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Dal congresso di Vienna ai BRICS

Storia e prospettive della neutralità svizzera

Damiano Bardelli

Quest’anno corre il bicentenario del congresso di Vienna, in occasione del quale le grandi potenze europee riconobbero la neutralità perpetua della Svizzera. Occorre approfondire gli avvenimenti che hanno marcato la neutralità elvetica non solo per capire cosa essa sia – contrastando l’utilizzo strumentale della storia nazionale messo in atto dai partiti conservatori – ma anche per riflettere sulle sue prospettive future. Nel contesto attuale di cambiamento negli equilibri geopolitici internazionali, la Svizzera potrebbe infatti approfittare del suo status di paese neutrale per giocare un ruolo centrale nello sviluppo di rapporti paritari tra l’Occidente e le potenze emergenti

Isabey Congresso di ViennaLe origini della neutralità: il mito di Marignano e il congresso di Vienna

I partiti conservatori – e in particolare l’UDC – ricorrono regolarmente al mito del Sonderfall elvetico1 per ottenere consensi tra la popolazione e per giustificare le loro proposte in materia di politica interna ed estera. Per contrastare questa tendenza e per smascherare la debolezza degli argomenti della destra, è fondamentale che i partiti di sinistra cambino la loro attitudine nei confronti della storia nazionale e comincino ad approfondirla. Diversi esempi concreti posso essere presi in considerazione, tra cui quello della neutralità.

Questa primavera, la pubblicazione di un’opera dello storico Thomas Maissen, nella quale vengono smantellati i principali miti della storia svizzera2, ha dato luogo ad un acceso dibattito tra politici conservatori – incluso Christoph Blocher – ed esperti del tema. Questa discussione ha permesso di mettere in evidenza la fragilità della posizioni dell’UDC sulla storia nazionale3. In particolare, ci si è scontrati sulla questione delle origini della neutralità elvetica, che i miti popolari fanno rimontare alla battaglia di Marignano del 15154 ma che, concretamente, diviene realtà solo con la pace di Parigi, stipulata nel 1815 nel quadro del congresso di Vienna5.

Dalla fine del XIX secolo e per quasi un secolo, gli storici hanno applicato una lettura a posteriori della neutralità svizzera, facendo risalire la tradizione della neutralità alla battaglia di Marignano per giustificare la politica di forte isolamento promossa dalle autorità elvetiche. Solo negli ultimi decenni si è cominciato a mettere in discussione questo approccio, favorendo piuttosto un’interpretazione in contesto6. Si è così potuto confermare che la neutralità svizzera non è iniziata con la sconfitta di Marignano, ma che essa si è sviluppata nel corso dei secoli fino alla sua dichiarazione al congresso di Vienna7. Il concetto stesso di neutralità si è profondamente trasformato nel corso dell’epoca moderna8, e si è dovuto attendere il XIX secolo perché questa prendesse un significato simile a quello che le si attribuisce oggi. Per esempio, sebbene il Corpo elvetico non abbia più partecipato a dei conflitti dopo Marignano, tutti i 13 cantoni che lo componevano sono stati alleati del regno di Francia dal XVI secolo sino al 17989, e i mercenari svizzeri hanno giocato un ruolo centrale nelle guerre europee fino all’inizio del XIX secolo.

La questione dell’origine esatta della neutralità non è banale come potrebbe inizialmente sembrare: far rimontare la neutralità a Marignano anziché alla pace di Parigi implica un’interpretazione completamente diversa del suo significato. I sostenitori della storia leggendaria della neutralità, vedono quest’ultima come una decisione saggia, presa in modo autonomo e unilaterale dalle autorità elvetiche in un contesto epico, quello delle battaglie del XVI secolo. La storia è ben diversa, visto che la dichiarazione della neutralità perpetua, sebbene sia stata scritta da un ginevrino, il diplomatico Charles Pictet de Rochemont, è stata presa di concerto tra le autorità elvetiche e le potenze europee dell’epoca. Senza il consenso di queste ultime, interessate ad avere un cuscinetto che le dividesse e che riducesse il terreno di scontro in caso di un conflitto, difficilmente la Svizzera avrebbe potuto restare neutrale e indipendente sino ai giorni nostri. La neutralità della Svizzera non dipende quindi solo dal volere di quest’ultima, ma anche dagli interessi delle grandi potenze regionali e – nel contesto odierno della globalizzazione – mondiali.

 

Ambiguità della politica di neutralità

Dal congresso di Vienna ad oggi, il modo in cui viene applicata la neutralità è evoluto profondamente. Una tappa importante è rappresentata dall’adesione della Svizzera convenzione dell’Aia del 1907, che ancora oggi definisce i diritti e i doveri dei paesi neutrali in tempo di guerra, in particolare l’obbligo di non aprire il proprio territorio ad azioni militari dei belligeranti10. In contrapposizione con questo “diritto della neutralità”, si considera che in tempo di pace sia la cosiddetta “politica di neutralità” a definire la politica estera della Svizzera, il cui scopo è di assicurare la credibilità della neutralità grazie a delle scelte equilibrate e coerenti. Va da sé che se il diritto della neutralità è una realtà chiaramente definita, lo stesso non si può dire della politica di neutralità, che è più che altro uno strumento retorico utilizzato in modo ricorrente dalle autorità elvetiche.

Gli eventi che hanno caratterizzato la storia svizzera nella prima metà del XX secolo costituiscono un esempio emblematico di come l’applicazione della politica di neutralità – ma anche del diritto della neutralità – da parte delle autorità elvetiche possa risultare ambigua, in particolare a causa dell’influenza del mondo bancario e padronale sul Consiglio federale. Basti pensare ai crediti accordati dal governo svizzero agli industriali che esportavano i loro prodotti nel Terzo Reich – prodotti che delle ricerche recenti dimostrano includessero anche materiale di guerra, il che significa che la Svizzera arrivò addirittura a infrangere la convenzione dell’Aia11.

Durante la Guerra fredda, la neutralità – divenuta ormai un elemento centrale dell’identità nazionale – è stata assurta a obiettivo della politica estera elvetica. Concretamente, la politica di neutralità si è tradotta in quasi mezzo secolo di chiusura nei confronti della comunità internazionale, come testimoniato dalla decisione di non aderire alle principali organizzazioni internazionali12 e di non partecipare alle sanzioni economiche decise per esempio dall’ONU.

Si è dovuto attendere il crollo del blocco sovietico affinché la Svizzera si aprisse al mondo. Dall’inizio degli anni Novanta, infatti, le relazioni internazionali hanno subito delle profonde trasformazioni, e con esse anche la neutralità svizzera ed il modo in cui essa viene intesa ed applicata. In nome della “neutralità attiva”, promossa prima da Micheline Calmy-Rey e ora da Didier Burkhalter, la Svizzera si è sempre più integrata nelle strutture di cooperazione internazionale, incluse quelle che favoriscono l’egemonia nord-atlantica e neoliberista sul pianeta. Questo vale tanto per l’ambito economico – come la stipulazione degli accordi bilaterali con l’UE e la contrattazione dei trattati Ttip e Tisa – che quello militare – come la partecipazione alla Politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) dell’UE e alla Partnership for Peace (PfP) della NATO13. Inoltre, la Svizzera partecipa alle sanzioni economiche contro i paesi che infrangono il diritto internazionale – perlomeno in teoria14 – ma essa si allinea oltre che a quelle decise dall’ONU anche a quelle decise esclusivamente dagli Stati Uniti e dall’UE.

La situazione attuale conferma quindi l’ambiguità della politica di neutralità, grazie alla quale le autorità intrattengono delle buone relazioni con i principali partner del mondo finanziario elvetico, a dispetto del presunto senso di equilibrio che dovrebbe starne alla base e a scapito dello sviluppo di relazioni internazionali più equilibrate e pacifiche.

 

Costruire ponti in un mondo multipolare

Il nostro essere critici nei confronti degli accordi sopra citati non significa che intendiamo la politica estera nello stesso modo della destra conservatrice, secondo la quale la neutralità dovrebbe essere il fine – e non uno strumento – della politica estera. Come abbiamo visto sopra, la storia ci insegna che la via dell’isolamento estremo proposta dall’UDC, teoricamente volta a salvaguardare la neutralità, non solo non è consigliabile, ma non è neanche realisticamente praticabile, in quanto la neutralità svizzera dipende anche dalla benevolenza della comunità internazionale. Una politica di chiusura che difende il solo profitto del mondo finanziario svizzero a discapito della comunità internazionale come quella concretizzata con l'approvazione dell'iniziativa “Contro l'immigrazione di massa”, non gioverebbe affatto al mantenimento dell’indipendenza e della neutralità svizzera.

Al contempo, siamo convinti che la “neutralità attiva” promossa dal Consiglio federale vada rivista. Essa dovrebbe essere intesa piuttosto nei termini di una partecipazione attiva nella scena internazionale in veste di paese non-allineato, dialogando sia sul piano diplomatico che su quello economico tanto con le potenze emergenti – i BRICS – che con quelle “declinanti” – USA e UE.

In materia economica, la Svizzera ha già compiuto passi importanti, per esempio stipulando l’accordo di libero scambio con la Cina, in vigore dall’estate scorsa. Un accordo esiste ugualmente con l’Unione doganale dell’Africa australe, di cui fa parte il Sud Africa, e degli accordi sono in corso di negoziazione con l’India. Ma diversi passi possono essere ancora compiuti per favorire lo sviluppo di rapporti multipolari. Si pensi per esempio al ruolo che la Svizzera potrebbe giocare nell’internazionalizzazione del renminbi, favorendo la creazione di un sistema monetario internazionale basato su un paniere di valute da utilizzare negli scambi internazionali in sostituzione al dollaro15. In quest’ottica, è ugualmente auspicabile che la Svizzera rinunci alla partecipazione dei trattati Tisa e Ttip, che la renderebbe ulteriormente subordinata al mercato americano ed europeo.

Dal punto di vista diplomatico, la Svizzera potrebbe fungere da interlocutore veramente neutrale tra tutte le nazioni del globo rinunciando al suo attuale allineamento con le potenze Occidentali. Questo le permetterebbe di avere un ruolo di primo piano nello sviluppo di rapporti più armoniosi tra i membri della comunità internazionale.

In questo senso, lo sviluppo di legami più stretti con l’Unione europea non è accettabile. L’UE ha più volte dimostrato di non voler rinunciare all’egemonia occidentale sul globo, malgrado il contesto attuale dimostri che lo sviluppo di un mondo multipolare sia inevitabile16. L’integrazione della Svizzera nell’UE minerebbe pericolosamente la credibilità della neutralità elvetica.

Si dovrebbe invece favorire il rafforzamento di uno statuto paritario tra i membri di organizzazioni internazionali come l’ONU, o eventualmente favorire la creazione di nuove istituzioni17. In un mondo multipolare, il ruolo di tali organizzazioni è fondamentale per assicurare rapporti armoniosi e il benessere di tutti18. Senza di esse, sarebbe impossibile prevenire lo sviluppo di conflitti a scala planetaria dettati dalla concorrenza tra nazioni, le cui conseguenze sarebbero devastanti. La Svizzera, in quanto stato neutro, ha l’opportunità di tessere alleanze volte a cambiare strutture obsolete come ad esempio quella del Consiglio di sicurezza dell’ONU, figlia di un mondo – quello sorto al finire della Seconda Guerra mondiale – che non c’è più.

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Note
1 Idea secondo la quale la Svizzera costituirebbe un caso virtuoso unico al mondo. Chi sostiene questa tesi dimentica ovviamente che ogni nazione ha una storia e delle caratteristiche che la rendono unica.

2 Thomas Maissen, Schweizer Heldengeschichten – und was dahintersteckt , Hier und Jetzt, Baden, 2015.

3 Si vedano Marc Tribelhorn, “Blocher contra Maissen”, NZZ , 12 aprile 2015 (http://goo.gl/OJ1Kdo) e le prese di posizione apparse sulla NZZ sullo stesso tema (http://goo.gl/1jSMdh), così come il dibattito tra Maissen e Blocher organizzato dalla Weltwoche e disponibile su YouTube (https://goo.gl/OwGy3x).

4 Battaglia che rimise in discussione le politiche espansionistiche dell’antica Confederazione. Essa si svolse tra il 13 ed il 14 settembre 1515 a Marignano, dove le truppe confederate subirono una cocente sconfitta contro l’esercito del re di Francia Francesco I. Si veda la voce “Marignano, battaglia di”, nel Dizionario storico della Svizzera (DSS ): http://goo.gl/DeHoKu.

5 Congresso tenutosi tra il 1814 e il 1815 e guidato dalle monarchie vincitrici delle guerre napoleoniche (Austria, Prussia, Russia e Gran Bretagna), nel quale vennero ridisegnati gli equilibri in Europa. Si veda la voce “Vienna, congresso di” nel DSS: http://goo.gl/XJ1UF9.

6 Georg Kreis, “Die Neutralität – eine historische Kategorie für eine künftige Politik?”, in Georg Kreis (dir.), Die Schweizer Neutralität. Beibehalten, umgestalten oder doch abschaffen?, Werd, Zurigo, 2007, p. 36-39.

7 Per una sintesi della questione, si veda l’intervista allo storico Béla Kapossy in Jocelyn Rochat, “Au soir de Marignan, la Suisse n’est pas devenue neutre”, Allez savoir!, n° 59, gennaio 2015, p. 45 (http://goo.gl/5qM5Hy).

8 Thomas Maissen, “Wie die Eidgenossen ihre Neutralität entdeckten. Frühneuzeitliche Anpassungen an eine veränderte Staatenwelt”, in Georg Kreis (dir.), Die Schweizer Neutralität. Beibehalten, umgestalten oder doch abschaffen? , Werd, Zurigo, 2007, p. 51-67.

9 Andreas Würgler, “‘The League of Discordant Members’ or How the Old Swiss Confederation Operated and How it Managed to Survive for so Long”, in André Holenstein, Thomas Maissen e Maarten Prak (ed.), The Republican Alternative. The Netherlands and Switzerland Compared, Amsterdam University Press, Amsterdam, 2008, p. 32.

10 La convenzione dell’Aia permette invece il transito e il commercio privati, incluso quello di armi, anche in tempo di guerra. Il mondo finanziario elvetico fece tutto il possibile perché questa clausola venisse integrata nella convenzione. Al riguardo, si veda Hans-Ulrich Jost, “Origines, interprétations et usages de la ‘neutralité helvétique’”, Matériaux pour l’histoire de notre temps , n° 93, vol. 1, 2009, p.8.

11 Marc Perrenoud, “L’économie suisse et la neutralité à géométrie variable”, Matériaux pour l’histoire de notre temps , n° 93, vol. 1, 2009, p. 81.

12 Con le importanti eccezioni del Consiglio d’Europa e dell’OSCE.

13 Programma di partenariato militare tra la NATO e i paesi europei che non fanno parte dell’alleanza atlantica – inclusi i membri dell’ex-Unione Sovietica – e da cui la Russia è stata recentemente sospesa a seguito della crisi ucraina.

14 Basti pensare che le autorità elvetiche non hanno preso alcuna misura contro gli Stati Uniti e il Regno Unito in occasione dell’invasione dell’Iraq del 2003, che costituiva una violazione del diritto internazionale. Al riguardo, si veda per esempio René Schwok, Politique extérieure de la Suisse après la Guerre froide, Presses polytechniques et universitaires romandes, Losanna, 2012, p. 36.

15 Si veda l’articolo di Mattia Tagliaferri “Il ruolo della Svizzera nell’internazionalizzazione del renminbi” apparso su #politicanuova n° 3.

16 Si veda la pubblicazione della Cancelleria federale Prospettive 2030 , nella quale vengono definite le sfide future della politica federale. In particolare, viene riconosciuta come inevitabile l’ascesa delle potenze emergenti, e della Cina più in particolare. Il pdf del documento è gratuitamente scaricabile all’indirizzo https://goo.gl/xjX5EK.

17 Non bisogna dimenticare che l’ONU com’è concepita oggi è profondamente classista e non rappresenta certo la classe lavoratrice. Idealmente, dei cambiamenti andrebbero intrapresi anche in questo ambito.

18 Per un’analisi più dettagliata della questione, si veda Prospettive 2030 , p. 9-10, 18-26.

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