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lacausadellecose

Ceto medio e suo movimento in questa fase

di Michele Castaldo

mondi 1024x678aPrendo spunto da un commento di Dino Erba, «I “nuovi marxisti” alla (ri)scoperta delle “nuove” classi medie», al libro di Bruno Astarian e Robert Ferro, per tornare su un punto teorico e politico di un certo interesse: il ruolo del ceto medio in questa fase. Se i comunisti d’oggi cercassero di analizzare i fatti per come essi parlano, capirebbero molto di più delle loro strampalate analisi ideologiche.

Non conosco il lavoro di Astarian e Ferro, ma dal commento di Dino Erba c’è materiale a iosa per riflettere sul fenomeno del movimento del ceto medio, che fa parlare di sé in questa fase. Faccio un’avvertenza obbligata: qualcuno ha scritto che «è pesante da digerire l’esasperato oggettivismo del Castaldo». Lo credo bene, e dal momento che non ho cambiato metodo e impostazione, si può anche non continuare a leggere il presente contributo.

Procedo per punti per rendere più agevole il punto di vista:

A. La polemica tra Bernstein, Kautsky e Rosa Luxemburg sul ruolo del ceto medio del tempo che fu c’entra in questa fase come il cavolo a merenda semplicemente perché allora il modo di produzione capitalistico era in fase ascendente, mentre oggi lo stesso movimento è in una crisi che possiamo definire definitiva dagli esiti sconosciuti, ma certamente catastrofica. Sicché se un movimento sociale storico cresce, in esso e con esso si sviluppano tutte le componenti che la forza delle sue potenzialità esprimono. Se decresce espelle una parte del proprio creato. È un concetto semplice, si direbbe lapalissiano.

B. Le loro posizioni: gradualismo riformista di Bernstein e Kautski da una parte e gradualismo rivoluzionario di Rosa Luxemburg, non sono per niente applicabili all’attuale fase perché il proletariato non è in grado in nessun modo – come ipotizzato da Bernstein – di sfociare verso il socialismo, da un lato, e dall’altro lato era ideologica la posizione della Luxemburg che ipotizzava la lotta riformista del proletariato per educarsi al fine cui avrebbe dovuto mirare, cioè la rivoluzione socialista.

C. A monte delle nostre difficoltà, cioè di tutto il movimento ideale del comunismo, c’è l’errore teorico presente fin dal Manifesto di Marx-Engels, ovvero di ritenere che il soggetto della storia siano state e sono le classi sociali piuttosto che il movimento del rapporto degli uomini con i mezzi di produzione, che genera le classi.

D. Di conseguenza ci troviamo ancora oggi a discutere del ruolo delle classi ed a collocarle secondo uno schema che si perde nei meandri del modo di produzione e delle sue fluttuazioni, e per questa ragione non riusciamo a venirne a capo.

E. Nessuno – neppure Marx e Engels – è mai riuscito a spiegare in base a quali leggi il proletariato avrebbe dovuto abbattere il capitalismo. Perché è sfruttato? E che vuol dire? Questa sola ragione non è – materialisticamente – una forza valida e sufficiente per spingerlo alla rivoluzione. Tant’è che non lo ha mai – e ripeto mai – spinto. Poi ci possiamo raccontare la storia a nostro comodo, ma i fatti sono fatti e la storia, quella vera, segue il suo corso.

Veniamo brevemente ad alcune note di merito rispetto a quello che scrive Dino Erba.

Il ceto medio, cioè l’insieme di un mondo che è composito, riferendoci per esempio sia a quello produttivo che commerciale – l’artigiano e piccolo imprenditore, da un lato, e il bottegaio o negoziante, dall’altro lato, giusto per capirci – cresce e si sviluppa a macchia d’olio col crescere, a macchia d’olio, del modo di produzione capitalistico. Insomma: se cresce l’industria della lavorazione dei pellami nasce e cresce il laboratorio della pelletteria; se cresce l’industria pesante nasce e si sviluppa la piccola azienda meccanica; se cresce e si sviluppa l’artigianato delle calzature a un certo punto si sviluppa la grande industria calzaturiera. Se si scopre un minerale da utilizzare come carburante nasce e si sviluppa l’industria automobilistica e con essa tutto l’indotto. Siamo cioè in presenza di un movimento del rapporto dell’uomo con i mezzi di produzione. Altrimenti detto: l’artigianato genera la grande industria e questa riproduce l’indotto, ovvero la piccola o piccolissima impresa. Si sviluppa altresì l’apparato burocratico dello Stato e con esso il ceto parassitario di affaristi. Si sviluppa l’apparato accademico e scientifico e con esso intellettuali e scienziati. Si estende la religione e con essa la grande gerarchia del clero e via dicendo.

Ora, attraverso lo sviluppo di nuove tecnologie l’artigianato è destinato ad assottigliarsi sempre di più. Sicché il suo ruolo non è più definito, di conseguenza non può essere “sballottato” tra la borghesia e il proletariato, secondo una certa impostazione “marxista”, e diviene una variabile impazzita perché non ha un ruolo stabilizzato nel modo di produzione capitalistico. Che esso possa schierarsi dalla parte del proletariato, o in modo proletario, è una fantasia “marxista” priva di ogni logica materialistica, e la lotta dei Gilet gialli in Francia, come la comparsa governativa del M5S in Italia, o l’exploit della Lega salviniana, giusto per stare al presente, lo dimostrano in maniera chiara. Sicché chi scrive di questa possibilità è legato a uno schema ideologico, e per di più privo di ogni valore materiale, perché le classi non sono un fenomeno statico sempre uguale a sé stesso, ma vengono continuamente modificate dal processo produttivo, e in certi casi addirittura estinte perché sono superate le loro funzioni.

Lo stesso dicasi per il ceto medio commerciale, cioè la bottega, il negozietto, questi vengono fatti fallire dalla grande distribuzione, non ci vuole una laurea particolare per capirlo, e finiscono – come il ceto medio produttivo – col divenire un’altra parte di quella variabile impazzita che si scaglia contro tutto e tutti, in alcuni casi, come in Italia insieme a quello produttivo, hanno costituito in certi casi il movimento dei forconi.

Stessa dinamica per un certo mondo contadino – difeso dagli altermondialisti contro la globalizzazione – che sbattono con la testa al muro e sono lontani dal proletariato più di quanto sia la terra dal sole.

Se i “marxisti” anziché ragionare ideologicamente riflettessero su come la storia si è sviluppata, capirebbero che il povero Lenin puntava a mettere insieme, in un unico fronte, i contadini (poveri) e gli operai, solo perché insieme avevano i calli alle mani, e si incasinò a tal punto da non capirci più niente, proprio perché in lui non era chiaro il fatto che mentre il contadino (anche povero o poverissimo) puntava a divenire un piccolo capitalista, a sviluppare l’accumulazione ecc,., l’operaio cominciava a organizzarsi per contrattare collettivamente la propria forza lavoro, ma consapevole di essere – in rapporto al capitale – come i girasoli che guardano il sole, (consiglierei a riguardo la lettura di un bellissimo romanzo storico di Stefan Heym, 5 giorni in giugno, sulla rivolta operaia del 1953 nella Germania dell’Est, dove emergono con chiarore tangibile tutte le contraddizioni che l’ideologismo produsse). Lenin si era educato alla scuola della socialdemocrazia tedesca, ovvero ad una impostazione tutta ideologica, e dovette modificare continuamente il suo pensiero e la sua azione nello svolgersi degli eventi. Sicché fu vittima e non artefice degli eventi, in positivo e in negativo, contrariamente a quanti affermano il ruolo importante delle personalità nella storia e assegnano ad esse la responsabilità delle sconfitte.

C’è poi il ceto medio parassitario per eccellenza, quello dei professionisti, dei funzionari ministeriali, delle alte gerarchie del clero ecc., strutturalmente reazionari. Nella crisi lo diventano ancora di più, ma hanno, purtroppo, mille agganci col potere economico ragion per cui una parte di essi (la selezione non guarda in faccia a nessuno) riescono sempre a salvarsi; beninteso, finché tiene l’insieme del modo di produzione capitalistico, un’altra parte “va ai giardinetti”, come si dice a Roma, ovvero a ingrossare le file del cosiddetto esercito industriale di riserva.

Veniamo al ceto medio acculturato, intellettuale ecc.

Questo settore è attaccato dalla crisi come gli altri settori per una ragione molto semplice: in modo particolare in Occidente e dall’Occidente non si estendono più le macchie d’olio, anche o forse soprattutto per la crescita capitalistica in aree prima dominate dal colonialismo, e la promessa degli anni ’80 di una nuova apoteosi del capitalismo occidentale lo ha deluso e reso rancoroso. Basta osservare personaggi come Alessandro Di Battista per capirlo. Mentre il buffone Grillo è passato dal “vaffanculo tutti”, al “va bene chiunque”, destra, centro e sinistra. Altro che Democrazia Cristiana e Partito Socialista di un tempo, qui siamo alle puttane di estrema periferia, senza offesa per le puttane.

Ora, è vero quello che scrive Dino Erba sul rapporto diretto tra il proletario e il capitalista, da un lato, e il ceto medio, dall’altro, ovvero che mentre nel primo caso il rapporto è D-M-D’ (cioè denaro-merce–denaro aumentato), nel secondo caso è M-D-M (cioè merce-denaro-merce), ma questo schema ricalca l’impostazione che vuole assegnare al proletariato il ruolo di classe rivoluzionaria, che è tutto da dimostrare. Così facendo, hanno buon gioco gli scopritori di nuovi soggetti, quelli che vedono chi in questo momento muove il culo, cioè il ceto medio, mentre il soggetto “vero”, il proletariato, è fermo ai box e avvinghiato al capitalista e si sposta a destra, almeno a considerare quello che avviene in Occidente, si sposta cioè con il proprio capitalismo nazionale, sovranista, cioè in concorrenza con altre frazioni di proletari e altrettanti capitalisti.

Ora, chi vede il ceto medio come un nuovo o il nuovo soggetto della rivoluzione sta fuori dalla storia semplicemente perché non è in grado di capire che mentre il proletariato guarda al capitale come il girasole guarda il sole e con esso aspira a mantenere un ruolo di complementarietà capitalistica, il ceto medio è composito e non potrebbe in alcun modo ritrovare un’unità d’intenti proprio perché le sue necessità sono molteplici e spesso addirittura confliggenti al suo interno. Lo specchio di queste contraddizioni è ben rappresentato dal M5S in Italia, ma anche dal movimento dei Gilet gialli in Francia. Venendo meno i ruoli che fino ad oggi hanno avuto divengono una variabile impazzita con un programma economico a ventaglio senza nessuna possibilità di costituire un polo aggregato di programma minimo né di opposizione ed ancor meno di governo. La sua parola d’ordine “né di destra né di sinistra” rispecchia esattamente il ventaglio delle posizioni che possono essere rappresentate tanto dalla destra, come è stato dimostrato dal governo con la Lega, quanto dalla “sinistra”, come l’attuale governo Conte col Pd. Si tratta di una vera e propria barca alla deriva per cui va bene qualsiasi appiglio. Basta osservare con la dovuta attenzione le nuove formazioni politiche che sorgono a seguito dei nuovi movimenti sociali in Europa per rendersene conto.

Tutto questo se ci riferiamo all’Europa o agli Usa, diversamente si pone la questione per i paesi che si sono sottratti al dominio coloniale e rivendicano un ruolo paritario nel modo di produzione capitalistico in modo particolare per quei paesi ricchi di materie prime come il sud America, il nord Africa e il medio Oriente,

In questo caso succede che la conquista della pari dignità nel modo di produzione capitalistico richieda una centralizzazione delle risorse e così facendo si castiga proprio il ceto medio, come per esempio è successo in Venezuela; scatta così la ribellione e si appellano all’Occidente per essere liberati dal “dittatore”. Nel Cile del 1972 diedero la stura al colpo di stato contro il legittimo governo di Salvatore Allende.

In nord Africa e Medio Oriente mentre le classi medie sono in subbuglio contro la corruzione proprio perché rivendicano una posizione di prestigio nel nuovo corso del proprio paese nel modo di produzione capitalistico, le classi meno abbienti alternano scoppi improvvisi di rivolte, come ultimamente in Iran, a periodi di stasi sociale.

Per tornare alla questione teorica accennata da Dino Erba, va detto che già in Russia subito dopo la rivoluzione del 1917 i bolscevichi furono criticati da Rosa Luxemburg perché vietarono lo sciopero degli impiegati della Pubblica Amministrazione, delle Poste e delle Ferrovie, perché il paese era ridotto in macerie a causa della guerra. Allora si imponeva la centralizzazione delle risorse per la ricostruzione, oggi nei paesi occidentali si impone il castigo del ceto medio attraverso la centralizzazione per reggere alla concorrenza internazionale, proprio dei paesi emergenti asiatici e africani. Altrimenti detto: è la concorrenza a farla da padrona ed a trascinare Stati e governi a misure estreme che aumentano sempre di più il caos.

Avranno un ruolo rivoluzionario le classi medie in questa fase del modo di produzione capitalistico? La domanda è mal posta perché il ruolo rivoluzionario lo ha la crisi del modo di produzione che procede a sbalzi fino ad un punto di caduta definitiva; sicché il soggetto è il modo di produzione capitalistico. L’azione delle classi medie è sabbia che il modo di produzione stesso mette nel suo motore. Pertanto chi rincorre il soggetto della rivoluzione in questa o quell’altra classe porta a spasso la fantasia.

Ma cosa nasconde la scoperta del ceto medio di Bruno Astarian e Robert Ferro? La vecchia illusione soggettivistica secondo la quale una diversa direzione politica del movimento lo può condurre in direzione diversa. Si tratta così un movimento sociale alla stregua di un cavallo al quale basta mettere la cavezza e dirigerlo secondo i propri desideri. Una illusione che dovettero bruciare Lenin, Bucharin e Stalin nei confronti dei contadini; Trocky nei confronti della seconda guerra mondiale con la costituzione della IV Internazionale, il gruppo dirigente della Germania dell’est nel 1953 di fronte alla rivolta operaia; il povero Mao che predicava l’equilibrio tra città e campagna e comuni industriali-agricole fu messo in fuga dal gatto Den Xiao ping, e il Pci in Italia che pensava di attrarre il ceto medio e fu da esso attratto e distrutto.

Purtroppo certi “marxisti” amano fantasticare, chi glielo può impedire?

Comments

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Franco Trondoli
Thursday, 16 January 2020 19:46
Grazie Caro Michele #9, I tuoi articoli e risposte sono sempre molto belli e chiari. È vero: il Capitalismo non ingloba in pancia un nuovo modo di produzione. Purtroppo una cosa così semplice non viene capita da quasi tutte le persone di "sinistra", siano essi anche valenti studiosi o no. E' quello che diceva Brecht; il semplice che è difficile a farsi. Pensiamo a quanti disguidi e incomprensioni ha generato questo fatto !. Come quello che crede che sia la proprietà dei mezzi di produzione a definire un modo di produrre anziché un altro. Delle "battaglie" ,teoriche e pratiche, tragiche ed epocali ,per chiarire questi due semplici concetti. Peccato. Un Abbraccio Caro Michele, sono contento quando leggo i Tuoi articoli. Ciao ! Franco
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Michele Castaldo
Thursday, 16 January 2020 18:49
Caro Franco,
dici bene: l'implosione non è un colpo di fulmine improvviso, è anch'esso un processo lento o che subisce delle improvvise accelerazioni.
Cosa vuol dire controtendenza? E' una domanda molto complicata perché il capitalismo a differenza delle società aristocratiche non ingloba in pancia il nuovo modo di produzione. E' questa la differenza fondamentale col comunismo. Perché mentre il capitalismo genera dalle sue viscere una classe dominante nel nuovo modo di produzione che però matura in esso, come dimostrò la rivoluzione francese, il comunismo si svilupperà dall'abolizione delle classi che sono in esso complementari. Sicché mentre nelle società aristocratiche, che decadono, la terra può passare da una proprietà a un'altra, da un pomescico a un borghese, come successe durante la rivoluzione francese, la fabbrica è un combinato disposto in cui convergono - con ruoli diversi - tre componenti: il capitalista, il proletario e i mezzi di produzione. Il nemico non è il capitalista, come erroneamente si è scritto da più parti, no, è l'insieme delle tre componenti che formano il capitale. Sicché per comunismo non possiamo intendere lo spossessamento dei mezzi di produzione da un padrone individuale a un padrone collettivo. Non è possibile perché quello che definisce il modo di produzione capitalistico non è la proprietà dei mezzi di produzione ma l'insieme del meccanismo.
Cosa bisogna perciò intendere per controtendenza?
Ti rispondo con le parole di Rosa Luxemburg: non possiamo atteggiarci da osti che prescrivono la ricetta per la storia; possiamo - e dobbiamo aggiungo - solo criticare e avversare il modo di produzione capitalistico e i suoi meccanismi infernali che provocano continui disastri contro la maggioranza dell'umanità e del suo rapporto con la natura.
Se osserviamo attentamente quello che sta accadendo, negli ultimi trent'anni in modo particolare, possiamo notare che stanno venendo al pettine tutti i nodi sociali e ambientali. Quì e là, in modo non sincronico e non omogeneo si sviluppano in modo disordinato movimenti contro tutto ciò che di negativo questo sistema ha prodotto e continua a produrre. Ecco, questa la possiamo definire controtendenza in atto contro il modo di produzione capitalistico. Ci saranno accelerazioni e rallentamenti, ma è una tendenza contro la quale il capitalismo non è in grado di opporre una controtendenza.
Michele Castaldo
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Franco Trondoli
Monday, 13 January 2020 09:43
"Purtroppo certi “marxisti” amano fantasticare, chi glielo può impedire?". Così chiosa il per me ottimo Michele Castaldo. Beh !, per quello fantasticano un po' tutti ovviamente, non solo i "marxisti"; comunque, nel mio piccolo, ho già detto molte volte che sono in accordo con la visione complessiva di Michele. Però, so che può essere un puro esercizio mentale, ma se il "sistema" implode, non lo farà tutto in un botto. Già adesso sta implodendo, è , e sarà, un lungo processo. Su questo credo che concordiamo. Quando però diciamo che ora non si possono fare previsioni su cosa avverrà, cosa intendiamo ?. La lunga fase barbarica che pronostichiamo, dovrà sicuramente vedere nascere e svilupparsi delle controtendenze. Se no addio genere umano. Probabilmente già ora ci sono delle inversioni che non possiamo o riusciamo a capire ed individuare. Come si fa, mi domando, ad agire in controtendenza ?. Se è una domanda pertinente ovviamente. Può anche essere un"mio" errore credere o pensare che si possa "fare qualcosa". Oppure sbagliare la domanda. Ecco, in maniera molto semplice ed intuitiva, dico che non bisogna continuare a fare l'errore di inseguire i "meccanismi" tradizionali di porre le questioni "politiche" mettendosi a specchio rispetto alle agende già determinate da chi ha il potere di farlo. Voglio dire che non vedo la possibilità di contrattazione alcuna con i rapporti di "forza" egemonici esistenti a tutti i livelli. Compreso quelli consensuali delle popolazioni verso il modo di essere e vivere nell'attuale società. Insomma l'audience non si può rincorrere, si è già perso in partenza. Quindi, secondo me , bisognerebbe evitare di porre soluzioni già precostituite. Porre i giusti problemi nel modo migliore, sarebbe già un grande risultato. Bisogna essere capaci a farlo, verso tutti naturalmente, ecco il vero problema. Scusate la fumosità e l'indeterminatezza. Cordiali Saluti
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carlo rao
Friday, 10 January 2020 04:13
Due annotazioni.
Castaldo definisce una sorta di "principio della complementarietà capitalista". Di passaggio, mi ricorda il principio che Niels Bohr elaborò in meccanica quantistica per giustificare, diciamo così, il dualismo onda/particella. In breve, non è possibile una rappresentazione unitaria della realtà quantistica: l'onda esclude la particella (ne è complementare), ma nello stesso tempo ne è elemento simmetrico necessario alla sua stessa descrizione. La classe operaia "esclude" il Capitale, ma è al contempo una sua rappresentazione simmetrica che lo definisce? Al di là di questa (ardita?) suggestione, è singolare la mancata considerazione del concetto di simmetria anche da parte di quei teorici marxisti che pure ritengono che il capitalismo sia oramai definito prioritariamente dall'aspetto finanziario/creditizio. Se il capitale mostra crescente difficoltà ad ottenere la valorizzazione entro il diretto processo produttivo, almeno nei paesi a capitalismo maturo, dovremmo accettare, simmetricamente, che nemmeno la “classe operaia” potrà più sfruttare a suo vantaggio la legge del valore-lavoro. Quelle stessa legge del plusvalore era l'arma dello sfruttamento capitalista del lavoro e contemporaneamente l'arma primaria della lotta di classe: il capitalista la “usava” per tenere i beni-salario a livello di sussistenza; l'operaio, attraverso l'interruzione della produzione, per piegare il processo di accumulazione a favore di aumenti salariali e migliori condizioni di lavoro. Il terreno della contesa era la fabbrica, l'arma la stessa, ma utilizzata per fini opposti. Così come non c'è onda senza particella, potremmo dire in analogia: non c'è "classe operaia" senza Capitale! Una suggestione, ripeto, ma da tenere ben presente.
Sul "ceto medio" come possibile nuovo soggetto rivoluzionario (auguri!) consiglio di vedere un film, "Parasite" del coreano Bong Joo-ho, dove una famiglia borghese-con-pretese-aristocratiche "cade" nel ceto medio e una proletaria vorrebbe "salire" al rango di ceto medio; le due famiglie si incontrano, l'una in caduta e l'altra in salita, e scopriamo che, ad esempio, se una abita con agio nei quartieri alti e l'altra nei bassifondi allagati dalle fognature scadenti, ambedue tuttavia posseggono in abbondanza gli stessi smart-phone, i-phone e quant'altro consente di ringhiare sui "social" da mattina a sera. Una metafora suggestiva del "ceto medio".
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Michele Castaldo
Thursday, 09 January 2020 10:59
Caro Carlo,
ha sintetizzato una questione molto complessa in modo esemplare (la dimostrazione che per dire concetti chiari non sono necessari sproloqui):
«abbassare i salari mantenendo alta la domanda di consumi!». E' da veri scienziati una operazione del genere, e il capitale, l'insieme del complesso meccanismo accumulativo c'è riuscito.
Ma, c'è un ma. Un sistema che cresce sul debito è destinato a crollare per una ragione molto semplice: perché «la moneta non figlia valore» diceva Rosa L.
Sicché un movimento storico può crescere e svilupparsi anche grazie al credito, ma quando questo produce valore e si rigenera, come nel caso dei prestiti dell'Olanda che finanziava lo sviluppo industriale inglese. Quando però il motore che genera il sistema, cioè la produzione di valore, attraverso l'estrazione di plusvalore, arriva al punto di non riuscirci più, il credito mangia il capitale e il sistema implode.
Molti non credono in questa legge e si sbagliano.
Tutto qua.
Michele Castaldo
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Paolo Selmi
Thursday, 09 January 2020 08:32
Carissimi Michele, Alfonso e Carlo,
buon anno! "Nelle auto prese a rate Dio è morto"... mi ci son consumato le unghie delle dita a strimpellarla talmente tante volte che mi è tornata in mente. E mi è tornato in mente anche che su questo ci avevo lavorato due anni fa, presentando un lavoro di Pierre Bordieu: "La distinction, Critique sociale du jugement, Le sens commun, Les éditions de minuit, 1979. In particolare, questo brano mi sembra molto calzante:

--- inizio ---

Non è un caso che questo sistema assegni un posto così importante al credito: la legittimazione del potere costituito, che si realizza attraverso questa lotta di concorrenza e che è amplificata da tutte quelle azioni di proselitismo culturale, violenza dolce esercitata con la complicità delle vittime e in grado di conferire all’imposizione arbitraria dei bisogni le sembianze di una missione liberatrice invocata da coloro che la subiscono, passa attraverso la PREtesa, intesa come bisogno che PREesiste ai mezzi per il suo soddisfacimento; e di fronte a un ordine sociale che riconosce anche ai meno dotati il diritto teorico a essere soddisfatti in tutto, purché a termine, nel lungo termine, la pre-tesa altra risposta non trova che nel credito, che permette di avere la soddisfazione immediata dei beni promessi contro l’accettazione di un avvenire che altro non è che la continuazione del presente, o una sua cattiva imitazione, con false vetture di lusso e false vacanze di lusso.

Tuttavia, la dialettica del declassamento e della riclassificazione è in grado di funzionare anche come meccanismo ideologico, che il discorso conservatore si sforza di rendere sempre più efficace e che, nell’impazienza stessa che porta alla soddisfazione immediata per mezzo del credito, tende a imporre ai dominati, soprattutto se comparano la loro condizione presente a quella passata, l’illusione che gli basti attendere per ottenere ciò che invece non otterranno che lottando: collocando la differenza fra classi entro l’ordine di successione, la lotta di concorrenza instaura una differenza, che è a un tempo la più assoluta e la più impraticabile – dal momento che non c’è nulla da fare che attendere, a volte una vita intera […] – e la più irreale ed evanescente, dal momento che sappiamo che, in un modo o nell’altro, se sapremo attendere, avremo ciò che ci è stato promesso delle leggi ineluttabili dell’evoluzione.

(https://www.academia.edu/37305627/Riportando_tutto_a_casa._Appunti_per_un_nuovo_assalto_al_cielo . L'intero ragionamento è svolto in un capitolo di questi appunti dove si arriva ai bitcoin, alle pp. 128-152)
--- fine ---

Scappo al timbro, purtroppo, sottolineo PURTROPPO, perché mi piacerebbe svegliarmi una mattina e vedere attuarsi il contrario, Michele ti do pienamente ragione, e aggiungo anche che manca, a noi quattro gatti che incarniamo politicamente il movimento comunista in Italia, come quadri, militanti o semplici elettori, una visione teleologica condivisa. "Siamo qui, dobbiamo arrivare lì".
Già su questo punto ci si divide in mille rivoli (magie della scissione dell'atomo...) "Rabòtaem", direbbero i russi, al lavoro!
Ciao!!!
Paolo
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carlo rao
Thursday, 09 January 2020 03:28
Già dalla fine degli anni 60 nei paesi capitalistici più sviluppati si impose la necessità di accrescere il ruolo del salariato-consumatore, ma ciò evidenziò una contraddizione inevitabile del modo di produzione: la diminuzione del saggio di profitto, evidente negli anni 70, orientava una politica di bassi salari, mentre l'accumulazione del capitale richiedeva consumi di massa. Questa contraddizione la vediamo esplodere nella crisi degli anni 70, cui seguì il ridimensionamento delle politiche di welfare dei paesi a capitalismo maturo. La crisi venne affrontata potenziando la capacità del capitale finanziario/creditizio di generare credito in modo del tutto autonomo dalla produzione “reale” dei beni materiali, prefigurando infine un mondo letteralmente da favola per il capitalista: abbassare i salari mantenendo alta la domanda di consumi! Il credito per consumi e beni durevoli ha sostenuto la domanda effettiva in una fase che a partire dagli anni 80 ha mostrato una contrazione dei “salari diretti” anche nei paesi più sviluppati dell’Occidente capitalistico. Le dinamiche salariali in questi paesi ci permettono di chiarire quale sia lo stato del rapporto capitale/lavoro nel dominio del capitale finanziario/creditizio e del consumo di massa. Il modo capitalistico non ha compiuto il miracolo di eliminare il conflitto tra capitale e lavoro, ma con l'innervare il capitale finanziario/creditizio entro il piano dei rapporti di produzione ha spostato i termini di questo conflitto dal terreno “classico” del lavoro-->pluslavoro-->plusvalore a quello “fenomenico” della relazione tra la quota dei redditi da lavoro e la quota dei redditi da capitale entro la massa complessiva del prodotto. Il conflitto non risiede più nell'esigenza del capitalista di definire un salario di sussistenza come fonte originaria del profitto, in contrapposizione al lavoratore che lotta per riappropriarsi del lavoro non pagato, ma nel tentativo di imporre al lavoratore quell'impiego del reddito da lavoro il più possibile funzionale all'accrescimento della massa del capitale finanziario /creditizio e del suo rendimento. In questo contesto l'imposizione di bassi salari, che ad esempio si è ulteriormente verificata dopo la crisi del 2007, non è volta ad una anacronistica riproposizione di un salario di mera sussistenza, sostenuto dall'aumento di un esercito industriale di riserva, ma piuttosto mira a ridurre drasticamente la propensione al risparmio di quelle cosiddette “classi medie” detentrici di gran parte della massa complessiva dei redditi da lavoro, propensione che ovviamente in presenza di crisi prevale su quella ai consumi, con i quali invece si alimenta proprio quella parte del credito sostitutiva delle quote di salario diretto perse con la riduzione della massa salariale complessiva. In questo scenario è ipotizzabile che nei paesi a capitalismo maturo il conflitto sulla formazione e gestione del risparmio, e dunque sull'indirizzo della leva fiscale, sarà predominante sul conflitto “classico” basato sulle lotte operaie per imporre il salario come “variabile indipendente” rispetto all'accumulazione.
Spie di tutto ciò potrebbero essere, ad esempio, il fatto che in Italia settori non irrilevanti di lavoratori salariati propendono per la Lega, che ha nel suo programma la leva fiscale della flat tax, una "sirena" che una volta non si sarebbe davvero detto che potesse far breccia nell'ambito del lavoro dipendente; ed anche le proteste dei gilet gialli, che non partirono dal salario e dai "rapporti di produzione", ma dall'aumento del prezzo della benzina. Segnali non esaustivi, da valutare in un contesto più ampio, ma che non casserei via solo perché l'ortodossia marxista non li ammette.
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Alfonso
Wednesday, 08 January 2020 22:17
Se interessa a qualcuno, il video della conferenza di alcuni mesi fa :
https://www.youtube.com/watch?v=NYnt3B3sCsg
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Alfonso
Wednesday, 08 January 2020 22:13
Errata corrige : studi , non sutdi
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Alfonso
Wednesday, 08 January 2020 22:09
Caro Michele, interessanti gli sutdi di Gérard Duménil e dei suoi amici econofisici sullo strato manageriale, poverini messi sotto pressione e recuperabili in una tattica da fronte. Serve sempre un terzo incomodo, pare.
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