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Gaza: il provvedimento dell'Aia, le sorprese e lo scopo della guerra
di Piccole Note
Scopo della guerra? Devastare e dividere Gaza, sfruttare i giacimenti di gas marini al largo della Striscia... Hamas, gli ostaggi sono cose secondarie
La Corte di Giustizia Internazionale dell’Aia ha ammonito Israele a permettere “senza indugio […] la fornitura… di servizi di base e di assistenza umanitaria urgentemente necessari”, cioè alimenti, medicine, carburante e altri beni essenziali.
La Corte e il genocidio di Gaza
È la seconda volta che la Corte, chiamata a vigilare sul crimine di genocidio, si pronuncia sulla guerra di Gaza. A gennaio emanò una sentenza nella quale richiamò Israele a prevenire il crimine di genocidio contro i palestinesi, imponendo, tra le altre cose, di cessare le uccisioni di civili e di garantire l’assistenza alla popolazione.
Il peggioramento della situazione della popolazione della Striscia ha spinto la Corte a pronunciarsi ancora una volta, con un provvedimento di urgenza che chiede, in modo “vincolante”, che sia assicurata l’assistenza dei civili.
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La retromarcia dell'UE sulla transizione elettrica. Nuovo greenwashing?
di La Riscossa
In un articolo del 23 febbraio dicevamo:
«Ma il punto più interessante riguarda l’automotive (il Parlamento europeo ha bocciato la proposta sul regolamento “Euro 7”). Questa doveva essere la vera grande “rivoluzione” che avrebbe comportato, non solo il rinnovo dell’intero parco macchine, ma anche una svolta nelle abitudini quotidiane dei cittadini europei. Ebbene, che cosa è successo? Che la Cina si è lanciata prima e meglio dell’Europa sul settore, praticando con una accorta politica di programmazione a lungo periodo, che ha coinvolto le case costruttrici del Paese. L’affarone del secolo si è quindi sgonfiato nelle mani dei monopolisti occidentali, come testimonia il fatto che ora il primo produttore di auto elettriche nel mondo è cinese, con costi bassi e affidabilità alta, inarrivabili per i concorrenti.»
Ebbene, forse la retromarcia avverrà in tempi molto più rapidi di quanto ci si potesse immaginare.
Naturalmente prima vanno avanti le pattuglie di esplorazione, che in questo caso sono costituite da “studiosi” – ignari o conniventi, non importa – e poi, una volta saggiato il terreno, procederà il resto delle truppe.
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Il bisogno di esperienze traumatiche
di Brics Multipolare
Alla fine degli anni ’90 scriveva il docente statunitense Mike Davis: “Se oggi Marx fosse vivo sottolineerebbe il carattere allucinatorio della visione che ha galvanizzato le masse durante le cosiddette rivoluzioni del 1989. Il miraggio verso cui milioni di persone marciavano era la cornucopia del fordismo: cioè la società dei consumi di massa, con alti livelli di salari e di consumi, tuttora identificata con lo stile di vita americano (e del Nord Europa). La sola emancipazione raggiunta dagli sfortunati cittadini dell’ex blocco di Varsavia è un paleo-capitalismo sinistro, che combina tutti gli elementi più arretrati e più brutali del sottosviluppo (ivi compresa la rapina accelerata delle risorse naturali e delle foreste vergini da parte delle multinazionali), con gli aspetti più avanzati della criminalità organizzata mondiale”.
Quelle pseudo-rivoluzioni erano in realtà dei colpi di stato organizzati con la partecipazione occidentale (l’ultimo riuscito fu quello del 2014 a Kiev).
La UE non vedeva l’ora di potersi allargare così facilmente e di acquisire i beni dell’Europa orientale. Uno dei prezzi più gravosi che faceva pagare a quelle ex-nazioni del socialismo statalizzato era l’ingresso nella NATO.
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Trittico mediorientale
di Pierluigi Fagan
Pubblicherò a seguire, ben tre diversi articoli di analisi di ciò che sta succedendo e potrebbe in prospettiva succedere in Medio Oriente, con epicentro Israele Gaza. Purtroppo, essendo la faccenda complessa, non si può far di meno. Complesso non significa perdersi in nuvolaglie di incertezze indeterminate, quella si chiama confusione. Complesso è ricostruire il groviglio di variabili, loro interrelazioni spesso non lineari, dentro relazioni tra vari sistemi e sottosistemi, dentro contesti in evoluzione, per certi tratti di tempo. Buona lettura ai coraggiosi! [I testi provengono da post mattutini sulla mia pagina fb e forse a qualcuno potrebbe interessare il dibattito che spesso ne è scaturito].
* * * *
LA TERRA PROMESSA (27.03.04)
Perché si chiama “geopolitica”? Be’ perché come insegnano le cartine di Luisa Canali su Limes, tutti i discorsi che fai a parole sulla politica, li devi mettere su una cartina geografica, no? Avete presente? Il territorio, le coste, i fiumi, i monti, i laghi… L’ora di geografia era in genere un relax, ma forse vi siete rilassati troppo visto la vasta ignoranza che circola in materia. In più, visto che siete tendenzialmente idealisti, ‘ste brutte robe concrete della realtà, vi impicciano il libero svolazzo e non le amate troppo. Ravvedetevi se volete capire qualcosa del mondo intorno a voi, il mondo si sta muovendo parecchio di recente.
Allora, dovete sapere che sono anni che si coltiva l’idea di creare un Grande Medio Oriente con Israele pacificato con una parte del mondo arabo di area Golfo alle spalle.
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Se il genocidio è un rumore di fondo
di Naomi Klein
È una tradizione degli Oscar: un discorso politico squarcia il velo della mondanità e dell’autocelebrazione. Ne scaturiscono reazioni contrastanti. Alcuni lodano l’oratore, altri lo ritengono l’usurpatore egoista di una notte di celebrazioni. Poi tutti girano pagina.
Eppure sospetto che l’impatto delle parole del regista Jonathan Glazer, che il 10 marzo hanno fermato il tempo alla cerimonia di premiazione di Los Angeles, durerà molto più a lungo, e il loro significato sarà oggetto di analisi per anni.
Glazer stava ritirando il premio per il miglior film internazionale per La zona d’interesse, ispirato alla storia di Rudolf Höss, il comandante del campo di concentramento di Auschwitz. Il film segue l’idilliaca vita domestica di Höss con la moglie e i figli, che si svolge in una residenza signorile con giardino adiacente al campo di concentramento.
Glazer ha descritto i suoi personaggi non come mostri, ma come “orrori non-pensanti, borghesi, ambiziosi-arrivisti”, persone capaci di trasformare il male in rumore di fondo.
Prima della cerimonia del 10 marzo, La zona d’interesse era già stato acclamato da molte star del mondo del cinema. Alfonso Cuarón, il regista premio Oscar per Roma, l’ha definito “probabilmente il film più importante di questo secolo”.
Steven Spielberg l’ha descritto come “il miglior film sull’Olocausto che io abbia visto dopo il mio”, riferendosi a Schindler’s list, che sbancò agli Oscar trent’anni fa. Ma mentre il trionfo di Schindler’s list rappresentò un momento di unità per la maggioranza della comunità ebraica, La zona d’interesse capita in un momento diverso.
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Domande di oggi sul sindacalismo di base a partire da oltre 30 anni addietro
di Cosimo Scarinzi
Articolo di apertura del n. 6/marzo 2024 di “Collegamenti”
Credo sia necessario, quando ci si interroga sul sindacalismo di base oggi, tenere presente il fatto che si tratta di un assieme di organizzazioni, di militanti, di lavoratrici e lavoratori che esiste ormai dall’inizio degli anni ’90 e di una vicenda per molti versi complicata.
Ovviamente il sindacalismo di base non sorge dal nulla, già negli anni precedenti vi erano alcune organizzazioni sindacali alla sinistra dei sindacati istituzionali e, soprattutto, vi sono stati negli anni ’80 importanti movimenti di massa fuori dal controllo di questi sindacati nella scuola, nei trasporti, nella sanità; ma un’ipotesi consistente di sindacalismo alternativo data, appunto, dall’inizio degli anni ’90.
È bene domandarsi quali siano le condizioni sociali e politiche che determinano questa situazione.
In primo luogo si deve partire da quello che è stato definito la fine del compromesso socialdemocratico e cioè dall’assieme di privatizzazioni, taglio dei servizi e quindi del salario indiretto, taglio delle pensioni, accrescimento del peso del lavoro precario.
Questa deriva rendeva credibile l’ipotesi che l’offensiva del capitale avrebbe provocato una ripresa della lotta di classe a livello delle condizioni che le lavoratrici e i lavoratori vivevano. Nei fatti la crisi del capitale ha determinato, a livello planetario, risposte che hanno, quanto meno, spostato in avanti le contraddizioni rendendole, nello stesso tempo, più radicali come rileva Riccardo Bellofiore in “La caduta del saggio di profitto in Paul Mattick” (1).
In secondo luogo la scelta dei sindacati istituzionali di accettare lo scambio fra peggioramento delle condizioni della classe e salvaguardia del loro diritto di gestire la contrattazione e dei finanziamenti che ricevevano, e ricevono, dal padronato e dal governo suscitava tensioni fra i lavoratori, i militanti sindacali, parte degli stessi gruppi dirigenti, culminate con la cosiddetta “settimana dei bulloni” (2).
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Argentina: lo sbarco dei criminali, la profezia di Primo Levi, i lupetti buoni
di Rodrigo Rivas
Il 24 marzo 1976 tre criminali scesero da un bel carro armato davanti alla Casa Rosada.
Per iniziare le loro attività promulgarono la pena di morte per tutti coloro che conducessero attività sovversive, abolirono i diritti civili e sciolsero il parlamento.
Comprensiva, la Corte Suprema stabilì che gli “atti sovversivi” sarebbero stati esclusi dalle competenze degli organi giudiziari regolari ma, per evitare eventuali perdite di tempo, vennero sospesi tutti i magistrati ritenuti non collaboranti.
Nel pomeriggio furono vietati i partiti politici, i sindacati, le organizzazioni universitarie e posti sotto controllo tutti i mezzi di comunicazione.
L’ammiraglio Eduardo Emilio Massera, “l’intellettuale” della prima giunta (1976-1981), ebbe l’onore di enunciare il nuovo paradigma:
“L’attuale crisi dell’umanità è da imputare a tre uomini. Verso la fine del XIX secolo, nei tre volumi del «Capitale» Marx mette in discussione l’intangibilità della proprietà privata; agli inizi del XX secolo, nel libro «L’interpretazione dei sogni» Freud attacca la sacra sfera intima dell’essere umano.
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Gaza: la sconfitta israeliana
di Saverio Vilar*
A sei mesi dall’inizio della guerra lampo di Israele su Gaza, l’intelligence militare dello stato occupante ha riconosciuto con riluttanza ciò che molti sospettavano: ottenere una vittoria decisiva su Hamas è un obiettivo irraggiungibile. Nonostante la retorica iniziale del primo ministro Benjamin Netanyahu di annientamento totale, la realtà sul campo racconta un’altra storia.
Tzachi Hanegbi, capo della sicurezza nazionale israeliana, aveva precedentemente dichiarato che Israele si sarebbe accontentato solo della “vittoria totale”. Eppure, come ha ammesso il portavoce militare Daniel Hagari il 18 marzo, Hamas continua a resistere “raggruppandosi intorno all’ospedale Al-Shifa nel nord della Striscia”.
Come ha sottolineato la scorsa settimana il consigliere per la sicurezza nazionale statunitense Jake Sullivan: “Israele ha ripulito Shifa una volta. Hamas è tornato a Shifa, il che solleva interrogativi su come garantire una campagna sostenibile contro Hamas in modo che non possa rigenerarsi e riconquistare il territorio”.
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L’Europa va alla guerra
di coniarerivolta
Il conflitto tra Russia e Ucraina pare impantanato in una sostanziale situazione di stallo che allontana sempre più l’ipotesi di una risoluzione militare degli eventi. I mesi passano, uno dopo l’altro e uno identico all’altro, con un portato di morte e distruzione che monta a dismisura. Nulla di tutto questo, però, pare scalfire la determinazione con cui le principali potenze occidentali perseverano nell’applicare all’Ucraina il principio del ‘vai avanti tu, che a me viene da ridere’, continuando a soffiare sulle braci di una guerra per procura.
Nonostante il martellamento incessante e a reti unificate della propaganda bellicista, però, l’opinione pubblica nei Paesi occidentali coinvolti a vario titolo nel conflitto mostra segni crescenti di fatica e insofferenza nei confronti di un mostro che sembra sfuggito di mano. C’è bisogno quindi di ravvivare il copione e provare, tramite la diffusione ad hoc di panico e irrazionalità, a rinfocolare la bellicosità della popolazione europea.
Il ruolo dell’agitatore è affidato, questa volta, a uno dei volti più scialbi e insignificanti della tecnocrazia europea, quel Charles Michel il cui mandato come Presidente del Consiglio Europeo è in scadenza e che quindi può essere mandato in avanscoperta e bruciato all’occorrenza.
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Ue-Russia, contro legge e logica
di Fabrizio Casari
Truppe, armi e propaganda, ma non solo. I soldi, non mancano mai i soldi. Quando si volesse cercare un elemento simbolico per descrivere la crisi d’identità politica e di prospettiva dell’Unione Europea, ormai estensione statunitense, c'è la vicenda del sequestro dei beni russi a seguito del conflitto in Ucraina. La vicenda in sé, infatti, presenta una miscela di subordinazione ideologica, illegittimità giuridica e incapacità politica facile da descrivere.
Il Consiglio d’Europa, riunito la settimana scorsa a Bruxelles per affrontare la questione degli ulteriori aiuti all’Ucraina - ovvero al prolungamento del suo martirio, che eviti la ritirata vergognosa sul piano politico già in atto sul terreno - si era trovata sul tavolo una idea nata nei corridoi della Casa Bianca, quindi furba dal punto di vista propagandistico ma bislacca da quello giuridico: mettere in vendita i beni russi e i depositi bancari sequestrati.
Come sempre accade nelle proposte statunitensi fatte alla UE, l’idea danneggia l’Europa ma favorisce, o comunque non penalizza, gli USA. Non a caso, è nella UE che sono stati sequestrati i due terzi dei capitali russi (200 miliardi di Euro) mentre tra USA, GB e Canada il totale dei sequestri non supera i 5 miliardi. Le conseguenze negative di una siffatta operazione, dunque, ricadrebbero tutte su Bruxelles. Vediamo quali.
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L'itinerario teorico-politico di Mario Tronti
Andrea Cerutti intervista Massimo Cacciari
“Caro Mario, le stelle di quel pensiero critico che ti ha sempre ispirato, non brillano più in questa povera Italia annichilita da un pensiero unico che ha fatto strame di ogni criticità. Siamo stati sconfitti, ma non per questo ti sei, ci siamo arresi o peggio ancora passati al nemico”. Così Massimo Cacciari aveva salutato l’amico di decenni. In questa intervista si è cercato di ricostruire per cenni un lungo e articolato itinerario teorico-politico che è anche la storia di un’“amicizia stellare”, a distanza ma prossimi, senza perdersi mai.
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Quando vi siete conosciuti con Tronti?
Ci conoscemmo all’incirca con l’inizio dell’avventura di classe operaia. Il primo del gruppo che io conobbi fu Toni Negri, stava a Venezia ed era oltretutto fidanzato con la sorella del mio migliore amico. E attraverso Toni ho poi conosciuto Mario, Asor, Coldagelli e, insomma, tutti quanti.
Mario era iscritto al PCI, si era formato in quel contesto di sezione di partito.
Ma questo non appariva. Toni Negri si era già separato dal partito socialista in cui aveva militato a Padova. E anche negli altri, quando li conobbi, compreso Tronti, non si avvertiva affatto questa origine. L’elemento critico nei confronti della sinistra tradizionale, del partito comunista, era radicale, fortissimo. La mia simpatia per questi personaggi derivava anche da questo.
Operai e capitale, l’opera di Tronti, si poneva in forte contrapposizione con tutta la tradizione gramsciano-togliattiana del PCI.
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Anni ’70. Sconfitti sì, pentiti no
di Ennio Abate
Ho letto negli ultimi giorni varie reazioni alla presa di posizione della filosofa Donatella Di Cesare in occasione della morte di Barbara Balzerani.I E mi sono chiesto perché noi ex della nuova sinistra torniamo sull’argomento del lottarmatismo degli anni ’70, anche quando siamo fuori gioco rispetto all’attuale svolgimento della lotta politica.
E mi chiedo anche perché i commenti su quelle vicende non riescono ad andare, ancora oggi, oltre la demonizzazione dei brigatisti e l’assoluzione dei governanti d’allora. Mi ha colpito anche che quanti hanno difeso almeno il diritto d’opinione della Di Cesare diano per scontato il giudizio negativo sul lottarmatismo (o terrorismo) ma tacciano su come lo Stato lo abbia vinto e abbia vinto anche le formazioni politiche della nuova sinistra (Avanguardia Operaia, Lotta Continua, Pdup, MLS) che il lottarmartismo criticarono. E, cioè, non accennino più ai danni subiti dalla democrazia italiana proprio da quella vittoria dello Stato.ii Ancora nel 2024, dunque, il dibattito non può uscire dall’oscillazione: compagni criminali o compagni che sbagliarono. (E a sbagliare oggi sarebbe la Donatella Di Cesare).
Non è in questione la competenza di chi ha preso posizione sulla vicenda, di letture fatte o non fatte, di conoscenza della letteratura sul fenomeno. Ce n’è stata tanta. E l’abbiamo tutti più o meno macinata. Il blocco più che cognitivo mi pare emotivo.
Siamo tuttora bloccati di fronte a un tabù. Troppo influenzati o sottomessi alla interpretazione autoritaria dei vincitori.
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Il popolo russo, Putin, la democrazia
di Piero Bevilacqua
Pensare con idee ricevute
E’ davvero stupefacente leggere o ascoltare intellettuali e studiosi democratici e di sinistra, talora di sinistra avanzata o radicale (cioè di sinistra, ma il termine è stato infamato dal cosiddetto centro-sinistra) che ancora oggi, dopo due anni di guerra in Ucraina, dopo tutte le rivelazioni di fonti americane, le ricostruzioni storiche dei precedenti che hanno preparato quel conflitto, continuano a ripetere lo slogan << la brutale invasione russa>>, <<l’occupazione violenta della Crimea>>, ecc. Gli stessi stereotipi e retoriche si ripetono per il massacro in corso nella martoriata Gaza. I combattenti di Hamas sono terroristi perché hanno ucciso civili israeliani con il pogrom del 7 ottobre (cosa, ahimé, terribilmente vera e ovviamente da condannare, ma non bisognerebbe mai dimenticare la storia che la precede e predispone) mentre i soldati di Israele che di civili palestinesi, e soprattutto di bambini, ne hanno ucciso e ne vanno ammazzando un numero spaventosamente superiore, restano soldati.Intendiamoci, la guerra è sempre un errore, è l’ingresso al più grande degli orrori. Quindi condanniamo quella scelta di Putin. Ma chi non riconosce che la Russia è stata trascinata in quel massacro è persona non informata dei fatti.
Svolgo le considerazioni che seguono non solo per il dispiacere che provo a sentire anche tanti amici e studiosi di valore ripetere queste espressioni che sono il calco della vulgata occidentale, ma perché ovviamente tale subalternità interpretativa all’informazione corrente indebolisce gravemente l’opposizione politica all’atlantismo, che ci chiama alla guerra, all’involuzione antidemocraitca dell’UE, frena l’azione a favore delle trattative e della pace.
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L’attentato di Mosca e la guerra senza limiti
di Maurizio Vezzosi*
Il tentativo di ricondurre l’attentato di Mosca a una macchinazione del Cremlino, oltre che di buon gusto appare privo di fondamento logico, mancando di spiegare in modo credibile per quale ragione e con quale obiettivo il governo russo avrebbe dovuto organizzare un attentato di certe proporzioni colpendo la propria popolazione.
Piaccia o non piaccia il consenso di Vladimir Putin è ai massimi storici, indipendentemente dal trascurabile e recente evento elettorale. Il quadro politico e militare non rende necessario alla dirigenza russa alcun nuovo “casus belli”: in qualunque momento Mosca può intensificare gli attacchi sul fronte ucraino o avviare nuove manovre attive.
L’attentato di venerdì scorso si spiega con il proposito di spaventare la società russa, intimorirla, dividerla e disorientarla con la classica logica del terrorismo: colpire indiscriminatamente affinché ogni individuo si percepisca in pericolo insieme ai propri cari e affinché la società finisca addossare la responsabilità degli eventi alla dirigenza del paese.
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Gli ucraini forzati a combattere da agenzie private pagate con soldi occidentali
di comidad
Anche il più orribile dei crimini, come il genocidio a Gaza, può essere un espediente per distrarre da qualcos’altro, magari da qualche orribile segreto. Peccato che sia la stessa propaganda israeliana ad aver lasciato tracce di quel segreto.
Dieci anni fa uno dei principali organi della lobby israeliana, la Anti-Defamation League, pubblicava un lungo articolo in cui ci si intratteneva con la descrizione della minaccia costituita dai tunnel di Hamas al confine tra Gaza e Israele. L’IDF (Israeli “Defense” Force; Israele si difende sempre, specialmente quando ammazza i bambini) aveva scoperto che uno di quei tunnel sbucava addirittura nel vano mensa di un kibbutz. L’articolo si concludeva con un’amara riflessione sulla cattiveria di Hamas che, invece di pensare ai bambini di Gaza, spendeva i suoi soldi per scavare tunnel con cui minacciare Israele (e pensare che questo slogan Corrado Augias ce l’ha propinato di recente come una propria ponzata). Il punto è però che la narrazione dell’Anti-Defamation League di dieci anni fa smantella la narrazione attuale sui fatti del 7 ottobre come un “pogrom”.
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Educazione e violenza: parliamone (con Foucault e Michelstaedter)
di Jacopo Barusso
Visione comune
Nella visione comune educazione e violenza rappresentano i poli opposti di una questione le cui origini sono archetipiche. Il rapporto da esse intessuto può infatti essere ricondotto a quello tra civiltà e barbarie. L’educazione – si dice – è strumento della civiltà, educhiamo e siamo educati per essere civili. Già l’etimo lascia, apparentemente, pochi spazi ermeneutici, data l’origine dal latino educere, ex-ducere: condurre, tirare verso l’esterno, insomma strappare dall’ignoranza per condurre entro i sicuri confini della civiltà. La violenza sarebbe allora tipica dei barbari o, alla peggio, di frange “anarcoidi” o non del tutto allineate, che abitano la società ma ne rifiutano alcuni princìpi. Insomma l’educazione ci porterebbe via da uno stato “di natura” barbaro, se non animalesco perlomeno minoritario, soppiantato dalla cultura. Sembra dunque stagliarsi la celebre opposizione tra società e natura, dove alla seconda non è però concesso alcun idealismo romantico di sorta.
La violenza dell’educazione
Eppure, se disposti a rimettere in gioco le convinzioni comuni in merito a educazione e violenza, il rapporto può essere totalmente stravolto, mostrando una relazione del tutto peculiare:
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La sinistra nel pantano dell’elettoralismo
di Marco Morra[1]
La crisi di Unione Popolare
Sono passati diciotto mesi da quando Unione Popolare (UP) fu lanciata dai partiti Democrazia e Autonomia (DeMa), Rifondazione comunista (PRC), Potere al popolo (PAP) e da Manifesta, la componente alla Camera delle ex deputate del M5S, Silvia Benedetti, Yana Chiara Ehm, Doriana Sarli, Simona Suriano. La coalizione, nata in occasione delle elezioni politiche del 2022, pretendeva di essere qualcosa di più dell’ennesimo cartello della sinistra radicale destinato a non sopravvivere all’ennesima sconfitta elettorale. Un progetto strategico capace di indicare, a partire da obiettivi politici e rivendicativi unificanti, una prospettiva di ricomposizione delle forze alla sinistra del PD.
È bastato poco, tuttavia, perché questa prospettiva mostrasse le prime crepe profonde. La proposta di una lista elettorale più attrattiva avanzata da Michele Santoro e Raniero Della Valle lo scorso settembre e diventata realtà il 14 febbraio. Una lista, o meglio, un movimento “per portare al centro della campagna elettorale per le europee la parola pace”, secondo le dichiarazioni di Santoro. «Pace, terra, dignità», poche, semplici parole d’ordine per unificare il campo pacifista e riavvicinare gli elettori delusi dalla politica, intorno a un tema, la guerra, considerato la radice di tutti i mali, dalle migrazioni alla crisi climatica alla mancanza di politiche sociali.
Il progetto ha sin da subito rapito l’attenzione di alcuni dei principali leader di Unione Popolare. Il suo portavoce, Luigi De Magistris, si è espresso a favore di una lista unitaria che potesse “superare la soglia di sbarramento”, impegnandosi nella ricerca di una mediazione soddisfacente per tutte le componenti di UP. Maurizio Acerbo, invece, segretario del PRC, ha operato una netta forzatura rispetto alle valutazioni ancora in corso nella coalizione, schierandosi a favore della più ampia convergenza tra le forze che hanno assunto “posizioni coerentemente contro la guerra”.
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Dal mondo unipolare verso un mondo multipolare
di Enrico Vigna*
Da alcuni anni il mondo è mutato e si stanno trasformando gli equilibri e le architetture geopolitiche, economiche e strategiche mondiali. Una mutazione veloce, quasi debordante, che procede tuttora a un ritmo incalzante. I vecchi equilibri/relazioni/alleanze fra le potenze mondiali e i rispettivi campi di influenza, vengono bruscamente rimessi in discussione sul piano militare, politico, economico, culturale e persino spirituale. Piaccia o meno, la storia ci presenta questa situazione. Come evolverà o si svilupperà o regredirà saranno, come sempre, la storia e i fatti a sancirlo. Ma negare ciò che sta avvenendo o sottovalutarlo equivale, oggettivamente, a vivere fuori dalla realtà o in dimensioni autoreferenziali dottrinarie; nel contempo, si tratta di non idealizzare o rendere idilliaco un processo che è storico e materiale, quindi suscettibile ed esposto, nei suoi passaggi, a continue modifiche, limiti, contraddizioni o reversibilità oggettive.
Dalla seconda metà del XX secolo fino al 1989, il mondo ha vissuto un’era bipolare, con due campi: da una parte l’Urss, i Paesi socialisti, ma in questo campo rappresentato dall’Urss, va ricordato, vi erano collocati, spesso in modo non formalizzato od organico, i tre quarti dell’umanità (movimento non allineati, i Paesi liberatisi dal colonialismo, i movimenti o fronti antimperialisti in lotta, o Paesi come la Francia che, in difesa della propria indipendenza, non aderiva alla Nato. Dall’altra parte, il blocco Usa/Nato con i Paesi subalterni atlantisti.
Questa fase storica si concluse con la distruzione e dissolvimento dell’Urss e del suo campo, a inizio anni ‘90, ed è stata, di fatto, un’era unipolare, esauritasi da poco.
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J.-P. Sartre e la tragedia di Oreste nel Novecento
di Fernanda Mazzoli
Una prima proposta di approfondimento rivolta a quanti – muovendo dalla lettura di «Les mouches» – siano interessati a sviluppare un dialogo per aprire un varco nell’odierna soffocante cappa culturale-politica che asfissia intelligenze e coscienze
Da Argo a Parigi la strada è lunga, gli inciampi numerosi e le deviazioni di percorso ancora di più. Gli dèi dell’Olimpo scompaiono, le vendette scolorano, madri e sorelle invecchiano, perdendo cupa grandezza e trepida pietà. Eppure, Oreste continua il suo viaggio, sospinto dalle Erinni e da troppi interrogativi irrisolti, e una sera del giugno 1943 calca le scene di un teatro parigino, vestendo i panni del protagonista nel dramma di Sartre Les mouches. Fuori, un altro dramma tiene avvinta la città: l’occupazione nazista.
Duemila anni e più di cammino lungo le vie della cultura occidentale lo hanno non poco segnato: ha perso qualche radice e non poche convinzioni e più che cercare gli assassini del padre sta cercando se stesso, ma per potere dire sono deve prima di tutto fare e dunque è alla ricerca di un’azione e dal momento che tutt’intorno e anche dentro il teatro ci sono i Tedeschi, allora non può che uccidere Egisto, usurpatore del trono di Agamennone.
È così che, nel quadro narrativo offerto dal mito, nell’opera sartriana filosofia e politica si mescolano e si compenetrano, lasciando aperte tante questioni che ancora oggi, anzi oggi più che mai, ci incalzano. La stessa impasse su cui si conclude il testo offre un fertile terreno alla ricerca.
La breve presentazione che segue non pretende di essere uno studio critico, e tanto meno esaustivo, della pièce del filosofo e scrittore francese, quanto, piuttosto, di stimolare l’approfondimento di alcuni temi che, a partire da Les mouches, investano diverse sensibilità culturali e campi del sapere.
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Parola a Sahra Wagenknecht: un’intervista
di Redazione
Vi proponiamo il contenuto di un’intervista uscita oggi sul Corriere della Sera a firma di Mara Gergolet.
* * * *
Sahra Wagenknecht: «Ue troppo centralista, l’Ucraina non può vincere. È vero che molti elettori della vecchia sinistra sono andati a destra, non perché razzisti o nazionalisti, bensì perché insoddisfatti» Ha fondato un partito che porta il suo nome, perché – sostiene – il principale problema dei progressisti europei è che «la loro clientela oggi è fatta di privilegiati». I detrattori la accusano di essere populista, ma il partito cresce e in alcune regioni dell’Est è la seconda o terza forza. Abbastanza da poter rompere gli equilibri della politica tedesca.
Insomma, è diventata un fenomeno. Ci accoglie nel suo studio, con i colleghi del polacco Gazeta Wyborcza e del francese La Croix, alle 18. Sulla porta è ancora appesa la targa del suo precedente partito, la Linke. Tailleur rosso, orecchini d’argento che si muovono come piccoli pendoli quando non è d’accordo, accentuando il dissenso, il ginocchio scoperto come davanti alle telecamere. Si conferma quel che sembra in tv: a metà tra una ieratica figura anni Cinquanta e un’attrice austera, dal fascino naturale, dotata di compostezza, controllo e dialettica superiori: non a caso nei dibattiti tv spesso domina su tutti.
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Europa 1914 – 2024. Di nuovo i sonnambuli?
di AntonGiulio De' Robertis
Alla vigilia della Prima guerra mondiale il sentimento dominante in Europa, il “topos”, era quello della improbabilità della guerra. Un sentiment che le spregiudicate prese di posizione di molti governanti europei tendono a riproporre
In queste settimane si è tornati a parlare di un libro del 2013 di Christopher Clark sulla genesi della prima guerra mondiale, “I Sonnambuli. Come l’Europa arrivò alla Grande Guerra”, nel quale i leader che portarono i loro paesi in guerra vengono definiti sonnambuli. Cioè attori che incedevano irresistibilmente verso una meta di cui non erano pienamente consapevoli.
Lo studio analizza la dinamica che portò allo scatenamento della Grande Guerra da parte di paesi le cui società, fino ai più alti vertici, rimasero legate fino all’ultimo al topos della “improbabilità della degenerazione” in un conflitto generale della pur grave crisi Austro-Serba.
Oggi la guerra russo-ucraina rischia di provocare una dinamica analoga perché per tutta la seconda metà del 900 e i primi decenni di questo secolo ha dominato la convinzione diffusa, cioè il topos, della impossibilità di un conflitto fra potenze dotate di armi nucleari per l’enormità delle distruzioni che essa comporterebbe e alle quali non sfuggirebbe neanche l’ipotetico vincitore.
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Belgrado 25 anni dopo: Gaza, attentato di Mosca, pacifinti, Assange, stato di polizia
di Fulvio Grimaldi
Paolo Arigotti intervista Fulvio Grimaldi per “Spunti di riflessione”
Il ringhio del bassotto: Belgrado, 25 anni dopo (con Fulvio Grimaldi)
https://www.youtube.com/watch?v=KkCLVOAsvJk
A Belgrado, quando l’Europa ha mutilato se stessa per la voglia USA di sfondare la porta jugoslava, e poi serba, verso l’Eurasia.
All’ONU un voto che sembra per una tregua Gaza, ma è per salvare la pelle al mostro bellicista nelle elezioni che devono sancire la guerra degli isolani anglosassoni ai continenti-mondo.
A Londra, magistrati di una corte che definiscono alta (High Court), ma che si sa popolata da cortigiani al servizio del sovrano, hanno ripetuto il rito col quale se l’erano cavata tempo fa: richiesta agli USA di fornire garanzie su alcuni punti sollevati dalla difesa di Julian Assange con riferimento al trattamento praticato dagli USA sui propri carcerati (vedi Guantanamo, Abu Ghraib, Alcatraz….). Assicurazioni già richieste e a suo tempo ottenute.
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Terza Guerra Mondiale? Attenzione al fattore “disperazione”
di Giulia Bertotto
“Terza guerra mondiale?” è la domanda che ci stiamo facendo da diverse settimane e “Il fattore Malvinas” è la risposta, -anzi l’incognita- che si sono dati Daniele Burgio, Massimo Leoni, Roberto Sidoli (“Terza guerra mondiale? Il fattore Malvinas”, L’AD Edizioni 2024) in un’ordinata e dettagliatissima analisi sulla convivenza con la consapevolezza atomica dal 1945 a oggi; un libro francamente irrinunciabile se non si vuole rischiare di saltare in aria senza almeno aver compreso come siamo arrivati a questo punto.
I fatti raccontati si sono succeduti mentre i due grandi blocchi atlantico e russo detenevano questa forza devastante, innanzitutto l’espansione della NATO verso Est dopo la Caduta del Muro, le promesse fatte a Gorbaciov mai mantenute e anzi le provocazioni imperialiste con le sue esercitazioni alle periferie di Mosca e le continue adesioni al Patto Atlantico.
1945-2024. Gli USA al governo del mondo: dai microbi allo spazio (anche virtuale)
Dal 1945 a oggi l’America ha sempre guardato fisso l’obiettivo di conservare il proprio dominio finanziario, la supremazia militare, l’egemonia ideologica sul mondo intero, impedendo la crescita di potenziali economie rivali e competitori bellici.
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Il bello e il brutto del brutto
di Sebastiano D'Urso
Nel complesso panorama contemporaneo di visioni e previsioni distopiche non poteva non irrompere il brutto. È stato ed è sempre lì in agguato, pronto a imporsi a tutti noi. Tuttavia, non si tratta del solito brutto a cui fanno riferimento gli esteti e le estetiche di ogni epoca e luogo. Non è l’amorfo che banalizza l’immagine della realtà che ci circonda. Non è l’anarchico che si contrappone o se ne frega dello stile, o del sedicente tale, della propria epoca. Neanche l’arabesco, esotismo importato spesso per soddisfare gusti momentaneamente stravaganti. Non è l’arbitrario di chi si crede più importante degli altri tanto da far quel che vuole. Non è l’asimmetrico che irrompendo nella realtà la contraddice e la rappresenta allo stesso tempo. Non è l’assenza di carattere che, quando è molto diffusa diventa, al contrario, caratterizzante. Non è neanche il banale contrario di quella originalità tanto ricercata e poi ostentata da risultare forzata. Non è il buffo che trova il giusto riscatto nell’ilarità che provoca. Né il camp che fa dell’esagerazione la cifra della sua affermazione. Nemmeno il caricaturale che deformando la realtà concorre a costruirne le fattezze.
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Cibernetica o barbarie!
di Stefano Borroni Barale*
Dal n. 6/2024 di “Collegamenti per l’organizzazione diretta di classe” pubblichiamo questo articolo di Stefano Borroni Barale con importanti proposte di lotta per il mondo della scuola
Rifiutare la formazione obbligatoria è un poderoso primo passo. Siamo pronti per il successivo?
“Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria.” – Filippo Tommaso Marinetti, “Manifesto del Futurismo”, 1909
La transizione digitale (1) a marce forzate, iniziata con lo stanziamento l’anno scorso di 2,1 Miliardi di euro per l’acquisto di laboratori e aule “digitali” entra ora nel vivo, con un programma di formazione dei docenti mastodontico. È la fase che l’ex Ministro Bianchi aveva definito “riaddestramento” del corpo docente (2). Per fortuna questo passaggio sembra risvegliare almeno una minoranza di docenti dal loro torpore: giungono echi di ribellione da alcuni collegi docenti (quello del Liceo Socrate, così come dell’IIS Di Vittorio Lattanzio, a Roma), che fortunatamente hanno rigettato il programma di formazione al digitale previsto dal D.M. 66.
L’impressione, però, è che manchi ancora una visione d’insieme, anche tra queste minoranze critiche. Certo, abbiamo compreso che i piani di formazione ministeriali (Piano Nazionale Scuola Digitale – PNSD e Piano Scuola 4.0, per citare solo gli ultimi) hanno dell’innovazione tecnologica un’idea talmente antidiluviana che vi si possono scorgere elementi di una retorica “neo-coloniale”, quella che poneva al centro l’uomo bianco, maschio e cristiano pronto a salpare per conquistare e sottomettere la natura selvaggia e incolta grazie alla forza della tecnologia, portando –grazie a questa– la civiltà “in salsa digitale”.
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Giulia Bertotto: Terza Guerra Mondiale? Attenzione al fattore “disperazione”
Daniele Luttazzi: Al NYT hanno scoperto che gli “stupri di massa” erano solo propaganda
Rostislav Ishchenko: Il problema russo non è sconfiggere l’Occidente ma cosa farne dopo
Fabio Mini: Il pantano dell’ultimo azzardo e i trent’anni contro la Russia
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Piccole Note: Ucraina. Gli Usa e la guerra decennale
Carlo Rovelli: Dissenso, élites e "anelare alla dittatura"
Big Serge: Guerra russo-ucraina: l’alluvione
Stefania Fusero: La disabilità del male
Adam Entous e Michael Schwirtz: Come la Cia ha preso possesso dell'Ucraina golpista
Enrico Cattaruzza: Il male nel giardino di Höss. “Zona di interesse” di Jonathan Glazer
Konrad Nobile: La Grande Guerra in arrivo: non "se" ma "quando"
Piccole Note: Ucraina, la guerra persa. Senza proiettili e senza uomini
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Fabio Mini: La “controffensiva” è un fumetto di sangue
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Joseph Halevi: L’inflazione è da profitti
Andrea Zhok: I quattro indizi che in occidente qualcuno lavora per il "casus belli" nucleare
Wu Ming: Non è «maltempo», è malterritorio. Le colpe del disastro in Emilia-Romagna
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Emmanuel Todd: «Stiamo assistendo alla caduta finale dell'Occidente»
Alessandro Bartoloni Saint Omer: Oltre "destra" e "sinistra" di Andrea Zhok
Alberto Fazolo: Il 24 giugno a sgretolarsi è stata la propaganda sul conflitto in Ucraina
Andrea Zhok: Le liberaldemocrazie bruciano nei cassonetti
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Alessandro Avvisato: Prigozhin in esilio. Il “golpe” finisce in “volemose bene”
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Guido Salerno Aletta: La Germania si ritrova sola di fronte ai prezzi impazziti
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Mario Lombardo: Ucraina, i droni e la controffensiva
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Redazione: Guerra in Ucraina: quando gli anarco-comunisti collaborano coi fascisti…
Giacomo Gabellini: Le conseguenze del crack di First Republic Bank sul sistema bancario Usa
Franco Romanò, Paolo Di Marco: La dissoluzione dell'economia politica
Qui una anteprima del libro
Giorgio Monestarolo:Ucraina, Europa, mond
Andrea Cozzo: La logica della guerra nella Grecia antica
Qui una recensione di Giovanni Di Benedetto
Moreno Biagioni: Se vuoi la pace prepara la pace
Qui una presentazione del libro