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manifesto

 Il Giano bifronte del secolo breve

Enzo Traverso 

Un'esperienza che ha sempre oscillato tra un desiderio di modernizzazione e la riproposizione delle antiche forme di tirannia dello zarismo Un percorso di lettura sulla svolta impressa dall'Ottobre sovietico alla storia novecentesca a partire dal volume di Marcello Flores «1917. La Rivoluzione» per Einaudi

lenin3Nel 1927, a dieci anni dalla nascita del potere sovietico, Ejzenstejn realizzava Ottobre, un film che celebrava la rivoluzione russa e ne inscriveva il mito nell'immaginario collettivo del XX secolo. La presa del potere da parte dei bolscevichi si trasformava così in insurrezione di popolo, sotto la guida del partito di Lenin. Per lungo tempo, la rivoluzione sarà pensata al contempo come epopea e come strategia militare. Da Lenin a gran parte della «nuova sinistra» degli anni Settanta, questo paradigma rimarrà immutato. Sul versante storiografico, il film di Ejzenstejn troverà un equivalente in un classico come la Storia della rivoluzione russa di Trockij, corrispettivo novecentesco delle storie della Rivoluzione francese di Michelet e Carlyle, arricchito dalla sensibilità del testimone, dall'acume concettuale del teorico e dall'esperienza del capo militare.

Il mito dell'Ottobre rosso non è sopravvissuto al crollo del socialismo reale. Era anzi già sbiadito da tempo. Vi è tuttavia un'altra lettura della rivoluzione russa, una sorta di contro-mito nato negli stessi anni e parallelo all'agiografia sovietica, che sembra invece aver tratto nuovo vigore dalla svolta del 1989. Si tratta di una lettura ideologica del comunismo come fenomeno totalitario che attraversa la storia del Novecento, edificato nel 1917 da una banda di fanatici e perpetuato in un'orgia di violenza fino a Gorbaciov. Questo è il succo, senza caricature, dei libri di sovietologi americani come Richard Pipes o Martin Malia, di uno storico come Ernst Nolte, per il quale i crimini nazisti furono una brutta copia di quelli bolscevichi, o di un anticomunista enragé come Stéphane Courtois, ossessionato dall'idea di provare che le vittime del comunismo furono più numerose di quelle del nazismo.

 

Sotto le macerie dell'illusione

Con stile più sofisticato e blasé, François Furet aveva dato il suo contributo all'interpretazione del comunismo come fenomeno di natura essenzialmente ideologica, frutto di una malsana «passione» antiliberale che riuscì ad accecare gli intellettuali del XX secolo. Sulla scia di Tocqueville, egli inseriva l'Ottobre russo in un ciclo storico più vasto avviato dalla Rivoluzione francese e interpretava la svolta del 1989 come il trionfo definitivo della democrazia liberale sulle macerie dell'«illusione» rivoluzionaria.

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comedonchisciotte

Ciliga nel paese della grande menzogna

di Paolo Sensini

Libertaria - Il piacere dell'utopia

lenin2«L’enigma della rivoluzione russa, che l’umanità, che il movimento operaio internazionale debbono risolvere, è il seguente: come si è riusciti ad abolire di fatto tutto ciò che costituisce la Rivoluzione d’Ottobre, pur conservando le forme esteriori, a risuscitare lo sfruttamento degli operai e dei contadini senza ristabilire i capitalisti privati e i proprietari fondiari, a iniziare una rivoluzione diretta a sopprimere lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo e terminarla istituendo un nuovo tipo di sfruttamento?». Sono queste le domande a cui Nel paese della grande menzogna1 riesce probabilmente a fornire la più completa e approfondita spiegazione che sia mai stata tentata, insieme a un ridottissimo numero di altri lavori, sulla realtà della Russia «comunista». Al punto che, considerato il suo valore testimoniale, potremmo azzardarci a definire tale scritto come una sorta di Odissea dei tempi moderni. Una narrazione avventurosa in cui Ante Ciliga è stato capace di decifrare, con una prosa allo stesso tempo densa e suggestiva, tutte le sfaccettature di quello che senza alcun dubbio rappresenta uno dei più complessi «enigmi» presentatisi alla ribalta della storia in questo scorcio di fine millennio.

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criticamarx

Il processo decostituente

Luigi Ferrajoli

La legge di revisione costituzionale recentemente approvata rappresenta la demolizione non solo dellaCostituzione repubblicana del 1948, ma del paradigma stesso della democrazia costituzionale. Decostituzionalizzazione della democrazia e costituzionalizzazione del berlusconismo. La battaglia in difesa della costituzione.

         Ogni carta costituzionale può essere considerata come la carta d’identità dell’ordinamento da essa costi­tuito e disegnato. Ciò vale per la Costituzione italiana del 1948, come per tutte le altre co­stituzioni, le quali sono di solito, se degne del loro nome, patti di con­vivenza generati dall’accordo di tutte le forze politiche rappresen­tative delle società cui sono desti­nate. La legge di revisione costitu­zionale recente­mente approvata dalla maggioranza berlusconiana è invece la carta d’identità della destra, che riflette la concezione e soprattutto la pratica della demo­crazia che è propria di questa de­stra e che questa destra pretende di imporre come nuova carta d’identità della Repubblica.

Questa legge, d’altro canto, non si limita a stravolgere la carta costituzionale del 1948. Essa persegue la trasformazione in costitu­zione formale di mutamenti già in larga parte intervenuti in questi ul­timi anni nella costituzione ma­teriale della Repubblica. Riflette, in breve, una deformazione della demo­crazia già di fatto avvenuta. È quasi certo che essa sarà spaz­zata via dal referendum. E tutta­via essa esprime e formalizza una concezione anti-parlamentare ed extra-costituzionale della demo­crazia larga­mente penetrata nel ceto politico e nel senso comune, anche di sinistra, e già tradottasi in un’alterazione di fatto del no­stro assetto costituzionale.

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carmilla

Sotto il pavé

di Tito Pulsinelli

il 68Anche il nostro corrispondente dal Venezuela, Tito Pulsinelli - che di '68 se ne intende - interviene nella discussione sul libro di Alessandro Bertante Contro il '68, iniziata su Lipperatura e proseguita su Carmilla, su Georgiamada e in vari altri siti.] (V.E.)

E’ immaginabile che si possa scrivere un pamphlet intitolato “Contro il 2001”? Semplicemente no, perchè è senza densità, privo dei significati e delle evocazioni simboliche che il '68 ha emanato. E, nonostante le smisurate fatiche negazioniste, continua ancor oggi a essere un punto di snodo. Non è ancora una moneta o una medaglia per le bancarelle dei rigattieri.
Rimane pur sempre un momento unico di rottura generalizzata, forse “il” momento, magico per la sua simultaneità trans-geografica, scaturita dal grembo di una sola generazione, forse nemmeno intera…

Questo è il suo limite assoluto, che l’ha trattenuto sul terreno epidermirmico della politica, condannandolo al vuoto della rappresentazione. Nessun cambiamento profondo e multivalente è possibile senza che prendan vita i sogni dell’arcobaleno, di tutto l’arco in un baleno: dei nonni, dei padri e dei bimbi.