Print Friendly, PDF & Email

moneta e credito

Crisi e rivoluzioni della teoria e della politica economica

Introduzione*

di Mauro Gallegati

Questo numero speciale di Moneta e Credito ( N. 287 Settembre 2019, Crisi e rivoluzioni della teoria e della politica economica: un simposio, a cura di Emiliano Brancaccio e Fabiana De Cristofaro) raccoglie gli atti di un simposio ispirato da un dialogo tra Olivier Blanchard e Emiliano Brancaccio sulle crisi e le possibili future “rivoluzioni” della teoria e della politica economica. Il simposio evidenzia le potenzialità di una rinnovata comunicazione tra paradigmi concorrenti e di una critica costruttiva all’approccio oggi dominante ai fini di un rinnovato progresso della conoscenza in campo economico.

Luna Eesti Arula maastik KALJU NAGEL gyQuesto numero di Moneta e Credito pubblica gli atti inerenti al dibattito “There is (no) alternative: pensare un’alternativa”, con Olivier Blanchard ed Emiliano Brancaccio, tenutosi a Milano il 19 dicembre 2018 e organizzato dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli (Blanchard e Brancaccio, 2019). Già capo economista del Fondo Monetario Internazionale negli anni della crisi e tra i massimi esponenti dell’approccio prevalente di teoria e politica economica, Blanchard ha mostrato una crescente disponibilità a rivedere alcuni capisaldi dell’impostazione mainstream. Negli ultimi anni egli ha pure riconosciuto la possibilità di trarre ispirazione da linee di ricerca eretiche, come quelle di Minsky, Kaldor e altri. La sua partecipazione all’iniziativa di Milano si inscrive in questo percorso. Nell’occasione Blanchard si è confrontato con Emiliano Brancaccio, esponente delle scuole di pensiero economico critico nonché autore dell’Anti-Blanchard, un testo di macroeconomia comparata che in questi anni ha suscitato un interesse diffuso non solo tra gli studiosi eterodossi ma anche nelle file del mainstream accademico (Brancaccio, 2017; Brancaccio e Califano, 2018).

Nel 1997 Blanchard pubblicava Macroeconomics, un manuale destinato a diventare di straordinario successo, che egli presentava così: “My hope is that, as a result, readers of this book will see macroeconomics as a coherent whole, not as a collection of models drawn from a hat” (Blanchard, 1997). Da allora il suo manuale rappresenta la versione più avanzata della nuova sintesi neoclassica (Blanchard, 2016). Come nella migliore tradizione didattica statunitense, si concentra sul “nucleo” della macroeconomia contemporanea e dà allo studente l’impressione che la teoria economica segua un sentiero unico e progressivo. Dei dibattiti e dei differenti approcci non c’è traccia. Sembra la conferma del detto di Maffeo Pantaleoni secondo cui in economia esistono solo due scuole: chi la conosce e gli altri.

Il modello didattico di Blanchard si basa sul concetto di “equilibrio naturale” che si determina dall’equilibrio di mercato quando le curve di domanda e di offerta aggregata – o curve equivalenti – si incontrano. Secondo tale approccio, le politiche di espansione della domanda non possono modificare l’equilibrio naturale. Questo può mutare solo agendo sui cosiddetti “fondamentali”, per esempio con politiche dell’offerta che rimuovano gli ostacoli alla concorrenza sui mercati, il che accade quando si rende più flessibile il mercato del lavoro. La domanda avrebbe dunque solo effetti di breve periodo e l’offerta di lungo.

Il 2008 è stato un anno difficile per tutti. Sebbene i prodromi della crisi si fossero già manifestati l’anno precedente, nell’ottobre di quell’anno il PIL iniziò a crollare nelle principali economie. Alcuni paesi si sono ripresi nel giro di pochi anni, mentre altri ancora annaspano. Nell’agosto di quell’anno – un mese prima di divenire capo economista del Fondo Monetario Internazionale e un mese prima del fallimento di Lehman Brothers – Blanchard pubblica un working paper del National Bureau of Economic Research dal poco profetico titolo: “The state of macro is good” (Blanchard, 2008). Sarebbe stato facile fare dell’umorismo su quell’improvvida affermazione. Brancaccio nel suo Anti-Blanchard non ne fa.

L’Anti-Blanchard è strutturato come un saggio breve con l’obiettivo di presentare agli studenti una visione meno univoca dell’evoluzione del pensiero economico. In questo senso, non mira a sostituire il manuale di Blanchard ma punta piuttosto ad analizzarlo criticamente per proporre un approccio comparativo tra mainstream e impostazioni alternative. Il modello di offerta e domanda aggregata di Blanchard e le sue successive derivazioni sono presi come riferimento preliminare. Brancaccio ne evidenzia con efficacia le fragilità, mostrando che piccole modifiche di ipotesi assunte ad assiomi determinano implicazioni analitiche e politiche del tutto diverse. Così, per esempio, mentre i manuali mainstream assumono che la relazione tra salari da un lato e domanda aggregata e produzione sia negativa, derivata dagli assiomi di razionalità e completezza dei mercati, Brancaccio mostra che in realtà tale relazione può essere positiva e che quindi i risultati delle politiche economiche prevalenti possono ribaltarsi: ad esempio, le politiche di flessibilità del lavoro possono ridurre i salari e quindi anche la domanda, la produzione e l’occupazione, e così via.

Dopo la “Great Moderation”, e forse anche a causa di essa, a partire dalla seconda metà degli anni Novanta il dibattito tra economisti si è praticamente interrotto tanto che Lucas poteva suggellare nel 2003: “the central problem of depression-prevention has been solved, for all practical purposes, and has in fact been solved for many decades”. Personalmente, come allievo di Hyman Minsky, devo confessare che le parole di Lucas mi erano già da allora sembrate fuori luogo vista la crisi bancaria in Svezia dei primi anni ’90, e quelle finanziarie asiatiche del 1997-98, e a seguire in Russia, Brasile e Argentina. Anche altri, in quello stesso periodo, ritenevano che il problema delle depressioni fosse tutt’altro che scongiurato (Sylos Labini, 2003). In ogni caso, sarebbero passati solo quattro anni dalla dichiarazione di Lucas e la realtà avrebbe smentito la teoria e rivitalizzato quell’approccio storico-critico di cui l’Anti- Blanchard è testimonianza feconda.

Alla crisi il mainstream ha reagito in due modi. Da una parte un déjà-vu: arricchire il modello prevalente, introducendo prima le banche e poi il sistema finanziario, insieme a rigidità varie, fino all’eterogeneità debole – senza interazioni – in ogni caso senza mettere in discussione il nucleo assiomatico della teoria, in un modo che ricorda da vicino l’“epiciclizzazione” del sistema tolemaico. Questa prassi mira comunque a ribadire la propria autosufficienza teorica. Pochi anni prima della “grande recessione” Robert Barro (1997) auspicava addirittura una politica di “zero prigionieri” tra i non mainstream. Ma anche recentemente Christiano e altri hanno definito come “dilettanti” coloro i quali non usano i tradizionali modelli Dynamic Stochastic General Equilibrium (DSGE) (Christiano et al., 2018). Dall’altra parte, vi è chi apre – moderatamente – a nuovi approcci purché si perseveri nell’adozione del nucleo neoclassico, il “paradigma della scarsità”, per il quale i prezzi dei beni dipendono dalla scarsità degli stessi. Brancaccio evidenzia invece l’alternativa del “paradigma della riproducibilità”, secondo cui i prezzi delle merci sono determinati dai costi e dai profitti, ovvero dalle condizioni di riproduzione del capitale. Questo sì che sarebbe un cambio di paradigma. Necessario o meno lo dovrebbe stabilire l’evidenza empirica e non gli assiomi, che sono buoni per costruire strumenti e non una scienza, “dura” o “soft” che sia.

Non mi aspetto certo che Blanchard scriva un Anti-Brancaccio né che ripudi il suo manuale. Eppure egli oggi sostiene che: “[f]ino alla crisi finanziaria globale l’economia mainstream aveva una visione tutto sommato sdolcinata delle fluttuazioni economiche. La crisi ha messo in chiaro che questa visione era sbagliata e che vi è la necessità di una profonda rivalutazione”; e che: “[p]assando dalla politica alla ricerca, il messaggio [della Grande Recessione] dovrebbe essere quello di lasciare che cento fiori sboccino. Ora che siamo più consapevoli delle non-linearità e dei pericoli che comportano, dobbiamo esplorare ulteriormente, teoricamente ed empiricamente, tutti i tipi di modelli” (Blanchard, 2014). Queste dichiarazioni non sono lontane dal riconoscere che l’idea che piccoli disturbi possano produrre grandi effetti non può essere contemplata nel mondo lineare dell’economia assiomatica neoclassica, ovvero che l’economia è instabile nel senso di Minsky. Del resto, in tema di debito e tassi d’interesse, il lavoro di Blanchard e Summers pubblicato su questo numero (Blanchard e Summers, 2019) ricorda da vicino le definizioni minskyane di posizioni finanziarie coperte-speculative-Ponzi.

Non possiamo però accettare l’idea di Blanchard che, quando le cose vanno bene, possiamo ancora utilizzare i DSGE. Un’altra classe di modelli economici, volti a misurare il rischio sistemico e quindi l’interazione, dovrebbe essere usata per segnalarci che siamo troppo vicino alle crisi e per valutare le politiche per ridurre il rischio. Cercare di creare un modello che integri tempi normali e tempi di crisi – e che quindi vada bene in tutte le stagioni – sembra al di fuori della portata concettuale e tecnica della professione, almeno in questa fase. Eppure Brancaccio ci fa vedere che adottando il paradigma della riproducibilità possiamo ambire a un modello che spieghi sia il sorgere del Sole che il tramonto. Il fatto che dobbiamo modificare i modelli precedenti alla Grande Recessione è ormai assodato. Ma dobbiamo cambiare paradigma o continuare con la strategia di aggiungere epicicli su epicicli, come facevano gli astronomi tolemaici con le irregolarità astrali?

A proposito di cambi di paradigma, la non-linearità deriva da eterogeneità e interazione. Un sistema si dice lineare se lo si può scomporre in più parti tra loro indipendenti, cioè autonome. Quando, invece, le varie componenti interagiscono direttamente le une con le altre senza un coordinatore centrale che renda possibile la riduzione del sistema all’attività delle singole unità, allora si parla di non-linearità. In un sistema non lineare nessuna delle sue componenti può essere analizzata separatamente dall’altra proprio a causa dell’interazione. Il comportamento emergente di un sistema è dovuto alla non-linearità. Le proprietà di un sistema lineare sono infatti additive: l’effetto di un insieme di elementi è la somma degli effetti considerati separatamente, e nell’insieme non appaiono nuove proprietà che non siano già presenti nei singoli elementi. Ma se vi sono termini combinati, che dipendono gli uni dagli altri, allora il complesso è diverso dalla somma delle parti e compaiono effetti nuovi. In economia si approntano modelli matematici che descrivono il sistema come se fosse lineare e alla valenza empirica si preferisce il rigore matematico basato su assiomi e linearità. Si assumono come validi l’individualismo metodologico e l’ipotesi di linearità. Ma un modello matematico lineare è una funzione polinomiale, i cui coefficienti sono indipendenti l’uno dall’altro o così debolmente dipendenti da poter trascurare le interazioni. Tipici dei sistemi complessi sono i concetti di autorganizzazione e di comportamento emergente. L’autorganizzazione indica che i singoli elementi agiscono senza alcun coordinatore centrale, in modo autonomo e bottom-up: una delle conseguenze dell’auto-organizzazione nei sistemi complessi, è che non si può più parlare di leggi universali, bensì specifiche. Il comportamento emergente significa che esso non è desumibile dalla semplice sommatoria degli elementi che compongono il sistema (Gallegati, 2018).

Blanchard aderisce al detto di Keynes: “[q]uando cambiano i fatti, io cambio opinione. E voi?”. Non credo però che vi aderisca così tanto da indurmi a credere che Blanchard diventi prima o poi un “Anti-Blanchard”. Se la Grande Recessione è stata in primo luogo una crisi economica, non si deve sottovalutare che è stata anche una crisi della teoria (Roncaglia, 2010), tanto che la economics naviga ancora in cattive acque. Anche se esiste tuttora un approccio mainstream, la sua solidità teorica e capacità di spiegare l’evidenza empirica sono sempre più fragili e messe in discussione. A mio avviso l’Anti-Blanchard ci invita soprattutto a riflettere sul fatto che nel suo nucleo la teoria economica mainstream è assiomatica e che per questo si è preoccupata soprattutto della coerenza interna, cioè che le premesse fossero coerenti con le conclusioni. Ma l’esito a cui è giunta non corrisponde a quanto sperato: il libero mercato garantisce l’esistenza di un sentiero di equilibrio, ma non la sua unicità né la sua stabilità. L’esistenza è poi conseguente ad un assioma: la conoscenza del vero modello dell’economia. Purtroppo la teoria del caos ci informa che senza conoscenza completa dell’esistente, ogni sentiero è possibile.

Verso la metà del XVIII secolo, alcune delle economie occidentali vengono trasformate dal progresso tecnologico portato dalla Rivoluzione industriale. Questo avviene un secolo dopo Newton e il conseguente rivolgimento avvenuto nella fisica: dalla piccola mela agli enormi pianeti, tutti gli oggetti sembrano obbedire alla semplice legge di gravitazione. Per una nuova figura di scienziato sociale, l’economista, è dunque naturale prendere in prestito il linguaggio

– la forma – della scienza di maggior successo, la fisica appunto. È da allora che la fisica meccanica del XVII secolo governa l’economia. Tra le possibili strade alternative, imboccate da tutte le altre discipline, dalla biologia alla sociologia alla fisica, l’economia sceglie di adottare solo lo strumento matematico non accompagnato dalla verificabilità delle ipotesi, il che dà luogo alla deriva assiomatica e alla non falsificabilità delle stesse. Così, se nel capitolo finale della sua Teoria generale Keynes può sostenere che i politici sono schiavi di teorie economiche superate, possiamo dire che, a loro volta, gli economisti sono tuttora schiavi della fisica di Newton.

Siamo intorno al 1870, alla vigilia del tramonto della meccanica classica e del riduzionismo. La fisica dei microelementi che interagiscono è ancora di là da venire, e l’economia rimane intrappolata nella visione “equilibrista” di Walras. La matematizzazione entra prepotentemente in scena, soppianta la political economy, l’economia politica dei classici, e la trasforma in economics, in pseudoscienza. Da lì in poi, l’aggiunta di assiomatizzazione e non falsificabilità ha portato alla degenerazione del paradigma di ricerca della teoria economica standard (Lakatos, 1970) che Brancaccio evidenza. Si assume cioè nel mainstream che gli agenti abbiano una conoscenza completa del vero modello dell’economia e che siano quindi in grado di valutare le conseguenze degli shock. Non sorprende che Gregory Mankiw, considerato uno dei fondatori della New Keynesian DSGE, abbia sostenuto che “tali modelli hanno avuto poco impatto sulla pratica macroeconomica” e che “l’osservazione dei fatti senza la teoria è divenuta l’attività principale degli economisti” (Mankiw, in Bergmann, 2009).

Le cause della situazione attuale risalgono dunque al metodo classico, newtoniano, non adeguato per studiare i costituenti della materia, anche se va ancora bene per analizzare la cinematica dei corpi macroscopici (curiosamente, gli economisti usano una metodologia macro per studiare la micro e trattano la prima come se fosse una sommatoria della seconda). Il superamento in fisica avviene quando sorge il problema di studiare il mondo micro: un nuovo problema pone la necessità di “inventare” un nuovo metodo. Così hanno fatto i fisici. Invece gli economisti non hanno cambiato né problema né metodo: il nucleo mainstream utilizza ancora il vecchio armamentario che andrebbe bene se il macro non fosse altro che la somma degli elementi micro.

Come political economy, l’economia aveva l’obiettivo di migliorare la società. L’esito, con la vittoria dell’economics è stato opposto. L’economia è diventata un sistema soggetto alle leggi di natura e quindi non mutabile né migliorabile se non rimuovendo tutto ciò che lo allontani dai mercati perfetti. È come se il pensiero economico dominante fosse rimasto intrappolato nella fisica del XVII secolo e non riuscisse ancora a liberarsi da questo abbraccio mortale. La storia della scienza in futuro, guardando ai nostri giorni, paragonerà la situazione della teoria economica di oggi all’astronomia dei tempi di Galileo, quando l’ortodossia tolemaica sopravviveva boccheggiante solo grazie alla tortura. Gramsci ricorda che la crisi arriva quando il vecchio muore e il nuovo non riesce a nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati. In campo economico gli esempi odierni non mancano: dall’austerità espansiva alla deflazione salariale come stimolo all’occupazione.

Al dibattito di Milano Olivier Blanchard ha presentato una sintesi degli insegnamenti che ritiene di aver tratto dalla storia economica dell’ultimo decennio, dalla grande recessione internazionale ad oggi. Il nucleo della sua relazione verte su un paper scritto assieme a Larry Summers, che viene ripubblicato in italiano in questo numero (Blanchard e Summers, 2019). Olivier Blanchard e Larry Summers si soffermano sull’eventualità che in futuro, a seguito di nuove crisi o di prolungate stagnazioni, possa verificarsi una “evoluzione” o addirittura una “rivoluzione” degli indirizzi di politica economica. Gli autori evocano la possibilità che un eccesso sistematico di risparmio rispetto all’investimento possa determinare un tasso d’interesse prossimo allo zero e in ogni caso inferiore al tasso di crescita dell’economia. A loro avviso, la nuova fase storica impone grandi cambiamenti nella concezione delle politiche economiche: il ridimensionamento delle possibilità d’azione della politica monetaria al fine di stabilizzare il ciclo economico, la necessità di affidarsi a politiche di restrizione finanziaria per scongiurare nuovi fenomeni di instabilità e l’opportunità di sfruttare l’ampliamento dei margini di manovra della politica di bilancio pubblico per sostenere la crescita dell’occupazione e del prodotto sia effettivo che potenziale, dato che anche quest’ultimo può essere influenzato dalle dinamiche della domanda aggregata. Per Blanchard e Summers si tratta di trasformazioni profonde, che tuttavia possono essere inquadrate in una interpretazione del sistema economico ancora tradizionale, sia pure ampiamente emendata.

Nella sua relazione Emiliano Brancaccio mostra in che modo un approccio comparato ai modelli teorici consenta di mettere in luce i punti di contatto e le divergenze tra l’impostazione di Blanchard e i paradigmi alternativi di teoria economica (Brancaccio, 2019). Una differenza di fondo tra le due visioni consiste nel diverso legame che in regime capitalistico si instaura tra le dinamiche della produzione e dell’occupazione da un lato, e l’andamento dei prezzi e della distribuzione dall’altro. Per l’approccio prevalente tale legame sarebbe regolato da criteri di efficienza neoclassici che risultano neutrali sul piano politico. Per la teoria alternativa, invece, quel nesso è determinato dalle condizioni di riproduzione del capitale ed è aperto al conflitto sociale, inteso nelle sue varie forme. Questa linea di demarcazione tra i due diversi paradigmi, secondo Brancaccio, solleva un problema di posizionamento logico per tutti gli approcci di teoria economica, passati e presenti, inclusi ad esempio i modelli “agent-based”. Da questo punto di vista è interessante il fatto che con poche modifiche alcuni modelli di Blanchard possono essere trasportati da un lato all’altro di quella linea di demarcazione. Da ciò, provocatoriamente, Brancaccio arriva a scorgere nella visione dell’ex capo del FMI delle inconsapevoli tracce di “marxismo”. Inoltre, nel rilancio di un approccio comparato allo studio dei diversi modelli teorici situati da un lato o dall’altro di quella linea logica Brancaccio ravvisa l’occasione per dare inizio a una rinnovata competizione Lakatosiana tra paradigmi, sottoponendoli a comuni verifiche logiche ed empiriche e consentendo anche una diretta comparazione tra le diverse prescrizioni di politica economica. A questo riguardo, diversamente da Blanchard, Brancaccio ritiene che una “rivoluzione” che in termini più o meno espliciti si ispiri a Keynes dovrebbe basarsi su un cambiamento più radicale, che sul terreno della policy porti almeno, tra l’altro, alla messa al bando della deflazione dei salari e dei prezzi dalla cassetta degli attrezzi per il riequilibrio macroeconomico. Brancaccio solleva infine un interrogativo più generale, intorno alla possibilità o meno che una “rivoluzione” di stampo keynesiano possa oggi concretamente realizzarsi senza il pungolo politico di una minaccia socialista. Interpretando il keynesismo come risultante dialettica della storica disputa novecentesca tra capitalismo e socialismo sovietico egli giunge a una risposta negativa, forse pessimista ma che impone un’attenta riflessione.

Alle relazioni di Blanchard e Brancaccio questo numero aggiunge anche i contributi successivi di Roberto Ciccone e Antonella Stirati, Alessia Amighini e Francesco Giavazzi, Heinz Kurz e Neri Salvadori, Giovanni Dosi e Andrea Roventini, Annalisa Rosselli, Roberto Torrini. Roberto Ciccone e Antonella Stirati accolgono con interesse la “rivoluzione” di politica economica evocata da Blanchard, ma specificano che l’efficacia degli orientamenti di policy dipende dalla coerenza logica delle teorie che le sostengono e dalla loro rilevanza empirica, caratteristiche sulle quali l’impostazione mainstream tuttora sostenuta da Blanchard presenta gravi limiti. Essi invocano quindi un cambiamento più generale di ordine paradigmatico, che come Brancaccio ravvisano nel rilancio dell’approccio alternativo degli economisti classici, di Marx e di Sraffa (Ciccone e Stirati, 2019). Lungo il medesimo solco teorico si situa il contributo di Heinz Kurz e Neri Salvadori, che avanzano critiche a due tipiche convinzioni su cui anche i più avveduti esponenti del mainstream contemporaneo sembrano edificare i loro modelli: la presunzione che la domanda e l’offerta di una data merce si “comportino bene”, ossia abbiano forma e posizione tale da garantire l’esistenza, la stabilità e l’unicità dell’equilibrio; e la presunzione che il progresso tecnico possa essere assorbito dal sistema economico senza prolungate oscillazioni cicliche (Kurz e Salvadori, 2019). Alessia Amighini e Francesco Giavazzi approfondiscono un aspetto specifico del dialogo tra Blanchard e Brancaccio, inerente al modo in cui i diversi valori assunti dalla differenza tra tasso d’interesse e tasso di crescita possono influire sull’andamento del debito e sui relativi costi fiscali e sociali. A questo proposito, essi si soffermano sui paesi in cui il tasso d’interesse eccede il tasso di crescita e si interrogano sull’esistenza di condizioni tali affinché una politica fiscale restrittiva possa contribuire al contenimento del debito e delle connesse disuguaglianze (Amighini e Giavazzi, 2019). Giovanni Dosi e Andrea Roventini indicano una strada ulteriore per lo sviluppo di una moderna macroeconomia, basata su modelli agent-based che interpretino l’economia come un sistema complesso in evoluzione in cui non sussiste isomorfismo tra i livelli micro e macro delle analisi. Questo nuovo filone di ricerca, secondo gli autori, contribuisce alla risoluzione di molte delle problematiche macroeconomiche sollevate da Blanchard e al tempo stesso si posiziona dal lato “critico” della linea di demarcazione teorica tracciata da Brancaccio, poiché esclude legami tra produzione e distribuzione fondati sulla scarsità neoclassica (Dosi e Roventini, 2019); in questa specifica direzione sarebbero auspicabili future indagini, che potrebbero rivelare ulteriori affinità con gli approcci degli economisti classici, di Marx e di Sraffa da cui trae ispirazione l’Anti-Blanchard. Annalisa Rosselli sottolinea che il progresso della ricerca scientifica in economia necessita di piena apertura al pluralismo dei paradigmi in accademia e che questo, per esser tale, richiederebbe parità di condizioni nell’accesso alle risorse e nelle possibilità di carriera. Essendo tale parità di condizioni ancora lontana dall’essere raggiunta, merita di essere salutato con favore un confronto come quello tra Blanchard e Brancaccio, che testimonia la necessità avvertita ormai da molti di aprire l’università e le sue procedure di valutazione e selezione alla pluralità dei paradigmi di ricerca (Rosselli, 2019). Roberto Torrini interpreta il dialogo tra Blanchard e Brancaccio come una testimonianza del maggiore spazio che oggi sembra ravvisarsi, in accademia e nelle istituzioni, per lo sviluppo di un dibattito più problematico e meno schematico rispetto al passato. Un dibattito che possa favorire il progresso della conoscenza e in alcune circostanze possa anche evidenziare possibilità di convergenza tra le conclusioni di policy di economisti che seguono approcci teorici anche piuttosto diversi tra loro. Il caso dell’economia italiana rappresenta, a suo avviso, un interessante banco di prova per il dialogo tra linee di ricerca concorrenti (Torrini, 2019).

L’iniziativa della Fondazione Feltrinelli, e il presente numero di Moneta e Credito che ne raccoglie gli atti e le discussioni successive, hanno il merito di avere evidenziato le potenzialità di una rinnovata comunicazione tra paradigmi concorrenti di teoria e politica economica. La diffusione in accademia di iniziative di questo tipo suscita oggi l’interesse di un’ampia platea di studiosi, appartenenti a varie scuole di pensiero. Questa tendenza costituisce in fin dei conti un monito anche per coloro i quali, in Italia e altrove, tuttora insistono nell’applicare criteri oscurantisti di valutazione della ricerca, che piegati solo sull’approccio prevalente e chiusi al confronto, da troppo tempo ostacolano il progresso della conoscenza in campo economico.


*Contributo al numero speciale di Moneta e Credito dal titolo “Crisi e rivoluzioni della teoria e della politica economica: un simposio”, ispirato dal dibattito tra Olivier Blanchard e Emiliano Brancaccio tenutosi presso la Fondazione Feltrinelli a Milano il 18 dicembre 2018. Numero a cura di Emiliano Brancaccio e Fabiana De Cristofaro.

Bibliografia
Amighini A. e Giavazzi F. (2019), “Alcune considerazioni su debito e disuguaglianza”, Moneta e Credito, 72 (287), pp. 219-228.
Barro R. (1997). Getting It Right: Markets and Choices in a Free Society, MIT Press, Boston.
Bergmann B. (2009), “The Economy and the Economics Profession: Both Need Work”, Eastern Economic Journal, 35 (1), pp. 2-9.
Blanchard O. (1997), Macroeconomics, Upper Saddle River (NJ): Prentice Hall.
Blanchard O. (2008), “The State of Macro”, NBER Working Paper, n. 14259, agosto, Cambridge (MA): National bureau of Economic Research.
Blanchard O. (2014), “Interview”, The TSEconomist Student Magazine, 11 April, disponibile alla URL: https://tseconomist.com/archive/march-2014/interview-with-olivier-blanchard-by-hussein-bidawi-ben- kett-georgios-petropoulos-and-ildrim-valley/.
Blanchard O. (2016), Macroeconomics, 7a ed., London: Pearson.
Blanchard O. e Brancaccio E. (2019), “Pensare un’alternativa. Dialogo tra Olivier Blanchard e Emiliano Brancaccio”, Micromega, 2, pp. 7-30; (cfr. anche Blanchard O. e Brancaccio E., “Crisis and Revolution in Economic Theory and Policy: A Debate”, Review of Political Economy,published online 6 August 2019).
Blanchard O. e Summers L. (2019), “Ripensare le politiche macroeconomiche: evoluzione o rivoluzione?”, Moneta e Credito, 72 (287), pp. 171-195.
Brancaccio E. (2017), Anti-Blanchard. Un approccio comparato allo studio della macroeconomia, 3a ed., Milano: Franco Angeli.
Brancaccio E. (2019), “Sulle condizioni per una ‘rivoluzione’ della teoria e della politica economica”, Moneta e Credito, 72 (287), pp. 197-206
Brancaccio E. e Califano A. (2018), Anti-Blanchard Macroeconomics. A Comparative Approach, Cheltenham (UK) e Northampton (MA, USA): Edward Elgar.
Christiano L.J., Eichenbaum M.S. e Trabandt M. (2018), “On DSGE Models”, Journal of Economic Perspectives, 32 (3), pp. 113-140.
Ciccone R. e Stirati A. (2019), “Blanchard e Summers: rivoluzione o conservazione?” Moneta e Credito, 72 (287), pp. 207-218.
Dosi G. e Roventini A. (2019), “La solitudine dell’agente rappresentativo: eterogeneità e interazione per una nuova macroeconomia”, Moneta e Credito, 72 (287), pp. 249-258.
Gallegati M. (2018), Complex Agent-Based Models, Springer.
Kurz H. e Salvadori H. (2019), “Alla ricerca di una migliore teoria macroeconomica”, Moneta e Credito, 72 (287), pp. 229-247.
Lakatos, I. (1970). “Falsification and the methodology of scientific research programmes”, in Imre Lakatos and Alan Musgrave (eds.), Criticism and the Growth of Knowledge. Cambridge University Press, pp. 91-195.
Roncaglia A. (2010), “Le origini culturali della crisi”, Moneta e Credito, 63 (250), pp. 107-118.
Rosselli A. (2019), “Commento al dibattito Blanchard-Brancaccio”, Moneta e Credito, 72 (287), pp. 259-265.
Sylos Labini P. (2003) “Le prospettive dell’economia mondiale”, Moneta e Credito, 56 (223), pp. 267-294.
Torrini R. (2019), “Note a margine del dibattito tra Blanchard e Brancaccio, con lo sguardo rivolto al contesto italiano”, Moneta e Credito, 72 (287), pp. 267-274.

Add comment

Submit