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marxismoggi

La riscrittura dei fatti e la realtà della storia

A proposito della mozione votata a Bruxelles

di Alexander Höbel

La Battaglia di Berlino min1. La mozione “sull’importanza della memoria” (un titolo davvero beffardo!) approvata dal Parlamento europeo coi voti di gran parte dell’emiciclo (compresi quasi tutti i rappresentanti del Pd, tra cui quel Giuliano Pisapia che come "criminali" comunisti contribuimmo a eleggere alla Camera nelle liste del Prc) costituisce un documento di estrema gravità, il cui significato non può essere sottovalutato.

Di fatto, nell’anniversario dello scoppio della Seconda guerra mondiale, nella quale la barbarie nazifascista fu battuta anche e soprattutto grazie al contributo decisivo dell’Unione Sovietica, coi suoi circa 25 milioni di caduti e pagine epiche come la resistenza dei leningradesi a 900 giorni di assedio o la vittoria di Stalingrado, si anticipa la data di inizio del conflitto, che viene fissata al patto Molotov-Ribbentrop anziché all'aggressione tedesca contro la Polonia, il 1° settembre 1939 (solo dopo 16 giorni, l’Urss penetrò a sua volta in territorio polacco, evidentemente a scopo difensivo, ossia in reazione all’attacco hitleriano, che imponeva – può essere duro dirlo, ma è la concreta realtà storica – di non lasciare che le truppe tedesche dilagassero in tutta la Polonia giungendo ai confini dell’Urss, il che peraltro aveva costituito uno dei motivi del patto Molotov-Ribbentrop). Questa modifica della data di inizio del conflitto costituisce ovviamente un atto del tutto arbitrario, una vera e propria riscrittura della realtà di stampo orwelliano.

Ma se proprio dovessimo anticipare l’inizio della guerra a prima dell’avvio delle operazioni militari, allora perché non fissarne l'inizio alla Conferenza di Monaco del 1938 dove Gran Bretagna e Francia lasciarono mano libera a Hitler? O magari farla coincidere con l'Anschluss tedesco dell'Austria? O con l’annessione hitleriana dei Sudeti?

Sarebbe penoso per i deputati euro-atlantisti dover ricordare che per diversi anni le gloriose democrazie liberali respinsero le proposte sovietiche di sicurezza collettiva (la politica del ministro degli Esteri Maksim Litvinov)[1], preferendo piuttosto l’appeasement con Hitler e Mussolini, nella segreta speranza che l’aggressività nazista si rivolgesse, come Hitler stesso aveva scritto nel Mein Kampf, contro l’Unione Sovietica e i “barbari popoli slavi”, da sottoporre a un regime semi-schiavistico i cui precedenti erano proprio nelle politiche coloniali di quelle stesse democrazie. Certo, sarebbe sconveniente ricordare queste cose, o magari le atomiche lanciate sul Giappone dagli Usa di Truman a guerra ormai finita, sostanzialmente solo per dare un chiaro e macabro segnale all’Unione Sovietica.

Il vergognoso documento, peraltro, non si ferma qui. Nelle considerazioni iniziali, afferma che, “sebbene i crimini del regime nazista siano stati giudicati e puniti attraverso i processi di Norimberga, vi è ancora un'urgente necessità di sensibilizzare, effettuare valutazioni morali e condurre indagini giudiziarie in relazione ai crimini dello stalinismo e di altre dittature”, e ricorda con evidente apprezzamento “che in alcuni Stati membri la legge vieta le ideologie comuniste e naziste”. Insomma, invece di contestare le gravissime misure approvate da parlamenti di Stati autoritari dell’Europa orientale (si veda il divieto di esporre simboli comunisti sancito nel 2009 nella Polonia di Kaczynski), che sull’anticomunismo e la russofobia stanno cercando di costruire loro identità iper-nazionaliste (in questi casi, a quanto pare, il “sovranismo” nazionalista piace!), il Parlamento europeo le prende a modello, approvando evidentemente la messa fuori legge di organizzazioni comuniste, già sperimentata nella Repubblica Ceca, o il divieto di presentare le liste comuniste alle elezioni, già verificatosi in Ucraina pochi mesi fa (http://www.sinistraineuropa.it/europa/ucraina-vietato-ai-comunisti-candidarsi-alle-elezioni-presidenziali/). E si giunge ad auspicare una nuova “Norimberga” che dovrebbe processare non si capisce bene chi: il cadavere di quel Ceaușescu fucilato dopo un processo-farsa? O magari quello di Erich Honecker[2], la cui autodifesa costituisce un documento da leggere e su cui riflettere?

Se si scorre il testo della risoluzione, la gravità dell’operazione risalta in modo evidente. Grave l'art. 14, che assieme alla Ue (e come se fossero la stessa cosa) esalta la Nato, ente notoriamente pacifico che ha portato la democrazia ovunque nel mondo. Assurdo l'art. 15, che rappresenta una specie di paternale a Putin e fa capire l'intento anche anti-russo dell'operazione. Grave ancora l'art. 17, che con evidente compiacimento "ricorda che alcuni paesi europei hanno vietato l'uso di simboli sia nazisti che comunisti", come se fossero la stessa cosa: che dovremmo aspettarci allora, il divieto della falce e martello anche in Italia? La messa al bando del simbolo del Pci?

In generale, il senso di questo squallido documento è l'equiparazione tra “comunismo” (alternato nel testo a “stalinismo”, quindi con una totale identificazione dei due termini, cosa su cui il 99% degli storici avrebbe molto da eccepire) e nazismo. Evidentemente, si vuole combattere ancora una volta una guerra preventiva non solo contro il passato (che non può certo esser riscritto da queste buffonate), ma anche contro la ripresa dell’idea di un’alternativa di sistema, che coloro i quali stanno spingendo il Pianeta alla catastrofe temono (e cercano di presentare) come il diavolo. Al tempo stesso, si “liscia il pelo” ai governi più reazionari dell’Europa orientale, probabilmente al fine di ammorbidirne le posizioni critiche verso la stessa Ue, che a quanto pare si attrezza a diventare più simile a loro, quanto meno nella lettura della storia e nei “valori condivisi”.

 

2. C’è poi un altro aspetto della risoluzione, che pure è molto grave e contrasta con le acquisizioni più recenti di gran parte della storiografia: ossia il considerare il comunismo novecentesco come un Moloch totalitario, schiacciandolo completamente sul concetto di “stalinismo” e identificandolo con esso: un procedimento su cui già Togliatti aveva riflettuto criticamente, a partire dalla celebre Intervista a Nuovi Argomenti. Nel 1964, all’apice della sua riflessione critica, il leader del Pci ribadì che a un dato momento nella vita dell’Urss si era prodotta “non soltanto una deformazione – una degenerazione, abbiamo detto noi – del potere, ma l’assenza di una qualsiasi forma di potere e di controllo democratico”. E tuttavia – aggiungeva – dalle denunce dei guasti prodotti occorreva risalire agli “errori politici” che ne furono alla base e alle “cause di questi errori”, per capire meglio e “non consentire ai nostri avversari di buttare nell’informe calderone del cosiddetto ‘stalinismo’ tutti i momenti positivi della storia del primo Stato proletario”[3].

Il Segretario del Pci, dunque, sottoponeva a una critica severa aspetti rilevanti della direzione staliniana, ma ovviamente rifiutava i giudizi liquidatori dell’intera esperienza sovietica, collocando la stessa politica di Stalin nel quadro dello scontro mortale che si svolse nel mondo in quegli anni, nel quale l’Urss e il movimento comunista internazionale svolsero un ruolo fondamentale nella lotta contro i fascismi, dalla guerra di Spagna alla Resistenza.

Proprio a partire dai drammi di cui era stato testimone in Unione Sovietica[4], peraltro, oltre che dall’esperienza spagnola e dalla svolta dei fronti popolari, e naturalmente sulla base dell’elaborazione di Gramsci, Togliatti impresse al Pci – a partire dalla “politica di Salerno” del 1944 – una impostazione nuova, che legava strettamente democrazia e socialismo, delineando quella “via italiana” fondata su “riforme di struttura” e “democrazia progressiva”[5] che sfociò in primo luogo nella lotta per l’Assemblea costituente e nel contributo decisivo fornito dai comunisti alla stesura della Costituzione repubblicana[6], quindi nelle lotte per la difesa e l’ampliamento della democrazia, e che nel 1956 venne organicamente definita[7]. Tale linea sarà poi portata avanti dai suoi successori, da Luigi Longo a Enrico Berlinguer, che proprio sul tema della democrazia come via del socialismo, inscindibile da esso, concentrò la sua elaborazione[8]. Vi è dunque un grande patrimonio di elaborazione e di prassi politica (che peraltro non riguarda solo l’Italia: si pensi all’esperimento di Allende in Cile, che vide alleati socialisti e comunisti e fu stroncato nel sangue dal golpe made in Usa), che non si può cancellare con una mozione e che al contrario ha ancora tanto da offrire di fronte alla crisi sistemica di un capitalismo globale sempre più distruttivo.

Il caso del Pci e della via italiana al socialismo è inoltre l’esempio più clamoroso di quanto sia scorretto e storicamente sbagliato presentare il comunismo novecentesco come un fenomeno a una sola dimensione, quella appunto “totalitaria”. È, quest’ultima, una concezione da Libro nero del comunismo, non a caso il volume maggiormente sponsorizzato e diffuso da quel Berlusconi che un tempo era il nemico giurato di tanti che hanno votato la mozione del Parlamento europeo. La storiografia più avvertita perla ormai da tempo del comunismo come fenomeno complesso ed eterogeneo, se non addirittura di “comunismi” al plurale[9]: una interpretazione che rende giustizia alla realtà storica e che appare lontana anni luce da un documento come quello votato a Bruxelles, che rappresenta un testo sbagliato e strumentale, da respingere al mittente e contro il quale sensibilizzare tutta l’opinione pubblica democratica e antifascista. Questo vale soprattutto nel nostro paese, in cui l’attacco alla storia dei comunisti rischia di essere funzionale a nuove offensive contro la Costituzione repubblicana, mentre proprio la Carta costituzionale continua a rappresentare una formidabile leva per la trasformazione e il progresso sociale.


Note
[1] Cfr. M.J. Carley, 1939, l'alleanza che non si fece e l'origine della Seconda guerra mondiale, Napoli, La Città del Sole, 2009. Sulla politica di Litvinov, cfr. S. Pons, Stalin e a guerra inevitabile, Torino, Einaudi, 1995.
[2] E. Honecker, Autodifesa, Napoli, Laboratorio politico.
[3] P. Togliatti, Per l’unità del movimento operaio e comunista internazionale, rapporto alla sessione di CC e CCC del PCI del 21-23 aprile 1964, in Il Partito comunista italiano e il movimento operaio internazionale 1956-1968, a cura di R. Bonchio, P. Bufalini, L. Gruppi, A. Natta, Roma, Editori Riuniti, 1968, p. 214.
[4] Si veda il dialogo col dirigente comunista tedesco Ernst Fischer riportato in A. Agosti, Palmiro Togliatti, Torino, Utet, 1996, p. 219.
[5] P. Togliatti, La via italiana al socialismo, Roma, Editori Riuniti, 1964; D. Sassoon, Togliatti e il partito di massa. Il Pci dal 1944 al 1964, Roma, Castelvecchi, 2014 (nuova ed. di Togliatti e la via italiana al socialismo, Torino, Einaudi, 1980); A. Höbel, a cura di, Togliatti e la democrazia italiana, Roma, Editori Riuniti, 2017.
[6] P. Ciofi, G. Ferrara, G. Santomassimo, Togliatti il rivoluzionario costituente, Roma, Editori Riuniti, 2014.
[7] Cfr. P. Togliatti, Il 1956 e la via italiana al socialismo, a cura di A. Höbel, Roma, Editori Riuniti, 2016.
[8] Cfr. E. Berlinguer, Un’altra idea del mondo. Antologia 1969-1984, a cura di P. Ciofi e G. Liguori, Roma, Editori Riuniti, 2014.
[9] M. Dreyfus et al., dirs., Le Siècle des communismes, Paris, Éditions de l’Atelier, 2000 (trad. it. Il secolo dei comunismi, Milano, Marco Tropea, 2000).

Comments

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Mario Galati
Sunday, 13 October 2019 17:24
Non so da dove è saltata fuori l'espressione: " se Hanna Arendt negava o sinistra che Tocqueville fosse liberale... ecc.". Io avevo scritto: "negava o dubitava". Scherzi del t9.
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Mario Galati
Sunday, 13 October 2019 17:12
A Fabio dico: se Hanna Arendt negava o sinistra che Tocqueville fosse liberale e applicava lo stesso criterio di giudizio a se stessa, mi permetto di negare affidabilità al suo giudizio.
Per MD mando un mio commento ad articolo di Eros Barone: "Immigrazione, gingoismo ed esercito industriale di riserva", pubblicato su questo sito.
Faccio questo perché ci vuole tempo e fatica per ribadire con una certa ricorrenza a chi non segue assiduamente questo sito opinioni già espresse.
Lo stesso accade per tutti gli altri argomenti storici e teorici presentati nei commenti precedenti.
"Hegel è un pensatore totalitario ("La verità è l'intero"). La realtà non è la semplice sommatoria di elementi, ma un complesso unitario, organico e coerente, in cui gli "elementi" sono in relazione tra loro e col tutto. La realtà come complesso di relazioni instabili è il nucleo della dialettica, per quello che ho capito.
La visione "pluralista" liberale che considera la società come una sommatoria di "individui" che entrano successivamente e volontariamente, contrattualmente, in relazione tra loro, non è che l'espressione della concezione "non totalitaria" dei liberali: le cose, gli individui, esistono in loro stesse come essenze preformate e poi, eventualmente, entrano in relazione tra loro, formando aggregati frutto di sommatoria. Il valore ideologico, illusorio e
vero nel contempo, di questa forma di legame sociale della società "atomisticamente disgregata", ce l'ha insegnato Marx. Il concetto marxista di individuo come complesso di relazioni sociali è estraneo al liberalismo.
Il concetto di totalità sociale è proprio di eminenti marxisti (Labriola, Gramsci, Lukàcs, ...).
Gramsci sostiene che ogni società tende a organizzarsi in modo totalitario intorno al suo principio informatore.
Quanto ciò sia vero lo constatiamo nella società capitalistica, che si organizza plasmando tutte le sfere della vita intorno al principio della merce e del suo "libero" scambio. Tutto ciò è ora anche teorizzato espressamente dalla dottrina ordoliberista. La nostra società "libera, aperta, non totalitaria, degli individui", manipolazione dell'informazione e propaganda a parte, è totalitaria sino al midollo. Il decantato suo "pluralismo" è proprio una manifestazione del suo totalitarismo fanatico.
Anche la futura società comunista si organizza necessariamente in modo totalitario intorno al suo principio informatore: non il libero scambio di merci ma la libera, e organizzata, associazione dei produttori coscienti, la sola che, superata la divisione in classi e la rigida divisione del lavoro classista, può formare individui onnilaterali, non
disgregati e monchi.
A una determinata totalitá sociale se ne sostituisce un'altra.
Secondo Gramsci, la classe rivoluzionaria deve essere portatrice di una autonoma e "integrale" concezione del mondo, il materialismo storico, che è concezione "autosufficiente" (proprio così: integrale e autosufficiente. I liberali pluralisti si scandalizzino pure per il totalitarismo, l'integralismo e il dogmatismo di Gramsci).
Il partito ha il compito di elevare la classe a questa concezione "integrale" e "autosufficiente", unitaria e coerente. Ciò soltanto esprime l'autonomia della classe rivoluzionaria e la emancipa dalla soggezione ideologica alle concezioni eclettiche, disgregate, incoerenti, pluraliste, che le classi subalterne formano e assorbono sotto l'influenza ideologica
delle classi dominanti (le quali, a modo loro, hanno una concezione unitaria e coerente funzionale all'assetto di dominio). AGGIUNGO: "il partito politico: la prima cellula in cui si riassumono dei germi di volontà collettiva che tendono a divenire universali e totali" (Gramsci, Note sul Machiavelli. Invito a leggere le note sul Machiavelli in cui Gramsci tocca pure la questione dei partiti sedicenti totalitari, il partito fascista, e analizza la categoria del totalitarismo in questa sua accezione corrente e banale per quella che è dal punto di vista di un marxista. Invito a leggere Gramsci, che è di altra levatura e spessore rispetto a tanti autori citati).
Cosa ha a che fare tutto ciò con il concetto liberale, banal-liberale, di "totalitarismo" della "libertaria" (anarco-liberale? Cosa significa "libertaria"?) Hannah Arendt? È un concetto riduttivo e mistificante che si limita ad evidenziare l'irregimentazione di massa e l'intensa attività propagandistica in tutti i settori della vita sociale, con richiesta di dedizione individuale al regime, propria delle "dittature" del '900. Essa pretende di accomunare ignobilmente e
falsamente nazifascismo, tipica creatura della società e dell'ideologia liberale, e comunismo (prima solo nella versione "stalinista", poi il comunismo tout court), che ne è l'antitesi. In questa accezione solo politica, il concetto si cominciò ad usarlo negli anni '20, come dice Ermes, con riferimento ai "regimi reazionari di massa", i regimi fascisti (lo si trova anche in Togliatti).
Dopo la seconda guerra mondiale il termine viene mistificato, insieme alla storia e alla verità, nella categoria arendtiana come potente arma ideologica dell'ignobile propaganda anticomunista, per equiparare il comunismo al nazifascismo.
I liberali si sono appropriati di questa parola per la loro becera campagna anticomunista.
Svuotare una parola dell'avversario del suo senso e piegarla, mistificandola, al proprio fa parte della lotta di classe, sul piano ideologico. L'operazione si è dimostrata efficace, se è vero che tanti compagni, ignari o dimentichi del precedente significato, usano quella categoria nel senso voluto dagli avversari, assumendone l'ideologia veicolata.
L'altra forma della lotta ideologica sulla parola "totalitarismo" è di associarla all'organicismo e all'olismo. Per chi non fosse sufficientemente informato, comunico che per i liberali sono totalitari-organicisti-olisti Hegel, Rousseau, Marx.
Nessuno escluso.
La cosa curiosa è che, a mio parere, nulla è più organicista e olista, anti individuale, della dottrina liberale, la quale afferma il bene collettivo essere il risultato non cercato e non voluto delle utilitaristiche azioni individuali. Gli individui come strumenti inconsapevoli e ciechi del mercato. Questa sarebbe libertà.
In conclusione, se Hegel, Rousseau, Marx, Labriola, Gramsci, Lukàcs, erano "totalitari", può la becera e ignobile propaganda ideologica anticomunista e liberale privarmi della parola e del pensiero che essa contiene?".
Aggiungo, a mo' di risposta sul quesito perché antistalinista equivarrebbe ad anticomunista, ponendo un altro quesito: se il comunismo è il movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti e il movimento comunista, dei lavoratori, novecentesco è stato largamente caratterizzato da Stalin, con tutti i successi, gli errori e i crimini, quale altro significato può avere essere antistalinisti oggi (particolarmente dopo l'esperienza storica dell'ultimo trentennio)?
O il comunismo è l'esperienza teorico dottrinale di Marcuse e dei marxisti (?) "occidentali"?
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Fabio
Sunday, 13 October 2019 02:46
“Non credo proprio di essere una liberale. Non direi che Tocqueville sia liberale, nemmeno Kant, nemmeno Aristotele. Mi servo dove posso; prendo ciò di cui ho bisogno da ognuno”.
( Hannah Arendt rispondendo a Roger Errera, che voleva lodarla riferendosi a lei come una liberale progressista )
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MD
Saturday, 12 October 2019 21:35
2 domande a Galati
a)quali sono le "insulsaggini", gli errori, gli argomenti sbagliati, di Hannah Arendt nella sua tesi del totalitarismo staliniano.?
b) perché antistalinista equivale a anticomunista ?
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Mario Galati
Saturday, 12 October 2019 17:58
Ulteriore P.S.: ritengo doveroso citare tra gli storici ignorati la valente e coraggiosa Annie Lacroix-Ritz, orgogliosamente ebrea e comunista.
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Mario Galati
Saturday, 12 October 2019 17:39
È proprio la categoria di "totalitarismo stalinista" l'insulsaggine teorica arendtiana. Ed esso è alla base di tutta la propaganda anticomunista della guerra fredda e odierna. È davvero sorprendente come, dopo lo sviluppo storico dell'ultimo trentennio, ancora si sia talmente ciechi da non rendersene conto.
Quella categoria, se uscisse dalla metafisica, potrebbe al massimo avere il valore di uno schema sociologico astratto, che nulla avrebbe a che vedere, non solo col marxismo, ma neppure con un serio pensiero filosofico o politico. Sociologia astratta, come le analisi su "violenze esterne e violenze interne" che connoterebbero, differenziandoli, hitlerismo e stalinismo. Differenze che in un basico ed elementare linguaggio, e modo di ragionare, marxista andrebbero ricondotte alla presenza della tendenza imperialista colonialistica del capitalismo, nella versione ultra aggressiva fascista; elemento assente in uno stato socialista. Non mi sembra un'analisi la semplice constatazione che il nazismo condusse aggressioni imperialistiche e l'URSS no, dileguandola in una categoria generalissima e astratta, "violenza esterna e violenza interna", che ottiene il risultato di nasconderne la natura storico-sociale e di classe.
Mi sembra che Hannah Arendt abbia poco a che fare con Marx, nonostante i "bellissimi scritti" dedicatigli. Mentre invece ha molto a che fare col liberalismo.
P.S. Di tutti gli anticomunisti citati, nessuno era comunista e la maggior parte nemmeno marxista. Non sarebbe facile concludere che l'antistalinismo fosse concreto anticomunismo surrettizio?
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Anna
Saturday, 12 October 2019 16:58
Per chi fosse interessato , H.Arendt nel ’53 dedica a Marx due bellissimi testi ( ora in Hannah Arendt, “Marx e la tradizione del pensiero politico occidentale” ) dove, tra le altre cose, smonta proprio le accuse semplicistiche degli anticomunisti rivolte a Marx ; smonta cioè ogni riconduzione del totalitarismo “stalinista” al pensiero di Marx .
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Anna
Saturday, 12 October 2019 16:57
Quoting Anna:
Hannah Arendt non era “anti-comunista”. Era anti-stalinista. Come Simone Weil, Horkheimer, Marcuse, Simone de Beauvoir, Sartre, Merleau-Ponty, Foucault, Derrida e centinaia di altri filosofi e storici.

Per chi fosse interessato , H.Arendt nel ’53 dedica a Marx due bellissimi testi ( ora in Hannah Arendt, “Marx e la tradizione del pensiero politico occidenta le” ) dove, tra le altre cose, smonta proprio le accuse semplicistiche degli anticomunisti rivolte a Marx ; smonta cioè ogni riconduzione del totalitarismo “stalinista” al pensiero di Marx .
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Anna
Saturday, 12 October 2019 16:22
Hannah Arendt non era “anti-comunista”. Era anti-stalinista. Come Simone Weil, Horkheimer, Marcuse, Simone de Beauvoir, Sartre, Merleau-Ponty, Foucault, Derrida e centinaia di altri filosofi e storici.
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Anna
Saturday, 12 October 2019 12:25
Va bene Franco Bianco, però faccio fatica a seguirti .
In realtà H.Arendt , ne Le Origini del T. , rispetto Stalin ( al quale riserva relativamente poco spazio nell’ultima parte ) , si dedica molto di più alla critica del liberalismo nazionale inglese e francese. Lo fa per spiegare Auschwitz, per spiegare appunto dove originano antisemitismo, razzismo, nazionalismo, imperialismo coloniale, i lager ( invenzione inglese ) , la burocrazia, i massacri amministrativi, la trasformazione delle classi in masse, l’annichilimento dell’autonomia di pensiero, la riduzione dell’uomo a ingranaggio etc.etc.etc.
Insomma se vuoi citare H.Arendt per criticare Stalin, in realtà stai criticando a maggior ragione la Modernità Occidentale ( un po' sulla scorta di Horkheimer e Adorno, con Dialettica dell’Illuminismo, oppure di Marcuse, con L’uomo a una dimensione, o anche di Bauman, con Modernità e Olocausto, etc. )
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Mario Galati
Saturday, 12 October 2019 10:47
Ida Dominiianni, L'altra Europa per Tzipras, Barbara Spinelli, Clhlevnjuk, Salamov, Katyn, il "governo polacco in esilio" (!), persino, e il coronamento: Hanna Harendt e il suo "totalitarismo"; la teoria più insulsa e stupida, ma anche efficace, che la propaganda anticomunista ha potuto elaborare. Mancano Conquest (anzi, c'è; la formula infondata "grande terrore" l'ha inventata proprio lui e tutti i "compagni" si accodano come scemi) e Orwell e siamo a posto.
Le citazioni giustificano e legittimano le citazioni, esattamente come avviene con i lavori di Conquest e i suoi notevoli apparati di note (per lo più, appunto, citazioni letterarie, "si dice", ecc.). E' ciò che ho inteso per spazzatura storica.
Raccontini sfacciati che si legittimano reciprocamente e creano un'imponente massa di carta (straccia), dinanzi alla cui imponenza il lettore deve accostarsi con timore reverenziale e con fiducia.
Di Grover Furr, di Davies, Tauger, A. Getty, Losurdo, Strong, ecc. non si ha neppure il sentore (e non ho citato solo storici o scrittori comunisti, ma anche anticomunisti, soltanto con un minimo di onestà e di serietà storica). D'altronde, l'apparato culturale egemonico, accademico, editoriale, comunicativo, mediatico è in mano ai capitalisti.
Per gestire questa massa di immondizia che è stata prodotta in più di settanta anni di lotta anticomunista occorre una discarica molto capiente. Ma non è bene cercare di decongestionarla riversandone una parte su Sinistra in Rete.
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Paolo Selmi
Saturday, 12 October 2019 10:43
Cari compagni,
i commenti a volte sono "fiumi carsici", che spuntano fuori quando meno te lo aspetti, quando il lavoro è ormai quasi nascosto nel pre-oblio dei "titoli e basta" in coda alla pagina... Con Hoebel, come su Giacché, prendersela è inutile, perché è come prendersela con un bambolotto. Pubblicano, tu commenti, critichi anche, richiedi un contraddittorio per chiarire alcuni punti e loro, belle statuine, dal loro piedistallo non scendono. Io mi limito a sottolineare un punto che non è emerso finora e che, anche nei fatti, è determinante: l'impreparazione totale dell'esercito sovietico, dell'Armata Rossa, e la conseguente funzione difensiva del trattato Molotov-Ribbentrop; impreparazione emersa lungo i primi due anni del conflitto, quando Russia europea, Bielorussia e Ucraina furono completamente occupate. Mio nonno, 3° bersaglieri, era arrivato fino alle sponde del Don, i tedeschi erano arrivati fino alle porte di Mosca e a Stalingrado. Chi parla di pretattica, non sa neppure di cosa stiamo parlando. La pretattica avrebbe implicato il pre-trasferimento delle popolazioni civili, di tutte le popolazioni civili, non quattro anni di assedio di Leningrado, milioni di persone alla fame e al freddo (a parte gli sfollati, anche solo il semplice spostamento d'aria provocato da una bomba, che rompe i vetri dei palazzi e fa stare a meno venti costanti chi ci abita), città messe a ferro e a fuoco, totale scoordinamento della linea difensiva durante la prima fase di sfondamento, e l'elenco potrebbe continuare. Se consideriamo questo singolo dato e il patto di non aggressione, in una situazione dove in Europa l'ostilità era totale (qualcuno ha mosso un dito quando l'URSS è stata invasa? Ha forse organizzato ponti aerei su Leningrado, mentre i suoi abitanti crepavano d'inedia in una città che si salvò solo grazie a un lago ghiacciato e camion che giravano di notte a fari spenti sopra i lastroni e una gavetta sul retrovisore con dentro tre bulloni avvitati che facevano un casino mostruoso per tenere gli autisti svegli? Ma forse quei civili era "giusto", dal punto di vista di chi oggi riscrive la storia, che crepassero... insieme agli altri oltre venti milioni di morti che nessuno ricorda).

Chiudo questa parentesi. Ora, possiamo andare avanti all'infinito a beccarci sul ruolo di Stalin. Il problema è che, per tutti, ma proprio tutti mannaggia alla miseria, tranne i cittadini ex-sovietici che è giusto non invitare in questi gentili consessi, l'URSS inizia e finisce con Stalin. i quarant'anni dopo boh, non è successo nulla. Chruscev per gli stalinisti è un traditore, per gli Occidentali non ha fatto abbastanza ed è stato affossato da Breznev e dalla sua "stagnazione"... meno male che il lavoro sporco lo ha fatto poi Gorby. E la Russia di oggi (2019) non ha ancora raggiunto i livelli economici della Russia sovietica del 1987: ma quella di allora era "economia del diavolo", si vede, tipo Mordor con gli orchi sotto terra... con tutti i libri, riviste, anche specialistiche, oggi disponibili in rete, testimonianze, manuali universitari, libri specialistici a tiratura limitata, c'è tantissimo ormai per fare ricerca, cose che negli anni Ottanta ci sognavamo o dovevamo andare alla Gosudarstvennaja Biblioteka di S. Pietroburgo per un anno sabbatico intero! E invece niente...

Non so, davvero, il disegno borghese di spegnere le ultime fiamme di alternativa al modo capitalistico di produzione attuale è abbastanza evidente, e logico, coerente con la propria impostazione totalitaria (a proposito di totalitarismi, il capitalismo non ammette la "coesistenza pacifica" di modi diversi di produzione sul globo a parte il suo... vogliamo parlarne quando parliamo di "globalizzazione"?). E noi, ogni volta che ci accapigliamo per queste cose invece di guardare avanti, di come diamine costruire un modo di produzione alternativo al capitalistico, a proprietà interamente sociale dei mezzi di produzione regolati da un piano e non dall'anarchia capitalistica, di modo da dare a tutti secondo bisogno e da chiedere a tutti secondo capacità, senza strafare, qui e ora, partendo da dove - CI PIACCIA O NO - ci si è fermati nell'unica esperienza storica che ha provato a fare questo e che, mi dispiace, ma anche i miei lavori dimostrano che in Occidente è stata oggetto con studi datati nella migliore delle ipotesi a trent'anni fa, di uno studio approssimativo e superficiale (giustificato dalla scarsità di materiali, di dati, di tutto, mettiamoci tutto, ma questa è la realtà), diamo corda a loro.

Il mio, cari compagni, è un appello. Guardiamo avanti. Davvero, di materiale ce n'è tanto, di lezioni da trarre, nel bene e nel male, tantissime. Ma cominciamo a leggerlo, studiarlo, analizzarlo, trarne conclusioni utili per l'oggi, per le proprie lotte, per la propria idea di futuro.

Un fraterno saluto a tutti e un grosso in bocca al lupo per le vostre, quotidiane, lotte!

Paolo Selmi
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Franco Bianco
Saturday, 12 October 2019 09:46
L'INIZIO DELLA GUERRA MONDIALE

E' sorprendente che l'autore di questo articolo scriva, come obiezione a chi sostiene (non mi pare a torto) che lo "scelleratissimo patto Molotov-Ribbentropp" (definizione Ida Dominijanni) segnò l'inizio della guerra mondiale, che "Questa modifica della data di inizio del conflitto costituisce ovviamente un atto del tutto arbitrario, una vera e propria riscrittura della realtà di stampo orwelliano. Ma se proprio dovessimo anticipare l’inizio della guerra a prima dell’avvio delle operazioni militari, allora perché non fissarne l'inizio alla Conferenza di Monaco del 1938 dove Gran Bretagna e Francia lasciarono mano libera a Hitler? O magari farla coincidere con l'Anschluss tedesco dell'Austria? O con l’annessione hitleriana dei Sudeti?". Questo autore non si rende conto, sorprendentemente (è uno storico), di peggiorare, non di difendere, la posizione di Stalin e dell'URSS: perché, se così fosse, il "patto" sarebbe stato stipulato quando GIA' Hitler aveva dato inizio, nella sostanza, alla guerra che poi sarebbe diventata mondiale. Ed a vergogna si aggiunge vergogna: il 28 Settembre, meno di un mese dopo l'invasione della Polonia, al "patto" siglato il 23 Agosto si aggiunse un "trattato di amicizia": veramente per questo non esistono scusanti di sorta.

Invece Francia e Inghilterra, che non avevano ancora subito alcun danno diretto da Hitler, il 3 Settembre, due giorni dopo - solo due giorni - l'aggressione nazista alla Polonia, avevano dichiarato GUERRA alla Germania: quello sì, fu un atto encomiabile, perché compiuto a difesa della democrazia e della libertà dei popoli. Stalin, fino a quando non fu aggredito da Hitler (giugno 1941) gli lasciò fare quello che voleva. Come definire questo? Silvio Pons ha dato la definizione: "politica di potenza". Che è cosa diversa e lontana dalla volontà di difesa dei diritti e contro le prevaricazioni.

Concludo con questo i miei interventi su questo articolo.
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Franco Bianco
Friday, 11 October 2019 18:10
@ Anna: "Certo, il massacro di Katyn’ e altre “violenze esterne”. Senza dubbio. Ma, senza ovviamente giustificarle......". Vabbè, ma non è che se ne possa uscire così facilmente, non mi pare che sia una cosa sulla quale si possa fare un'osservazione "di sfuggita". Credo (spero) che siamo d'accordo su questo. Ma se lo siamo, bisogna poi procedere e trarne le conseguenze.
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Franco Bianco
Friday, 11 October 2019 18:03
ERRATA CORRIGE: "NEI campi del regime staliniano........"
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Franco Bianco
Friday, 11 October 2019 18:00
Concordo pienamente con le - del tutto logiche - osservazioni di Nap. Detto questo, ed a complemento: giova ricordare, sul piano storico, dei precedenti originati specificamente da un testo del 1951, che analizza la teoria politica del totalitarismo; esso è divenuto celebre ed è stato poi seguito da commenti, in varie forme (articoli, saggi, testi anche voluminosi), di studiosi e politici di varia estrazione. Il testo al quale faccio riferimento è "Le origini del totalitarismo", della filosofa di origine tedesca, poi naturalizzata americana (nel 1941 si era trasferita a New York e nel 1951 ottenne la cittadinanza americana), Hannah Arendt (1906-1975). E' estremamente significativo quanto la stessa Autrice ha scritto a conclusione della Prefazione: «Stalin, al pari di Hitler, morì nel mezzo di una terrificante opera incompiuta». Per fortuna, che quell'opera non poté essere portata a termine, da nessuno dei due!

Simona Forti (nata nel 1958) insegna Storia del pensiero politico contemporaneo presso l’Università del Piemonte Orientale ed è conosciuta in Italia e all’estero per i suoi studi di vasta portata sul pensiero di Hannah Arendt e l’idea filosofica del totalitarismo, argomenti sui quali ha prodotto saggi ed articoli di alto livello. In un suo breve saggio intitolato Le prospettive aperte da Hannah Arendt" (riportato da "Enciclopedia delle scienze sociali", 1998) la studiosa definisce, proprio partendo dal testo di Arendt, «il nazismo e lo stalinismo - i casi storici di totalitarismo compiuto» ("compiuto" equivale a "realizzato", vero?), ed osserva che «Cuore del funzionamento totalitario è il campo di sterminio, interpretato dalla Arendt come il 'laboratorio' in cui si vuole sperimentare l'assunto secondo cui 'tutto è possibile'. Il lager, insomma, sarebbe l'epitome del totalitarismo, la sua verità ultima, poiché è il luogo in cui si mette in opera la modificazione della realtà umana».

Neii campi del regime staliniano - che non erano programmaticamente "di sterminio" come quelli nazisti, e non è una differenza da poco; erano piuttosto "di concentramento", ma anche in essi venivano compiuti crimini atroci - sono stati scritti vari ed agghiaccianti testi (uno per tutti, quello che ho citato di Salamov su Kolyma).

Nei molti contrasti che ho incontrato in merito al totalitarismo staliniano-sovietico (detto da Arendt), nessuno - dico nessuno - si è esposto a dire che Hannah Arendt, in quel suo testo universalmente citato ed apprezzato, abbia detto delle sciocchezze (per non usare parole "forti"): eppure è questo, praticamente, che viene detto contro chi sostiene tesi che trovano conforto, ed anzi sono state precedute, da quel testo famoso. Sono le "convergenze impossibili da ignorare” che ha giustamente richiamato l'intervento di Nap.
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Anna
Friday, 11 October 2019 17:59
@Franco Bianco
Certo, il massacro di Katyn’ e altre “violenze esterne”. Senza dubbio. Ma, senza ovviamente giustificarle, entrando nel contesto della Seconda Guerra Mondiale ( di certo non iniziata da Stalin ; anzi la politica dell’appeasement che favorì Hitler era dettata in chiave anti sovietica.. ) sarei uscita dall’economia del mio discorso, cioè il confronto ideologico tra stalinismo e nazionalsocialismo : quella stalinista era una violenza ideologicamente rivolta, essenzialmente, all’interno della società sovietica. Poi, il discorso Kolyma era già implicito nella mia citazione di Sonia Combe.

@Nap
Sono grosso modo d’accordo. Ho voluto sottolineare le “differenze”, perché ho l’impressione che siano meno evidenziate rispetto alle convergenze.
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Nap
Friday, 11 October 2019 16:49
Cara Anna
le tue osservazioni sono ineccepibili . Ti faccio solo due note. La prima , quando scrivi : “La violenza sovietica era essenzialmente interna alla società.. Le vittime dello stalinismo erano quasi tutti cittadini sovietici”. Mi sembra che qui tu abbia forzato un po'. La seconda è che , se pure tutte le tue osservazioni sulle “differenze impossibili da ignorare” siano pienamente condivisibili, bisogna anche dire che tra stalinismo e nazismo ci sono anche delle convergenze “impossibili da ignorare” : quali il nazionalismo, il partito unico e l’obbedienza incondizionata al suo leader, il rifiuto delle libertà politiche, la repressione contro i nemici politici, la censura, la soppressione dello stato di diritto. Per dirne solo alcune. Cosa c’entri questo con Marx rimane un mistero ( ma su questo mi sembra di capire che siamo d’accordo ).
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Franco Bianco
Friday, 11 October 2019 16:20
Barbara Spinelli – ben nota alla sinistra “radicale”, che si raccolse intorno a lei nelle elezioni europee del 2014, formando il soggetto politico che fu denominato “L’altra Europa con Tsipras” (Spinelli ne fu una delle figure di maggior riferimento) – esprime in molti luoghi del suo libro “Il sonno della memoria. L’Europa dei totalitarismi” (Mondadori 2001) critiche durissime al «privilegio di cui si è avvalso il totalitarismo comunista: privilegio dell’indulgenza, se non dell’oblio» (pag. 9). Ed ancora: «La memoria che resta all’erta sul fascismo e si addormenta sul comunismo ha finito con l’intorbidare ogni esercizio mnemonico e autocritico………» (pag, 13).
Fra le molte altre cose, Spinelli ricorda «….quel che accadde nella foresta di Katyn, presso Smolensk, nell’aprile ’40: il massacro su ordine di Beria e Stalin dell’élite militare della Polonia (4500 ufficiali, prigionieri dal ’39 in tre campi russi, freddati con un colpo di pistola alla nuca e senza processo, cui vanno aggiunti altri 10.500 militari fucilati a Piatikatki e Tver). Massacro contrabbandato per decenni come crimine nazista – nonostante le prove che il governo polacco in esilio aveva messo a disposizione delle democrazie fin dal 1943 – e le cui responsabilità sono state ammesse dai sovietici solo in era gorbacioviana, nell’aprile del ’90. Il complice silenzio degli occidentali su Katyn (Winston Churchill era convinto che gli assassini fossero i sovietici, ma tacque) è il fondamento immorale su cui si basò la spartizione dell’Europa negoziata a Jalta» (pag. 154).

Non mi pare - non pare né a me né a Barbara Spinelli - che allo stalinismo si possa rimproverare soltanto una "violenza essenzialmente interna alla società", né che fosse soltanto "una violenza legata ad un progetto di trasformazione coercitiva e autoritaria della società". Ho citato due storici, uno russo ed uno italiano (molti altri potrei chiamare a sostegno di quanto ricordo); ho ora citato Barbara Spinelli; ho citato Varlan Salamov e le sue agghiaccianti testimonianze su quanto avvenuta a Kolyma; cito ancora Svetlana Aleksievic, premio Nobel 2015, autrice di "Tempo di seconda mano". Ma tant'é: chi (del tutto legittimamente, è naturale) contesta quanto sostengo si guarda bene dal rispondere nel merito. Viene rimprova torto o a ragione, un presunto "anti-comunismo": e se pure fosse? L'anti-comunismo non è né una colpa né una tara genetica: è una posizione politica. Per contrastarlo occorre produrre argomentazioni politiche, senza dimenticare la storia; non riesco a comprendere l'accusa di ossimoro a "comunismo realizzato": non è di questo che si parla?.
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Anna
Friday, 11 October 2019 15:04
Chiaramente l’espressione “comunismo realizzato” è ossimorica e farsesca e il cosiddetto stalinismo è stato solo una delle innumerevoli correnti teoriche con le quali si sono espressi coloro che hanno voluto teorizzare in nome di Marx e del Comunismo .
Detto questo, e aggiungendo che non sono certo una simpatizzante dello stalinismo, considero veramente superficiale ( e forse anche ingenerosa ) una sua equiparazione tout court al nazionalsocialismo . Perché ci sono differenze impossibili da ignorare . Innanzitutto l’ideologia : lo stalinismo rivendicava l’eredità dei Lumi ; il nazionalsocialismo aveva creato una sintesi ibrida di tecnologia e mitologia anti-illuminista . Poi il loro contenuto sociale : nato da una rivoluzione , il primo dichiarava di volere una società senza classi , mentre il nazismo puntò l’indice contro capri espiatori . Anche le loro violenze erano profondamente diverse ( benché estreme entrambe ) . La violenza sovietica era essenzialmente interna alla società , che cercava di sottomettere , normalizzare , disciplinare ma anche trasformare e modernizzare con metodi autoritari , coercitivi e criminali . Le vittime dello stalinismo erano quasi tutti cittadini sovietici . La violenza del nazismo , al contrario , era essenzialmente proiettata verso l’esterno : inizialmente rivolta contro categorie umane e sociali escluse dalla comunità del Volk ( ebrei , zingari , disabili , omosessuali ) si estese alle popolazioni slave , ai prigionieri di guerra , e ai deportati antifascisti ( il cui trattamento rispondeva ad una precisa gerarchia razziale ) ; un’ondata di terrore rigorosamente codificata . La violenza stalinista sfociava nei campi di lavoro , vale a dire una violenza legata ad un progetto di trasformazione coercitiva e autoritaria della società ; la violenza nazista sfociava nelle camere a gas , vale a dire lo sterminio come finalità in sé , inscritta in un disegno di purificazione razziale . Inoltre stalinismo e nazismo esprimevano due modelli palesemente antitetici di razionalità : nel primo caso una razionalità dei fini ( modernizzare la società ) accompagnata da una sorprendente irrazionalità dei mezzi per raggiungerli ( lavoro forzato , sfruttamento militaristico ecc ) ; nel secondo caso una razionalità strumentale spinta all’estremo ( lo sterminio realizzato con i metodi della produzione industriale ) , messa al servizio di un obiettivo sociale completamente irrazionale ( il dominio di un inventato e reificato Volk tedesco ) .
Sonia Combe ( nel suo “Evstignev, roi d’Ozerlag” ) ha colto la differenza che separa stalinismo e nazismo mettendo a confronto due sinistre figure : Serguiej Evstignev , la principale autorità di Ozerlag , un gulag siberiano , e Rudolf Hoess , il più noto comandante di Auschwitz . Il primo doveva “rieducare” dei detenuti e soprattutto costruire una linea ferroviaria : qui la morte era una conseguenza del clima e del lavoro forzato . Hoess invece calcolava il “rendimento” del campo di Auschwitz-Birkenau attraverso la contabilità delle vittime delle camere a gas .
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Franco Bianco
Friday, 11 October 2019 11:34
"dal 1° settembre 1939 fino al 22 giugno 1941, per circa 22 mesi, l'URSS non alzò un dito a difesa dei Paesi invasi da Hitler; si mosse solo quando fu costretta a difendersi, non per uno slancio libertario democratico e generoso a favore di altri. Subì molti morti: ma larga parte di quei morti caddero per la difesa della loro Patria, non per quella di altri": sarebbe questa la "storiellina", il "raccontino per bambini" che ho raccontato? In che cosa la "storiellina" è falsa o sbagliata?
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Franco Bianco
Friday, 11 October 2019 11:31
Un (a mio parere notevole) contributo a tale argomento viene da Oleg Chlevnjuk, un ricercatore del Centro internazionale di storia e sociologia della Seconda guerra mondiale e delle sue conseguenze, professore della Scuola di scienze storiche presso l’Alta Scuola di Economia di Mosca. In un lungo articolo, o saggio breve, del 2017 (http://www.memorialitalia.it/il-fenomeno-del-%C2%ABgrande-terrore%C2%BB/), pubblicato nel sito di "Memorial Italia" - che è "parte dell’associazione Memorial creata a Mosca negli anni ’80. Il suo terreno di azione è la memoria delle violazioni dei diritti umani e la difesa dei diritti oggi. L’attenzione è rivolta in particolare alla storia dell’Unione Sovietica e alla Russia post-sovietica", ed è costituita da molti docenti di varie Università italiane (vedere a http://www.memorialitalia.it/info-2/) - egli ha descritto ed analizzato accuratamente sia il fenomeno (I Parte) che le sue cause (II Parte), affrontando (e liquidando) anche alcuni "miti" che talvolta vengono fatti circolare a spiegazione e quasi discolpa del "despota", per dirla alla Pons, per quei tragici fatti: «negli anni Ottanta alcuni storici revisionisti occidentali.......lanciarono affermazioni provocatorie: sostenevano che il terrore avesse un carattere spontaneo, che Stalin avesse avuto una parte marginale e che la responsabilità fosse della burocrazia sovietica che manipolava il potere centrale», scrive Chlevnjuk, che si occupa di smantellare l'infondatezza di quelle "provocazioni". Interessante ed istruttiva è la lettura dell'articolo, come si preannuncia già nel suo incipit: «se il terrore di Stato fu dilagante durante tutti gli anni di governo di Stalin, in determinati momenti fu eccezionalmente pervasivo ed efferato. Uno di questi archi temporali è il “grande terrore” del 1937-1938». Volendosi limitare alla tragica "contabilità" delle vittime di quegli anni («Chiarire la cifra reale delle vittime è il punto di partenza fondamentale per comprendere l’essenza del “grande terrore”. A colpire in primo luogo è la portata del fenomeno », scrive lo storico) basta riportare alcune righe dal saggio citato: «ancora adesso molti guardano al “grande terrore” come all'annientamento di alcune élite: funzionari di partito, ingegneri, militari, scrittori etc… La realtà tuttavia è ben diversa. Come mostrano le ricerche odierne tra il 1937 e il 1938 furono arrestate almeno 1,6 milioni di persone, 680.000 delle quali vennero fucilate.Tra questi i funzionari statali di vario livello rappresentano solo alcune decine di migliaia. Le vittime del terrore furono in gran parte semplici cittadini sovietici, persone che non occupavano alcun incarico di governo né di Partito». Detto da un professore della Scuola di scienze storiche di Mosca: non si vede cosa si possa aggiungere. Dunque, fra l'eliminazione dei "kulaki" e le vittime del Terrore staliniano, sono molti milioni i morti di cui quel regime si è macchiato. Verità storica, che trova conferma in moltissimi testi, fra i quali non si può non citare "I racconti di Kolyma", di Varlam Salamov (NON ho citato Soljenitzin, anche se non credo che sia "un bugiardo fascista patentato". Ma vorrei sapere: fu per quello che fu internato, per essere un fascista?). Ed altrettanto "fascisti" sono gli altri storici che ho citato, il russo Oleg Chlevnjuk e l'italiano Silvio Pons (vedere ""La rivoluzione globale", Einaudi 2012")?
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Mario Galati
Friday, 11 October 2019 09:44
L'"unica e vera realtà" descritta da Franco Bianco è spudorata menzogna: la solita storiellina liberale, falsa e arbitraria, priva di verità e di qualsiasi spessore storico; un raccontino per bambini che, quando proviene da sedicente sinistra o da sedicenti "comunisti democratici", è ancora più spregevole. L'apologia delle democrazie liberali, madri del fascismo, attraverso la teoria dei criminali psicopatici gemelli, dell'equiparazione lager-gulag, comunismo (sotto le mentite spoglie dello stalinismo)- nazismo; l'assenza e la manipolazione dei dati storici (sono certo che Franco Bianco non ha la minima idea dei dati sui detenuti e sui gulag scaturiti dagli archivi sovietici dopo la loro apertura. Ma non ne ha bisogno, poichè gli bastano i "racconti" alla Soljenitzin, un bugiardo fascista patentato, per soddisfare l'anticomunismo di cui è imbevuto) hanno un solo valore: uccidere per la seconda volta, non solo i combattenti dell'Armata Rossa e i milioni di sovietici uccisi da Hitler, ma tutti i combattenti comunisti degli altri paesi, compresi quelli morti nei lager, equiparandoli agli aguzzini nazisti. Essi facevano parte dell'unico movimento dei lavoratori organizzato (alla cui guida c'era il "mostro" Stalin, casualmente) che ha combattuto tenacemente e coraggiosamente il nazifascismo cullato dai "democratici" liberali. Oggi, costoro si sentono dire da sedicenti storici dei miei stivali che erano parte di un unico processo e progetto criminale.
Su questo sito, gli aspetti storici, chiamiamoli così, esposti da Franco Bianco sono stati trattati. Si è arrivati ad un punto che, in certi contesti, replicare significherebbe attribuire loro una certa dignità. Perciò non ritengo sia il caso di farlo.
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Franco Bianco
Friday, 11 October 2019 08:50
Che si "equipari" oppure no, il Novecento ci consegna due tragedie con milioni di morti, milioni da una parte e milioni dall'altra. E' assolutamente vero che il nazismo perseguiva "scientificamente" l'annientamento degli ebrei (ma sappiamo: non solo degli ebrei) mentre il comunismo, il co-mu-ni-smo" come dottrina, non è sanguinario "in sé", cioè come progetto politico: ma il "comunismo realizzato", cioè lo stalinismo (altro la Storia non ha prodotto), ha fatto nei gulag cose analoghe a quelle che si consumavano nei lager tedeschi. Leggere Salamov (" I racconti di Kolyma") fa esattamente lo stesso effetto che leggere Primo Levi. La differenza delle motivazioni vale per i vivi, non per i morti (che essi siano morti in un lager nazista o in un gulag sovietico a loro, i morti, riesce del tutto indifferente); vale per chi non ha sofferto le sofferenze dei campi, fossero essi di sterminio (nazismo) o di concentramento (stalinismo). Salamov infatti non è morto nei campi in cui, senza colpa come milioni di altri, fu rinchiuso per 17 anni: ma ha passato tutto il resto della sua vita, più di 20 anni dopo la sua liberazione, a scrivere di quella sua tragica esperienza e di quello che vi aveva visto ("è un pugno nello stomaco, è sconvolgente per l’abisso di disperazione che descrive", è stato scritto). Io come uomo di sinistra sono indignato per dover leggere quelle cose descritte in centinaia di pagine raccapriccianti: ma "questo è stato", per dirla alla Levi, e perciò "può succedere ancora" (sempre Levi).
Che il patto fra il macellaio tedesco e il folle psicotico georgiano (uno storico di sinistra come Silvio Pons, Presidente della Fondazione Istituto Gramsci e docente ordinario alla Normale di Pisa, ha scritto pagine durissime e documentate su di lui e sul regime di polizia da lui instaurato: lo ha definito "un despota") sia responsabile o no della Seconda guerra mondiale, nel senso che la abbia scatenata e che essa non sarebbe avvenuta se quel patto non fosse stato firmato (cosa che a me suona impossibile da credere), è questione che tutto sommato interessa poco: di certo i due contraenti si garantirono di poter perseguire i propri piani di conquista senza temere ciascuno che l'altro si mettesse di mezzo: come in realtà accadde, uno conquistava da una parte e l'altro da un'altra, finché il patto durò. Che dopo il patto - "scelleratissimo", secondo Ida Dominjanni, che conosciamo bene come persona di "sinistra spinta" - del 23 agosto e dopo l'invasione tedesa del 1° settembre si sia poi firmato, il 28 settembre, un "trattato di amicizia" fra il capo del nazismo e quello del socialismo dal quale milioni di persone si aspettavano "il sol dell'avvenir" . Quando Hitler, per ragioni economiche (le materie prime delCaucaso e degli Urali), venne meno al suo patto ed aggredì l'URSS ("operazione Barbarossa", 22 giugno 1941): il Paese fu costretto a difendersi, cos'altro poteva fare? La difesa fu letteralmente eroica, l'URSS fu sul punto di capitolare ma, a prezzo di enormi sacrifici e grazie al comportamento incredibile non solo dei suoi soldati ma anche dei cittadini (le battaglie di Stalingrado e Leningrado resteranno simboli eterni di valore civile e militare), riuscì a sventare la disfatta e mosse all'attacco della Germania, insieme alle altre Nazioni che già contro di essa belligeravano. L'apporto dell'URSS, Paese grande e militarmente forte, fu molto importante, al pari di quello degli altri grandi Paesi: nella divisione dei compiti e delle aree di belligeranza fra le diverse forze, all'Armata Rossa sovietica toccò il compito, importantissimo ed anche di forte valore simbolico, di liberare Aushwitz (27 gennaio 1945), il che va però ascritto a merito non suo esclusivo ma di tutte le forze alleate contro Hitler. Ma dal 1° settembre 1939 fino al 22 giugno 1941, per circa 22 mesi, l'URSS non alzò un dito a difesa dei Paesi invasi da Hitler; si mosse solo quando fu costretta a difendersi, non per uno slancio libertario democratico e generoso a favore di altri. Subì molti morti: ma larga parte di quei morti caddero per la difesa della loro Patria, non per quella di altri. Questa è la pura, unica e vera realtà storica, per quanto esposta succintamente ed in modo "amatoriale", da non-specialista. Perciò, la ripetizione "campanilistica" (in senso politico) dei "milioni di morti" e del "fondamentale contributo per la vittoria sul nazismo" (che nessuno nega, come d'altronde nessuno può negarlo per gli altri Paesi alleati) avanzata da alcune aree politiche è retorica ed anche falsa, perché non tiene conto del reale svolgimento dei fatti storici.(Analoga osservazione, per onestà storica, vale per gli Stati Uniti, che si mossero contro la Germania solo dopo l'attacco, inaspettato e per loro disastroso, di Pearl Harbor, del 7 dicembre 1941. Gli americani vennero in Europa non allo scopo di difendere la sua democrazia e libertà, ma per aprire un altro fronte contro la Germania). La Storia è stata: non può essere cambiata, e non deve essere ignorata né artefatta.
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Mario Galati
Saturday, 05 October 2019 15:54
Proprio in quell'istante "le" sta calpestando, intendendosi sia la dignità che la storia.
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Mario Galati
Saturday, 05 October 2019 15:52
Questa di Hobel, pur apprezzabile in tante affermazioni, rischia di essere la solita excusatio non petita subalterna, quanto sottolinea oltre il dovuto la cosiddetta via italiana
al socialismo, quando si affanna a voler distinguere tra movimento comunista, o movimenti comunisti, e stalinismo, quando assume come conquista il binomio berlingueriano democrazia-socialismo senza considerarne anche i risvolti ambigui e inquietanti.
Personalmente, non ho alcuna intenzione di battermi il cilicio sulle spalle e non ho alcuna necessità di legittimarmi dinanzi al mio avversario di classe. Sono stufo di questo atteggiamento difensivo che, mentre apparentemente difende la propria dignità e la propria storia, proprio in quell'istante la sta calpestando.
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