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Comunisti: lo spettro della frammentazione continua e l’esigenza dell’unità

di Fosco Giannini*

merthyr tydfil red flag graffiti.jpgDi fronte allo scenario della polverizzazione del movimento comunista in Italia, ridotto a “isole” che non riescono, per mancanza di forze o per disabitudine a relazionarsi al di fuori della propria bolla, a uscire dalla loro “comfort zone”, l’impegno per l’unità è cruciale, e può trovare fondamenta solo nella presenza concreta nei luoghi di conflitto sociale e in una ritrovata compattezza culturale, politica e ideologica, nutrita da una ricerca teorica aperta e antidogmatica. Solo così si possono gettare le basi per la costruzione del tanto mancante partito comunista in Italia.

Uno spettro s’aggira tra il movimento comunista italiano: lo spettro della frammentazione compulsiva, della moltiplicazione parossistica. Sembra che non passi giorno senza che un’impercettibile parte comunista si stacchi da un’altra piccola parte e si organizzi come fronte, associazione, gruppo, sito comunista on-line. Il movimento comunista italiano, in preda a una crisi profonda e che può contare tra i sei e i settemila iscritti complessivi dei tre partiti più conosciuti (Prc, Pc, Pci), sembra poi “soffriggere” nella sua continua riapparizione, seppur molecolare, nelle città e nei paesi e, di questo passo, persino nei condomini. Persino il dissanguamento prolungato, e in corso ormai da tempo, di militanti e dirigenti che ha segnato di sé, estenuandolo, il Pc (di Rizzo, si dice) non ha trovato una strada univoca per “uscire” e riorganizzarsi, ma, a sua volta, si è ripresentato e si va ripresentando in tante forme diverse e autonome l’una dall’altra, in tanti, diversi e, uno dall’altro “indipendenti”, territori. In un quadro complessivo di feudalizzazione totale del movimento comunista italiano.

Questo fenomeno – tutto e solo italiano – dell’infinita riproduzione di infinitesimali signorie podestarili comuniste su ogni territorio, senza, peraltro, aver legami col territorio, è ormai, per la sua innegabile evidenza, da prendere, appunto come “fenomeno”, in considerazione. È ormai degno di un’analisi approfondita che, dunque, non può certo esaurirsi in un editoriale, in questo articolo. Qui può essere, eventualmente, solo avviata.

Intanto: quali potrebbero essere (usiamo il condizionale proprio perché il terreno di ricerca è inesplorato e in questa sede avanziamo solo delle prime, rozze, ipotesi) le basi materiali di questo incessante movimento di dissoluzione e riapparizione comunista, seppur in quelle forme larvali che quasi mai, poi, giungono alla fase della muta per divenire forme mature, organizzazioni comuniste serie, adulte?

Crediamo che una prima base materiale, un primo abbozzo di risposta possa essere individuato nella lunga involuzione politica e ideologica del Pci storico, che nella sua “misteriosa”, e anche precoce, trasmutazione da partito comunista, di classe e rivoluzionario, è riapparso nelle forme, prima di spegnersi nell’attuale Pd liberista, di un partito socialdemocratico di sinistra e subito dopo “radical”. Attraverso un’ultradecennale muta, finita col suicidio politico, che senza alcun dubbio ha generato nel movimento comunista italiano scompiglio, confusione ideologica, perdita dell’orientamento e conseguentemente pulsione a ritrovarlo attraverso molteplici riorientamenti con una forte inclinazione, dunque, alla divisione, alla perdita del senso della disciplina, del senso di appartenenza, della spinta, rivoluzionaria, a essere “umilmente” parte di un “centro di gravità permanente” (il partito, nel senso più alto di quell’“unicum” comunista che, solo, può terrorizzare la borghesia).

La scomparsa improvvisa del Pci come punto di riferimento politico, culturale e soprattutto, con ogni probabilità, morale è stato, per il movimento comunista italiano, come la morte di un Cristo per un cristianesimo senza Paolo di Tarso: venuta meno la guida morale e unitaria, il Pci, e senza un cervello politico unificante, San Paolo, il movimento comunista italiano ha iniziato a frammentarsi in cento schegge, come in un mosaico impazzito.

Il Partito della Rifondazione Comunista, mantenuto nella sua forma volutamente eclettica, e dunque volatile, da un Bertinotti che empiricamente sperimentava l’arte del “divide et impera” anche attraverso la legittimazione delle frazioni interne, ha ancor più accentuato la spinta alla polverizzazione del movimento comunista italiano, ratificando, per così dire, la “liceità” politica alla continua segmentazione e riproduzione di “moti” comunisti filosoficamente attratti dalla concezione della “minimalia”, attraverso la quale l’esigenza di un partito comunista “pesante” e di massa veniva rimossa e persino delegittimata teoricamente. Il caso, davvero eclatante, dei 500mila compagni e compagne passati all’interno del Prc, già nei suoi primi anni di vita, per poi rapidamente uscirne, o verso l’abbandono della militanza o altre forme organizzative, la dice davvero lunga sulla malattia del “nomadismo” che ha colpito il movimento comunista italiano.

Le successive esperienze comuniste organizzate, dopo Rifondazione Comunista, non hanno certo sprigionato una forza politica, culturale e morale tale da produrre una spinta alla riaggregazione e alla riunificazione del popolo comunista italiano. Anzi, tra involuzioni tanto “istituzionaliste” da accettare, per rimanere al governo (al governo D’Alema) anche la guerra contro la Jugoslavia; tra recentissime degenerazioni ideologiche e morali tanto perverse e profonde da “legittimare” l’unità politica ed elettorale tra comunisti e “forze” che fanno esplicitamente riferimento a estremisti di destra come Steve Bannon sul piano internazionale e fascisti veri e propri; tra lo scomparire nel nulla politico di altre organizzazioni comuniste, la tendenza, già fortemente presente all’interno del movimento comunista a dividersi e moltiplicarsi, si è ulteriormente accentuata. Come dire: la mancanza di un catalizzatore comunista centrale ha prodotto, in Italia, un minuscolo universo in espansione, moltiplicando le piccole “stelle” e allontanandole tra loro. E anche se la moltiplicazione dei piccolissimi e disabitati pianeti comunisti può forse essere positivamente interpreta come una strenua vitalità e resistenza alla crisi comunista generale italiana, rimane il fatto che tale dissipazione sia una delle cause della grande difficoltà della ricostruzione unitaria del movimento comunista nel nostro paese.

Seconda questione: il Pci storico aveva tenuto unito il popolo comunista anche attraverso un sistema di pensiero potente forgiatosi lungo l’asse Lenin-Gramsci-Togliatti. Lo sgretolarsi di questo sistema di pensiero (con tutti i capisaldi politico-teorici entrati in fibrillazione e poi guastatisi sino allo svuotamento di senso e alla rimozione della concezione dell’imperialismo, del pensiero leninista e gramsciano, della concezione della rivoluzione in occidente, della forma-partito comunista, del connubio dialettico tra partito di quadri e partito di massa), è stato un ulteriore, e potente, motivo di divisione del movimento comunista italiano e persino di riorganizzazione di sue schegge attraverso nuovi “capisaldi” ideologici dalla natura spesso politicamente e teoricamente debole e a volte persino colpevolmente stravagante (basti pensare alla concezione alla Toni Negri e alla Micheal Hardt sull’ “Impero” e sulle “Moltitudini”, concezione di cui Bertinotti e i suoi apostoli si erano invaghiti, gettando tutto il Prc in una “centrifuga” ideologica e scompaginando ancor più l’intero popolo comunista italiano). L’immenso vuoto lasciato dal (lungo) sgretolamento del sistema di pensiero unificante del Pci storico non è stato mai colmato; il progetto evocato dallo stesso nome di Rifondazione Comunista è fallito sotto i colpi della fragile e, alla fine della fiera, solamente “liquidazionista”, in relazione all’intera storia del movimento comunista italiano e internazionale, “improvvisazione” bertinottiana, cosicché, nel caos magmatico successivo alla scomparsa – nel bene e nel male – dell’“eliocentrismo” del Pci storico, i tentativi di rilancio e attualizzazione del pensiero rivoluzionario sono stati portati avanti, in Italia, solo attraverso studi e lavori individuali, prodotti da intellettuali marxisti ridotti nella solitudine delle loro accademie dalla mancanza dell’intellettuale collettivo e dunque impossibilitati a riprodurre un fulcro ideologico centrale atto alla ricomposizione comunista.

Terza questione: l’imponente attacco ideologico portato avanti dalla cultura borghese dominante alla concezione tout-court del partito (non solo a quella del partito comunista, sebbene su questa si sia concentro l’attacco) e al suo senso del collettivo (attacco “contemporaneo” che si ricongiunge storicamente all’attacco alla concezione del partito che aristocrazia e neoborghesia sferrarono ai nascenti partiti operai durante la rivoluzione industriale inglese e dopo la rivoluzione francese) si è congiunto a quel processo di costruzione dell’individualismo e del narcisismo di massa, tipico delle odierne società capitaliste della mercificazione totale, producendo sia una disaffezione di massa al senso del collettivo che una particolare predisposizione all’attività politica individuale o di piccoli gruppi. Da qui l’attrazione fatale di molti verso la costruzione della propria, anche piccola, sperduta, spesso inessenziale ai fini della lotta di classe e al fine della ricostruzione del partito comunista nazionale, “isola” politica comunista e l’innamoramento verso la propria “comfort zone”, una zona confortevole che, rifiutando il lavoro per l’unità dei comunisti, permette sia la costruzione, su di un piccolo campo, di leader e leaderismi vari, che il mantenimento dell’autonomia incontaminata e autoreferenziale della stessa “isola” comunista.

Quarta questione: è indubbio che la Rete, Facebook, Instagram, Twitter e altro ancora abbiano creato una sorta di “illusione di massa” attraverso la quale anche ognuna delle “isole comuniste” può credere, con voluta e autoconsolatoria falsa coscienza, di esistere davvero e avere rapporti di massa, e ciò attraverso una delle “leggi”, anche ideologiche, centrali della Rete: rendere mitologica l’idea di “ricongiunzione” generale che essa promette, rimuovendo la verità del distanziamento spazio-temporale che la Rete stessa determina.

A chi scrive è capitato più volte di sentire esponenti di queste “isole comuniste”, formatesi in una città o in un paese, asserire di avere con sé “centinaia di compagni”, quando in verità queste “centinaia di compagni” altro non erano che provvisori e transeunti “like” di approvazione di un articolo o di un’idea. Ma il problema è che, nella fase della costruzione, da parte della cultura borghese, dell’individualismo e del narcisismo di massa, la conquista di alcune centinaia di “like” può benissimo sostituire e rimuovere la questione della costruzione dell’unità dei comunisti, della costruzione del partito comunista, del suo reale radicamento nei territori e dello stesso legame col movimento operaio complessivo.

Peraltro, oggi, è proprio l’assenza di un forte partito comunista capace di essere catalizzatore della diaspora comunista la causa della permanenza delle “mille isole comuniste” così lontane una dall’altra da determinare la stessa inessenzialità comunista. Un po’ come l’assenza di una monarchia centrale, nell’Italia delle mille Signorie del 1300 e 1400, era la causa dell’impossibilità della costruzione dell’unità nazionale.

In questo contesto comunista italiano così dissipatore e centrifugo, il Movimento per la Rinascita Comunista, costituitosi, dopo un processo unitario durato circa cinque anni, lo scorso 11 novembre 2023 a Roma presso la Sala “Intifada”, ha ratificato l’unità dei comunisti della Sicilia, della Sardegna, della Calabria, di Napoli, delle Marche, di Roma, Milano, Torino, Genova, del Trentino, del Veneto, del Friuli Venezia Giulia e diversi altri territori, in un processo unitario lungi dall’essere esaustivo e concluso, ma che sicuramente è stato di totale controtendenza rispetto alla dissipazione comunista, alla moltiplicazione, per molti versi assurda, delle “isole comuniste”.

Solo uniti, attraverso un’unità che nulla abbia a che vedere con l’eclettismo dittatoriale bertinottiano e col suo Circo Barnum, ma che si fondi sia su una forte affinità culturale, politica e ideologica che su una ricerca teorica aperta e antidogmatica, possiamo invertire la nefasta marcia verso la polverizzazione comunista e gettare le basi per la costruzione del tanto mancante partito comunista in Italia.

Peraltro, è la situazione concreta a dettarci una piattaforma potenzialmente unitaria: la mobilitazione contro le guerre imperialiste e il possente riarmo italiano; la lotta contro il dominio assoluto della Nato e per uscire dalla Nato; l’impegno militante contro le politiche ultraliberiste dell’Ue e per uscire dall’Ue e dall’Euro; le lotte per il salario, contro la precarizzazione selvaggia del lavoro, per il ripristino della “scala mobile” e dell’articolo 18; la mobilitazione contro l’assassinio padronale di massa nelle fabbriche e nei cantieri e per instaurare delle vere e severe leggi per prevenire le morti e gli infortuni nel mondo del lavoro; la lotta per impedire la privatizzazione del Servizio sanitario nazionale rilanciandone la natura universale e pubblica; l’impegno contro il premierato e l’autonomia differenziata, i due progetti del governo Meloni volti, nel primo caso, a costruire un regime attraverso il quale con ancor più facilità si potranno estendere in tutta Italia, contro gli studenti e i lavoratori, le manganellate di Pisa e Firenze e, nel secondo caso – vecchio obiettivo della Lega – si potrà dividere l’Italia “ricca” del nord dalla “zavorra” del Meridione.

Su questa piattaforma “naturale” sarebbe più facile unirci, sarebbe più facile superare la diaspora comunista, invertendo il cammino della frammentazione e accumulando forze.

Non possiamo provarci?

È chiaro: questo vuole essere anche un sincero e accorato appello unitario sia alle “vecchie” che alle nuove “isole comuniste” che anche in quest’ultima fase vanno, come una coazione a ripetere, costituendosi come tali nel nostro Paese.

Uniamoci, invece, studiamo, lavoriamo e lottiamo assieme per la costruzione del partito comunista in Italia!


* Coordinatore nazionale MpRC

Comments

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renato
Sunday, 10 March 2024 11:23
Tra le varie cause elencate produttrici di diaspore e frammentazione ne manca una: la polverizzazione e precarizzazione del lavoro , della forza lavoro, del contenuto del lavoro , della sua forma e sostanza. Ratificata da leggi e contratti e da sindacati conniventi o assenti.
La sua automazione in rete , confusa oramai con il consumo e l'auto svolgimento di compiti e programmi che danno l'illusione della libertà e sganciamento da organizzazioni verticali e autoritarie fordiste e tayloriste precedenti. il proletariato si è diffuso in tutto i territori con o senza partita iva, con o senza mani callose.
La composizione tecnica di classe si è variegata e imbruttita , fluidificata , singolarizzata .
La composizione di classe , la sua coscienza e la consapevolezza di superarla o di disfarsene sono processi che senza l'intervento di comunisti co partecipanti alla ricerca di percorsi alternativi al lavoro salariato e quindi della riproduzione di capitale , non portano e non porteranno a battaglie tattiche e strategiche per uscire dal mondo delle merci , dal feticismo del capitale e quindi dall'uscita dal lavoro salariato.
Per costruire il comunismo o il comunitarismo o qualcosa di lontano dalla società borghese , dal suo stato e dall'economia dissipatrice di vita e risorse del pianeta, e sua probabile scomparsa, occorre partire dall'idea del superamento del lavoro salariato.
Senza questa consapevoleza si ripeteranno gli errori del 900 , non solo in urss ,ma in tutto l'occidente iper capitalista.
Non è detto poi che i modelli latino americani o la stessa cina , debbano essere considerati delle esperienze irripetibili e distanti,per ragionare su quale alternativa si debba iniziare a sperimentare.
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Ros*Lux
Sunday, 10 March 2024 11:05
Giannini si è fatto sfuggire il tema più unificante : la giornata lavorativa legale , eppure è stato parlamentare del PRC...
Se si sforzasse almeno adesso un poco ,potrebbe arrivare finalmente a prendere coscienza,che da 20 anni in Italia la giornata lavorativa legale è di 13 ore ed oltre ex art. 7 Dlgs 66/2003...
In Grecia dal 2023.
È quindi tornata attuale la rivendicazione della giornata lavorativa legale di 8 ore...
La data dell' 8 marzo fu scelta da Rosa Luxemburg per superare la censura e l' oblio, con il simbolismo dei numeri
3 e 8 sono appunto 3 volte 8 :
8 ore di lavoro,8 di riposo,8 ore per se e per la lotta di classe per il socialismo.
Ma neanche questo simbolismo riesce a fare breccia nella falsa coscienza classista .
Mentre il grande fratello Google con il Doodle diffonde il falso storico neofemmminista dell'origine dell'8 marzo nella commemorazione delle operaie uccise da un incendio appiccato dal maschio padrone.
Mentre in realtà fu la Conferenza Internazionale delle Donne Socialiste del 1910 a Copenaghen a indicare tale data per lo sciopero generale internazionale per giornata lavorativa legale di 8 ore.
Detto questo...va sottolineato che ...
Non a caso si tratta dello stesso Giannini che ha scritto di una strage dei femminicidi , quando nel nostro paese sono sotto la media europea, mentre non ha scritto nulla di significativo sulla strage dei lavoratori,in piccola parte anche lavoratrici,morti sul lavoro,con un incidenza sopra la media europea e piu che doppia rispetto alla Germania ,nel medio periodo pregresso.
Un'ulteriore conferma del fatto che il neofemminismo è classismo rosa arcobaleno...lotta di classe al contrario... strumento dell'Imperiarcato ,della guerra imminente.

Rosa Luxemburg fu imprigionata per anni durante la prima guerra mondiale,oggi forse non sarebbe imprigionata perché è l'intero movimento femminista ad essere prigioniero dell'ideologia neofemmminista orwelliana.
Tutto questo spiega come anche questo 8 Marzo tra le rivendicazioni dello sciopero prevalgono i temi propagandistici dei femminicidi e del gender pay gap , che rimuovono quelli che dovrebbero essere i veri temi rivendicativi: il rischio dell'allargamento della guerra fino a coinvolgerci, il pay gap dei lavoratori della gig economy pagati a cottimo,la giornata lavorativa legale di 8 ore.
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