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marx xxi

L’economia di guerra oggi

di Andrea Vento – Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati

economia di guerra fabbrica proiettili cannone.jpgL’inizio dell’Operazione militare russa in Ucraina il 24 febbraio dello scorso anno, grave escalation del conflitto iniziato nel 2014, ha inevitabilmente innescato un’ampia gamma di effetti principalmente riconducibili a tre distinte sfere, seppur tra loro interconnesse e interdipendenti. Gli analisti hanno, infatti, registrato significativi mutamenti:

1. nelle relazioni geopolitiche e geoeconomiche,

2. nella dinamica dell’economia mondiale oltre che nella sua struttura produttiva

3. nel ciclo economico e nei bilanci statali in primis dei Paesi coinvolti direttamente nel conflitto, e, seppur in misura minore, anche nei cosiddetti cobelligeranti e, perfino in quelli, maggioritari per numero, che hanno mantenuto una posizione neutralista.

 

La frattura geopolitica e geoeconomica

Nel contesto delle relazioni geopolitiche si è determinata una profonda frattura interna all’Europa delimitata dai confini occidentali di Russia e Bielorussia provocata non tanto dalla votazione dell’Assemblea Generale dell’Onu del 3 marzo 2022 di condanna dell’invasione russa dell’Ucraina, approvata da 141 Paesi su 193, quanto dall’introduzione delle misure restrittive promosse dagli Stati Uniti ai danni di Mosca e adottate da parte di 37 Paesi (pari a solo il 19% del totale) appartenenti al cosiddetto Occidente globale, vale a dire i Paesi Nato e i loro più fidati “alleati” nei vari scacchieri regionali (carta 1).

Carta 1: i 37 Paesi che hanno imposto le sanzioni alla Russia

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La rottura più marcata si è quindi concretizzata fra i Paesi dell’Occidente globale, da un lato, e Russia e Bielorussia, dall’altro, con i restanti Stati del panorama mondiale che hanno mantenuto i rapporti politici ed economici con Mosca, espandendoli ed approfondendoli in non pochi casi. In particolare Cina, India, Iran, Arabia Saudita e la maggior parte dei Paesi africani, mediorientali e latinoamericani.

In merito alle sanzioni, ormai giunte all’undicesimo pacchetto a giugno 2023, ed ai suoi effetti sulla Russia e sui Paesi che le hanno introdotte abbiamo analizzato in profondità con alcuni saggi ai quali rimandiamo1. Rileviamo in sintesi come tali provvedimenti abbiano innescato nei Paesi europei una marcata crisi di approvvigionamento delle materie prime, agricole ed energetiche e dato nuovo impulso alla spirale inflazionistica, principalmente sul gas naturale, innescata dalla speculazione finanziaria già dalla fine estate del 2021, diversi mesi prima dell’escalation del conflitto e dell’introduzione del primo pacchetto sanzionatorio il 23 febbraio 2022.

 

Le ripercussioni del confitto in Ucraina sull’economia mondiale

L’avvio dell’Operazione militare speciale russa, le varie tranche di misure restrittive occidentali e l’impennata dell’inflazione, causata dalla speculazione finanziaria, e i loro conseguenti molteplici effetti negativi, compreso il rialzo dei tassi da parte di numerose banche centrali, Federal Reserve (Fed) e Banca Centrale Europea (Bce) in primis, hanno inevitabilmente generato ricadute negative sull’andamento dell’economia mondiale e su quello di un cospicuo numero dei Paesi, in particolare su quelli europei. Infatti, se a gennaio 2022, prima dell’escalation del conflitto e delle sanzioni, il Fondo Monetario Internazionale prevedeva per l’anno appena iniziato, dopo il +6,0% del 2021, un consolidamento della ripresa post crisi pandemica con una crescita del 4,4%, il dato definitivo del 2022 indicava un rallentamento della stessa al 3,5%. Risultato non disastroso, esclusivamente ottenuto grazie alla buona tenuta dei Paesi emergenti che chiudono l’anno con un lusinghiero +4,0%, non distante dal +4,8% previsto a gennaio (tabella 1). Nel contesto delle Economie emergenti risalta la situazione dell’India che evidenzia un eccellente +7,2%, la quale, al pari della Cina, ha intensificato le relazioni commerciali con la Russia, beneficiando di prezzi ribassati del costo delle materie prime offerti da Mosca, divenendo, fra le varie, il principale acquirente mondiale di petrolio russo2 (tabella 2). Più marcata invece la flessione delle Economie sviluppate che ripiegano nel dato definitivo a +2,7% rispetto al 3,9% previsto a gennaio 2022.

Se ampliamo l’arco temporale delle previsioni all’Outlook del Fmi di ottobre 2021 rileviamo una contrazione della crescita ancora maggiore sia per l’economia mondiale (+4,9%), che per i singoli Paesi e blocchi geoeconomici. In quest’ultimo contesto registriamo tuttavia una maggiore flessione nelle Economie avanzate, da 4,5% a 2,7% pari a -40%, rispetto a quelle Emergenti da +5,1% a 4,0%, corrispondente a -20% determinato dalla mancata adozione delle sanzioni da parte di quest’ultime, al contrario delle prime (tabella 1).

Tabella 1: previsioni e dati definitivi in % anni 2022 e 2023 dei vari Word Economic Outlook Fmi

Tipologia di dati Previsioni 2022 Previsioni 2022 Previsioni 2022 Previsioni 2022 Definitivo 2022 Previsioni 2023 Previsioni 2023
Economic Outlook Fmi Ottobre 2021 Gennaio 2022 Aprile 2022 Ottobre 2022 Luglio 2023 Gennaio 2023 Luglio 2023
Economia mondiale 4,9 4,4 3,6 3,2 3,5 2,9 3,0
Economie avanzate 4,5 3,9 3,3 2,4 2,7 1,2 1,5
Economie emergenti 5,1 4,8 3,8 3,7 4,0 4,0 4,0

 

Infine, la revisione al ribasso delle previsioni di gennaio 2022 rispetto a quelle di ottobre 2021 è principalmente riconducile, e in ciò troviamo conforto nell’analisi del Fmi, dall’acuirsi dell’impennata dell’inflazione trainata dall’aumento dei prodotti energetici. In particolare le quotazioni del gas nella parte terminale del 2021 raggiungono livelli molto elevati, attestandosi in dicembre ad una media mensile di 110,12 € per MegaWatt/ora sul mercato TTF di Amsterdam, oltre 4 volte il prezzo medio di maggio 2021 (25,21 €) e 5 volte e mezzo quello di aprile (20,50 €)3.

Tabella 2: previsioni e dati definitivi in % anni 2022 e 2023 dei vari Word Economic Outlook Fmi

Tipologia di dati Previsioni 2022 Previsioni 2022 Previsioni 2022 Previsioni 2022 Definitivo 2022 Previsioni 2023 Previsioni 2023
Economic Outlook Fmi Ottobre 2021 Gennaio 2022 Aprile 2022 Ottobre 2022 Luglio 2023 Gennaio 2023 Luglio 2023
Economia mondiale 4,9 4,4 3,6 3,2 3,5 2,9 3,0
Russia 4,7 4,5 -8,5 -3,4 -2,1 0,3 1,5
Stati Uniti 5,2 4,0 3,7 1,6 2,1 1,4 1,8
Germania 4,6 3,8 2,1 1,5 1,8 0,1 -0,3
Italia 4,2 3,8 2,3 3,2 3,7 0,6 1,1
Cina 8,0 8,1 4,4 3,2 3,0 5,2 5,2
India 9,5 9,0 8,2 6,8 7,2 6,1 6,1

 

Conseguentemente al rallentamento dell’economia mondiale, alle tensioni commerciali già in atto da tempo fra Usa e Cina, ai colli di bottiglia emersi a seguito della ripresa dopo la crisi pandemica nell’offerta di beni e semilavorati, alla cosiddetta crisi dei “microchip” e all’avanzare del processo di deglobalizzazione, anche il commercio ha subito inevitabili ricadute negative. Secondo il report dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto) dell’aprile 20234appesantito dagli effetti della guerra in Ucraina (sanzioni comprese, n.d.r.), dall’inflazione ostinatamente elevata, dalla politica monetaria più restrittiva e dall’incertezza dei mercati finanziari, il volume del commercio mondiale di beni (servizi esclusi. n.d.r.) dovrebbe crescere dell’1,7% quest’anno, dopo una crescita del 2,7% nel 2022“, un aumento inferiore alle previsioni di ottobre 2022 (3,5%) causato dal rallentamento del quarto trimestre (tabella 3).

Tabella 3: variazione % del commercio mondiale previsioni e dati definitivi Wto anni 2022 e 2023

Tipologia di dati Previsioni 2022 Previsioni 2023 Previsioni 2022 Previsioni 2023 Definitivo 2022 Previsioni 2023
Wto report Aprile 2022 Aprile 2022 Ottobre 2022 Ottobre 2022 Aprile 2023 Aprile 2023
Commercio mondiale di merci 3,0 3,4 3,5 1,0 2,7 1,7

 

Nel caso in cui le previsioni del Wto per il 2023 fossero confermate dal dato definitivo, si registrerebbe il secondo anno consecutivo nel quale la crescita economica mondiale risulterebbe superiore a quella del commercio globale, andandosi ad aggiungere agli anni 2015, 2016, 2018 e 2019, oltre al 2020, anno nel quale il tasso di riduzione degli scambi commerciali (-5,1%) ha superato quello del Prodotto lordo globale (-3,3%)5. Nell’arco degli ultimi nove anni, dunque solo nel 2017 e nel 2021 la crescita dei commerci è risultata superiore quella della ricchezza prodotta su scala globale. Ciò conferma le analisi del Giga che avevano rilevato i primi segnali di deglobalizzazione già nel 2014 con l’insorgere della strategia del reshoring. Politica industriale che in seguito ha tratto nuova linfa dalle politiche “America first” di Trump6, dal graduale ritorno di misure protezionistiche e dalle tensioni con la Cina sfociate in “guerra commerciale” e dall’accorciamento delle catene di approvvigionamento (supply chain), indotte dalla crisi pandemica.

Su questo scenario, ad inizio 2022, cala la frattura geopolitico-militare causata dal conflitto in Ucraina che, di fronte all’evidenza della scarsa capacità di resilienza delle catene globali del valore (Global Value Chain) determina la ricerca di strategie alternative finalizzate alla rilocalizzazione delle produzioni. Il processo di deglobalizzazione, benché ancora lontano dal suo completo sviluppo7, dal 2022 registra un’altra accelerazione e una parziale riorganizzazione del modello di internazionalizzazione delle produzioni che tende geograficamente a restringersi su base macroregionale (near-shoring) o su base “amicale”, vale a dire nei Paesi geopoliticamente vicini (friend-shoring)8.

Con attenzione osserviamo i nuovi assetti e le inedite configurazioni che si stanno delineando a livello geoeconomico globale e macroregionale, consapevoli che il percorso sia lungo e tortuoso e l’incedere lento e oneroso, in quanto molteplici e complessi risultano i fattori resistenti per i Paesi occidentali che giocoforza sono ricorsi a tale strategia, dopo le sanzioni comminate alla Russia, il piano RepowerEu9 e le contromisure di Mosca. Pesano, soprattutto per gli Stati europei, la mancanza di materie prime, le differenze salariali, che seppur ridottesi, continuano a sussistere rispetto ai Paesi emergenti, le norme ambientali più restrittive e i costi della riattivazione delle reti produttive abbandonate o della creazione ex-novo.

 

Il concetto di economia di guerra

I due Paesi coinvolti direttamente nel conflitto, Ucraina e Russia, hanno dovuto necessariamente apportare profonde modificazioni alla propria struttura economica per far fronte allo sforzo bellico tali da costringere gli economisti a far ricorso ad un concetto che dalla fine della Seconda Guerra Mondiale era rimasto relegato nelle pagine dei manuali: economia di guerra.

Gli esperti ricorrono a tale terminologia quando uno Stato riorganizza la struttura della propria economia nel corso di un conflitto per garantire che la capacità produttiva venga configurata in modo ottimale per sostenere lo sforzo bellico.

Con l’economia di guerra, i governi devono assicurare che le risorse siano allocate in modo efficiente per far fronte sia all’impegno militare, sia alla domanda proveniente dalla società civile. In sostanza, costituisce, da un lato, una necessità per garantire la difesa e la sicurezza del Paese e, dall’altro, una strategia finalizzata all’ottenimento di un vantaggio economico e produttivo sulla controparte.

 

L’economia di Guerra durante la Seconda Guerra Mondiale

Nel corso della storia si sono verificati non infrequenti casi di Paesi che a seguito dell’attuazione di una economia di guerra, non avendo subito gravi distruzioni, al termine del conflitto hanno beneficiato di un ampliamento e un rafforzamento del loro struttura produttiva, come gli Stati Uniti al termine della Seconda Guerra Mondiale. Sussistono anche situazioni di Stati che dopo aver subito la devastazione bellica dell’apparato produttivo, hanno sfruttato la ricostruzione per dotarsi di infrastrutture e impianti industriali moderni e tecnologicamente avanzati, come accaduto in Giappone e in Germania dopo l’ultimo conflitto mondiale. Mentre in Corea del Sud, i militari guidati dal generale Park Chung-hee, saliti al potere con un colpo di stato nel 1961, avviarono un processo di industrializzazione che, grazie al ruolo centrale dello Stato nell’economia, innescò in un Paese ancora rurale e sostanzialmente arretrato, oltre che devastato dal conflitto col Giappone e dalla Guerra di Corea (1950-53), un significativo processo di sviluppo socio-culturale e una forte crescita economica, passata alla storia come “miracolo sul fiume Han”10.

In un contesto di economia di guerra i governi riservano priorità alle produzioni di sostegno dell’attività militare e possono ricorre a specifici provvedimenti economici quali: l’emissione di appositi strumenti finanziari per reperire risorse aggiuntive, come le obbligazioni di guerra, ridistribuire le risorse fiscali a favore dello sforzo bellico a detrimento di altre necessità non prioritarie in tempo di guerra, incentivare le imprese private ad ampliare e a spostare la produzione verso il comparto militare, non che stabilire il razionamento dei prodotti alimentari per garantire l’approvvigionamento dell’intera popolazione.

Gli Stati coinvolti direttamente nella Seconda Guerra Mondiale necessariamente ricorsero ad una economia di guerra durante il conflitto, mentre la Germania nazista aveva già adottato tale modello a seguito della politica di riarmo implementata dopo la salita di Adolf Hitler alla Cancelleria nel 1933, spostando risorse dalla produzione di beni di lusso verso armamenti, mezzi ed equipaggiamenti militari, i cui frutti risultarono imponenti sin dal 1935 (tabella 1).

Diverso il caso degli Stati Uniti, i quali inizialmente non coinvolti nel conflitto mondiale, fra il 1° settembre del 1939 e il dicembre del 1941 hanno dapprima concentrato lo sforzo produttivo verso la produzione di armi, munizioni e attrezzature indirizzate agli alleati europei beneficiando di una significativa ricaduta sul proprio ciclo economico, per poi ricorrere pienamente ad una economia di guerra dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbour dell’8 dicembre 1941. Da quel momento, l’economia di guerra registrò un’inevitabile accelerazione con il governo federale che divenne committente e acquirente addirittura di oltre la metà della produzione industriale nazionale.

Il modello di economia di guerra statunitense, contrariamente agli altri Paesi belligeranti, non risultò caratterizzato da una pianificazione statale centralizzata tant’è che, ispirandosi alle logiche del mercato, il governo si limitò ad agire principalmente sul lato della domanda, lasciando l’offerta sostanzialmente libera. Tale politica economica determinò un considerevole afflusso di capitali verso le imprese che restò a disposizione anche al termine della guerra, anche in considerazione del fatto che il territorio continentale degli Stati Uniti non aveva subito distruzioni. Infine, il cospicuo aumento della presenza delle donne nelle fabbriche per sopperire alla chiamata alle armi di milioni di giovani maschi, la priorità assegnata ad alcuni comparti produttivi a discapito di altri, la conversione di molte produzioni in senso militare e la massimizzazione dello sforzo produttivo, determinarono inevitabilmente una riorganizzazione ed un efficientamento del lavoro che continuò ad essere adottata anche nel dopoguerra.

L’economia statunitense, dopo la Grande depressione innescata dal crollo della Borsa di Wall Street del 24 ottobre del 1929, il “giovedì nero”, e l’introduzione del Primo New Deal (1934-35) da parte del presidente Franklin Delano Roosevelt, a seguito del parziale depotenziamento dei provvedimenti economici causato dalla dichiarazione di incostituzionalità della Corte Suprema Federale (tabella 1), scese nuovamente in recessione nel biennio 1937-38 e dovettero aspettare fino a quando l’amministrazione fu costretta a grosse spese federali per sostenere lo sforzo bellico durante la Seconda Guerra Mondiale, affinché l’economia nazionale recuperasse pienamente (grafico 1).

Tra il 1939 e il 1944 la produzione nazionale quasi raddoppiò. Di conseguenza, la disoccupazione cadde dal 14% del 1940 a meno del 2% nel 1943 (grafico 2), con la forza lavoro che crebbe di dieci milioni di unità.

L’economia di guerra non risultò tanto un trionfo della libera impresa, quanto il risultato dell’attività di finanziamento del governo che infatti registrò un eccezionale aumento del debito pubblico, il quale, in rapporto al Pil, passò dal 40% del 1938 ad oltre il 120% nel 1945 (grafico 3). Mentre la disoccupazione rimase alta per tutto il periodo del New Deal i consumi, gli investimenti e le esportazioni nette, i pilastri della crescita economica, rimasero bassi. Fu, quindi, la Seconda Guerra mondiale, non il New Deal, che mise la parola fine alla decennale depressione. Tantomeno il New Deal modificò in modo sostanziale la distribuzione del potere all’interno della società e dell’economia statunitense, accertato che determinò solo un piccolo, seppur significativo, beneficio per i ceti sociali più colpiti dalla Grande depressione.

Tabella 4: indici della produzione industriale negli anni immediatamente seguenti la crisi del 1929, ponendo come riferimento a 100 il valore nel 1929.

Andamento della produzione industriale
Stato 1929 1930 1931 1932 1933 1934 1935
Stati Uniti 100 83 69 55 63 69 70
Regno Unito 100 94 86 89 95 105 125
Francia 100 n.d 99 85 74 83 79
Germania 100 86 72 59 68 92 223
Austria 100 n.d 91 78 66 68 75
Italia 100 n.d 93 84 77 83 85

 

In definitiva, il forte sviluppo dell’industria militare necessario per sostenere il fronte di guerra europeo e quello pacifico, la riorganizzazione del lavoro e l’aumento delle produzioni trainato dalla imponente domanda federale e dalla crescita dell’export anche di prodotti alimentari verso i Paesi alleati di Washington, vale a dire l’economia di guerra del 1941-45, si rivelarono fattori fondamentali nell’ascesa degli Stati Uniti a ruolo di superpotenza mondiale, decretandone il definitivo sorpasso ai danni dell’Impero britannico, dopo aver compiuto quello in campo economico già al termine della Prima Guerra Mondiale. Ruolo sancito proprio in quegli anni alla Conferenza di Bretton Woods del luglio 1944 durante la quale gli Usa capitalizzarono tutto il loro peso geopolitico, economico e militare riuscendo a far elevare il dollaro a moneta di riferimento degli scambi internazionali, oltre a ottenere l’introduzione delle parità fisse fra le divise e la convertibilità del dollaro in oro. Inoltre, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, istituzioni internazionali finanziarie fondate proprio in quel consesso a garanzia dell’ordine internazionale finanziario a guida statunitense, non casualmente ne venne stabilita la sede a Washington.

Grafico 1: andamento del Pil degli Usa fra 1929 e 1941. Fonte: Federal Reserve 2006

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Grafico 2: tasso di disoccupazione negli Usa fra 1910 e il 1962. In evidenza su sfondo azzurro chiaro gli anni della Grande Depressione (1929-1939)

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Grafico 3: rapporto debito/Pil in percentuale degli Usa fra il 1929 e 1950

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Note:
1 https://magazine.cisp.unipi.it/guerra-ucraina-un-primo-bilancio-delle-sanzioni-contro-la-russia/
https://codice-rosso.net/crisi-ucraina-solo-la-mobilitazione-popolare-puo-fermare-la-guerra/
2 https://iari.site/2023/05/14/il-petrolio-russo-in-india-rischio-dipendenza-energetica/
3 Vedi tabella 2 del saggio: Approvata la nona tranche di sanzioni alla Russia
cambiailmondo.org/2022/12/21/approvata-la-nona-tranche-di-sanzioni-alla-russia-nonostante-leconomia-italiana-vada-incontro-a-nuova-recessione-e-unulteriore-crisi-social/
4 https://formatresearch.com/2023/04/05/wto-omc-la-crescita-del-commercio-rallentera-all17-nel-2023-dopo-lespansione-del-27-nel-2022-si-prevede-che-la-crescita-del-commercio-globale-nel-2023-sara-ancora-inferiore-alla-media-nonos/
5 Grafico 1 pag 3 “Trade outlokk” Wto 23
https://www.wto.org/english/res_e/booksp_e/trade_outlook23_e.pdf
6 https://am.pictet/it/blog/articoli/guida-alla-finanza/america-first-il-dizionario-economico-di-donald-trump
7 https://www.logisticanews.it/reshoring-negli-usa-il-trend-prende-corpo-diventera-globale/
8 https://med.ispionline.it/agenda/re-shoring-near-shoring-or-friend-shoring/
9 Il vero atto di nascita dell’incremento dei prezzi dell’energia, dell’inflazione e dell’aumento dei tassi.
Paragrafo: Il piano REPoowerEU. La rottura strategica con la Russia di Raffaele Picarelli https://codice-rosso.net/il-vero-atto-di-nascita-dellincremento-dei-prezzi-dellenergia-dellinflazione-e-dellaumento-dei-tassi/
10  “Insubordinazione e sviluppo. Appunti per la comprensione del successo e del fallimento delle nazioni” di Marcelo Gullo, Fuoco Edizioni, 2014.

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