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Critica dell'economia politica, oltre il marxismo tradizionale: Moishe Postone e Robert Kurz

di Jordi Maiso ed Eduardo Maura

post apocalypse25255b525255dQuesto testo intende presentare due proposte di attualizzazione della critica marxiana dell'economia politica: quelle di Moishe Postone e di Robert Kurz. I loro approcci, sviluppati a partire dagli anno Ottanta, offrono delle chiavi per superare le insufficienze del marxismo tradizionale ed aprono prospettive fruttuose al fine di rendere attuale la teoria critica. Partendo da una reinterpretazione comune delle categorie di Marx, i due autori arrivano, tuttavia, a diagnosi differenti: mentre Postone insiste su come il capitalismo crei (e blocchi) la possibilità di un nuovo ordine sociale, Kurz sottolinea il fatto che il capitalismo contemporaneo abbia raggiunto il suo limite interno e sia entrato in una fase irreversibile di declino e di disintegrazione.

Negli anni successivi alla "rottura epocale" del 1989, la critica dell'economia politica in chiave marxiana era considerata un capitolo chiuso della storia del pensiero, ed ostinarsi a criticare il capitalismo era ritenuto proprio di qualche testardo che non voleva riconoscere i nuovi segni dei tempi. Erano gli anni dell'euforia della "fine della storia" e della "fine delle ideologie", e l'imposizione dell'economia di mercato su scala planetaria prometteva di concretizzare il sogno di un One World che avrebbe superato le divisioni fra i blocchi ed avrebbe dato inizio ad un'epoca di prosperità globale.

Vent'anni più tardi, queste aspettative si sono rivelate illusorie. Dopo un breve periodo di prosperità a credito, e con i piedi di argilla, il capitalismo globalizzato si era lasciato dietro di sé uno scenario fatto di nuove disuguaglianze, di povertà di massa, un incremento della popolazione che non poteva essere integrata nel sistema produttivo ed una catena di bolle finanziarie che, a partire dal 2008, sfociava in una crisi globale. Di fronte ad un tale scenario, Marx sembrava tornare ad essere qualcosa più di uno spettro, e la sua analisi del capitalismo tornava a suscitare un interesse che andava ben oltre quello strettamente accademico. In questo senso, può essere utile volgere lo sguardo ad alcuni autori che, quando la critica marxiana del capitalismo sembrava non avesse più niente da offrire, avevano tentato di articolare una lettura delle sue idee che superasse l'arroccamento in una comprensione segnata dalle urgenze della storia e da quarant'anni di Guerra Fredda.

Infatti, se le opere di Moishe Postone e di Robert Kurz - scritte nel corso degli anni ottanta e pubblicate all'inizio degli anni novanta - hanno qualcosa in comune, questo è proprio l'intento di superare i limiti del marxismo tradizionale a partire da una rilettura della teoria del valore. Senza dubbio, i loro approcci non sono del tutto "nuovi", bensì riflettono delle discussioni che nell'ambito intellettuale tedesco - sebbene Postone insegni a Chicago, la sua opera è stata concepita in gran parte in Germania - si sono svolte per decenni. Entrambi tornano a guardare a Marx, guidati dall'interesse a pensare criticamente la dinamica storica del capitalismo, proprio in un momento in cui la teoria sociale maggioritaria si era rassegnata a lasciarsi trascinare da tale dinamica. I loro approcci si situano ad un alto livello di astrazione, ma non per questo si isolano dalle lotte epocali: piuttosto, cercano di ripensare il modo in cui articolare la teoria e la prassi critica a fronte delle trasformazioni del capitalismo. Questo esigeva, innanzitutto, di segnare la distanza con il marxismo tradizionale il quale, in sintonia con la retorica del movimento operaio e della lotta di classe, criticava il capitalismo dal punto di vista del lavoro. Sebbene sia Kurz che Postone assumano che la teoria di Marx non potrà morire in pace, mentre continuerà a persistere il capitalismo, essi sono anche coscienti del fatto che questo marxismo ormai non corrisponde più alla situazione storica. Ecco perché entrambi si rifanno al Marx più "esoterico", capace sia di mettere in discussione i presupposti del marxismo tradizionale, quanto di mettere allo scoperto lo specifico della formazione capitalista.

Quando Kurz e Postone si oppongono al "marxismo tradizionale" - cosa che in alcuni passaggi, soprattutto di Postone, viene quasi ridotto ad un "tipo ideale" - ciò che essi respingono è una comprensione del capitalismo in termini di proprietà privata dei mezzi di produzione e di mercato. E questa lettura può mettere in discussione l'esistenza del plusvalore e del capitale, ma non quella del lavoro. Di conseguenza, il marxismo tradizionale concepisce l'emancipazione sociale come continuazione del processo di modernizzazione, ma liberando i mezzi di produzione dal giogo del dominio di classe e ponendoli nelle mani dei lavoratori: non vengono messe in discussione le forme di base del capitalismo, ma soltanto la sua organizzazione come "società di classe". Quindi, questa lettura non poteva trascendere la struttura fondamentale della società capitalista, la quale si è resa evidente nel suo sviluppo a partire dal 1945: nei paesi più avanzati, il marxismo si è ridotto ad una lotta per il riconoscimento dei lavoratori, favorendo la loro integrazione in quanto "proprietari di merce", mentre nei paesi "periferici" si è convertito alla parola d'ordine della modernizzazione accelerata.

Al contrario, Kurz e Postone affermano che le classi non "creano" la società capitalista, ma sono le sue "creature", e che la critica del capitalismo richiede piuttosto che si analizzino bene le forme di base che strutturano la totalità della vita sociale: il valore, il lavoro, la merce ed il denaro. La loro lettura di Marx parte precisamente dal fatto che queste categorie non possono essere considerate - come nel marxismo tradizionale- come realtà trans-storiche, inerenti a tutte le società umane, ma come specifiche della società capitalista - anche il lavoro, nel suo duplice aspetto di lavoro concreto e di lavoro astratto. La specificità del capitalismo è che esso non solo è un modo di produzione, ma che a partire dalle sue categorie fondamentali costituisce la soggettività e l'oggettività nella società moderna, così come costituisce la prassi sociale e le forme della coscienza individuale.

A partire da questa base, Kurz e Postone aspirano a comprendere lo specifico della formazione sociale capitalista al di là delle sue configurazioni storicamente specifiche e al di là dei conflitti fra gli strati sociale, e per far questo assegnano un'importanza centrale alla teoria del valore. I loro lavori non aspirano tanto ad un'esegesi filologica dei testi marxiani, quanto a riconcettualizzare le relazioni di dominio e le possibilità di emancipazione in seno alla società capitalista. E' questo che costituisce il loro maggior interesse al fine di una teoria critica del presente.

 

M. Postone: reinterpretazione categoriale di Marx e critica immanente del capitalismo

Moishe Postone è uno dei più importanti pensatori marxiani degli ultimi trent'anni, in gran parte grazie al suo libro "Tempo, lavoro e dominio sociale", del quale non può essere detto che sia passato inosservato, come dimostrano le numerose recensioni ricevute negli Stati Uniti, alcune delle quali firmate da nomi di spicco, come Martin Jay. Tuttavia, non è riuscito ad occupare una posizione centrale nel dibattito contemporaneo circa l'attualità di Marx. Undici anni dopo la sua prima edizione, la rivista "Historical materialism" (volume 12/3 del 2004) gli ha dedicato un numero speciale, nel quale numerosi collaboratori, di segno diverso, hanno analizzato a fondo le tesi di Postone, le loro conseguenze indesiderate ed i loro effetti sul pensiero e sulla prassi politica. In Spagna, insieme alla pubblicazione di un’antologia di testi, si è svolto a Madrid, nell'ottobre del 2008, un seminario su Postone in cui si trattava di "comprendere ed approfondire il modo in cui Postone legge Marx", che, sebbene "non risolva nessuna delle urgenze della prassi politica trasformatrice [...] è è un interessante strumento per ripensare collettivamente in che cosa debba consistere oggi una prassi politica trasformatrice all'altezza delle sfide attuali". Sono stati inoltre pubblicati alcuni lavori di Postone svolti in altri ambiti, quali gli editoriali, ed il suo lavoro è stato discusso in due seminari annuali della  Sociedad de Estudios sobre Teoría Crítica (SETC).

Postone appartiene ad una stirpe di intellettuali la cui reazione davanti alla crisi del socialismo reale (o irrealmente esistente, secondo il suo sguardo) non fu quella di rimuovere il nucleo duro della tradizione marxista in nome dei nuovi movimenti sociali. La sua risposta, al contrario, suggeriva la necessità di impegnarsi in una ricostruzione critica del corpus marxiano. Questa decisione, non meno teorica che pratica, è alla base di quella che Postone chiama "reinterpretazione categoriale" della teoria critica di Marx: tutte le categorie che mette in gioco fanno pertanto parte del nucleo della proposta teorica di Marx: la teoria del valore-lavoro, il metodo de Il Capitale, la dinamica delle società moderne e la periodizzazione del capitalismo, tutto questo in vista di un progetto di ricostruzione della critica dell'economia politica. Come già osservato, la domanda di Postone, uguale a quella di Kurz, è: Si può continuare a fare la critica dell'economia politica? Se sì, come? Con questo, viene stabilita una prima differenza fondamentale rispetto agli altri contributi: non si tratta tanto di un ritorno a Marx, nel momento del collasso del capitalismo così come lo conosciamo, tipo "Marx aveva ragione", né di un ritorno nostalgico alle vecchie sicurezze marxiste, e neppure di una riattivazione della lotta di classe.

La posizione di Postone sottolinea che devono essere ripensate categorie che si davano per scontate su entrambi i lati dello spettro politico tradizionale (alienazione, lotta di classe, lavoro, capitale, forze produttive e relazioni di produzione, ecc.) a partire da un punto di vista teorico e pratico. Teoricamente, pensando il capitalismo come totalità sociale e non come qualcosa che possa essere sovvertito a partire da una riforma dei modi di distribuzione della ricchezza sociale generale. Non che, per questo motivo, debbano essere disprezzati i contratti collettivi e la sanità pubblica universale, ma che, da un punto di vista teorico-pratico, queste riforme non possono costituire il nucleo di un pensiero radicale. La presa del potere e la socializzazione dei mezzi di produzione, se non rovescia il modo di produzione capitalista, non fa altro che prolungare questa logica riformista. Al contrario, un pensiero all'altezza della crisi del lavoro e del valore nel capitalismo, dovrebbe ripensare il capitalismo come una lega composta di norme e di pratiche a partire da un insieme di mediazioni sociali immensamente produttive, le quali si estendono a tutti gli angoli dell'esistenza sociale. Pertanto, la prima lezione teorica dell'opera di Postone: la teoria critica di Marx, in quanto teoria dell'oggettività e della soggettività sociale, può solo aiutare a pensare il presente a partire dal punto di vista della sua trasformazione.

In secondo luogo, Postone offre alcuni indizi interessanti per la pratica della critica radicale del capitalismo. Il primo parla della necessità di fare critica immanente. Non si può collocare la coscienza emancipata, o i mezzi per l'emancipazione, in nessuna classe che si trovi in una sfera aliena al capitale. Non c'è un punto di vista privilegiato, né della classe operaia né dello stesso Marx, né di alcuno dei suoi commentatori. Non decidiamo di fare critica immanente, cioè critica della, e a partire dalla, totalità cui uno appartiene socialmente, ma che oggi non esiste un altro modo di fare critica. E se non esiste altra critica che la critica immanente, allora non esiste altra forma di emancipazione che non sia l'emancipazione immanente. E' la stessa cosa, le nuove possibilità di emancipazione che oggi si possono dare, c'erano anche prima, rispetto a prima, nel quadro delle strutture e delle pratiche, dinamiche e reciprocamente vincolanti, del capitalismo storico. A questo punto, Postone offre una versione della politica assolutamente realistica, secondo la quale non si tratta di lottare contro la storia (la necessità) in nome dell'evento (contingenza), ma di analizzare e lottare sul terreno di modo che la dinamica storicamente specifica del capitalismo non trovi più alcuna base nella valorizzazione del valore e nel lavoro astratto.

 

"Non si lotta contro la storia, ma contro le strutture delle pratica e contro la pratica delle strutture".

Tuttavia, appare curioso che in una visione tanto sfumata della politica non ci sia alcun eco degli aspetti particolarmente violenti della storia del modo di produzione capitalista nel 16° e 17° secolo, in un senso che non sia né moralista né cospirativo, ma strettamente storico, e che pertanto si leghi ai diversi fattori e alle resistenze locali, come quella nei confronti della trasformazione del corpo umano in una macchina da lavoro, come quella nei confronti della sottomissione delle donne ai fini della riproduzione della forza lavoro per mezzo dell'espropriazione della capacità di decidere sul proprio corpo e sulla propria collocazione sociale, come quella contro l'accumulo differenze (genere, razza, età)  all'interno della classe operaia appena costituita o - il che è lo stesso - la separazione specifica delle persone all'interno della separazione generale fra lavoro e capitale.
Da un punto di vista più specifico, sebbene ancora preliminare, gli aspetti più interessanti del lavoro di Postone sono i seguenti:

1 - Come detto precedentemente, Postone ha insistito ripetutamente sulla necessità di ripensare la teoria critica di Marx per allontanarla dai presupposti del marxismo tradizionale, più in particolare dall'idea per cui Marx sarebbe stato un critico del capitalismo a partire dal punto di vista del lavoro, di modo che, ai nostri giorni, si è riprodotta nell'ambito della teoria del confronto storico fra il capitale ed il mondo del lavoro (lotte sindacali, movimenti sociali e mondo operaio in generale). A questa visione oppone la sua propria impostazione, secondo la quale il capitalismo si concettualizza "nei termini di un'interdipendenza sociale storicamente specifica, di carattere impersonale ed apparentemente oggettiva [...]Per riconcettualizzare le relazioni sociali ed i modi di domini che caratterizzano il capitalismo, cercherò di fornire le basi per una teoria della prassi capace di analizzare sia le carattristiche sistemiche della società moderna, come il suo carattere storicamente dinamico, i suoi processi di razionalizzazione, i suo tipo specifica di 'crescita' economica, così come il suo modo di produzione particolare". Postone oppone quella che egli stesso chiama una reinterpretazione categoriale di Marx, secondo la quale ciò che si può trovare nei Grundrisse e ne Il Capitale sarebbe una critica del lavoro sotto il capitalismo o, il che è lo stesso, una critica storicamente specifica del lavoro in quanto relazione sociale fondamentale e in quanto modo di produzione e di incidenza sul mondo sociale. Contrariamente alle posizioni marxiste tradizionali, quello che è in gioco non è la proprietà dei mezzi di produzione, ma il carattere che il lavoro acquisisce, in detta formazione sociale capitalista, come lavoro concreto e come lavoro astratto, cosa che risponde a sua volta al carattere duplice della merce (in quanto valore d'uso ed in quanto valore).

2 - Ai fini dell'analisi di Postone, questa posizione ha delle conseguenze politiche ed epistemologiche decisive, nel senso per cui le contraddizioni interne della dinamica capitalista, analizzate al livello logico più astratto (la triplice dualità che conforma tempo concreto/tempo astratto, lavoro concreto/lavoro astratto e valore d'uso/valore), sono più rilevanti dell'antagonismo di classe. Conseguenze per il pensiero politico che implicano, in primo luogo, la rinuncia all'emancipazione nei termini di realizzazione delle possibilità storiche del proletariato. Postone sottolinea il fatto che Marx non è stato soltanto un critico delle relazioni di produzione capitaliste, ma anche un teorico critico delle relazioni sociali capitaliste e del loro modo di costituzione sociale dell'oggettività e della soggettività. Una teoria critica autoriflessiva ed immanente ha il dovere di "mostrare che la possibilità di una trasformazione radicale del presente è una possibilità determinata, immanente a tale presente", dove Postone intende per "possibilità determinata", una concezione plausibile del futuro che è necessariamente radicata nel presente. Insiste sul fatto che qualsiasi ordine futuro, incluso un ordine radicalmente differente dal nostro presente, può essere costruito solo sulle tensioni, sulle possibilità e sulle lotte del presente, fra le quali non sono incluse, o Postone sembra suggerirlo, le lotte operaie, le quali, nonostante la loro indubbia importanza politica e morale, continuano ad essere intrinseche al capitalismo, "più che essere l'incarnazione della sua negazione". Non c'è alcun futuro che non sia, necessariamente, storicamente immanente. Il Marx maturo aveva compreso questo meglio di chiunque altro, ecco perché la teoria sociale critica del presente deve puntare ad un futuro radicalmente diverso, fondando nel presente la possibilità di tale futuro.

3 - In che consiste, allora, la teoria critica del Marx maturo? Questa lunga citazione può essere d'aiuto:

"Quello che caratterizza questa società [...] è che la distribuzione sociale del lavoro e dei suoi prodotti non si effettua, fondamentalmente, come avveniva nelle altre società, secondo la consuetudine, i legami tradizionali, le relazioni aperte di potere o le decisioni coscienti. Invece, è il lavoro stesso a sostituire tali relazioni, servendo come un mezzo quasi-oggettivo attraverso il quale si acquisiscono i prodotti degli altri. Cioè, nasce una nuova classe di interdipendenza nella quale le persone non consumano quello che producono, ma, al contrario, sono i loro lavori, i prodotti del loro lavoro, che funzionano come mezzo necessario ad ottenere i prodotti degli altri. Funzionando come un mezzo quasi-oggettivo, il lavoro ed i suoi prodotti sostituiscono, effettivamente, in maniera efficace le relazioni sociali evidenti e, allo stesso tempo costituiscono una nuova classe di relazione sociale: quasi-oggettiva, formale, astratta ed apparentemente non-sociale".

Questa è una delle idee chiave della reinterpretazione marxiana fatta da Postone, ossia, che per la stessa costituzione sociale del capitalismo, le relazioni che lo configurano (valore, lavoro e merci, tutte categorie  di relazione, non categorie ontologiche) si presentano sotto un'apparenza di oggettività che, contrariamente a quanto avviene nelle società pre-capitalistiche, permette che siano considerate come "natura". E' proprio di tali categorie, come vedremo, presentarsi in questa maniera, come se avessero "dimenticato" la loro genesi socio-storica. Tuttavia, in condizioni capitaliste, ha luogo un modo di dominio astratto, nel senso di non-concreto e non-aperto o esplicito, il cui fondamento si situa precisamente nel lavoro: il lavoro duale (concreto ed astratto) sarebbe il fondamento di tale forma storicamente specifica di dominio, ma non perché il lavoro sia l'aspetto più rilevante della vita sociale, "ma perché il carattere astratto e dinamico della traiettoria storica del capitalismo costituisce le sue caratteristiche fondamentali, ed entrambi gli elementi possono essere compresi e possono chiarirsi in funzione della natura storicamente specifica del lavoro in questa società". Il lavoro nel capitalismo non si appropria dell'essenza della prassi umana, ma si costituisce come mediazione sociale produttrice di capacità umane alienate: quello che è alienato, per il capitalismo, non è la prassi umana in generale, ma una proprietà sociale degli individui, la loro forza lavoro, la quale dà luogo ad una forma alienata di esistenza di tali capacità umane che essa stessa produce (ad esempio, dal punto di vista dell'enorme sviluppo tecnologico caratteristico del modo di produzione capitalista).

In breve, Postone sostiene che la dinamica capitalista è contraddittoria a partire dal punto di vista della produzione, non solo da quello della distribuzione. Con ciò pretende di andare in una direzione teorica rilevante, ossia, quella per cui la trasformazione radicale del capitalismo non è conseguenza diretta della crescita capitalista, ivi inclusi quegli aspetti in cui si mostra contraddittorio. In altre parole, la dinamica del capitalismo, essendo contraddittoria, non è lineare: da un lato tende ad aumentare la produttività reale (la ricchezza materiale che è capace di produrre), e dall'altro tende a ridurre al minimo il tempo immediato di lavoro necessario a produrla (cioè la fonte del valore della ricchezza capitalista). Inoltre, mette il tempo di lavoro al centro dell'ordine sociale, col considerarlo misura e fonte della ricchezza, però lo diminuisce potenzialmente attraverso lo sviluppo tecnologico. Con ciò il capitalismo non si scava la sua propria tomba, come sappiamo, ma reprime le stesse forze produttive che ha liberato. Il ché è lo stesso, e dà origine alla possibilità di un altro ordine sociale, ma non lo fa automaticamente. Il risultato è precisamente quello per cui quando il lavoro sociale potrebbe arricchire come mai prima nella storia, risulta essere sempre più una fonte di impoverimento per la maggioranza.

 

R. Kurz: La critica del valore ed il limite interno del capitalismo

Dalla pubblicazione, nel 1991, sotto l'egida di  Hans Magnus Enzensberger, de "Il collasso della modernizzazione", Robert Kurz è stato un punto di riferimento fondamentale per l'analisi critica del capitalismo in Germania - almeno in quanto outsider - e lo scoppio della crisi economica mondiale nel 2008 ha fornito una situazione favorevole alla ricezione del suo pensiero a livello internazionale. L'opera di Kurz è caratterizzata dal suo considerare la teoria critica come "prassi storica", per cui la sua produzione si è articolata ai margini degli ambiti universitari, preferendo gruppi di lavoro e di discussione di carattere marcatamente politico - il cui livello teorico, tuttavia, non ha niente da invidiare ai migliori seminari accademici. Infatti, è stato Kurz che ha dato impulso - già fin dal 1986 - alla nascira della rivista Krisis, intorno alla quale si andò consolidando una corrente teorica denominata "critica del valore" o - più recentemente - "critica della dissociazione del valore" (Wertabspaltungskritik), il cui spettro di interesse va dalla reinterpretazione della teoria marxiana fino alla quotidianità nel capitalismo contemporaneo e alla storia della modernizzazione, passando per la ridefinizione delle relazioni di genere. All'inizio del 2004, Kurz ed altri autori del gruppo - fra cui in particolare R. Scholz e C. P. Ortlieb - si scindono da Krisis per fondare la loro propria rivista, Exit!, della quale finora sono stati pubblicati dieci numeri. Fino alla sua morte, nello scorso 2012, Kurz è stato il vero e proprio motore intellettuale di questi gruppi, consapevole che "la teoria deve smettere di andare a rimorchio della prassi politica, perdere il suo carattere di legittimazione ed essere presa sul serio nella sua autonomia".

Coerentemente con questo, il suo pensiero intende attualizzare la critica dell'economia politica, distanziandosi tanto dal movimento operaio quanto dagli approcci marxisti e post-marxisti in ambito accademico; da questo proviene la sua diagnosi epocale: che le crisi che si sono susseguite negli ultimi decenni non sono un semplice intermezzo, ma l'ultimo stadio del capitalismo, il cui sviluppo ha raggiunto il suo proprio limite interno.

Con il suo approccio della critica del valore, Kurz ha preteso niente meno che gettare le basi di una grande teoria capace di dar conto delle leggi che reggono la dinamica della società capitalista in quanto un tutto. Ossia, il suo approccio all’opera marxiana non è guidato da un interesse filologico, ma dall'esigenza di una spiegazione concreta e storica dei processi sociali. Questo interessa tanto la posizione del capitalismo nella storia quanto la stessa storia del capitalismo e dei suoi limiti storici. Kurz assume che la teoria marxiana offre un enorme potenziale per svelare la dinamica delle società capitaliste fino ad oggi, ma l'intento di riappropriarsi oggi del suo quadro analitico richiede che si sia coscienti di due cose: 1) la situazione storica stessa di Marx, nella seconda metà del 18° secolo, che lo porta a condividere - malgrado tutto - alcune prospettive con la borghesia in ascesa, che trovano espressione nella parte "essoterica" della sua opera (ad esempio la sua fiducia nel fatto che l'emancipazione proverrà dalla continuazione del processo di modernizzazione e dalla crescita delle forze produttive); e 2) la mera ricostruzione delle categorie dell'analisi marxiana della forma valore, a livello puramente concettuale, non è sufficiente per articolare un'analisi della situazione storica attuale e dei suoi processi sociali; l'obiettivo è quello di far fruttificare tali categorie al fine di poter analizzare, a partire da esse, la società nella sua concrezione storica. Di conseguenza, la consegna di Kurz non può essere più chiara: "Le basi categoriali della critica dell'economia politica sono state interpretate in diversi modi, ma non sono state sviluppate"; in definitiva, si tratta di portarle all'altezza del presente.

In questo senso Kurz coincide con Postone nel sostenere che ripensare la critica del capitalismo esige centrare l'analisi sulle categorie di base della critica dell'economia politica marxiana - il valore, il lavoro, la merce ed il denaro; entrambi gli autori assumono che tali categorie non sono specifiche ad ogni formazione sociale, né sono inscritte nella costituzione antropologica dell'essere umano, ma costituiscono uno specificum del capitalismo. E' nel dispiegamento reale di tali categorie nel processo sociale di valorizzazione - e non nel dominio di classe o nella proprietà privata dei mezzi di produzione - che vanno cercati i tratti distintivi della dinamica capitalista e le sue contraddizioni interne. Il denaro ed il lavoro - o anche, occasionalmente, la merce - esistevano già prima dello sviluppo della società capitalista, ma le loro funzioni sociali erano completamente distinte; di fatto, la specificità del capitalismo in quanto società produttrice di merci consiste nel fatto che in essa queste categorie costituiscono la totalità della vita sociale, le forme di coscienza e di prassi sociali, convertendosi in una sorta di "apriori trascendente". Già Marx aveva parlato delle categorie della critica dell'economia politica come "forme dell'essere" e come "determinazioni dell'esistenza"; qui la critica del valore le prende alla lettera, mostrando come strutturano la prassi quotidiana delle società capitaliste e costituiscono le forme dell'oggettività e della soggettività, ivi inclusi i modelli di riproduzione sociale, le relazioni di genere, le strutture del desiderio e le forma di razionalità socialmente operative. Ma se la stessa soggettività è qualcosa di socialmente costituito, la dinamica del capitalismo non risponde agli interessi personali dei capitalisti, e non è nemmeno al servizio della soddisfazione delle necessità e della crescita delle forze produttive: tutti questi sono effetti collaterali di una logica in cui la produzione si converte in un fine in sé stesso, sottomessa agli imperativi del processo di valorizzazione; quel che è caratteristico è che il capitale, come "valore che auto-valorizza sé stesso", diventa il "soggetto automatico" (Marx) del processo sociale, trasformando i soggetti viventi - in quanto produttori, venditori ed acquirenti di merci - nei suoi agenti inconsci. Di conseguenza, Kurz sostiene che la forma di dominio specifica del capitalismo non è la struttura di classe, ma un "dominio senza soggetto", che sottomette gli esseri umani agli imperativi dell'economia come sfera separata e autonoma che è stata tagliata fuori dal resto delle attività sociali e si è convertita in istanza regolatrice di tutti gli ambiti dell'esistenza.

Ma se le categorie della critica dell'economia politica sono storicamente specifiche, questo significa che la logica che governa le società capitaliste, nell'astrazione della teoria può apparire statica, ma non lo è nella realtà. Il capitalismo non è una mera "struttura", bensì un processo storico con una sua determinata dinamica evolutiva: "La storia del capitalismo è stata la storia della cosiddetta modernizzazione, la quale è consistita nell'organizzare il mondo secondo criteri capitalisti, e sottometterlo alla cieca dinamica dello sviluppo delle forze produttive guidato dalla concorrenza". Già fin da "Il collasso della modernizzazione", l'interesse di Kurz si focalizza sul comprendere la logica che guida questo sviluppo al fine di posizionare l'attuale fase storica; ne "Il libro nero del capitalismo" fornirà le chiavi del processo di modernizzazione capitalista nel corso delle tre rivoluzioni industriali e del suo declino a partire dalla fine del secolo scorso; nel frattempo, ne "Il capitale mondiale" esporrà come la logica della concorrenza e la valorizzazione si espandono fino a raggiungere un livello planetario. E' in questo che il capitalismo non ha paralleli storici; i suoi cicli economici non possono ripetersi. L'imperativo costante della crescita dà luogo ad un processo irreversibile, in cui il quadro dentro il quale devono realizzarsi le categorie dell'economia politica non rimane mai identico: "La valorizzazione del capitale non comincia sempre di nuovo partendo da zero, ma, per continuare, deve superare l'ultimo livello raggiunto sulla scala sociale. Non è possibile arretrare il grado di integrazione economica globale, ed ancor meno lo sviluppo delle forze produttive che è stato raggiunto. Del fatto che questo non avvenga, si occupa la concorrenza universale".

Questa comprensione della dinamica storica del capitalismo porta Kurz a ripensare il problema della crisi - ed è qui dove la sua analisi si distanza più nettamente da quella di Postone. Le crisi non possono più essere concepite come interruzioni passeggere dell'accumulazione capitalista che si ripetono periodicamente secondo i cicli congiunturali o secondo transizioni più o meno dolorose verso un nuovo modello di accumulazione. In ciascuna fase storica, l'evoluzione verso nuove forme di accumulazione deve essere all'altezza del grado di produttività raggiunto, e negli ultimi decenni il passaggio tendenziale dell'accumulazione reale verso il capitale fittizio sembra indicare una trasformazione strutturale segnata dalla perdita di sostanza del capitale. Nel momento in cui tutto il pianeta si converte in uno "spazio di valorizzazione globale" diventa visibile il limite interno dello sviluppo del capitalismo. La logica secondo la quale  l'attività produttiva non serve a soddisfare necessità, ma per alimentare il ciclo incessante del lavoro che valorizza il capitale ed il capitale che utilizza il lavoro, sarebbe presieduta da una contraddizione strutturale fra lo sviluppo delle forze produttive e la crescita della "ricchezza astratta": la sua tendenza allo sviluppo lineare, cumulativo ed irreversibile sarebbe arrivata ad un punto in cui non può continuare a funzionare. Produrre valore richiede lo sfruttamento della forza lavoro, ma la situazione di concorrenza fra i produttori porta ad una gare per l'impiego di tecnologie sempre più sofisticate che innesca una dinamica fatale: ad ogni nuovo avanzamento della produttività, il primo ad utilizzarlo vince per un certo tempo, riuscendo a produrre più merci con meno forza lavoro. Però, quando gli altri produttori lo imitano e si stabilisce un livello di produttività più alto, si abbassa il tasso generale di profitto e riparte la corsa fino al successivo avanzamento; l'aumento di produttività grazie alle tecnologie fa sì che si possa prescindere ogni volta da sempre più lavoro umano, che senza dubbio è la sostanza di cui vive il processo di valorizzazione: nella misura in cui cala il lavoro astratto, cresce la necessità di capitale. Finora l'aumento di produzione e l'espansione verso nuovi mercati di valorizzazione, hanno reso sopportabile in maniera palliativa - almeno temporaneamente - questa contraddizione, ma anche la riproduzione, su scala sempre maggiore. In questo modo, il limite interno ed insuperabile del capitalismo, inteso come "un livello di sviluppo in cui non si può più riassorbire sufficiente forza lavoro umana di modo da poter tornare ad attivare l'accumulazione del capitale in quanto fine in sé stesso", sarebbe inscritto nella sua stessa dinamica, indipendentemente dagli attori sociali e dalle loro lotte coscienti.

Partendo dall'analisi di questa contraddizione strutturale, Kurz mostra come, con la terza rivoluzione industriale, il capitalismo raggiunga tale limite interno. Infatti, alla microelettronica corrisponderebbe una gigantesca accelerazione del processo di razionalizzazione che incrementa la produttività e abbassa i costi, ma che non è più in grado di mobilitare forza lavoro sufficiente a compensare la diminuzione del lavoro necessario per produrre ciascuna merce. Questo rende sempre più difficile il processo di valorizzazione e porta il capitalismo dentro uno scenario di crisi strutturale: "La 'razionalizzazione' che fa sì che il lavoro umano diventi superfluo è, per la prima volta nella storia del capitalismo, maggiore e più veloce della diminuzione del prezzo delle merci e della corrispondente espansione dei mercati. L'offerta di merci si gonfia in maniera drammatica e l'offerta di lavoro si riduce in maniera altrettanto drammatica"; il risultato è che la capacità di generare valore e plusvalore va decrescendo fino ad arrivare ad un punto morto. A questo risponde l'evoluzione verso la globalizzazione e verso la finanziarizzazione dell'economia: "Alla fuga di capitale verso 'l'esterno', verso i mercati mondiali, corrisponde la fuga verso 'l'alto', verso i mercati finanziari separati dal processo di produzione reale". Ma questo significa che il predominio dell'economia finanziaria negli ultimi decenni non è stata una "escrescenza tumorale" che minaccia di rovinare la "sana economia reale", ma che le anticipazioni di guadagni futuri per mezzo del credito avrebbe permesso di compensare la crescente difficoltà alla valorizzazione - sebbene al prezzo di sottrarlo alla crescita su base autonoma: questo non si baserebbe sulla produzione di merci, bensì su capitale fittizio, basato sulla speculazione. Tuttavia, il credito può posporre il momento in cui il capitalismo raggiunge i propri limiti sistemici, ma non può abolire tale momento - da qui, il successivo scoppio delle bolle finanziarie nelle diverse parti del mondo a partire dal decennio 1980.

Da quest'analisi di Kurz, la congiuntura di crisi con cui ci confrontiamo assume un nuovo volto: non si tratta più soltanto della riduzione delle prestazioni sociali, della crescita della povertà o delle nuove forme repressive di "amministrazione", ma anche dell'inizio di una nuova fase storica. Mentre alcuni paesi o alcune imprese continuano a presentare alti tassi di crescita, il processo di valorizzazione si trova in difficoltà sempre più proibitive. La crisi che attraversiamo - in genere percepita come mera "crisi del debito" o "finanziaria" - non sarebbe più una transizione verso un nuovo modello di accumulazione, ma l'ingresso in un periodo di declino, che sarà tutto tranne che stabile e che esige il ripensare i termini della critica sociale. I tentativi di "addomesticare" la dinamica capitalista per mezzo della distribuzione di ricchezza o attraverso la regolamentazione statale non sono più all'altezza di questa fase storica; non si tratta di riparazioni di emergenza, ma di superare il modo di costituzione del sociale nel capitalismo, e di rompere con il suo quadro categoriale. Ma questo richiede di rompere con tutto quello che costituisce il nostro mondo, e qui la teoria critica non offre ricette applicabili né terapie di aiuto. La logica della valorizzazione si è imposta in tutte le sfere della vita e non c'è da sperare che un qualche soggetto - grazie alla sua posizione nel capitalismo - possa sovvertirla. Nel frattempo, l'appello alla caccia agli speculatori o alle presunte insurrezioni a venire sono per Kurz forme di "anticapitalismo reazionario", pura "mobilitazione di sentimenti ciechi di odio e di impotenza". Come articolare quindi una critica che permetta di spezzare il dominio del soggetto automatico il quale, nella sua progressiva stagnazione, esige sacrifici sempre maggiori?

Qui, l'analisi storico-categoriale della critica del valore può rivelare l'obsolescenza del capitalismo, ma non può mostrare alcun automatismo storico che permetta di andare al di là di esso. Questo ci pone davanti a delle nuove urgenze storiche, che Anselm Jappe - compagno di Kurz in Krisis ed in Exit! - ha mostrato in maniera particolarmente chiara: "Abbandonando il suo stesso dinamismo, il capitalismo non ci porta al socialismo, ma alla rovina. Se fosse in grado di avere delle intenzioni, si potrebbe supporre che sarebbe l'ultima parola dell'umanità". A fronte di quest'enorme potenziale autodistruttivo, il problema è che il capitalismo non andrà a picco a causa di un movimento di emancipazione cosciente, ma per le sue contraddizioni interne e dopo aver sconfitto i suoi nemici dichiarati. La sua morte sarebbe quindi un successo, ma si lascerebbe dietro uno scenario di disintegrazione sociale senza precedenti. Anche nei centri del capitalismo, fenomeni come la demolizione dello stato sociale, la precarizzazione del lavoro, l'impoverimento delle classi medie, la disoccupazione di massa e la crescita della popolazione "superflua" - che non può più essere integrata nel sistema produttivo - indicano una frattura senza precedenti nella riproduzione sociale. La decomposizione del capitalismo minaccia così di scatenare un processo di regressione sociale che può dare luogo alla "distruzione senza prospettiva" dello stato di civiltà raggiunto, ad una "barbarie a fuoco lento" segnata dalla proliferazione di disperate strategie di sopravvivenza. Di fronte a questa minaccia, riporre le speranza di emancipazione in una "rottura categoriale" che spezzi il dominio delle "forme dell'essere" nel capitalismo e liberi i suoi potenziali dalla forma che li imprigiona, sa di molto poco.

Senza dubbio, le analisi di Kurz rappresentano un contributo cruciale alla teoria critica contemporanea; la sua riappropriazione delle categorie marxiane al fine di elaborare una critica dell'economia politica che sia all'altezza del presente è forse la miglior elaborazione teorica delle contraddizioni del capitalismo e delle sue devastanti conseguenze, le quali oggi si manifestano in maniera drammatica. Ma, se saranno confermati i suoi pronostici, secondo i quali il sistema di valorizzazione andrà in pezzi senza alcuna alternativa possibile, la critica guidata da un interesse emancipatore dovrà andare oltre la mera analisi dell'immanenza capitalista. Analizzare le nuove forme di mediazione sociale - segnate sempre più dalla violenza - e trovare forme di prassi che permettano di arginare una nuova barbarie emergente nel processo di disintegrazione del capitalismo, potrebbe allora far parte dei compiti prioritari. Poiché, se ci accontentiamo della diagnosi della rovina della società capitalista potremmo, semplicemente, finire sepolti da quelle rovine.

 

Pubblicato su ISEGORÍA, Revista de Filosofía Moral y Política, N.º 50, enero-junio, 2014 -
fonte: ISEGORIA

 

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