Marx, come hegeliano comunista, è viziata dalla incapacità teoretica del Gentile di cogliere ed analizzare i motivi teoretici che spingono Marx a liberare la ricerca, durante il periodo giovanile, da ogni limite dogmatico-metafisico, dalle barriere del metafisicismo. A partire dalla filosofia marxiana la metafisica diventa il caput mortuum, l’asilum ignorantiae di ogni ragione ipostatizzante.

Questa incapacità di leggere Marx, o il vizio di origine di leggerlo come hegeliano comunista, culmina nella prefazione del Gentile all’opera La filosofia di Marx allorché definisce il pensiero di Marx come una “metafisica o intuizione del mondo”,[6] come un “materialismo metafisico”.[7]

Anche l’allievo di Gentile, Fusaro, prigioniero degli schemi malcompresi del suo maestro, non comprende la filosofia di Marx e la trasforma in metafisica, a dispetto dell’evidenza teoretica dell’elaborazione del filosofo di Treviri. Marx non sarebbe altro che un un “idealista nato”.[8]

 

L’ontologia materialistica

Per Gentile, gli “hegeliani comunisti” (e quindi Marx) non capiscono che la realtà nella sua autonomia, è un accidens, l’accidentalità, il non essere, e che ha il suo significato in quanto si inscrive nell’Assoluto; l’aver capito ciò sarebbe merito di Hegel.

Osserva Gentile: “L’Idea, lungi di essere opposta alla realtà, è, per Hegel l’essenza del reale. […] E la materia del materialismo storico, lungi dall’essere esterna ed opposta alla Idea di Hegel, vi è dentro compresa, anzi è una cosa medesima con essa, poiché, […] lo stesso relativo (ché esso è la materia di cui si parla) non solo non è fuori dall’assoluto, ma è identico ad esso”.[9]

Fusaro ripete senza particolari originalità: “L’identità soggettivo-oggettiva messa a tema da Hegel resta il fundamentum anche della filosofia di Marx”.[10] Entrambi i filosofi “esprimono la negazione dell’indipendenza dell’oggetto dal soggetto”.[11]

Grave errore degli “hegeliani comunisti” – insiste Gentile – è quello di considerare il “relativo […] da una parte, qui, giù […] e l’assoluto lassù […] l’uno insomma di fronte all’altro in due campi nemici”,[12] ”di aver buttato all’aria l’assoluto […] per tenersi al fatto, al dato dell’esperienza cioè al relativo”[13] e di costringere il relativo “a far le parti dell’assoluto. […] Immanente l’assoluto; […] immanente il relativo. L’assoluto si sviluppa dialetticamente; quindi […] si sviluppa dialetticamente il relativo. Il processo dell’assoluto si determina a priori; e però determinabile pure a priori […] il relativo”.[14]

In Fusaro, così come in Gentile e in Hegel, il materialismo – in quanto irrimediabilmente colpevole di attribuire al finito, in quanto tale, un vero essere – non merita di appartenere alla filosofia.

La “vera” filosofia è l’idealismo, è la “filosofia del concreto”, mentre la scienza e il materialismo, che pongono l’oggetto fuori dal soggetto,[15] sono accusati, proprio per questo, di essere dogmatici. Gentile ritiene che il pensiero critico si fondi su una ampia schiera di ipostasi (Dio, l’anima, l’Idea, ecc.).

Non a caso: il finito – per Gentile, sulla scia di Hegel – non ha realtà in sé ( non ha “presenza a se stante”, scrive Fusaro)[16] ma ha per sua essenza e fondamento l’infinito, e quindi tutto ciò che esso non è. Ne consegue la concezione negativa della sensibilità, dell’esperienza empirica perché essa riposa sull’altro da sé cioè sul pensiero.

La materia nella sua autonomia è il non-essere, cioè è sprovvista di significato ontologico e deontologico e per acquistare tale significato deve avere a suo fondamento una realtà ontologica assoluta. La materia pertanto sottintende una concezione unitario-metafisica della realtà.

“La materia del materialismo storico – scrive Fusaro citando Gentile – lungi dall’essere esterna ed opposta alla Idea di Hegel, vi è dentro compresa, anzi è una cosa medesima con essa”.[17]

Il finito esiste solo come negazione che serve allo sviluppo dell’infinito; il finito non è la vera realtà, ma un che di “posto” o creato dal concetto stesso: “la proposizione che il finito è ideale – scrive Hegel – costituisce l’idealismo [che] consiste soltanto in questo, nel non riconoscere il finito come vero essere”.[18]

Ne consegue che la logica del finito è, per Gentile. “la logica dell’astratto” e la logica dell’infinito è “la logica del concreto”. [19]

A questo punto ecco la sentenza di Fusaro che, trionfante, afferma, citando Hegel: “il vero è l’intero”,[20] cioè l’Assoluto, mentre il mondo empirico, fuori dall’Assoluto non esiste, non ha né significato né vita autonoma. Il guaio – che rivela un profondo dilettantismo ed una grave pigrizia intellettuale – è che sovrappone queste considerazioni, tutte hegeliane, al pensiero di Marx[21] non avvedendosi che Marx teorizza esattamente l’opposto.

Infatti il concetto di materia in senso critico esprime, in Marx, una concezione pluralistico-dialettica della realtà. La materia – cioè l’attività, l’azione materiale dell’uomo – è, per Marx, il piano di intelligibilità del reale; essa esprime il carattere di concretezza, di differenziazione, di obiettività teorica e pragmatica del reale quale ci è positivamente dato, pertanto essa è la forma del mondo in cui vive e opera l’umanità.

La concezione negativa della materia verrà criticata da Marx sulla base di una concezione positiva della materia secondo la quale la materia empirica, nella sua empiricità, è un positivo, ha una sua razionalità senza avere il suo fondamento in una ipostasi, in una realtà assoluta, come lo spirito di Hegel.

Tale concetto positivo della materia è espresso da Marx, ad esempio, nell’Ideologia tedesca, allorché fissa come punto di partenza per istituire un processo d’indagine critica o scientifica i dati materiali cioè i “presupposti reali”.

“Il primo presupposto di tutta la storia umana è naturalmente l’esistenza di individui umani viventi. […] Ogni storiografia deve prendere le mosse da queste basi naturali e dalle modifiche da esse subite nel corso della storia per l’azione degli uomini. Si possono distinguere gli uomini dagli animali per la coscienza, per la religione, per tutto ciò che si vuole; ma essi cominciano a distinguersi dagli animali allorché cominciarono a produrre i loro mezzi di sussistenza, un progresso che è condizionato dalla loro organizzazione fisica. Producendo i loro mezzi di sussistenza gli uomini producono indirettamente la loro stessa vita materiale”.[22]

Per Marx, la materia è il positivo perché la “realtà empirica […] è razionale per sua propria razionalità […] perché il fatto empirico ha, nella sua empirica esistenza […] una propria universalità”,[23] un proprio valore ontologico.

Questa concezione della positività della materia da Marx sarà ribadita più avanti quando scriverà: “Fondamentalmente, il mio metodo non è solo differente da quello hegeliano, ma ne è anche direttamente l’opposto. Per Hegel il processo del pensiero, che egli trasforma addirittura in soggetto indipendente con il nome di Idea, è il demiurgo del reale, che costituisce a sua volta solo il fenomeno esterno dell’idea o processo del pensiero. Per me viceversa, l’elemento ideale non è altro che l’elemento materiale trasferito e tradotto nel cervello degli uomini”.[24]

La concezione positiva della materia è la costante che accompagna Marx dalla giovinezza alla maturità.

Diamo ancora la parola a Marx: la materia è “il mondo esterno sensibile. La natura è il materiale su cui il suo lavoro [cioè dell’operaio] si realizza, in cui esso è attivo, da cui e mediante cui esso produce. Ma come la natura fornisce l’alimento del lavoro, nel senso che il lavoro non può sussistere senza oggetti, sui quali esercitarsi, così essa fornisce d’altra parte gli elementi in senso stretto cioè i mezzi per la sussistenza fisica dell’operaio stesso.”[25]

Inoltre, nell’Introduzione a Per la critica dell’economia politica Marx ci ricorda che l’“elaborazione in concetti” non è possibile “al di fuori e al di sopra dell’intuizione e della rappresentazione”,[26] concetto sottolineato, sempre nell’Introduzione, con il riconoscimento che “il soggetto, la società deve essere presente alla mente come presupposto” e che “il concreto è concreto perché è sintesi di molteplici determinazioni ed unità, quindi, del molteplice [… ed è] il punto di partenza dell’intuizione e della rappresentazione”.[27]

È, quindi del tutto infondato quanto asserito da Fusaro, secondo cui “quello di Marx è un materialismo senza materia, ossia un idealismo in cui la materia appare soltanto come metafora”.[28]

Ma l’opera di Fusaro su Marx è infarcita di errori grossolani. Proseguiamone l’esame.

 

La gnoseologia materialistica di Marx

Marx, nel 1843, perviene ad una nuova concezione del concetto. Per Marx il concetto perde ogni valore ontologico, per cui esso non è più destinato a cogliere nel suo esserci una struttura assoluta del reale e duplicarla nel concetto; in stretta connessione con questo, Marx rifiuta il criterio trascendente della verità come adaequatio intellectus et rei.

In opposizione al razionalismo metafisico, Marx elabora una concezione critica del concetto e scrive: “Ma questo comprendere non consiste, come Hegel crede, nel riconoscere ovunque la determinazione del concetto puro, bensì nel concepire la logica specifica dell’oggetto specifico.”[29] Quindi Marx, già nel 1843 è consapevole che il concetto è il processo di razionalizzazione del dato empirico, è il processo di teoreticizzazione della realtà empirica che la strappa dai limiti dogmatici dell’immediatezza e del teleologismo metafisico e la risolve nella sua struttura relazionale che costituisce l’obiettività positiva dell’oggetto.

Marx perviene, in tal modo, ad una concezione categoriale dell’ontologia che non ha nulla a che vedere con l’ontologia metafisica hegeliana.

Marx, nei Manoscritti economico-filosofici del 1844, dimostra di aver acquistato chiara consapevolezza che il concetto critico ha una struttura dialettica – “pensare ed essere sono dunque, certamente distinti, ma ad un tempo in unità l’uno con l’altro”[30] – per cui esso, per la reciproca funzionalità di essere e pensiero, è un’idea-limite, è un concetto-limite; esso esprime un compito infinito del pensiero, che mira all’universalità di un momento dell’esperienza, intesa non come l’astratta generalità di tale momento ma come il sistema dei rapporti, dei significati, dei valori che in esso s’intrecciano e che da esso si sviluppano.

La mancata comprensione del concetto di materia in Marx ha rappresentato un limite gravissimo nella filosofia di Gentile perché il nostro critico della metafisica dell’essenza[31], anche se ha pubblicato le tesi di Marx su Feuerbach,[32] è stato incapace di cogliere la portata teoretico-antimetafisica della filosofia marxiana e segnatamente dell’XI Tesi: “I filosofi hanno solo interpretato il mondo, in modi diversi, si tratta piuttosto di mutarlo”.

Questa tesi, in forma concisa, costituisce la critica più profonda che sia stata mossa alla metafisica dell’essenza, alla metafisica idealistica, al suo fondamento teoricistico[33] e alla sua intrinseca tautologia.

Conseguentemente è inevitabile l’XI Tesi, cioè il rifiuto opposto da Marx ad ogni forma di filosofia contemplativa, al realismo concettuale che ne è il fondamento, e che consiste in un’interpretazione dogmatica del concetto inteso come immagine astratta di un’entità essenzialmente reale. Da qui la polemica marxiana contro le astrazioni ipostasi, contro i concetti ontologici.

Fusaro segue fedelmente il maestro, nell’ingenuo convincimento che Gentile lo immunizzi da clamorosi errori ed afferma: “L’undicesima tesi alla “riflessione feuerbachiana […] contrappone il codice idealistico della coincidentia oppositorum, dell’identità nell’opposizione tra il polo del soggetto e quello dell’oggetto”.[34] Ed ancora: “l’undicesima delle Thesen, […] da leggersi […] come una ripresa del fichtiano idealismo in quanto filosofia che accorda operativamente l’Oggetto al Soggetto, il mondo alla ragione rivoluzionaria”.[35]

Gli errori conseguono inarrestabili: Fusaro non comprende la differenza tra metafisica e materialismo marxiano, tra pensiero critico e pensiero dogmatico-metafisico, tra concezione negativa della materia e concezione positiva del mondo empirico, tra le fasi della “vita” dell’Assoluto e la prassi trasformatrice. Ne consegue che, con la disinvoltura del dilettante filosofico, pensa di poter applicare lo schema soggetto-oggetto della metafisica idealistica al pensiero di Marx, non rendendosi conto che la realtà per Marx è un processo infinito che si sviluppa sotto lo stimolo dell’attività teoretica e pratica che dialetticamente si relazionano tra di loro, e non l’emanazione di un Assoluto-Soggetto.

Il pensiero, nell’opera di conoscenza della realtà da esso indipendente (ed è questa indipendenza che Fusaro, prigioniero dei suoi schemi hegeliani, non può ammettere), non è un’attività ricettiva, riflettente come uno specchio, bensì un’attività attiva di teoreticizzazione di tale realtà, cioè di elaborazione dell’esperienza secondo un proprio sistema di categorie che, quindi, sono i principi euristici dell’esperienza.

Risultato di questa operazione è il concetto in sé dialettico (astrazione determinata, idea-limite, che non ha nulla a che vedere con il concetto inteso “nel senso della hegeliana Scienza della logica[36]) tra la polarità universale – o tautoeterologica – e la polarità di realizzazione pragmatica, per cui esso non ha valore ontologico di rispecchiamento ma metodico-funzionale cioè il concetto è una legge di struttura che non contempla le strutture della realtà empirica ma conosce tali strutture per cambiarle con l’azione rivoluzionaria. Ed è questo, appunto, il significato dell’XI Tesi su Feuerbach.

Marx, contrariamente a quanto asserito da Fusaro,[37] respinge l’idea del sapere metafisico – che sostiene la validità di un sistema di valori assoluti posti a fondamento dell’agire umano – e restituisce la teoresi al mondo dell’umanità, per cui il sapere diventa sapere pragmatico, cioè sapere per fare che, penetrando la struttura dialettica della storia, attraverso l’esperienza dei suoi conflitti, individua, definisce le forze interessate alla creazione nella storia di una realtà universale umana, indicando loro una concreta direzione di lotta; esso è, pertanto, l’azione stessa nel suo determinarsi e superarsi storico in una realtà di cui essa è un momento essenziale.

Non bisogna essere dei “geni” come Gentile, o come Fusaro, per capire che Marx non può essere un metafisico perché la teoria di Marx è intessuta di ipotesi verificate e, quindi, di leggi continuamente da controllare e da “aggiustare” alla luce dell’esperienza storico-reale; nel suo pensiero i concetti, mai esaustivi, non hanno valore ontologico ma hanno un carattere metodologico; le soluzioni dei problemi, pertanto, hanno il valore di soluzioni limite, non definitive, non esaustive.

In altri termini, in Marx il sapere, cioè l’esigenza storica di teoreticizzare il reale empirico, è mosso dalla coscienza che esso è un processo aperto, infinito. E’ questo lo spartiacque che separa lo storicismo metafisico gentiliano dallo storicismo critico-antimetafisico marxiano.

Il marxismo è storicismo che non neutralizza la storia, ponendola come piano di oggettività di una disciplina privilegiata, bensì concezione della storicità vivente; l’azione non è un richiamo astratto all’obbiettività ideale di valori ma ricerca delle proprie condizioni reali di movimento, quindi ricerca della realtà.

Filosofare, dopo la lezione di Marx, significa intendere razionalmente questo umano mondo degli uomini in ogni sua dimensione, per operare dentro e mutarlo collaborando con gli altri, per conquistare per sè e per gli altri sempre nuove libertà.

Infine vogliamo evidenziare altri due punti della riflessione di Gentile che costituiscono lo stravolgimento delle tesi di Marx. Dice Gentile: una filosofia che “vuol esserematerialistica non può quindi ammettere un pensiero come tale; anzi il pensiero considera forma derivata ed accidentale dell’attività sensitiva. Questa è l’attività originaria; e in essa è quindi la radice e la sostanza del pensiero. […] L’organismo del pensiero non è se non l’organismo di quest’attività [sensibile n.d.a.]”.[38]

Un altro presunto errore di Marx sarebbe quello di avere copiato la dialettica triadica – “Marx – scrive Fusaro – assume integralmente la dialettica hegeliana”,[39] estendendola dall’assoluto alla realtà storica: “Fichte diceva tesi, antitesi, sintesi, essere, non essere, divenire Hegel. […] Il soggetto, l’attività pratica di Marx è la tesi; le circostanze, l’educazione sono l’antitesi; il soggetto modificato dalle circostanze e dall’educazione, la sintesi”;[40] infine “il materialismo storico […] riesce uno de’ più sciagurati deviamenti del pensiero hegeliano, in quanto riconduce ad una metafisica (scienza necessaria ed assoluta) del reale inteso come oggetto alla maniera prekantiana; e, quel che è più, trascina alla concezione di una dialettica, determinabile a priori, del relativo”.[41]

Sfugge a Gentile e Fusaro, e in ciò è un ulteriore, grave, limite teoretico del loro pensiero, che gli schemi teoretici del giovane Marx, nati dall’esperienza hegeliana, sono antitetici alla metafisica idealistica e alle concezioni universalistiche della coscienza borghese. Essi, infatti, sono gli strumenti che hanno permesso a Marx di concepire un realismo attivo come principio del rinnovamento della vita dell’umanità che crea dalla sua realtà a se stessa il proprio mondo e il proprio destino (es. il procedimento di autoliberazione dell’umanità dalle sue alienazioni storiche descritto nei Manoscritti).

Proprio per questo la critica di Marx alla filosofia hegeliana non poteva che andare oltre la critica all’Idea e alla presupposizione del pensiero all’essere; essa si estende proprio al nucleo essenziale della filosofia hegeliana, alla dialettica, cioè allo sforzo di Hegel di dedurre dall’Idea, con un processo di puro pensiero, la Totalità del reale. Tale critica non è diretta a liberare il metodo hegeliano dalla prigionia del sistema e a sostituire la dialettica dell’Idea con una dialettica (immutata) della materia, esattamente al contrario di quanto sostiene un luogo comune consolidato che ha visto accomunati filosofi idealisti come Gentile (e oggi Fusaro) e i primi commentatori e divulgatori della filosofia marxiana.

Per Marx la dialettica e il sistema in Hegel sono strettamente connessi tra di loro: infatti la dialettica è strettamente connessa con l’Idea, con l’idea di Tempo omogeneo che è il luogo dove si svolge l’auto-discorso dello Spirito; di Storia progressiva, di Sviluppo dell’Identico; proprio per questo la critica alla dialettica è sempre la critica alla metafisica di Hegel e la critica a quest’ultima è sempre la critica alla dialettica.

La dialettica di Marx è una dialettica non dell’oggettività originaria (cioè dell’uomo naturale) ma è dell’uomo nel suo lato oggettivo (naturale) e generico (storico-sociale) al tempo stesso. Tale momento, che in Marx è il momento della mediazione, rende perciò impossibile la dialettica triadica hegeliana in quanto viene a mancare il primo momento, quello dell’immediatezza, dell’in sé che è, invece, il primo momento della dialettica triadica.

In Marx “la capacità di comprendere i lati del reale dentro un processo di sviluppo deriva, al contrario che in Hegel, da una dialettica i cui termini sono due, eterogenei tra loro: da un lato i dati di fatto di natura scientifica, dall’altro astrazioni concettuali che oltre ad analisi scientifiche della realtà forniscano strumenti per eventualmente trasformarla”.[42]

 

Il materialismo storico non è una filosofia della storia

Un’altra tesi che Fusaro riprende da Gentile è quella che considera il materialismo storico (e il comunismo) come filosofia della storia. “Il processo storico – scrive Fusaro [è] orientato a un fine ultimo”.[43]. “La prospettiva di Marx – continua Fusaro – si configura […] come una ‘metafisica del Progresso’”[44] e il comunismo è assunto “come telos dell’intero processo”.[45]

La valutazione del materialismo storico come filosofia della storia, avanzata dalla coppia Gentile-Fusaro, non ha alcun riscontro nella filosofia marxiana.

Marx, infatti, non prescrive alla storia un corso ideale in funzione di una chiusa visione del mondo. Il materialismo storico non è una definizione dell’essenza dell’uomo in cui sia giustificata la sua storicità né una determinazione del senso e del fine ultimo della storia. Anzi, proprio il materialismo storico difende la ricerca storica dall’intrusione dei riflessi di una tale filosofia.

Nella prospettiva idealista l’idea si incarna nella totalità della storia, la razionalità trasporta su un piano di necessità logico-metafisica il post factum empirico, la dialetticità risolve la negatività nella processualità del logo.

Nel materialismo storico, invece, la dialetticità permane aperta e la sua sintesi è data dall’astrazione determinata, in continuità pratica con l’azione che, come tale, ha in sé il rischio dell’errore e quindi sollecita la più ampia problematica intorno alla responsabilità.

Quindi, nessun disegno storico prefigurato, nessuna filosofia della storia ma costruzione filosofica che, nel condizionamento storico e nella sua piena accettazione, si trasforma in costruzione di vita.

Ciò non è capito dal Gentile che scrive: “Lo Stato comunista, termine ultimo e conseguenza del movimento sociale, deve provenire da una serie di trasformazioni, preordinate, a quanto sembra a quel fine.”[46]

Anche qui la lettura di Marx in chiave hegeliana, costruita da Gentile, si rivela errata. Marx non cade nella contraddizione che è propria del pensiero di Hegel. Quest’ultimo concepisce il pensiero come processo di sviluppo dialettico, ma lo sviluppo dell’Idea culmina nello Spirito assoluto, dopo il quale non vi può essere ulteriore sviluppo. La concezione di Hegel è teleologica: pone un fine (telos), un fine ultimo, al divenire dell’Idea. Hegel cade continuamente in contraddizione con se stesso: presenta una filosofia dello sviluppo, e pone termine allo sviluppo.

Gentile non coglie che il comunismo per Marx è l’idea-limite di un pensiero critico (come risulta chiaramente nei Manoscritti) – cioè di un pensiero che nella coscienza della natura critica del sapere trova la garanzia metodica della sua infinita libertà teoretica – è una soluzione non esaustiva della problematica storica e proprio per questo suo carattere esso chiude la preistoria dell’umanità e apre la storia.[47]

Conseguentemente Marx non cade nella stessa contraddizione di Hegel e la società comunista non è teleologica. Il comunismo, infatti, deve essere inteso come un processo che porta a dare a “ognuno secondo i suoi bisogni”[48]. Ma la soddisfazione di un bisogno ne crea altri. La soddisfazione dei bisogni va, dunque, intesa come un processo, poiché la libertà conosce un continuo arricchimento. Non si ferma, quindi, la storia. Cadono le contraddizioni relative alla lotta di classe ma si presentano, in modo nuovo, le contraddizioni proprie dello sviluppo sociale e del rapporto dell’uomo con la natura.

Il fatto che Marx trasferisca lo sviluppo dialettico dall’Idea alla società – attraverso una dialettica radicalmente innovata – gli consente di superare la concezione teleologica della dialettica presente in Hegel e nella sua concezione dell’Assoluto.

 

Il materialismo storico non è determinismo

Un altro gravissimo errore di Gentile-Fusaro, non indipendente ma conseguente a quanto abbiamo appena esaminato, è la riduzione – del tutto arbitraria – del materialismo storico a determinismo economico. Del resto cosa potevamo aspettarci da un Fusaro secondo cui “Marx abbraccia una concezione dello sviluppo storico che ricalca in modo pressoché identico la filosofia della storia triadica di Hegel”[49] e il proletariato “demiurgicamente”[50] crea la storia?

Ma partiamo dal filosofo di Castelvetrano: “le circostanze storiche – scrive Gentile – non operano sul sostrato economico, e non possono deviare il movimento dialettico, se sono costruzioni superiori dell’uomo economico; e se sono attinenti ai fatti stessi economici rientrano esse stesse nell’ingranaggio di quella dialettica storica, che Marx ha mutuata da Hegel. Se ciò non fosse, non sarebbe più vero che l’economia è l’essenza della storia, e che questa si spiega tutta per le condizioni variabili di quella.”[51]

È da osservare che ridurre i fatti storici a fatti economici significa interpretare il piano economico in senso antimarxista, come la sfera dell’uomo economico contrapposta alle sfere degli altri valori.

Nel pensiero di Marx non esiste alcuna differenza di valore ontologico tra il piano radicale della realtà storica (la struttura economica) e gli altri piani (la sovrastruttura), essendo l’uomo il creatore di entrambi. Inoltre, sul piano fondamentale – economico – per Marx s’innestano le reazioni specifiche della sovrastruttura di cui si compone la complessa realtà umana.

Ed ancora: dove ha letto, Gentile, che la struttura “genera” la sovrastruttura[52]? La sfera economica per Marx non è la sfera dell’utile contrapposta agli altri valori, ma esprime il fatto che i rapporti di produzione e di organizzazione economica sono i primi ed essenziali rapporti di socialità per cui nel mondo della natura si crea il mondo degli uomini e questo si amplia.

La coscienza dialettica del marxismo, nel riportare i fatti di vita sociale, in quanto storicamente concreti, nel sistema dei rapporti di produzione che sono alla base della struttura sociale e definiscono la linea del suo dinamismo storico, riconosce altri piani di significazione e di valutazione dei fenomeni, la considerazione dei loro riflessi sulla struttura, le loro relazioni reciproche, il loro orizzonte di autonomia. Questa posizione sfugge all’attenzione di Gentile che scrive: “il fatto economico dal quale tutti i fenomeni sociali dipendono e derivano”[53].

Un fatto di religione, di morale, se considerato nel suo riferimento ad un valore ideale, perde di realtà, sfugge alla storicità e alla sua concretezza, cui invece ritorna considerato come fatto di vita sociale.

La presa di posizione antidealistica di Marx che emerge chiaramente laddove il filosofo tedesco scrive che “non è la coscienza che determina il loro essere ma è, al contrario, il loro essere che determina la loro coscienza”[54]. Marx però non si ferma a questo punto ed infatti precisa che per “essere” intende l’essere sociale, cioè i rapporti di produzione e di scambio.

Dal concetto metafisico di “essere” si passa ad un concetto che non è più ipostasi, ma ipotesi, al concetto di realtà sociale nella sua specifica determinazione. Marx supera il campo della metafisica (e della filosofia intesa come costruzione puramente concettuale, riferita ad un oggetto cui non si può giungere tramite l’esperienza) per passare ad una sfera nuova, quella dei rapporti economici e sociali. Si passa, così, dalla sfera della metafisica alla sfera della scienza della società.

È di tutta evidenza, quindi, che le classi non sono “attori metafisici”[55] e che Marx non “metabolizza e rideclina” lo “Spirito come storia”[56], come, erroneamente, ritiene Fusaro. “La storia non fa niente, essa – scrive Marx – ‘non possiede alcuna enorme ricchezza’, ‘non combatte alcuna lotta’! È piuttosto l’uomo, l’uomo reale, vivente, che fa tutto, possiede e combatte tutto; non è la ‘storia’ che si serve dell’uomo come mezzo per attuare i propri fini, come se essa fosse una persona particolare; essa non è altro che l’attività dell’uomo che persegue i suoi fini”[57]. Qui Marx si riferisce proprio alla storia trasformata in entità astratta, che dimentica gli uomini reali che fanno, in condizioni determinate, la storia stessa. La storia non è il soggetto. Trasformarla in soggetto – come fa Fusaro, sulla scorta del suo maestro – significa dare al concetto di storia una realtà autosufficiente, trasformandola in ipostasi. Ed invece i soggetti sono gli uomini, quelli in carne ed ossa, non quelli che rappresentano figure allegoriche delle sue illusioni metafisiche, spacciate per vera realtà.

In Marx non esiste nessun uomo dato per sempre, non esiste nessun Weltgeist (l’hegeliano “Spirito del mondo”) che guida l’azione degli uomini. Svanite le nebbie metafisiche, che appassionano Fusaro, restano gli uomini determinati, che operano in situazioni storiche determinate ed entro determinati rapporti di produzione.

Conseguentemente sbaglia clamorosamente Fusaro quando, riferendosi alla dialettica servo-padrone, tratteggiata da Hegel nella Fenomenologia dello Spirito, scrive che “la stessa analisi marxiana in Das Kapital può essere considerata come una proiezione nel mondo capitalistico di tale figura hegeliana, rideclinata sotto forma di ‘lotta di classe’”.[58]

Infatti per Hegel il lavoro è rapporto con la natura. Ma la natura non è altro che l’obiettivazione dell’Idea. Il che significa che uno dei due termini nel rapporto è vanificato: la natura è vanificata nel Pensiero, nell’Idea. La mediazione operata dal lavoro diventa apparente. Il lavoro in realtà non media, ma finisce per essere la riflessione del soggetto (pensiero) su se stesso. Il lavoro si identifica con il pensiero. Ancora una volta il rapporto reale è mistificato.

Lo sforzo di Marx consiste nel liberare il concetto di lavoro, il rapporto fra “padrone e servo”, il rapporto tra uomo e natura, tra coscienza ed essere sociale, dalla mistificazione con cui Hegel trasferisce questi concetti dalla realtà all’astratto metafisico.

 

La moralità nel materialismo storico

A conclusione di questo lavoro – che non ha comunque pretese di esaustività, date le innumerevoli sciocchezze filosofiche di Fusaro – non possiamo non soffermarci sulla morale comunista. Vediamo cosa scrive Fusaro: “La critica organica del modo di produzione capitalistico non può in alcun caso essere una critica morale. Ciò che stupisce, tuttavia, è che, dopo aver dichiarato del tutto impossibile una denuncia morale del modo di produzione capitalistico, Marx, di fatto, non fa altro che svilupparne una, la più potente che si sia mai levata contro il capitalismo stesso. […] In ciò risiede, probabilmente una delle maggiori ambiguità del pensiero di Marx e della sua feconda incoerenza”.[59]

Fusaro ritiene ambiguo e incoerente Marx perché gli sfugge la fondamentale distinzione che passa tra moralismo e moralità.

Proviamo a fare chiarezza. In Marx manca del tutto, e non poteva essere altrimenti date le sue premesse ontologiche e gnoseologiche, il moralismo. Moralista è chi, di fronte ai conflitti e alle patologie sociali, rifiuta di calarsi nella dialettica storica, di impegnarsi in concreto a rimuovere le cause, di scegliere una forza storicamente positiva che possa far uscire la società dalla sua condizione disumana. L’atteggiamento pedagogico del moralista è meta-dialettico, sterile ai fini del superamento, della liberazione da una dialettica storica creatrice di barbarie (male storico – male morale).

L’impegno politico, invece, è la dimensione etica dell’uomo perché lo scioglimento dei nodi concreti e drammatici (sfruttamento, disoccupazione, miseri, ecc) non può non essere un atto politico che dà luogo ad una dialettica tra forze politiche, economiche, ideologiche.

All’impegno delle forze rivoluzionarie si contrappone la filosofia dell’evasione, rappresentata, tra gli altri, proprio dall’idealismo di Hegel e Gentile, dove l’evasione dalla problematica storica si configura come giustificazione totalitaria della realtà così come essa è, quale atto dell’Assoluto-Spirito – “ciò che è reale è razionale e ciò che è razionale è reale” – e segna l’annullamento della persona nella sostanza etica, nello Stato, sia esso quello prussiano o quello fascista.

Passiamo adesso a Marx. La sua teoresi è pratico-ontologica, di lotta, per la trasformazione del mondo; la pratica è funzione della teoria e quest’ultima è una funzione della pratica cioè la coscienza (la teoresi) nasce dall’esercizio dell’azione ed è libera, aperta, coscienza dell’azione; quanto più l’azione si estende e si approfondisce nella dialettica del reale, tanto più la coscienza si estende e si approfondisce.

La morale del materialismo storico è costruttiva, rivoluzionaria. Quindi l’atto rivoluzionario non è un atto necessitato che nasce dalla esigenza di una dialettica triadica (tesi – negazione – negazione della negazione) ma è un atto che nasce proprio dalla consapevolezza e dall’azione eticamente costruttiva della ragione storica nel mondo umano, per liberarlo dagli aspetti disumani che si trovano in esso (libertà liberatrice).

Questi concetti sono chiaramente formulati da Marx nella II e nell’XI Tesi su Feuerbach[60] e si collegano strettamente con la concezione della teoresi come impegno pratico ontologico di trasformare il mondo, esposta nelle pagine del Manifesto, che indica modalità e obiettivi della trasformazione dell’ordine sociale.

Il dilettantismo culturale di Fusaro non è un lapsus storico-teoretico, perché esso ha una portata pratica anticomunista. Sta a noi comunisti denunciare senza riserve le sue posizioni facendo affidamento sull’immenso patrimonio costituito dal pensiero di Marx che rappresenta, con straordinaria attualità, la “cassetta degli attrezzi” indispensabile per combattere le tante battaglie che ci attendono.


Note
[1] D. Fusaro, Marx idealista, Mimesis, Milano, 2018, p. 98.
[2] Ivi.
[3] Aporia: difficoltà di fronte alla quale viene a trovarsi il pensiero nella sua ricerca, sia che di tale difficoltà si ritenga raggiungibile la soluzione, sia che essa appaia intrinseca alla natura stessa della cosa, e quindi ineliminabile.
[4] G. Gentile, La filosofia di Marx, Sansoni, Firenze, 1974, p. 63.
[5] Ibidem, p. 71. Questa affermazione d’intenti è la prova che è falso il tentativo, in sede filosofica, di voler valutare il pensiero gentiliano al di fuori della sua partecipazione organica al regime dittatoriale, autoritario, poliziesco, repressivo fascista, dalla riforma della scuola alla elaborazione della prima parte della Dottrina del Fascismo, all’appello all’unità degli italiani attorno alla R.S.I. Il fascismo per Gentile non è stato un accidens ma il sito naturale del suo feroce anticomunismo, del suo conservatorismo borghese.
[6] G. Gentile, La filosofia di Marx, cit., p. 6.
[7] Ibidem, p. 4.
[8] D. Fusaro, Marx idealista, cit., p. 18. Qui Fusaro riprende alla lettera il giudizio di Gentile (cfr. La filosofia di Marx, già citata, p. 164).
[9] G. Gentile, La filosofia di Marx, cit., pp. 54-5.
[10] D. Fusaro, Marx idealista, cit., p. 12.
[11] Fusaro, Il futuro è nostro. Filosofia dell’azione, Bompiani, Milano, 2016, p. 286.
[12] G. Gentile, La filosofia di Marx, cit., p. 55.
[13] Ibidem, p. 56.
[14] Ibid. pp. 56-7.
[15] Il metodo della scienza – scrive Gentile – è “implicito tutto in quel principio del presupporre dogmaticamente il proprio oggetto” (in G. Gentile, Sistema di logica, Sansoni, Firenze, 1940, I, p. 30).
[16] D. Fusaro, Il futuro è nostro. Filosofia dell’azione, Bompiani, Milano, 2016, p. 279.
[17] D. Fusaro, Marx idealista, cit., 27.
[18] G.G.F. Hegel, Scienza della logica, Laterza, Bari, 1925, I, pp. 169-70.
[19] “La filosofia greca, naturalistica prima di Socrate, idealistica da Socrate ad Aristotele, e naturalmente idealistica dopo, a chi guardi a questo suo costante carattere, onde sempre cercò lo spirito nell’antecedente dello spirito (natura) è tutta quanta propriamente naturalistica; e, come tale, non filosofica, ma partecipante della natura propria delle scienze particolari” in G. Gentile, Sistema di logica, cit., p. 30.
[20] D. Fusaro, Marx idealista, cit., p. 150.
[21] Citiamo, a titolo meramente esemplificativo: “Nel senso della hegeliana Scienza della logica quella sviluppata da Das kapital si configura come una scienza filosofica dell’identità delle categorie di essere e pensiero (D. Fusaro, Marx idealista, cit., 54)
[22] K. Marx – F. Engels, L’ideologia tedesca, in Opere complete, Editori Riuniti, Roma, 1972, p. 17.
[23] K. Marx, Manoscritti economico-filosofici, in Opere filosofiche giovanili, Editori Riuniti, Roma, 1963, p. 19.
[24] K. Marx, Il capitale, ed. Rinascita, Roma, 1955, pp. 27-8.
[25] K. Marx, Manoscritti economico-filosofici, cit., p. 195.
[26] K. Marx, Introduzione alla critica dell’economia politica, in Per la critica dell’economia politica, Editori Riuniti, Roma, 1957, pp 188-9.
[27] Ivi.
[28] D. Fusaro, Marx idealista, cit., p. 102
[29] Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, in Opere filosofiche giovanili, cit., p. 105.
[30] K. Marx, Manoscritti economico-filosofici, cit., p. 239.
[31] Gentile, infatti, rimproverava alla metafisica dell’Essere di essere un’ontologia realistico-statica (l’Essere è una realtà che esiste in sé, indipendentemente dal soggetto); in contrapposizione ad essa sosteneva la dinamicità dello Spirito come realtà in fieri.
[32] G. Gentile, La filosofia di Marx, Sansoni, 1974, Firenze, pp. 68-71.
[33] Le filosofie teoricistiche sono quelle che identificano in modo assoluto il senso del reale (universale) con un dato conoscitivo particolare (es. lo Spirito di Hegel, l’esperienza nell’empirismo, Dio nelle religioni) e giustificano l’identità mediante il ricorso ad una conoscenza autogarantita. Tale concezione teoricistica implica una contraddizione in quanto spiega e garantisce la validità del conoscere, del pensiero, sulla base di una realtà che deve a sua volta essere spiegata e garantita dal conoscere stesso. Il processo d’ipostatizzazione, quindi, è teoreticamente arbitrario.
[34] D. Fusaro, Il futuro è nostro, Filosofia dell’azione. Bompiani, Milano, 2014/2016, p. 278.
[35] D. Fusaro, Marx idealista, p. 11.[7]
[36] Ibidem, p. 54.
[37] Cfr. D. Fusaro, Marx idealista, p. 29.
[38] G. Gentile, La filosofia di Marx, p. 83. Ancora una volta il filosofo dell’atto ignora che Marx nei Manoscritti aveva affermato che il sapere è un’unità dialettica di due distinti qualitativi (e non quantitativi come in Hegel): la ratio essendi o senso (materia) e la ratio cognoscendi o pensiero dove il primo momento porta al conoscere e il secondo momento costituisce il processo del conoscere.
[39] D. Fusaro, Marx idealista, p. 26 e p. 92.
[40] G. Gentile, La filosofia di Marx, p. 85.
[41] Ibidem, p. 58.
[42] N. Merker, K. Marx, Laterza, Bari, 2010, pp. 152-3.
[43] D. Fusaro, Marx idealista, cit., p. 134.
[44] Ibidem, p. 135.
[45] Ibidem, p. 58.
[46] G. Gentile, La filosofia di Marx, p. 29.
[47] Fusaro, proprio perché legge il materialismo storico alla luce delle lenti deformanti realizzate da Gentile, non comprende Marx ed arriva a scrivere che “risulta difficile capire in che misura il comunismo non si configuri, in ultima istanza, come fine (cronologica) della storia” (in D. Fusaro, Bentornato Marx!, Bompiani, Milano, 2017, p. 279).
[48] K. Marx, Critica al programma di Gotha, Roma Editori Riuniti, 1976, p. 32.
[49] D. Fusaro, Marx idealista, cit., p. 134.
[50] Ibidem, p. 138.
[51] G. Gentile, La filosofia di Marx, pp. 43-44.
[52] “Le condizioni in mezzo alle quali e per le quali, in una data società, la vita umana si deve esplicare; condizioni non politiche né religiose, né morali, né scientifiche, né artistiche, ma semplicemente e unicamente economiche, dacché queste sono generatrici delle particolari forme di tutte le altre” (G. Gentile, La filosofia di Marx, cit., p. 26).
[53] Ibidem, p. 36.
[54] Prefazione del ’59 a Per la critica dell’economia politica, Roma, Editori Riuniti, pp. 4 e sgg.
[55] D. Fusaro, Marx idealista, cit., pp. 26 e 92.
[56] Ibidem, p. 11.
[57] K. Marx, La sacra famiglia, in K. Marx- F. Engels, Opere complete, IV, Editori Riuniti, Roma, 1972, p. 103.
[58] D. Fusaro, Marx idealista, cit., 69.
[59] D. Fusaro, Bentornato Marx, cit., p. 125.
[60] Nella II Tesi Marx puntualizza: “La questione se al pensiero umano spetti una verità oggettiva, non è questione teoretica, bensì questione pratica. Nella prassi l’uomo deve provare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere immanente del suo pensiero. La disputa sulla realtà o non realtà del pensiero – isolato dalla prassi – è una questione meramente scolastica.” Nell’XI Tesi Marx scrive: “I filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo, si tratta di trasformarlo” in K. Marx – F. Engels, Opere, V, cit., pp. 2-4.

Comments

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Eros Barone
Saturday, 02 May 2020 19:55
Desta meraviglia che l’autore, nella disàmina critica della interpretazione gentiliana di Marx (interpretazione che, è bene rammentare ciò, fu grandemente apprezzata da Lenin, il quale la considerava uno dei contributi filosoficamente più importanti nell’àmbito del dibattito di fine secolo sulla cosiddetta “crisi del marxismo” e sul revisionismo), non abbia fatto il minimo accenno al rapporto di Gentile e, ovviamente ‘a fortiori’, di Croce con il pensiero marxista di Antonio Labriola, che segna il vero spartiacque filosofico e politico di quel dibattito in àmbito italiano (e, per la verità, non solo italiano). Così, Lenin, Croce e Labriola sono i tre ‘grandi assenti’ di questo elaborato (e, me lo consenta Solano, sono assenze che pesano). Sennonché proprio nel rifiuto di ridurre il materialismo storico a un semplice canone metodologico (come voleva Croce) – rifiuto accompagnato, però, dal serio avvertimento che, se non limitato criticamente, esso “riesce uno de’ più sciagurati deviamenti del pensiero hegeliano, in quanto riconduce ad una metafisica (scienza necessaria e assoluta) del reale, inteso come oggetto alla maniera kantiana” (Gentile, "La filosofia di Marx", cap. II) – è riscontrabile la maggiore aderenza, rispetto a Croce, dell’impostazione gentiliana a quella labriolana, che gli studiosi più seri ritengono sia l’ineludibile termine di confronto storico e teoretico di questo dibattito. Ma un altro grande pregio dell’impostazione di Gentile è la chiara individuazione dei due problemi più urgenti e più importanti lasciati aperti dalla ricerca di Labriola: il problema della dialettica e dei rapporti con il pensiero di Hegel (problema che era sotteso a quello della scienza) e il problema della prassi e dei suoi rapporti con la teoria. Entrambe le questioni avevano come loro presupposto l’eliminazione radicale dei residui metafisici e delle ambiguità sedimentati dalle varie versioni positivistiche, materialistiche (in senso meccanicistico) ed evoluzionistiche (in senso volgare) del materialismo storico. Insomma, occorreva fare un salto per lasciarsi alle spalle il positivismo. E il salto che fa Gentile porterà con sé conseguenze positive e negative ad un tempo. Positive, nella misura in cui vengono voltate le spalle, non tanto al positivismo, che in sé aveva pur qualcosa di positivo, quanto alle sue degenerazioni; negative, in quanto questo voltar le spalle a tali degenerazioni in una maniera radicale che non era stata consentita al Labriola (il quale aveva dinanzi a sé, vive e vegete, le volgarizzazioni evoluzionistiche del marxismo) determinò una lettura di Marx ed Engels, che sopravvalutava, per contrappasso, il momento dell’attività nel suo aspetto più tipicamente filosofico e idealistico (che è poi la radice fichtiana dell’idealismo soggettivo, ben radicata in Gentile e ripresa dai suoi epigoni in chiave pragmatista, tra i quali è da annoverare Fusaro). Ma il merito precipuo di Gentile, che giustifica anche l’apprezzamento espresso da Lenin, è stato proprio quello di affrontare un problema che era stato eluso da Croce: il problema del rapporto fra il pensiero di Marx e di Engels e quello di Hegel e, più in generale, il problema della “filosofia di Marx”. A tale problema, invece, e precedendo di poco il Labriola stesso che su questo stava lavorando, dette la sua risposta l’allora poco più che ventiduenne Giovanni Gentile. Circa l’interpretazione gentiliana della “filosofia di Marx”, ancorata, come è noto, alla “Sacra famiglia” e alle “Tesi su Feuerbach” (due testi che Croce aveva trascurato), vi è solo da dire ciò che ne aveva detto Engels, e cioè che in essi era deposto “il germe geniale della nuova concezione del mondo”. Riguardo infine al modo in cui Gentile sublima il concetto marxiano di prassi in quello di lavoro in generale, concepito sulle orme di Hegel come attività spirituale, si può aggiungere ciò che il giovane Marx aveva osservato in un brillante passo della sua tesi di dottorato, entrando nel vivo delle polemiche agitate all’interno della scuola dei giovani-hegeliani, e cioè che non si supera mai la filosofia se non ci si stacca dal suo punto di vista, poiché il pensiero non si completa con la prassi, se questa prassi è soltanto pensata, se – scrive Marx – “la prassi della filosofia è essa stessa teoretica”. Dopodiché, fatti questi doverosi rilievi di ordine storico e filosofico, non si può che approvare l’elaborato di Solano, in cui la critica dell’idealismo di Gentile è propedeutica a quella di un suo epigono, quale è Fusaro, meritevole di essere ascritto più alla fenomenologia gramsciana del lorianesimo che non alla storia della filosofia contemporanea in Italia.
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