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Tagliare i rami secchi

Catalogo dei dogmi del marxismo da archiviare

di Carlo Formenti e Onofrio Romano

Da qualche giorno è approdato in libreria, per i tipi di DeriveApprodi, "Tagliare i rami secchi", un dialogo fra me e Onofrio Romano sulla necessità di lasciarci alle spalle una serie di dogmi marxisti, se vogliamo che il messaggio di fondo dell'autore del "Capitale" - già attualizzato nel dilemma socialismo o barbarie - conservi tutta la sua potenza e non si trasformi in un balbettio accademico senza presa sul mondo reale. Diamo per scontato che saremo accusati di revisionismo dai militanti dei cespugli post neo comunisti. Poco importa: non è a loro che il nostro discorso è rivolto ma a tutti coloro che intuiscono che per lottare contro il capitalismo occorre dotarsi di nuovi strumenti culturali. Pubblico qui di seguito il testo integrale della prefazione e l'immagine della copertina

107432 9788865482735È luogo comune, quando si discute dell’attualità del marxismo, distinguere fra Marx e i marxismi. Questa distinzione serve a tutelare la purezza del pensiero del maestro dalle perversioni di cui si sono resi responsabili i discepoli che tale pensiero hanno malamente interpretato e applicato. Il punto di vista adottato dagli autori di questo libro è diverso: partendo dal presupposto che l’originario corpus teorico marxiano - accanto a straordinari elementi di attualità sia sul piano teorico che su quello politico - contiene tesi datate, incomplete e contraddittorie, assume che non lo si possa contrapporre né separare dai tentativi storici di calarlo nella realtà. Pensiamo che sia più utile cercare di capire quali concetti - presenti tanto in Marx quanto nelle varie tradizioni marxiste, anche se con diverse sfumature – vadano archiviati, in quanto non servono più alla trasformazione rivoluzionaria dell’esistente o rischiano addirittura di contribuire alla sua conservazione. Questa nostra provocazione non nutre intenzioni liquidatorie nei confronti del marxismo; al contrario: siamo convinti che tagliare i rami secchi della teoria, e abiurare certi articoli di fede delle ideologie che ha ispirato, significhi riattivarne la carica sovversiva nei confronti della società capitalista e ridare energia e prospettive alla speranza rivoluzionaria.

Nella prima parte, che contiene le trascrizioni di una serie di dialoghi fra i due autori, l’attenzione si concentra, in particolare, su nove fattori di criticità che elenchiamo qui di seguito (anche se va chiarito che i dialoghi non li affrontano in quest’ordine né li trattano separatamente, in quanto i temi in questione si sovrappongono e si mescolano gli uni con gli altri):

1. Il marxismo riposa su un’antropologia positiva. Una volta superata “l’estraneità del lavoratore al prodotto del proprio lavoro” tramite il processo di ri-appropriazione dei mezzi di produzione, si presume che il soggetto sia finalmente liberato. Noi sosteniamo, viceversa, che assumere il tragico, la non coincidenza ontologica tra uomo e mondo – se si vuole “l’alienazione di primo grado” - è un passo necessario per superare il determinismo e il “perfettismo” dell’antropologia marxiana, che ne condanna la prospettiva generale all’impotenza, alla strutturale irrealizzabilità.

2. Occorre riconoscere che la funzione civilizzatrice della società industriale si è esaurita. Nel Manifesto Marx esalta l’industria capitalista come un fattore di civilizzazione, di superamento del “cretinismo” della società contadina. Il marxismo si propone di distruggere la forma capitalistica della civiltà industriale, ma ne vuole salvare i contenuti progressivi “deviati” dall’asservimento al profitto. Nemmeno i “nuovi movimenti” nati negli ultimi decenni del Novecento, malgrado i loro attestati di simpatia nei confronti delle comunità precapitalistiche, hanno prodotto una critica seria e approfondita del paradigma progressista. Per dirla in breve: né la teoria marxista né quella post marxista hanno elaborato una credibile alternativa alla civiltà capitalista.

3. Il marxismo difetta d’una vera teoria politica. Solo rinunciando al dogma secondo cui la liberazione sarà l’esito finale dello scatenamento illimitato delle forze produttive ci si potrà assumere la responsabilità politica collettiva nell’allestimento di un mondo nuovo, ancorché precario e non del tutto “liberato”. Il marxismo deve riprendere confidenza con la dimensione “regolativa”, sia dal punto di vista analitico sia dal punto di vista normativo. Le errate profezie sulla fine spontanea del capitalismo provocata dalla caduta del saggio di profitto, sono frutto di una visione economicista che disconosce la creatività politico-regolativa con cui il capitalismo si è storicamente attrezzato. Lo si può sfidare solo se ci si pone all’altezza della sua creatività regolativa, altrimenti si continuerà a pensare ed agire su un piano differente - quello della “realtà” economica - che è pura astrazione, dove il concreto della regolazione non s’incontra mai.

4. La scienza e la tecnologia in quanto tali (a prescindere cioè dal loro ruolo nella determinazione dei rapporti di forza fra le classi) non sono fattori progressivi. Al contrario Marx, ancorché consapevole che il capitale ne sfrutta la potenza per rendere schiavi i lavoratori, nutriva profonda ammirazione nei confronti di tali fattori (il “general intellect”) e i marxismi hanno rafforzato tale atteggiamento, fino ad assumere il raggiungimento di un determinato livello di sviluppo delle forze produttive quale condizione imprescindibile del superamento del capitalismo. Restare fedeli a questo dogma (ampiamente smentito dalla storia, a partire dal fatto che tutte le rivoluzioni socialiste sono avvenute in paesi “arretrati”), appare oggi del tutto incomprensibile, ove si pensi che la rivoluzione digitale è oggi causa di un arretramento drammatico dei rapporti di forza delle classi subalterne.

5. Per il marxismo la rivoluzione è passaggio spontaneo dalla potenza all’atto, energia vitale che, dall’interno del mondo esistente, ne prefigura uno del tutto nuovo. Marx apprezzava Darwin perché descriveva il processo evolutivo delle specie viventi in termini di immanenza. L’inconsistenza di questa visione immanentista/evoluzionista applicata alla storia politica è certificata dal fallimento dei movimenti post operaisti, che ne hanno fatto un articolo di fede, rendendosi subalterni a una cultura liberista ben più attrezzata per agire su tale terreno, nella misura in cui esalta la potenza dei singoli, non come produttori e parte di un collettivo bensì come consumatori e fruitori di godimenti individuali. Serve al contrario rivendicare la centralità e l’autonomia del politico, di un pensiero che si apra alla contingenza e alla decisione, accettando il fatto che non esiste alcuna possibilità di previsione dei tempi e dei modi della transizione fra differenti epoche storiche, a causa dell’accidentalità e indecidibilità di un evento che si dà come rottura e non come processo.

6. L’internazionalismo proletario nel senso che Marx attribuiva al termine nel Manifesto (“il proletariato non ha patria”) è anacronistico. Non solo perché lo stesso Marx ha successivamente problematizzato il concetto, affermando che la questione nazionale resta affare della borghesia solo fintanto che non diviene parte della questione sociale (vedere le sue tesi su Irlanda, India e colonialismo inglese). E non solo perché Lenin considerava le lotte di liberazione nazionale dei popoli coloniali come una componente strategica della lotta anticapitalista. Ma soprattutto perché, nell’attuale fase storica, in cui la deregolamentazione dei flussi di capitali, merci e forza lavoro è l’arma strategica della guerra di classe dall’altro che il capitalismo globalizzato e finanziarizzato conduce contro il proletariato mondiale, la riconquista della sovranità nazionale è l’unica condizione che può consentire alle classi subalterne di riconquistare spazi democratici di contrattazione con l’avversario. Alla vecchia concezione dell’internazionalismo, oggi degradata a un cosmopolitismo borghese complice del liberismo, occorre contrapporre un internazionalismo concepito come solidarietà fra nazioni e popoli in lotta che si riconoscono reciprocamente pari dignità.

7. Il marxismo non si è mai compiutamente sbarazzato delle sue incrostazioni profetico religiose (le socialdemocrazie non lo hanno secolarizzato: si sono convertite alla religione liberista). Non a caso, la Chiesa ha riconosciuto fin da subito nel marxismo un concorrente che offriva all’umanità un annuncio di salvezza alternativo. Il proletariato è una figura messianica, cristologica, e il processo storico viene caricato di provvidenzialità escatologica. Il paradosso è che a fare del marxismo una sorta di religione non è una concezione trascendentalista del mondo e della storia, ma al contrario un immanentismo che si esprime tanto nella rappresentazione del Soggetto rivoluzionario quanto nella descrizione della transizione dal capitalismo al socialismo.

8. Il marxismo non ha mai sciolto il nodo se il soggetto rivoluzionario sia il prodotto “oggettivo” del sistema economico o se sia in qualche modo eccedente rispetto ad esso. In Marx sono presenti entrambe le alternative, mentre i marxismi hanno imboccato strade diverse. Per gli operaisti non esiste distinzione fra politica ed economia, la politica sta nella produzione e non nell’istituzione e questo vale anche quando la fabbrica non è più il terreno privilegiato della lotta di classe (i post operaisti affrontano questa mutazione “fabbrichizzando” il sociale). I leninisti dogmatici restano invece ancorati alla visione del partito come istituzione che insuffla dall’esterno la coscienza rivoluzionaria in un soggetto altrimenti destinato a restare pura virtualità, incapace di tradursi in atto. Entrambe queste soluzioni vanno superate prendendo atto che il capitale, ancorché pervasivo, non ingloba tutto: convive con forme sociali eterogenee e con soggettività antagoniste diverse dal proletariato. Non esiste il soggetto rivoluzionario, esiste la possibilità di costruire – in condizioni storiche concrete date di volta in volta – blocchi sociali in grado di svolgere tale ruolo (per questo Gramsci è oggi l’unico teorico marxista realmente attuale)

9. Il marxismo incorpora l’illimitatezza borghese. La religione della crescita. Ripristinare un senso del limite non è solo un’opzione etica per salvare la capacità di carico del pianeta. Il limite ha a che fare col valore: disconoscendolo, è il valore della ri-appropriazione (al netto delle critiche già sopra esposte) a venir meno.

La Seconda Parte del libro contiene due articoli, rispettivamente, di Carlo Formenti sul libro di Onofrio Romano, La libertà verticale. Come affrontare il declino di un modello sociale, e di Onofrio Romano sul libro di Carlo Formenti, Il socialismo è morto. Viva il socialismo (entrambi pubblicati da Meltemi). Questo incrocio di recensioni reciproche non nasce dall’esigenza di incensarci reciprocamente, né solo dal fatto che questa formula consente di rilanciare, approfondire ed ampliare alcune delle argomentazioni contenute nei dialoghi della Prima Parte, è anche un modo per dare espressione al peculiare rapporto di scambio e di collaborazione che intratteniamo ormai da diversi anni. Peculiare perché, a prescindere dai sentimenti di stima e di amicizia che da sempre nutriamo l’uno per l’altro, le nostre direzioni di ricerca sono sempre state, almeno all’apparenza, diverse: i nostri lavori sono caratterizzati da approcci disciplinari e linguaggi differenti, e dal confronto con autori e ambiti fenomenici altrettanto differenti. Ciononostante ci siamo sempre trovati d’accordo nell’interpretare le principali tendenze di sviluppo del mondo contemporaneo e nel valutare meriti e demeriti delle culture politiche che tentano di governarlo e/o di trasformarlo. Lasciamo al lettore il compito di comprendere i motivi di questo effetto di risonanza fra i nostri punti di vista.


Carlo Formenti, Onofrio Romano: Tagliare i rami secchi. Catalogo dei dogmi del marxismo da archiviare, ed. DeriveApprodi. 2019

Comments

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anonymous
Friday, 04 October 2019 12:54
Antropologia positiva in Marx? Il teorico dell'alienazione e dello svuotamento?
Ma non scherziamo, su dai.
I due autori stanno al marxismo come l'onanismo all'amore sessuale.
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Spartako
Friday, 04 October 2019 12:34
Fuffa filosofica e piccolo borghese. Mi chiedo se abbiano davvero letto qualcoda di Marx. Non dico il Capitale, ma almeno qualche scritto giovanile
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Eros Barone
Wednesday, 04 September 2019 21:01
Mah, i "rami secchi" da tagliare, i "cespugli", la critica del "perfettismo", la centralità della politica (quale, se non quella che è propria dello Stato imperialista italiano?), l'uso apologetico del pensiero gramsciano evirato del suo carattere marxista e leninista, cioè 'totalitario'...
Ma questa è la solita zozza, spacciata come elitropia per i Calandrini di turno, che il narcinismo dell'intellettuale piccolo-borghese più o meno frustrato e più o meno ribelle cerca di propinare al colto e all'inclita. Leggendo questi nove paragrafi del rinato lorianesimo in salsa populista, si ha infatti una duplice impressione: da un lato, ci si imbatte in un linguaggio e in citazioni di autori che appartengono alla tradizione marxista; dall’altro, ci si trova in presenza di quella forma di anamorfosi politica, culturale e ideologica che Antonio Scurati ha ampiamente documentato nel suo romanzo storico sulla formazione di Mussolini. Si arriva, cioè, alla trasposizione di un contesto teorico – quello che ha il suo fulcro nella dinamica della guerra interimperialista e nella scelta dicotomica, o rivoluzionaria o socialimperialista, di fronte a cui si è trovato e ancora si troverà il proletariato – in un quadro del tutto differente ed opposto segnato dalla rivalità interimperialista fra Stati-nazione e dalla scelta di rafforzare la posizione imperialista del proprio Stato-nazione. L’impressione inquietante è allora quella di un uso del materialismo storico quale arma che tende a disintegrare (non dall’esterno ma) ‘dall’interno’ la scientificità di tale materialismo e quale veicolo di un’ideologia incompatibile con esso e ad esso ripugnante. Quando nel 1911 Corradini asserisce che, come il socialismo ha cercato di organizzare la classe proletaria contro i suoi oppressori e concorrenti interni, così il nazionalismo vuole “essere per tutta la nazione ciò che il socialismo fu per il solo proletariato”, rivela con questo paragone che il ‘ricalco’ di posizioni originariamente socialiste è molto più forte nel nazionalismo italiano di quanto finora non sia stato notato. Così, a distanza di poco più di un secolo dalla conquista della Libia ad opera dell’imperialismo italiano, ancor oggi impegnato sullo stesso terreno, sia pure in un quadro di aspre rivalità interimperialiste, il fascismo e la fascistizzazione sono nuovamente possibilità reali ìnsite nella politica e nella strategia del capitale monopolistico: per citare la denominazione della casa editrice che ben si attaglia al contenuto del dialogo intrattenuto dai due autori, per l'appunto "derive e approdi".
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Mario Galati
Wednesday, 04 September 2019 09:49
Scusate la coda, ma mi sembra curioso che la tesi idealistica dell'autonomia del politico, legata, credo, a Laclau ed alla teorizzazione populistica della costruzione identitaria e volontaristica del "popolo" (nel quale l'elemento, il soggetto sotteso, non sono più le classi, ma gli scontenti di ogni risma), trovi un forte punto di contatto con la teoria della postmodernista Judith Butler sulla performativitá del linguaggio, ossia, con la autostruzione del soggetto depurata di ogni oggettività sociale. Non mi sembra sufficiente sostenere un generico anticapitalismo e socialismo degli scontenti per sottrarsi a questa deriva. Curioso, dicevo, come il Formenti critico del postmodernismo finisca nella sua orbita e, addirittura, attraverso l'uso (a mio avviso, distorto) di Gramsci.
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Mario Galati
Wednesday, 04 September 2019 09:24
La sbornia populista passerà. Siamo ancora nel marasma e nella confusione tipiche delle crisi di passaggio più acute, nelle quali si cercano e si trovano vecchi attrezzi teorici (nel caso di Formenti, idealistici ed essenzialisti, adialettici e persino reazionari, piccolo borghesi) e si rielaborano in un sistema presentato come originale. Mi sembra che Formenti, spirito critico serio della deriva liberal-postmodernista della cosiddetta "sinistra", abbia imboccato una china dalla quale non so se si risolleverá. Noto, en passant, una curiosa analogia con la parabola di Mario Tronti dall'immanentismo operaista all'autonomia del politico, nella quale, però, con grave e inaccettabile scelta teorica, vorrebbe includere l'elaborazione gramsciana sull'egemonia.
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michele castaldo
Wednesday, 04 September 2019 09:18
A leggere certi scritti di questo periodo di intellettuali che in qualche modo si riferiscono a Gramsci verrebbe da dire: povero Antonio! In che mani sei capitato! E siccome al peggio non c'è mai fine ecco una perla teorica che va al cuore della questione, ovvero al Capitale di Marx e pugnalarlo lì, nel cuore, per colpirlo mortalmente. In tanti ci hanno provato, sicché uno in più uno in meno poco fa.
Qual'è la questione - cioè il cuore - del Capitale di Marx? Il movimento finito del modo di produzione capitalistico. Altrimenti detto il capitalismo è un movimento storico del rapporto degli uomini con i mezzi di produzione storicamente determinato e impersonale. Come tutti i movimenti ha avuto un suo inizio, un suo poderoso sviluppo e avrà una sua fine.
Il vento non è un movimento infinito perché in natura niente è infinito. Perché dovrebbe essere infinito il movimento del modo di produzione capitalistico?
Tutte le argomentazioni contro il determinismo puntano a negare la transitorietà storica del capitalismo. Perché?
Il povero Gramsci infervorato dalla rivoluzione russa del 1917 arrivò addirittura a definire quell'evento «una rivoluzione contro il Capitale di Marx». Si sbagliava, ovviamente, ma della sua posizione andava apprezzata l'esaltazione dell'azione violenta e diretta delle masse operaie e contadine che si rivoltavano contro l'Occidente, che aveva le mani sullo sfruttamento della mano d'opera a basso costo in quell'immenso paese, e contro lo zarismo che garantiva contemporaneamente sia lo sfruttamento degli industriali europei che il potere delle classi aristocratiche nei confronti nei mugichi. Onore ad Antonio Gramsci anche quando seppe costituire insieme a pochi altri comunisti il Pcd'I intuendo l'isolamento e l'accerchiamento dell'Urss.
Il paradosso qual'è: mentre Marx è idealista con il Manifesto e materialista nel Capitale, Gramsci si richiamava all'idealismo tedesco e lo dice espressamente proprio quando afferma che «la rivoluzione bolscevica è una rivoluzione contro il capitale di Marx».
Marx nel Manifesto è idealista perché presuppone che una classe, il proletariato, possa abbattere la classe al potere, la borghesia, e instaurare il suo potere politico. Un errore teorico che più tardi riconoscerà coi Grundrisse prima e il Capitale poi.
In Formenti e Romano va apprezzata la schiettezza di dire - era ora - pane al pane vino al vino, proprio sul "cuore" dell'opera di Marx, cioè sul Capitale; e lo fanno senza ipocrisia, senza arzigogolare.
Non è mio mestiere fare dietrologia, mi piacerebbe chiedere però agli autori di questo scritto il perché di questo affondo proprio contro la vera opera scientifica di Marx? Un'opera che possiamo tranquillamente inquadrare nella scia di Epicuro, di Lucrezio o di Giordano Bruno, giusto per avvicinarci cronologicamente.
Non si tratta di contrastare punto per punto da cima a fondo le 9 tesi qui riportate, quanto di capire - ripeto - perché? Dove vogliono andare a parare?
Per onestà va riconosciuto che alcune critiche ai "marxisti" e al "marxismo" sul soggettivismo sono giuste; ma il paradosso del paradossi consiste nel fatto che i due autori sostituiscono al soggettivismo marxiano della «classe messianica» il soggettivismo teorico e conseguentemente politico dell'infinito modo di produzione da correggere lì, nei suoi gangli aberranti: il produttivismo e la sua continua valorizzazione.
Quello che certe correnti intellettuali non riescono a capire è che l'uomo è stato capace di sviluppare rapporti sociali che lo hanno schiavizzato. Questi rapporti sono complementari e si tengono finché tutto si tiene fino al punto in cui niente si tiene, ovvero fino all'implosione di tutta la giostra capitalistica. Dalle sue ceneri l'araba fenice costruirà nuovi rapporti.
Chi oggi si appella alla volontà soggettiva perché sarebbe infinito il modo di produzione capitalistico si iscrive alla scuola dei difensori del sistema secondo il principio: questo passa il convento. Contro la volontà non ci sono argomenti convincenti.
Volete correggere il capitalismo? Buona fortuna!
Michele Castaldo
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Franco Trondoli
Tuesday, 03 September 2019 23:28
Percepisco che nella nostra societa' ci sono dei problemi di comprensione culturale enormi. Capire come funziona l'individuo, il singolare rispetto all'universale, credo sia tutto da scoprire e capire sia al livello dell'alta "intellettualita" che a quello delle persone comuni singole. Sopratutto capire che cosa e chi e' un individuo ,o forse ,cosa sono i processi di individuazione. Per me non si può più fare riferimento a Marx, al Marxismo, ai Marxisti come sfere onnicomprensive di sapere dato ,certo ed immutabile . E' stato prodotto, viene prodotto molto di piu'. Tutto si modifica e si muove. Siamo agli albori, in un certo senso ,di una controcultura. Se il genere umano saprà salvarsi dall'estinzione. Non e' detto che ci riesca. E' solo una possibilità. I problemi non sono i rami secchi dell'albero. Il problema e' l'albero. Quello che chiamiamo mondo, non funziona in verticale. Funziona in orizzontale, e si chiama rizoma. Ma e' solo una suggestione di un dilettante incolto. Scusate.
Cordiali Saluti
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