Il caso del caso Moro. Parte 3: La trattativa
di Davide Carrozza
Sulla scia dei miei due articoli precedenti (qui e qui) sul “caso del caso Moro”, ripresi da Sinistra in Rete e Minuti di Storia, volevo tornare su un argomento poco dibattuto e appena sfiorato dagli stessi: Moro, poteva essere salvato? Quanto siamo stati vicini alla sua liberazione? Dal momento che tutti i commenti agli stessi articoli (non gli articoli stessi) lascerebbero intravedere una mia presa di posizione lapidaria sui misteri della vicenda Moro, chiarisco che essere anti complottista non significa di per sè credere che sul rapimento, prigionia e omicidio dell’On. Moro sia tutto un libro aperto e niente debba essere più risolto.
Se c’è un aspetto infatti poco dibattuto sia dalla storiografia, che dalle commissioni parlamentari, che dai numerosi procedimenti giudiziari riguarda quella trattativa sotto traccia, che attraverso numerosi canali riuscì a mettere in comunicazione neppure tanto indiretta, ma segretissima, le Brigate rosse e lo stato durante i 55 giorni. Anziché elucubrare su quello che fu e sarebbe potuto essere proverò a ricostruire quella trattativa con una cronistoria il più possibile precisa, proverò quindi a dipanare gli eventi senza aggiungere commenti od opinioni di parte per provare a rispondere a domande che, a 47 anni di distanza, a mio avviso hanno ancora tutto il senso del mondo: C’è mai stata la speranza di salvare Moro in quei giorni maledetti? Se si, quanto concreta? Quanto siamo stati vicini alla sua liberazione? Chi avremmo dovuto ringraziare? Domande metafisiche da sliding doors potrebbero sorgere: cosa sarebbe accaduto poi alla storia del nostro paese? Avrebbe preso un altro corso? Proviamo a riordinare le idee e a ricostruire tutto a bocce ferme, per poi tirare le somme alla fine.
Il Congresso del PSI
Mentre Aldo Moro è rinchiuso nella prigione del popolo, dal 29 Marzo al 2 Aprile 1978 si svolge il quarantunesimo congresso del Partito Socialista Italiano a Torino. La sede scelta dalla segreteria di Craxi è a suo dire una sfida ai brigatisti. In quei giorni infatti si sta svolgendo a Torino il processo al cosi detto “nucleo storico” delle Br, dove fra gli altri sono imputati anche due dei tre fondatori Renato Curcio e Alberto Franceschini (la terza, Mara Cagol, è rimasta uccisa in un conflitto a fuoco con la polizia tre anni prima). La prima lettera autografa di Moro, indirizzata a Cossiga, giunge proprio il 29 Marzo, primo giorno di congresso. Poco prima dell’inizio del congresso l’Avv. Giannino Guiso, iscritto al PSI e avvocato difensore di Renato Curcio si mette a disposizione pubblicamente “…..se il segretario del mio partito o il ministro Cossiga avessero ritenuto di aver bisogno della mia opera”. A margine del congresso Craxi viene avvicinato dall’ on. Vassalli, amico di lunga data dell’on. Moro, che gli chiede la disponibilità del partito a sondare il terreno e capire quali possibilità ci fossero nell’intercessione di Guiso con i brigatisti detenuti. I vertici del PSI quindi, incontrano pochi giorni dopo Guiso chiedendogli di rendersi portavoce di una questione precisa: a quali condizioni si poteva salvare la vita di Moro, già condannato a morte nei precedenti comunicati. Egli si fece quindi ambasciatore a sua volta delle parole di Curcio. La posizione del fondatore delle Br oggi potrebbe apparire scontata, ma all’epoca suonò come un’apertura clamorosa: il punto principale per avere un margine era che ci fosse una contropartita reale, a differenza di quanto accadde con il sequestro Sossi, (liberato senza condizioni e con promesse dello stato venute meno). La trattativa quindi se mai dovesse decollare, a detta di Curcio, decollerà attraverso la liberazione di “prigionieri politici”, vale a dire esponenti del partito armato (non necessariamente Br) attualmente detenuti. Modi e tempi della trattativa stessa verranno dettati dallo stesso Moro attraverso le sue lettere (“dialettizzatevi con Moro”) Craxi quindi incontra nei giorni successivi dapprima Cossiga, Ministro dell’Interno e poi Andreotti, Presidente del Consiglio, ed espone loro la relazione di Guiso. La proposta degli esponenti del governo è quella di chiamare in causa la Caritas per l’attuazione di eventuali proposte umanitarie, ma per il resto, arroccati nella fermezza, ripassano la palla a Craxi.
La pista umanitaria
Nei giorni successivi, Craxi e Guiso coinvolgono anche Amnesty International attraverso la Senatrice Boniver, membro socialista dell’esecutivo di A.I., per capire sotto traccia le reali condizioni di detenzione dei vari prigionieri nelle carceri di sicurezza. Guiso si dimostra attento conoscitore della materia e prezioso consigliere in molte occasioni: propone a Craxi, per un’eventuale proposta di grazia, di concentrarsi solo su esponenti effettivi del partito armato e di non prendere in considerazione anarchici come Valitutti o casi puramente umanitari come la Salerno, questo perché la contropartita doveva essere appunto reale e avere un peso politico, non c’era tempo da perdere afferma Guiso e il processo a Moro sarebbe durato ancora poco. Per la sua militanza di avvocato di imputati accusati di terrorismo, l’avvocato Guiso parla da esperto. Da sottolineare inoltre il suo ruolo attivo quale mediatore nel corso del sequestro Sossi, il giudice sequestrato dalle Br 4 anni prima e liberato anche grazie al lavoro di Guiso. Se c’è qualcuno a cui bisogna dare retta in quei 55 giorni è proprio lui. A testimonianza delle sue previsioni, di lì a poco, il 15 Aprile, le Br emettono il comunicato numero 6 in cui annunciano la fine del processo e la condanna a morte di Moro. Nel comunicato successivo, il 20 Aprile le Br lanciano un ultimatum di 48 ore entro le quali il prigioniero verrà giustiziato a meno della liberazione dei “prigionieri comunisti” non meglio precisati (tralascio volutamente il falso comunicato “della Duchessa” del 18 Aprile e la scoperta del covo di Via Gradoli, irrilevanti in questa sede). Ancora una volta quindi, le previsioni dell’avv. Guiso si rivelano azzeccate. Passano 24 ore e in seguito a una riunione dei vertici del PSI, alla quale partecipa anche Guiso, i socialisti adottano una risoluzione in cui si legge che “non è accettabile un immobilismo che porta a escludere la ricerca di ogni legittima possibilità” e inoltre “la giustizia per le vittime di ieri non è in contrasto con la possibile salvezza della vittima di oggi” (chiaro riferimento ai caduti di Via Fani. Tradotto, il PSI è favorevole ad una iniziativa umanitaria nel rispetto delle leggi, si propone in maniera alternativa al blocco della fermezza DC-PC (immobili) nel principio della salvaguardia della vita umana che compete allo stato. Ma non c’è tempo da perdere, su Moro pende una condanna a morte e un ultimatum.
Il PSI sollecita lo stato
L’ultimatum che scade il 22 Aprile non ha seguito ma a sorpresa arriva un’altro comunicato (il numero 8) tre giorni dopo, in cui le richieste dei brigatisti vengono meglio esplicitate. In cambio della vita di Moro le Br chiedono la liberazione di 12 detenuti appartenenti a formazioni del partito armato più un tredicesimo, Cristoforo Piancone, ferito e catturato in quei giorni a Torino. La richiesta è giudicata inaccettabile all’unanimità da tutto il parlamento, PSI compreso. Dalle colonne dell’Avanti il 26 Aprile, il PSI quindi incalza lo stato, coerentemente con la risoluzione già citata, affinché esso adotti “una iniziativa autonoma che si fondi sul principio umanitario e che si muova nell’ambito delle leggi repubblicane” nominando un comitato di esperti che si muovesse per sollecitare lo stato e la maggioranza in questa direzione. Da qui derivano successivi incontri fra Craxi e Zaccagnini e fra Craxi e Berlinguer. Nel concreto, Craxi informa il segretario della DC del lavoro del comitato da lui istituito che aveva redatto una ricerca sui detenuti con tanto di schede, mentre chiede a Berlinguer di attenuare la posizione di fermezza. Successivamente Craxi incontra di nuovo il Presidente del Consiglio Andreotti e lo rende edotto del suo lavoro, proponendogli per valutarne un’ eventuale liberazione il nome di Paola Besuschio, nome presente nella lista fornita dalle Br nel Comunicato n.8. A detta di Craxi la Besuschio risponde ai criteri enunciati dalla sua risoluzione e sui quali si stanno muovendo Caritas e Amnesty: non è accusata di reati di sangue e versa in condizione di salute precarie. Andreotti rifiuta adducendo come motivazione una possibile “reazione negativa dei corpi di polizia dopo la strage di Via Fani”. Nonostante il rifiuto del governo a collaborare però, nel frattempo il Presidente del Senato Fanfani, si dice disponibile a ad intercedere con il capo dello Stato Leone, facendo presente che la Signora Moro lo ha più volte interpellato e più volte ha dimostrato di riporre in lui le speranze di salvezza del marito. il 27 Aprile Craxi ribadisce la possibilità di un intervento autonomo da parte dello stato sull’Avanti, mentre il 29 Aprile Moro scrive alla DC definendosi “in perfetta lucidità” definendo lo scambio di prigionieri “la sola soluzione possibile”. Aggiunge poi una frase sibillina ma per noi rilevante “Da che cosa si può dedurre che lo Stato va in rovina, se, una volta tanto, un innocente sopravvive e, a compenso, altra persona va, invece che in prigione, in esilio? Il discorso è tutto qui” e aggiunge “guai caro Craxi se la tua iniziativa fallisse“. Il 30 Aprile il Presidente del Senato Fanfani riceve quello della Camera Ingrao e sembra voler dar seguito alle promesse fatte alla Signora Moro, inviando le lettere del marito in cui si accenna ad una trattativa per mezzo di liberazioni di detenuti al Presidente del Consiglio e al Presidente della Repubblica, nonché alla Procura di Roma. Contemporaneamente, lo stesso giorno, da una cabina nei pressi della Stazione Termini arriva a casa Moro la telefonata che può rappresentare la svolta. Mario Moretti, leader delle Br scambia la Signora Moro per la figlia “serve un intervento chiarificatore e immediato di Zaccagnini e della DC, l’unico modo per cui si possa arrivare ad una trattativa, se ciò non avverrà dovremo dar seguito al Comunicato n.8”
Verso l’epilogo
Lunedi 1 Maggio: Fanfani incalzato dalla famiglia telefona a Zaccagnini per esortarlo a considerare la novità della telefonata, gli risponde che Andreotti gli ha chiesto di verificarne l’autenticità e Fanfani chiede che ciò venga fatto da Cossiga che da Ministro degli Interni ne avrebbe i mezzi. Dopo una lettera durissima della famiglia Moro alla DC, Zaccagnini annuncia la convocazione della delegazione della DC.
Martedi 2 Maggio: Craxi rientra in tutta fretta dalla Spagna dove si teneva il congresso della riunificazione socialista spagnola. La stessa sera ha luogo un incontro fra le delegazioni di DC e PSI: Zaccagnini, Galloni, Gaspari e Di Bartolomei da una parte, Craxi, Signorile, Cipellini e Balsamo dall’altra. Dopo 5 ore di colloquio la DC chiede una sospensione della riunione per una consultazione privata, al termine della quale la DC afferma la volontà di voler uscire con un comunicato separato e non congiunto.
Mercoledi 3 Maggio: La delegazione DC nel suo comunicato sollecita il governo “perché esamini le concrete possibilità dell’iniziativa socialista”. Poche ore dopo arriva la risposta in un comunicato della Presidenza del Consiglio che recita: L’invito al governo rivolto dalla Dc di approfondire il contenuto della soluzione umanitaria adombrata dal Psi, avrà un seguito in una riunione del Comitato interministeriale per la sicurezza che avrà luogo nei prossimi giorni. Si osserva tuttavia fin d’ora che è nota la linea del governo di non ipotizzare la benché minima deroga alle leggi dello Stato e di non dimenticare il dovere morale del rispetto del dolore delle famiglie che piangono le tragiche conseguenze dell’operato criminoso degli eversori»
Giovedi 4 Maggio: Il PC ribadisce la linea dura non escludendo iniziative umanitarie che non siano in contraddizione con la stessa. Craxi viene contattato da tale Padre Davide Maria Turoldo che gli chiede di mettersi in contatto con il Vaticano per chiedere che la Nunziatura Apostolica si dichiari disponibile a offrire i suoi uffici come sede di una trattativa, a suo avviso l’ultima speranza rimasta. Ricordiamo che la stessa si era fatta promotrice di una trattativa durante il Sequestro Sossi, risolto con la liberazione dell’ostaggio. In una delle sue lettere dalla prigionia Moro aveva chiesto l’attivazione del Cardinal Pignedoli, anch’egli coinvolto nella trattativa a suo tempo per liberare Sossi. Un gruppo di vescovi, fra cui il vice presidente della CEI, si erano offerti alla segreteria vaticana come possibili ostaggi in cambio di Moro, incontrando il diniego assoluto della proposta da parte della Santa Sede. Turoldo, promotore dell’iniziativa decise allora di contattare Craxi e sfruttare il suo peso politico per fare breccia nelle gerarchie vaticane.
Venerdi 5 Maggio: Craxi però a questo punto non si muove perché Guiso, l’avvocato del nucleo storico Br, gli comunica che non ci sono più margini di trattativa, crolla anche la pista vaticana. Arriva l’ultimo comunicato delle Br: “….Concludiamo quindi la battaglia iniziata il 16 marzo, eseguendo la sentenza a cui Aldo Moro e’ stato condannato.” Il gerundio offre ancora una flebile speranza. Signorile incontra Franco Piperno, ex leader di Potere Operaio e in contatto con alcuni brigatisti e assicura che arriverà un intervento pubblico di Fanfani entro Domenica sera. Nella dichiarazione promessa, Fanfani avrebbe espresso l’intenzione di esaminare le richieste dei brigatisti compatibili con l’ordinamento giuridico in cambio di uno stop all’esecuzione di Moro.
Sabato 6 Maggio: Nel pomeriggio il guardasigilli Bonifacio telefona a Fanfani disperato, non si trovano casi idonei da sottoporre al Presidente della Repubblica per la grazia, “tranne qualche incertezza su una ventina di casi”. Nel frattempo, si legge dal diario di Fanfani “mi informano che Cossiga sta indagando con Andreotti, La Malfa ed i comunisti ciò che può essere fatto in casi passibili di liberazione o di morte, nel primo caso avrebbe già prenotato camere al Gemelli per un ricovero di più settimane.” Per motivi a me ignoti il nome della Besuschio, proposto a Fanfani e Leone dal PSI anche in questa giornata, non è più utilizzabile. Nel pomeriggio Craxi incontra un esponente di Autonomia Operaia, Lanfranco Pace, in contatto con i brigatisti della colonna romana contrari all’esecuzione. Pace conferma che le speranze sono ridotte al lumicino ma che la liberazione subitanea di anche solo un prigioniero politico potrebbe mettere in seria difficoltà le BR. Nel frattempo però, come già detto nella telefonata di Moretti, occorre una presa di posizione chiara della DC. E’ in questa occasione che Craxi, in un delirio Shakespeariano, chiede a Pace l’assicurazione che Moro fosse ancora vivo attraverso un biglietto autografo con scritto “misura per misura”. Lanfranco Pace dichiarerà poi in Commissione Stragi “Gli risposi che nessuno era in grado di portargli quel biglietto. In quella occasione capii che dal punto di vista lucido, ma anche cinico del politico di razza la vicenda era chiusa anche per Craxi e che la liberazione o meno di Moro era un epifenomeno rispetto all’obiettivo centrale che era quello di avere dato al Partito socialista una audience molto più ampia e di avere rotto in qualche modo il blocco tra democristiani e il Partito comunista” In serata durante un comizio a Siena, prende la parola Bartolomei, pur con la presenza nel pubblico di Fanfani, che si limita ad invocare il ripristino della legalità.
Domenica 7 Maggio: Non è Fanfani o Zaccagnini a fare la dichiarazione richiesta dalle Br ma il senatore capogruppo DC Giuseppe Bartolomei, sempre Lanfranco Pace commenterà in Commissione Stragi, il ritmo poi si accelerò e quello che doveva essere l’intervento di Fanfani si trasformò in una presa di posizione di Bartolomei. Sarebbero state necessarie ore per spiegare a un brigatista chi fosse Bartolomei. L’ apertura di un esponente di spicco richiesta nella telefonata a casa Moro, non fu fatta quindi da un esponente di spicco. Fanfani scrive sul suo diario che è Signorile a dirgli “utile sarebbe una dichiarazione anche non mia ma autorevole”, nessuno più autorevole di Bartolomei evidentemente si riuscì a trovare. Il Presidente della Repubblica Leone e il Senatore Vassalli si incontrano per esaminare la posizione della Besuschio, che ritorna in auge, per un eventuale procedimento di libertà provvisoria.
Lunedi 8 Maggio: Viene pubblicata l’ultima lettera di Moro alla moglie “cara Norina, ti bacio per l’ultima volta”. Craxi e Fanfani si incontrano a Palazzo Giustiniani. Craxi chiede alla direzione DC una netta presa di posizione per salvare il salvabile e Fanfani lo assicura che avrebbe fatto il possibile nel corso dell’assemblea della direzione della DC, prevista per il giorno dopo. Claudio Martelli, all’epoca già membro della direzione nazionale del PSI e presente all’incontro ci racconta qualcosa di molto interessante. Fanfani si dimostra molto sensibile alla possibilità di uno scambio uno contro uno, non da intendere come riconoscimento politico delle BR ma quanto meno come modo per guadagnare tempo, i tre presenti all’incontro sono convinti che la liberazione della Besuschio se non darà come effetto immediato la liberazione di Moro ha molte probabilità quanto meno di ritardare l’esecuzione. A questo punto Fanfani, ci dice Martelli, fa una considerazione politica a cui nessuno aveva ancora pensato: se la DC si allontana dalla fermezza intercedendo con il capo dello stato per concedere una grazia, probabilmente andrebbe a cadere l’intesa sul governo della non sfiducia con il PC, se cosi fosse (dice Fanfani a Craxi) voi sareste pronti a sostituire il PC? Fanfani chiede quindi a Craxi e al PSI di fare da stampella per il governo monocolore Andreotti al posto del PC. Mentre Martelli crede che la situazione sia giunta a una svolta, vorrebbe intervenire e accettare con entusiasmo rimane in silenzio perché la decisione spetta al segretario il quale invece è molto più scettico e dice “non saprei come il mio partito potrebbe prendere una scelta del genere”. Lo stesso giorno viene presentata l’istanza di libertà provvisoria per Buonoconte proposta al Presidente della Repubblica dal Ministro Bonifacio.
Martedi 9 Maggio Alle 13.30 arriva la famosa telefonata del Dott Nicolai alias Valerio Morucci al Professor Tritto, per comunicare l’avvenuta esecuzione e il luogo del ritrovamento del cadavere. Il corpo dell’onorevole Moro viene ritrovato nella famosa Renault 4 in Via Caetani poco dopo. Tralascio volutamente l’incontro avvenuto in mattinata tra Signorile e Cossiga al Ministero dell’Interno, già affrontato nel primo articolo della serie e irrilevante nella questione trattativa. In mattinata, durante la riunione di direzione DC Fanfani dirà “la situazione indica ciò che nel rispetto della Costituzione e delle leggi può essere fatto, senza cedimenti, ma anche senza negligenze, in difesa della vita e della libertà d’ogni cittadino e quindi anche di Aldo Moro“. Sarà tutto vano perché il delitto è già avvenuto, in prima mattinata.
Questo è quanto per la cronologia degli eventi. Per completezza un piccolo accenno a un altro filone di trattativa, sempre di stampo socialista che correva sull’asse Craxi/Signorile da una parte e Pace e Piperno dall’altra che a loro volta dialogavano con i brigatisti Morucci e Faranda, unici della colonna romana contrari all’esecuzione (per essere più precisi Pace dialogava con questi ultimi e Piperno con i BR ex esponenti di Potere Operaio). Di questa trattativa abbiamo dato conto dell’ultimo incontro fra Craxi e Pace avvenuto il 6 Maggio, quello di Shakespeariana memoria.
E quindi?
Ciò che si coglie evidente mettendo tutte queste tessere in ordine cronologico è che Craxi sin dal primo minuto abbia voluto accaparrarsi il ruolo del paladino della salvaguardia della vita umana, appena avutane la possibilità. E’ chiaro che la posizione di fermezza intransigente dell’asse PC-DC aveva creato un vuoto politico del quale Craxi ha approfittato. Quando viene audito nel 1980 dalla prima commissione Moro (audizione che costituisce una delle fonti di questo articolo) lo fa munito di agenda dove ha appuntato tutto minuziosamente, vuole dimostrare che dal congresso PSI al 9 Maggio lui non ha perso un minuto per provare a salvare Moro e c’è da credergli viste le iniziative su più fronti che il PSI intraprende e delle quali abbiamo ampia documentazione. Ci sono dei momenti di questa vicenda che però stridono un pò, che lasciano perplessi:
1 Quando Fanfani di fatto propone al PSI di fare da stampella al governo al posto del PC nel caso molto probabile di una rottura dell’asse della solidarietà nazionale in caso di apertura alla trattativa dei democristiani (ad esempio con la liberazione della Besuschio), Martelli giubila e Craxi tergiversa. Ovviamente fra i due conta il pensiero di Craxi, segretario. Bisogna premettere, come ricorda lo stesso Martelli, che la segreteria Craxi era nata appena due anni prima dopo il tracollo elettorale del ’76, parola d’ordine della maggioranza che aveva eletto Craxi era stata “mai più al governo senza il PC, cosa che spiega bene il rifiuto politicamente (un po' meno umanamente). Nessuno può dire se un ok del PSI a fare da “riserva” per il sostegno al governo e una liberazione se pur tardiva della Besuschio o del Buonoconte avrebbe cambiato le carte in tavola, se avrebbe salvato la vita di Moro o ne avrebbe solo rimandato l’esecuzione, ricordiamo che eravamo a un solo giorno dall’omicidio (che avviene il 9 Maggio intorno alle 7 del mattino). Ciò che accadde l’8 Maggio nei palazzi del Senato in quell’incontro a tre potrebbe forse essere giudicato in due modi contrapposti, uno esageratamente buonista perdonando al giovane Craxi con una carriera politica davanti, segretario di un partito importante da appena due anni, il fatto di non aver fatto quel salto nel vuoto stringendo la mano a Fanfani. L’altro giudizio, forse esageratamente cinico: valeva cosi poco la vita di Moro da fermarsi davanti a un ostacolo cosi piccolo, sarebbe bastato dire a Fanfani di si in quel momento e forse Moro avrebbe avuto un briciolo di speranza in più. Sinceramente non so se esista una via di mezzo fra queste posizioni.
2 Certo l’autenticità e la spontaneità del tentativo socialista non si mette in dubbio, così come la reale volontà di liberare Moro in uno spirito di solidarietà e umanità che guidò sicuramente gli sforzi di quei giorni. Fa un certo effetto però sapere che Craxi si tirò indietro davanti all’offerta di Fanfani come detto prima, fa un certo effetto sentire Lanfranco Pace dire in Commissione Stragi che la seconda volta che incontrò Craxi ebbe l’impressione…..che avesse già incassato la sua cambiale, che avesse già vinto il suo jackpot,e che quindi in qualche modo fosse meno interessato a indirizzare la sua linea e a fare tutto il possibile per salvare la vita di Moro (incontro avvenuto il 6 Maggio di cui si è già scritto sopra). Il jackpot di cui parlò Lanfranco Pace si concretizzò poi ai massimi termini il 9 Maggio dell’84, sesto anniversario della morte di Moro, quando Craxi non è più il giovane aspirante statista in cerca di una collocazione ma è presidente del Consiglio e segretario del partito più in salute del Parlamento. Dal palco del Congresso PSI di Verona si spinse a leggere in lacrime la lettera che Moro gli scrisse dalla prigionia. Il popolo socialista lo applaudì fino a scorticarsi le mani e lo elesse nuovamente segretario per acclamazione, senza nemmeno bisogno di votare. Viene da pensare quanto lungimirante fu il giovane Craxi del 78 a interpretare il ruolo del Salvatore.
3 Se l’atteggiamento del PSI potrebbe sintetizzarsi nella frase “proviamoci, bene che ci vada facciamo liberare Moro, male che vada (a Moro) aumentiamo i consensi” l’atteggiamento della DC invece, accanto alla fermezza sbandierata, nella sostanza sembra invece di totale confusione. Andreotti prima vuole percorrere la pista socialista, poi nega l’appoggio sulla liberazione della Besuschio adducendo a possibili ripercussioni sull’ordine pubblico. il Presidente Leone che prende in mano i dossier dei possibili detenuti da liberare ma non si spinge mai più in fondo probabilmente perché non sente di avere l’appoggio delle forze politiche di maggioranza. Giova ricordare però che l’ufficio della Grazia non ha bisogno della ratifica del parlamento ma può essere proposto al magistrato di sorveglianza passando poi dal procuratore generale alla corte d’appello su iniziativa diretta del Presidente della Repubblica. Non ci fu nessuno di questi passaggi. Il Presidente del Senato Fanfani che si dice sempre interessato ad adoperarsi ma poi non fa quell’apertura richiesta nella telefonata delle Br facendola fare al collaboratore Bartolomei pur essendo presente quel giorno a quel comizio del 7 Maggio. L’ Assemblea Nazionale DC che annuncia sempre di riunirsi a data da destinarsi per poi farlo l’ultimo giorno utile senza appunto dire nulla di utile. Andreotti che chiede a Zaccagnini di accertarsi dell’autenticità della telefonata delle Br senza interpellare Cossiga che da Ministro dell’Interno ne avrebbe avuto facoltà e mezzi. Confusione? Scarsa volontà? Mancanza di coordinamento? Non stiamo qui a sottolineare tutte le volte in cui lo stato decise scientemente di trattare per la liberazione di un prigioniero perché la cosa è stata già più volte ricordata da osservatori più autorevoli di me, nonché dalla stesso Moro nelle sue lettere. A proposito di osservatori autorevoli è forse l’osservatore più autorevole della faccenda o per meglio dire dell’ “affaire Moro” quel Leonardo Sciascia che volle studiare tutto da vicinissimo e a caldo, quale membro della prima Commissione Parlamentare d’inchiesta Moro 1. Fu lui a sintetizzare a meglio la vera colpa della DC, quella colpa che “non poteva né politicamente giustificare, né umanamente perdonare: il non aver fatto quadrato intorno alla sua vita, il non essersi riconosciuta in lui prigioniera e imputata delle Brigate Rosse.”
Lei in precedenza mi ha promesso che queste (inesistenti) spiegazioni alternative (all' unica ragionevolmente plausibile) me le avrebbe fornite nel terzo articolo; e in questo terzo articolo mi rimanda alla loro pretesa, inesistente presenza negli articoli precedenti.
Tutti i lettori di SinistrainRete lo possono facilmente verificare rileggendo quanto scritto da me e da lei; dunque tanto basta da parte mia in replica a queste ultime sue affermazioni.
E questo a casa mia si chiama "prendere in giro"
gli interlocutori.
Poiché -ripeto- i termini della nostra polemica sono facilissimamente verificabili da qualunque lettore di questa testata on-line (credo si dica così), non risponderò a -credo a questo punto non improbabili- sue ulteriori repliche che, more solito, non portino argomenti, dal momento che non é che una falsità diventi meno falsa a furia di ripeterla senza argomentarla né una verità meno vera per essere ripetuta meno volte; con l' ovvia precisazione che in questo caso, chi tace (ma solo dopo l' ultima reiterazione, avendo più che sufficientemente parlato in risposta alle precedenti) NON acconsente.