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sinistra

La questione dell’aristocrazia operaia in Lenin e nella congiuntura attuale

di Eros Barone

scioperi 1944«1. Economicamente la differenza è che una parte della classe operaia dei paesi oppressori fruisce delle briciole di sovrapprofitti che i borghesi di queste nazioni ricavano sfruttando sempre fino all’osso gli operai delle nazioni oppresse. I dati economici attestano inoltre che tra gli operai dei paesi oppressori la percentuale di quelli “molto qualificati” è maggiore che nelle nazioni oppresse; è inoltre maggiore la percentuale di quelli che entrano a far parte della aristocrazia della classe operaia. È un fatto. Gli operai del paese oppressore cooperano, entro certi limiti, con la propria borghesia a depredare gli operai (e le masse della popolazione) della nazione oppressa. 2. Politicamente la differenza è che gli operai dei paesi oppressori assumono una posizione privilegiata, rispetto agli operai della nazione oppressa, in vari campi della vita politica. 3. Idealmente o spiritualmente la differenza è che gli operai dei paesi oppressori sono sempre educati, dalla scuola e dalla vita, al disprezzo o al disdegno delle nazioni oppresse».

V. I. Lenin, Intorno a una caricatura del marxismo e all’ «economismo imperialistico» (1916). 1

  1. Genesi storica di una categoria teorica

Il tema dell’aristocrazia operaia diventa una questione centrale ed una chiave interpretativa importante della complessa e difficile attività politica e ideologica di Lenin nel periodo in cui il grande rivoluzionario russo si trova a dover motivare con un’analisi approfondita e differenziata della realtà i suoi orientamenti di lotta contro la guerra imperialistica e, insieme con essi e alla loro luce, la sua critica ai partiti della Seconda Internazionale. I primi accenni specifici alla questione si situano infatti tra il 1912 e il 1913, ossia in anni fondamentali per la maturazione dell’internazionalismo di Lenin su scala mondiale e per la genesi della sua concezione dell’età dell’imperialismo.

Due tratti emergono come caratteristici nell’uso della categoria dell’aristocrazia operaia in questi anni: 1) una approssimazione graduale all’origine del fenomeno dell’aristocrazia operaia, che risulta chiaramente dagli articoli, in cui Lenin al fine di spiegare la formazione di un’aristocrazia operaia in Inghilterra e negli Stati Uniti dà soprattutto risalto ad un elemento politico (“la libertà politica che risale a molto tempo fa”), ponendolo accanto ad un elemento economico (“le condizioni eccezionalmente favorevoli rispetto agli altri paesi che ha avuto lo sviluppo del capitalismo in ampiezza e profondità”), laddove negli altri articoli dedicati al movimento operaio inglese (“Discussioni in Inghilterra sulla politica operaia liberale” e “In Inghilterra” dell’aprile 1913, “Guerra di classe a Dublino” dell’agosto 1913 e “Harry Quelch” del settembre 1913) l’accento batte esclusivamente sulla condizione privilegiata dell’industria inglese, derivante dal suo monopolio sul mercato mondiale, quale matrice della formazione di uno strato di lavoratori privilegiati per le loro retribuzioni salariali; 2 2) l’infittirsi di formulazioni in cui l’aristocrazia operaia viene definita come un fenomeno sociale che ha profonde radici in un passato ormai lontano e che, nello stesso tempo, appare oggettivamente condannato dallo sviluppo della storia contemporanea. Queste oscillazioni dimostrano che, alla fine del 1913, il problema per Lenin non si era ancora configurato in termini univoci. Così, è sintomatico di un rapporto con i classici del marxismo caratterizzato dalla fedeltà critica e insieme dall’innovazione politica, che Lenin individuasse tale problema nel testo di una lettera di Engels a Marx dell’11 agosto 1881. Commentando un’affermazione di Engels (“Il British working man non vuol progredire per l’appunto, deve essere scosso dagli avvenimenti, dalla perdita del monopolio industriale. En attendant, habeant sibi”), Lenin osservava: «I lavoratori britannici e il monopolio. Con l’operaio inglese non c’è da cominciare niente finché il monopolio industriale (inglese?) non crolla», dove il punto di domanda evocava l’alternativa fra una ripresa del movimento operaio inglese collegata al crollo del monopolio industriale inglese ed una più vasta trasformazione nei rapporti economici mondiali. 3

 

  1. Aristocrazia operaia = opportunismo

In sostanza, come è possibile dimostrare con un puntuale riferimento ai testi leniniani del periodo 1914-1920, l’uso e la semantica della categoria di aristocrazia operaia procedono di pari passo, influenzandosi reciprocamente, con l’approfondirsi dell’analisi dell’imperialismo e con l’acuirsi della lotta contro l’opportunismo. Per un verso, nelle indagini propedeutiche ad un testo classico quale L’imperialismo fase suprema del capitalismo Lenin riprende l’accezione engelsiana del termine generalizzandola dall’àmbito inglese a tutti i paesi imperialisti e colonialisti, comunque dotati di una posizione privilegiata sul mercato mondiale; per un altro verso, Lenin mette in evidenza, tra il 1915 e il 1916, le radici più profonde e più complesse del fenomeno dell’aristocrazia operaia. Basti citare, a titolo di esempio, un articolo del 9 gennaio 1915 come “E adesso?”, in cui egli indicava la base dell’aristocrazia operaia in «una massa di letame piccolo-borghese», cioè in un aggregato sociale «estraneo ai partiti proletari», del quale facevano parte «funzionari dei sindacati legali, parlamentari ed altri intellettuali comodamente e tranquillamente installati nel movimento di massa legale, alcuni strati di operai meglio retribuiti, piccoli impiegati ecc.». 4 Più in generale, tutti gli scritti di Lenin risalenti a questo periodo delineano una composizione di classe dell’aristocrazia operaia articolata, a livello economico, nello strato degli operai meglio retribuiti di alcuni paesi imperialisti, a livello sociale nella presenza ed influenza di elementi piccolo-borghesi all’interno del movimento operaio e, infine, a livello politico nella prevalenza della “burocrazia operaia” all’interno dei partiti socialdemocratici.

Sviluppando questa fondamentale coordinata della sua analisi in uno scritto importante come “L’opportunismo e il fallimento della II Internazionale” (gennaio 1916), Lenin graduava questi diversi elementi secondo un preciso ordine di successione, in modo da spiegare la portata epocale di quel fenomeno storico che fu il crollo della Seconda Internazionale: «Il carattere relativamente “pacifico” del periodo 1871-1914 ha alimentato l’opportunismo, stato d’animo dapprima, tendenza in seguito e, infine, gruppo o strato composto dalla burocrazia operaia e dai compagni di strada piccolo-borghesi». 5

È chiaro che la persistenza, il radicamento e la complessità di questo fenomeno ponevano a Lenin la duplice esigenza e di un’analisi più articolata e dell’acquisizione di apporti ideali che fossero in qualche misura nuovi rispetto a quelli di cui Lenin si era avvalso quando aveva cominciato ad affrontare il problema. Così, se è vero che Lenin non aveva previsto tutta la dirompente portata della bancarotta opportunistica della Seconda Internazionale, è altrettanto vero che, quando essa si produsse, egli ebbe una chiara consapevolezza della necessità di rispondere a quella che era una tragica sconfitta del movimento operaio internazionale valorizzando l’apporto teorico di altre correnti (non bolsceviche) della sinistra della Seconda Internazionale. 6

 

  1. Imperialismo, classe operaia e nazioni oppresse

La maggior parte delle pagine dedicate da Lenin alla questione dell’aristocrazia operaia si riferiscono effettivamente allo “strato superiore” della classe operaia occidentale e a quello solo. Non mancano passi, però, in cui egli si riferisce alla classe operaia dei paesi dominanti nel suo complesso, per sottolineare la differenza che la separa dagli operai delle nazioni oppresse. Lenin, peraltro, non esitava a definire i rapporti tra nazioni o paesi come rapporti di sfruttamento. 7 Certo, a parte il suo carattere più o meno ‘ortodosso’, una proposizione del tipo “la tale nazione imperialista sfrutta la talaltra nazione oppressa” è, sotto il profilo politico, ellittica perché non esplicita o lascia in ombra i rapporti sociali (tra classi) che esistono dietro questo rapporto economico. Una proposizione di quel tipo è però vera in quanto definisca rapporti economici internazionali, ossia il trasferimento di valore da un paese (preso nella sua totalità) ad un altro paese (preso nella sua totalità). Non si nega con ciò che il valore in questione è prodotto tutto dal proletariato del paese dominato, e non anche dalla sua borghesia. Si vuole solo rendere evidente che il valore prodotto in un dato paese è appropriato dalla borghesia e, in parte, indirettamente, dal proletariato di un altro paese. Ma il fatto che la ricchezza sia prodotta in un paese e consumata (magari produttivamente) in un altro paese non è un fatto, anche socialmente, indifferente, poiché implica sviluppo per il paese dominante e sfruttatore, sottosviluppo per quello dominato e sfruttato. Sennonché l’uso di questa terminologia permette di chiarire la base materiale di certe alleanze di classe che sono possibili negli uni e negli altri paesi.

Nei paesi satelliti della formazione imperialista mondiale, infatti, e almeno per tutta la fase ‘democratica’ della rivoluzione, la borghesia ‘nazionale’ può costituire un alleato delle masse popolari contro l’imperialismo. Tale frazione non monopolistica e non legata all’imperialismo è limitata nel suo sviluppo dalla dominazione economica e politica imperialista, ed ha perciò, sia pur contraddittoriamente, interessi materiali oggettivi ed antimperialistici comuni con le masse popolari (si pensi ai casi del Venezuela, della Siria e dell’Iraq)). Tale frazione di classe è certo politicamente assai debole, sempre esitante tra il fronte antimperialista e la reazione, ma, se assoggettata alla direzione politica del proletariato, può giocare un ruolo di appoggio nella rivoluzione nazionale e democratica. Lo sviluppo e la vittoria di questa rivoluzione è possibile solo a condizione che il proletariato, guidato da un partito marxista-leninista, mantenga la propria autonomia politica in seno al fronte unito e anzi detenga l’egemonia politica e ideologica dell’intero processo (si pensi al caso del Nepal), giacché la borghesia nazionale, di per sé, si è rivelata incapace di condurre la lotta fino in fondo, essendo sempre incline a ricadere sotto il dominio imperialista e ad abbandonarsi alla repressione più spietata delle masse (si pensi ai casi, avvenuti in periodi differenti ma confrontabili in virtù di un comun denominatore, della Bolivia, dell’Indonesia, del Cile di Pinochet, del Congo di Lumumba e dell’Iran di Mossadeq).

Nei centri metropolitani della formazione imperialista mondiale, d’altro canto, è dato assistere, di fatto, non solo ad una caduta verticale dell’internazionalismo proletario, ma anche ad una grave e prolungata battuta d’arresto delle lotte rivoluzionarie del proletariato, alla rinuncia da parte della classe operaia e delle sue organizzazioni alla lotta per l’abbattimento dello Stato borghese e per la dittatura proletaria, alla contrazione delle lotte entro i confini economici del ‘miglioramento delle condizioni di vita’ (lotte sindacali, per un verso, e per i diritti civili di questa o quella minoranza, per un altro verso): unica, importante e significativa eccezione, in questi ultimi mesi, il potente sussulto sociale e politico antigovernativo e, in qualche misura, anticapitalistico, di cui sono protagoniste le masse lavoratrici in Francia. Questi due aspetti polari – caduta dell’internazionalismo e relativa pace sociale – mostrano con evidenza la spirale in cui l’imperialismo e l’economicismo hanno finora congiurato a chiudere il proletariato occidentale: lotte puramente economiche conducono (se e quando ciò avviene) al miglioramento delle condizioni materiali delle masse, ma tale miglioramento (peraltro sempre temporaneo, settoriale e reversibile) sembra allontanare ulteriormente la prospettiva di lotte non più economiche bensì politiche e rivoluzionarie.

 

  1. Il significato economico, politico e ideologico della categoria di aristocrazia operaia

Se si rilegge attentamente il passo dello scritto di Lenin che funge da epigrafe del presente articolo, è possibile comprendere che l’elemento essenziale dell’analisi da lui condotta è questo: per cogliere il diverso atteggiamento politico degli operai occidentali e delle masse dei paesi oppressi, Lenin faceva riferimento non alle sole condizioni economiche di esistenza degli uni e delle altre, ma a condizioni anche politiche e ideologiche. Limitare l’analisi al solo primo livello, per quanto sia il fondamentale, significa infatti precludersi, a causa di un’ottica economicistica, la comprensione della totalità del fenomeno in questione, e ricavare poi conclusioni errate sul piano politico. E però l’atteggiamento politico della classe operaia occidentale non si può comprendere se non tenendo conto dell’influenza che esercitano su di essa la democrazia politica, la concezione individualistica dei diritti e della cittadinanza, in una parola la diffusione e l’estensione dell’ideologia borghese, l’operare di apparati ideologici di Stato perfezionati (come la scuola) di cui la borghesia dispone solo nei paesi sviluppati, ecc.: insomma tutti gli aspetti della sovrastruttura politica, giuridica, ideologica, dei paesi capitalistici, e tutti gli aspetti della lotta di classe della borghesia contro il proletariato. D’altronde, se si volesse spiegare interamente questi aspetti evocando meccanismi ideologici, tutti classificati sotto la categoria di ‘mistificazione’, resterebbe pur sempre innegabile che il costituirsi e l’operare di idee ‘false’ hanno dei fondamenti materiali, in ultima analisi, nelle condizioni di vita e negli interessi oggettivi (anche se, eventualmente, solo contingenti, anche se inconsapevoli) delle classi.

Così, la ‘vexata quaestio’ di quale sia, nel rapporto masse-partito, l’aspetto dominante, vale a dire se siano le masse a indurre il riformismo, il revisionismo, l’economicismo, in una parola l’opportunismo, nel partito, o se sia il partito a indurre queste tendenze nelle masse, trova una soluzione dialettica se si considera che, anche ammettendo che il fattore dominante siano le masse, nondimeno un partito riformista o revisionista disarma progressivamente e sempre più gravemente le masse, in quanto è un effetto che reagisce sulla sua causa. Un partito riformista o revisionista, se anche ha la sua ragione materiale di esistenza nell’elevato livello economico di vita del proletariato occidentale, è tuttavia, al contempo, un elemento essenziale di quel contesto organico, in primo luogo politico, che indebolisce nelle masse l’internazionalismo e favorisce lotte non rivoluzionarie. Un simile mutamento di prospettiva non è irrilevante, e non ha soltanto un valore cognitivo, perché ci fa capire che gli effetti del benessere economico, non essendo esaustivi del fenomeno dell’aristocrazia operaia (tanto più in un periodo di prolungata crisi economica mondiale come quello in corso), possono essere neutralizzati: da un lato, nella misura in cui lo sviluppo dei processi rivoluzionari nel mondo, e ancor più la crescente conflittualità interimperialistica, approfondiscono le contraddizioni politiche di classe nei centri dell’imperialismo; dall’altro, nella misura in cui un’azione politica consapevole di critica del revisionismo e di organizzazione del proletariato, sulla base di una linea di massa, può estendere anche nel campo politico e ideologico la lotta di classe che si svolge in questi paesi. Il circolo vizioso masse-partito, posto sotto il segno dell’opportunismo e dell’integrazione, può essere spezzato, e sostituito da un circolo virtuoso masse-partito, che si ponga sotto il segno della rivoluzione e del socialismo.

 

  1. Conflitti di classe e di nazioni: come declinare oggi l’internazionalismo proletario

Questo discorso sarebbe, però, incompleto se non eliminasse certi equivoci ìnsiti nelle posizioni delle correnti populistiche e sovraniste. Tali equivoci consistono nel ridurre totalmente le contraddizioni politiche e sociali del mondo moderno a quelle tra nazioni. Una siffatta operazione è radicalmente riduttiva ed equivale ad opporre ogni nazione sfruttata, considerata come unità, ad ogni nazione sfruttatrice, considerata come unità, con il risultato, in primo luogo, di definire come antagonistiche fra di loro le rispettive classi oppresse dei due paesi, e, ciò facendo, di favorirne praticamente la divisione e incoraggiare nei paesi sviluppati lotte di tipo nazionalistico anziché di tipo antimperialistico: il nazionalismo dei popoli oppressi è rivoluzionario, ma quello degli oppressori è reazionario; e, in secondo luogo, di definire come solidali tra di loro le rispettive classi dominanti e dominate nei due paesi, ignorando le contraddizioni tra oppressi ed oppressori, sfruttati e sfruttatori. Ciò significa non solo favorire la pace sociale, sia entro le metropoli sia entro i paesi satelliti, danneggiando con ciò ideologicamente le lotte di classe interne; ma anche negare l’autonomia del proletariato e delle altre classi lavoratrici entro quei fronti di alleanze (più o meno ampi, a seconda delle situazioni) che pure vanno costituiti, specie nei paesi sottosviluppati, ma sotto l’egemonia politica della classe operaia. Ciò significherebbe, infine, conferire alle classi borghesi antimperialiste o nazionaliste, ma sempre anticomuniste, l’egemonia di questi fronti di alleanze, precludendo al tempo stesso al proletariato industriale dei paesi più sviluppati ogni contributo alla lotta antimperialista. Per contro, a chi, per ultrasinistrismo o per cecità eurocentrica ed operaista, sostiene le posizioni già definite da Lenin dell’“economismo imperialistico” e nega il carattere necessario delle lotte tra nazioni e la validità delle aspirazioni dei popoli alla libertà nazionale, ha già risposto Lenin in tutti i suoi scritti sulla questione nazionale e coloniale. Le aspirazioni nazionali dei popoli sono giuste e devono essere difese dai comunisti di tutto il mondo; non però con un appoggio indiscriminato a tutte le forze nazionali come tali, bensì sostenendo gli elementi più rivoluzionari, risolutamente antimperialisti e comunisti, cioè, in ultima istanza, il proletariato e le masse popolari che si pongono al suo fianco, sotto la sua guida. Chi si oppone ai movimenti di liberazione nazionale, adducendo il loro carattere ‘democratico-borghese’, compie un’operazione ideologica funzionale all’oppressione

imperialista e alla divisione del proletariato mondiale. Ciò è tanto più vero oggi, nell’epoca in cui il modo di produzione capitalistico è dominante in tutto il mondo, in cui il capitalismo nazionale ha lasciato il posto alla formazione imperialista mondiale; in quest’epoca le lotte di liberazione nazionale sono oggettivamente parte integrante della rivoluzione socialista mondiale. Infatti, per sfuggire al sottosviluppo e alla soggezione politica, per fuoriuscire dal mercato mondiale imperialista, non c’è altro mezzo che il proseguimento della lotta di classe anche dopo la fase ‘democratica’ della rivoluzione, per passare dalla democrazia alla dittatura del proletariato e alla costruzione del socialismo, il quale è la sola alternativa storica all’imperialismo. Certo, l’egemonia della classe operaia, necessaria affinché il processo continui a svilupparsi in direzione del socialismo, non è mai data una volta per tutte; il processo è destinato a bloccarsi e a regredire, in mancanza di un partito marxista-leninista. Ma chi nega che queste rivoluzioni sono parte integrante della rivoluzione socialista nel mondo contemporaneo esprime una posizione ideologica contraria all’internazionalismo, ovvero una posizione tendente a negare l’appoggio del proletariato e dei paesi socialisti ai popoli dei paesi sottosviluppati nelle loro lotte.

La critica deve dunque essere diretta su due fronti: contro chi riconduce ogni contraddizione entro i confini nazionali e contro chi riconduce ogni contraddizione a contraddizione tra nazioni. Ricondurre la lotta di classe del mondo contemporaneo entro confini nazionali significa assumere una concezione di tipo preleninista, per la quale l’imperialismo non è un sistema globale, ma una giustapposizione di sistemi nazionali; ma ricondurre interamente la lotta di classe alle contraddizioni tra nazioni significa, comunque, adottare un tipo di analisi non marxista, la cui conseguenza è quella di negare l’efficacia della rivoluzione nei paesi satelliti sulle condizioni della lotta di classe nei paesi imperialisti, e viceversa. D’altra parte, l’imperialismo non è il rapporto tra capitalista e lavoratore salariato (eventualmente di diverse nazionalità l’uno dall’altro); l’imperialismo è, prima di tutto, un rapporto tra nazioni, in cui oppressione politica ed economica interagiscono dando luogo a quella situazione originale che è, per l’appunto, la soggezione imperialistica. Tale situazione influisce su tutte le classi della singola nazione, modificandone la composizione, le condizioni di vita e lo ‘status’ politico e ideologico, trasformando insomma le contraddizioni nazionali tra le classi.

 

  1. Aristocrazia operaia e “partito operaio borghese”

La questione dell’aristocrazia operaia va dunque affrontata e risolta a livello politico e ideologico, tenendo tuttavia ben presente che il livello economico, se non è quello esaustivo per fornire una spiegazione completa del fenomeno, resta pur sempre quello determinante in ultima istanza. Inoltre, tale questione va esaminata, tanto nella sua genesi storica quanto nella sua realtà attuale, in uno stretto collegamento con la questione del “partito operaio borghese” (secondo la classica definizione di Engels e di Lenin), poiché l’aristocrazia operaia costituisce un aspetto fondamentale della composizione e dell’attività di tale partito. 8

Si tratta allora, nella situazione del nostro paese, di prendere le mosse dalla trasformazione del Partito Comunista Italiano in “partito operaio borghese”, laddove tale trasformazione, avvenuta prima della finale liquidazione ad opera di Occhetto e di Napolitano, non è stata semplicemente l’opera soggettiva di un gruppo di dirigenti revisionisti (quasi che il PCI fosse un ‘corpo sano’ con una ‘testa malata’). Questi dirigenti erano infatti l’espressione di una precisa realtà sociale, rappresentata dal crescente predominio, all’interno di quel partito, dell’aristocrazia operaia, della burocrazia sindacale, della piccola borghesia, degli intellettuali borghesi e piccolo-borghesi. «Oggi – osservava Lenin già nel 1916 in uno scritto di importanza fondamentale – il “partito operaio borghese” è inevitabile e tipico di tutti i paesi imperialisti”. Vale la pena di riportare integralmente la sua analisi sull’argomento: «Le istituzioni politiche del capitalismo contemporaneo – la stampa, il parlamento, le associazioni, i congressi, ecc. – creano per gli impiegati e gli operai riformisti e patriottici, rispettosi e sottomessi, elemosine e privilegi politici corrispondenti ai privilegi economici. Posticini redditizi e tranquilli in un ministero, nel parlamento e nelle varie commissioni, nelle redazioni di “solidi” giornali legali o nelle amministrazioni di sindacati operai non meno solidi e “obbedienti alla borghesia”: 9 ecco con che cosa la borghesia imperialistica attira e premia i rappresentanti e i seguaci dei “partiti operai borghesi”. Il meccanismo della democrazia politica agisce nella medesima direzione. Nel nostro secolo non si può fare a meno delle elezioni, non si può fare a meno delle masse; e nell’epoca della stampa e del parlamentarismo è impossibile trascinare le masse al proprio seguito senza un sistema largamente ramificato, metodicamente applicato, solidamente attrezzato, di lusinghe, menzogne, truffe, giochetti con paroline popolari e alla moda, promesse – fatte a destra e a sinistra – di ogni sorta di riforme e di ogni sorta di benefici per gli operai, purché essi rinuncino alla lotta rivoluzionaria per abbattere la borghesia».

Da una parte, la tendenza opportunista dei rappresentanti e dei seguaci dei “partiti operai borghesi”; dall’altra, la tendenza rivoluzionaria. «Nella lotta fra queste due tendenze – continuava Lenin – si svolgerà ora inevitabilmente la storia del movimento operaio, poiché la prima tendenza non è casuale, ma economicamente motivata». 10 Ora: cioè non nell’epoca della Seconda Internazionale (quando i rivoluzionari fedeli al marxismo costituivano una corrente organizzata, una frazione all’interno dei partiti socialisti inquinati dal riformismo), ma nella nostra epoca: l’epoca dell’imperialismo, delle guerre imperialiste e delle rivoluzioni proletarie. In questa nostra epoca, chiarisce Lenin, è inevitabile e necessaria la scissione ideologica, politica ed organizzativa dei comunisti da qualunque partito, da qualunque organizzazione rappresenti ed incarni la prima tendenza. È questo il fondamento marxista-leninista su cui nacque e si sviluppò la Terza Internazionale comunista.


Note
1 V. I. Lenin, Opere complete, Rinascita - Editori Riuniti, Roma 1955-1970, vol. XXIII, p 53.
2 Si vedano gli scritti citati in V. I. Lenin, Opere complete, vol. XVIII, pp. 257-258 (“In Inghilterra”) e, vol. XIX, pp. 304-308 (“Guerra di classe a Dublino”) e pp. 340-342 (“Harry Quelch”).
3 Ivi, vol. XXIII, pp. 103-118 (“L’imperialismo e la scissione del socialismo”).
4 Ivi, vol. XXI, pp. 95-101 (“E adesso?”).
5 Ivi, vol. XXII, pp. 113-124: il passo citato si trova a p. 116. Importante è inoltre la distinzione di grado tra l’opportunismo e il socialsciovinismo: «Il socialsciovinismo è l’opportunismo nella sua forma più compiuta...L’unità con i socialsciovinisti è l’unità con la “propria” borghesia nazionale che sfrutta altre nazioni, è la scissione del proletariato internazionale...la rottura con gli opportunisti ...è necessaria e inevitabile per la lotta rivoluzionaria del proletariato...con il passaggio dal capitalismo “pacifico” al capitalismo imperialista la storia ha preparato questa rottura. Volentem ducunt fata, nolentem trahunt» (p. 118).
6 È vero che la polemica contro Rosa Luxemburg (“A proposito dell’opuscolo di Junius”, Ibidem, pp. 304-318) segnerà, nel 1916, il ritorno ad una piena indipendenza nei confronti di tutte le correnti della “sinistra di Zimmerwald”, ritorno motivato con una precisa formulazione teorica: «sarebbe del resto ben triste che i “sinistri” incominciassero a dar prova di una certa negligenza nei confronti della teoria del marxismo proprio nel momento in cui la creazione della Terza Internazionale non è possibile che sulla base di un marxismo non volgare» (Ibidem, pp. 310-311). Nei primi anni di guerra, invece, la ricerca di una spiegazione della sconfitta subìta dal movimento operaio internazionale aveva indotto Lenin a mutuare motivi di varia provenienza, come dimostra in particolare il suo intervento, per l’appunto, alla conferenza di Zimmerwald, in cui sono evidenti le argomentazioni usate dai “tribunisti” olandesi nella polemica contro il centro kautskiano (cfr. per questa osservazione il saggio di Ernesto Ragionieri, Lenin e l’Internazionale, in «Critica marxista», Quaderni n. 4, 1970, p. 284).
7Così si esprime Engels in una lettera a Marx del 7 ottobre 1858, dove, tra l’altro, si dice che «il proletariato inglese effettivamente si imborghesisce sempre di più»; che l’Inghilterra tende ad avere una «aristocrazia borghese ed un proletariato borghese accanto alla borghesia»; che, infine, ciò si spiega col fatto che l’Inghilterra è una «nazione che sfrutta il mondo intero» (Marx-Engels, Carteggio, vol. III, Rinascita, Roma 1951, pp. 237-239). Ancora più chiara, in tema di rapporti di sfruttamento tra nazioni, è la famosa lettera di Marx dedicata alla questione irlandese (lettera del 9 aprile 1870 a S. Meyer e A. Vogt). Su questo importante argomento, per un’analisi approfondita in connessione con un contesto più ampio, mi permetto di rimandare all’articolo pubblicato in questa stessa sede, Aporie della ‘dipendenza’ e ‘sviluppo ineguale’ tra Inghilterra, Irlanda e Russia - La ricerca/azione di Marx ed Engels: https://sinistrainrete.info/estero/12948-eros-barone-aporie-della-dipendenza-e-sviluppo-ineguale-tra-inghilterra-irlanda-e-russia.html.
8 Fra i diversi scritti che Lenin ha dedicato alla definizione della categoria storico-politica di “partito operaio borghese” si veda in particolare, per il suo valore riassuntivo, L’imperialismo e la scissione del socialismo (cfr. la nota 3 del presente articolo).
9 Per un’analisi del ‘combinato disposto’ tra collaborazionismo sindacale e “partito operaio borghese” mi permetto di segnalare due miei articoli pubblicati in questo sito:
< https://sinistrainrete.info/lavoro-e-sindacato/13552-eros-barone-dal-sindacalismo-collaborazionista-ad-un-sindacalismo-di-classe.html > e < https://www.sinistrainrete.info/lavoro-e-sindacato/16667-eros-barone-la-crisi-ingravescente-del-sindacato-collaborazionista.html?highlight=WyJlcm9zIiwiYmFyb25lIiwiJ2Jhcm9uZSciLCJlcm9zIGJhcm9uZSJd >.
10 Si veda, ancora una volta, la nota 3.

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Maurizio Gandini
Tuesday, 04 February 2020 23:27
Quoting Mario Galati:
Avrò sbagliato ad accomunare Claudio e Maurizio Gandini, ma, seppure vi sia differenziazione nelle loro rispettive posizioni, credo che siano entrambe errate rispetto alla storia e alla visione dei processi che ne determinano il corso. Inoltre, entrambi ripetono acriticamente luoghi comuni arbitrari della propaganda anticomunista, senza interessarsi minimamente a vagliarli col setaccio di studi storici seri e documentati. Stalin che avrebbe massacrato minoranze (in ossequio al verbo del progressismo borghese postmoderno che vede solo minoranze da proteggere, come i naturalisti per i panda) sessuali, etniche, comunisti, operai è una litania che si recita ossessivamente e macchinalmente, asserzione pret à porter, sempre pronta all'uso, ma senza fondamento. Lo stesso per la vicenda spagnola. Inviterei a documentarsi su qualche fonte storica per comprendere se quando parlo di strumenti di Mussolini, Hitler e Franco lo faccio solo come illazione discutibile o invece come asserzione sufficientemente provata (documenti di ambasciata tedesca, atti e sentenza di processo pubblico in Germania ad un compagno scoperto e catturato, e cosette del genere).
mi spiace ma non posso condividere le tue posizioni, considerando ciò che avvenne dopo il 1924 in Russia un movimento controrivoluzionario che a ragione a fornito elementi di critica a "quel comunismo" alla borghesia e ne ha di fatto infangato i principi di fondo rinnegandoli a tutto campo. Non mi dilungo oltre invitandoti alla lettura di questo https://www.internationalcommunistparty.org/images/pdf/testi/Lo%20stalinismo.pdf
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Maurizio Gandini
Tuesday, 04 February 2020 23:20
Quoting Mario Galati:
Lascio perdere la confutazione dei più triti e ritriti luoghi comuni liberal-trozkisti, altrimenti detti "internazionalisti", e la completa astrazione dalla realtà storica concreta che li connota e domando a a Maurizio Gandini su quale base pretende che "una nazione che di comunista non aveva ancora nulla" si sacrificasse sull'altare dell'internazionalismo e della rivoluzione proletaria. Non sarebbe stato meglio che i "veri rivoluzionari internazionalisti", i "veri comunisti", si mettessero l'anima in pace e, invece di vivacchiare solo di riflesso polemico con queste esperienze, collaborando sostanzialmente con il blocco capitalistico avversario, si impegnassero di più e meglio per creare un movimento rivoluzionario ampio? E se ci hanno provato, ma le masse non li hanno seguiti, non sarebbe meglio chiedersi come mai, invece di pontificare sulla dottrina e sull'influsso del maligno?
la tua domanda implica una risposta un po' lunga, spero che la lettura di questo possa soddisfare la tua curiosità e magari fornirti qualche elemento storico in più. diversamente non avei proprio altro da argomentare con te. https://www.internationalcommunistparty.org/images/pdf/testi/Lo%20stalinismo.pdf
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Eros Barone
Tuesday, 04 February 2020 22:41
@ Carlo

Immagino che tu faccia parte di un sindacato di base. La creazione dei vari sindacati di base ha soddisfatto, in effetti, un’esigenza della parte più avanzata dei lavoratori salariati rispetto ad un processo che non nasce solo dai continui cedimenti dei sindacati confederali, ma anche dal loro storico e irreversibile mutamento qualitativo in organi di gestione e di controllo degli stessi lavoratori salariati. Il ruolo retrivo e frenante svolto dall'aristocrazia operaia legata ai sindacati confederali nei confronti dello sciopero per l'"una tantum" proposto dalla tua RSU aziendale, lo dimostra in modo inequivocabile. Per questo motivo è giusto considerare attualmente come prioritario l’intervento dei comunisti all’interno dei sindacati di base, al fine di dare a tali organismi un orientamento politico e rivendicativo efficace. Questo non significa però trascurare l’intervento nella Cgil, giacché, se così fosse, si finirebbe con il consegnare alle dirigenze collaborazioniste centinaia di migliaia di lavoratori. Sennonché questo intervento va esplicato senza illusioni di sorta circa rotture di massa tra i lavoratori o circa una possibile direzione alternativa. Il problema è posto da tempo all’ordine del giorno: esso si riassume nell’esigenza di lottare per un sindacato di classe e di massa che difenda fino in fondo gli interessi della classe operaia e di tutti i lavoratori. Al di là della vertenza aziendale che ti vede impegnato e in rotta di collisione con l'aritocrazia operaia opportunista e collaborazionista (famuli del padrone), questo, caro compagno Carlo, penso che sia l'obiettivo di fondo da perseguire. Un abbraccio fraterno e tanti auguri di successo per l'attività rivendicativa e organizzativa della tua RSU aziendale nell'interesse della maggioranza dei lavoratori.
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claudio
Tuesday, 04 February 2020 18:02
Ogn’uno giudica i fatti storici in base a quel che conosce, quel che so io è che Stalin ha fatto fucilare tutti gli esponenti di rilievo dal vecchio partito bolscevico. Saranno stati tutti al servizio di Mussolini, Hitler, Franco e compagnia?
Comunque, come dicevo, l'acqua passata non macina più, guardiamo che cosa fare oggi per sviluppare la lotta proletaria contro l’attuale sistema capitalistico che affama i poveracci e fa diventare i ricchi sempre più ricchi.
E a proposito del commento n. 15 di Carlo, sarebbe interessante sapere se gli operai che lottano per “una misera una tantum” hanno creduto, oltre che nella propria lotta, anche nel voto. I caso positivo per chi hanno votato. Altrettanto dicasi per la cosiddetta aristocrazia operaia che invece di migliorare è andata indietro in tutti i paesi occidentali, Usa e Germania compresi. Tale indagine, se fatta bene, sarebbe non solo molto interessante, ma anche enormemente istruttiva. Ci conto.
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Mario Galati
Tuesday, 04 February 2020 14:09
Avrò sbagliato ad accomunare Claudio e Maurizio Gandini, ma, seppure vi sia differenziazione nelle loro rispettive posizioni, credo che siano entrambe errate rispetto alla storia e alla visione dei processi che ne determinano il corso. Inoltre, entrambi ripetono acriticamente luoghi comuni arbitrari della propaganda anticomunista, senza interessarsi minimamente a vagliarli col setaccio di studi storici seri e documentati. Stalin che avrebbe massacrato minoranze (in ossequio al verbo del progressismo borghese postmoderno che vede solo minoranze da proteggere, come i naturalisti per i panda) sessuali, etniche, comunisti, operai è una litania che si recita ossessivamente e macchinalmente, asserzione pret à porter, sempre pronta all'uso, ma senza fondamento. Lo stesso per la vicenda spagnola. Inviterei a documentarsi su qualche fonte storica per comprendere se quando parlo di strumenti di Mussolini, Hitler e Franco lo faccio solo come illazione discutibile o invece come asserzione sufficientemente provata (documenti di ambasciata tedesca, atti e sentenza di processo pubblico in Germania ad un compagno scoperto e catturato, e cosette del genere).
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claudio
Tuesday, 04 February 2020 11:45
P: S: La prima parte della nota riguarda il passato e come si sa l'acqua passata non macina più, pertanto consiglierei di guardare al presente.
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Carlo
Tuesday, 04 February 2020 11:42
Grazie x l'articolo eros, sono nella RSU aziendale e posso solo confermare l'esistenza dell'aristocrazia operaia opportunista e pronta a boicottare gli scioperi che stiamo organizzando x una misera una tantum. La domanda che mi continuo a porre è: come riuscire a contrastarla?
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claudio
Tuesday, 04 February 2020 10:12
Premesso che non sono affatto trozkista, e nemmeno anarchico, infatti concordo completamente con la linea politica seguita da Lenin ( Brest-Litovski, Kronstadt e Nep compresa), ma non con quella di baffone, che ha massacrato operai, comunisti e membri vi svariate minoranze etniche, sessuali, ecc..; ed in Spagna ha fatto sparare contro i comunisti non stalinisti, e che tu affermi … d’essere stati strumento inconsapevole di Hitler, Mussolini e Franco!
In quanto al determinismo del sistema sulle masse, basta vedere che molti operai anziché organizzarsi autonomamente dai sindacati di regime e lottare contro il sistema, partendo dai bassissimi salari italiani e dalle altissime remunerazioni dei dirigenti, sia pubblici (quelli dei vertici dello stato: presidenza delle repubblica, banca d’Italia, Consob e così via, sono molto più alti dei pari grado degli altri paesi capitalistici più sviluppati, come Usa e Germania), che privati (i presidenti e gli amministratori delegati delle aziende italiane quotate in borsa, che pur trattandosi mediamente di aziende medio/piccole, godono delle remunerazioni più elevate al mondo dopo quelle svizzere (dati pubblicati da Il sole 24 ore), non trovano di meglio che votare per la Lega, il che significa cadere dalla padella alle brace!
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Mario Galati
Monday, 03 February 2020 17:29
Ciò che dice Claudio sull'ideologia delle masse potrebbe essere giusto, ma storicamente potrebbe esserlo solo se si presuppone ciò che invece è tutto da dimostrare e da provare, ossia, che solo i trozkisti siano stati i veri comunisti del '900. Secondo il criterio dell'internazionalismo trozkista contrario alla costruzione del socialismo in un paese solo, lo stesso Lenin della pace di Brest-Litovski sarebbe escluso dal novero dei comunisti novecenteschi. Lo spregio del ridicolo ha indotto qualcuno a sostenere anche questa tesi e a considerarlo un controrivoluzionario per la repressione della rivolta di Kronstadt. Il medesimo schemino viene usato contro i comunisti che difendevano la repubblica spagnola. E viene usato da parte di chi non aveva la minima consapevolezza di essere uno strumento di Hitler, Mussolini e Franco. Con questa sagacia e lungimiranza si pretende di essere seguiti dalle masse. Ma le masse non hanno seguito questi pretesi super comunisti non per mancanza di coscienza, ma proprio per la presenza in loro della coscienza sufficiente a capire chi si trovavano di fronte.
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claudio
Monday, 03 February 2020 16:58
Evidentemente quando mi è scappato detto che stimavo l'autore dell'ultima nota, mi ero sbagliato. Certo che gli internazionalisti, buoni o meno buoni che siano, ci hanno provato e ci provano a creare un movimento rivoluzionario più ampio, ma forse qualcuno non si rende conto che il sistema determina tutti, a cominciare dalle classi più povere e meno colte. Se lo stesso avesse fatto un po' d'attività in mezzo alle masse, o quanto meno tra la classe operaia, se ne sarebbe accorto!
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Mario Galati
Monday, 03 February 2020 11:24
Lascio perdere la confutazione dei più triti e ritriti luoghi comuni liberal-trozkisti, altrimenti detti "internazionalisti", e la completa astrazione dalla realtà storica concreta che li connota e domando a a Maurizio Gandini su quale base pretende che "una nazione che di comunista non aveva ancora nulla" si sacrificasse sull'altare dell'internazionalismo e della rivoluzione proletaria. Non sarebbe stato meglio che i "veri rivoluzionari internazionalisti", i "veri comunisti", si mettessero l'anima in pace e, invece di vivacchiare solo di riflesso polemico con queste esperienze, collaborando sostanzialmente con il blocco capitalistico avversario, si impegnassero di più e meglio per creare un movimento rivoluzionario ampio? E se ci hanno provato, ma le masse non li hanno seguiti, non sarebbe meglio chiedersi come mai, invece di pontificare sulla dottrina e sull'influsso del maligno?
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Maurizio Gandini
Monday, 03 February 2020 09:39
[quote name="Eros Barone" (si apre qui il fondamentale problema, riconducibile per alcuni aspetti alla problematica dell''aristocrazia operaia', delle tendenze opportuniste e revisioniste che, pur duramente contrastate nel periodo staliniano, prenderanno il sopravvento con Kruscev a partire dal 1953, trasformando progressivamente il revisionismo in liquidazionismo). Quanto poi ai cosiddetti "partiti stalinisti e maoisti", sarebbe bene non dimenticare, se si intende rispettare la verità storica e non si vuole portare acqua al mulino delle forze reazionarie, che queste forze politico-ideologiche sono state le uniche, sinora, ad avere sconfitto il capitalismo e il fascismo nei rispettivi paesi e ad avere contribuito, in tal modo, alla rivoluzione socialista mondiale. gentile Eros vorrei far rilevare in merito a quanto citato, che le tendenze opportuniste e revisioniste si sono affermate con la scelta dell'abbandono del terreno dell'internazionalismo proletario privilegiando la difesa dello stato russo, anche se di fatto fosse decisione presa inizialmente in buona fede, creò i presupposti per il prevalere dell'ideologa borghese, dati i rapporti di forza tra le cassi in Russia, tutto ciò che ne seguì non fu che la naturale conseguenza dell'errore di fondo, la difesa di una nazione che di comunista non aveva ancora nulla, se non l'ideologia dei suoi dirigenti, naufragata sotto gli interessi borghesi della difesa dell'economia nazionale. il risultato fallimentare delle politiche staliniste e maoiste si può riscontrare con il conflitto tra Cina e Russia per i confini sul fiume Ussuri e per le profonde divergenze politiche che hanno caratterizzato la natura imperialista di queste due nazioni nei conflitti che seguirono in Korea Cambogia e Vietnam, senz dimenticare che la Russia sotto la guida della nuova politica nazionalista, favorì l'armamento della Germania nazionalsocialista con la quale strinse anche un patto poi trasgredito dalla Germania, senza contare la scelta controrivoluzionaria e collaborativa con la borghesia durante la guerra di Spagna che si protrasse durante il secondo conflitto mondiale e con la resistenza. I paesi nati a modello di questi stai non hanno assolutamente ne sconfitto il fascismo ne tanto meno il capitalismo nei rispettivi paesi e non hanno contribuito alla rivoluzione socialista mondiale, allontanandola disorientando ll proletariato locale per la difesa di interessi economici borghesi nazionali, in nessuna nazione è stato abolito il rapporto di lavoro salariato, quindi non si può parlare di comunismo e in nessuna nazione si può parlare neanche di socialismo, in quanto stando ai canoni del marxismo, che sono alla base del comunismo, gli strumenti di produzione non sono stati completamente socializzati, la struttura di stato non è fondata sui consigli, non è stata centralizzata l'economia e quindi abolita l'accumulazione privata di capitali e risorse sociali. La dimostrazione storica è che queste nazioni hanno gradualmente gettato la maschera abbandonando qualsiasi riferimento al socialismo rinnegandolo e dichiarandone il fallimento, a cominciare dalla Russia. Oggi che il capitale ha varcato ogni confine nazionale, a ragion maggiore la rinascita di un movimento di classe rivoluzionario e la sconfitta dell'opportunismo sarà possibile solo su di un terreno internazionalista, senza più alcuna collaborazione con alcuna frangia "emancipata" della borghesia.
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Eros Barone
Sunday, 02 February 2020 17:22
Illustre sig. Claudio, posso essere d'accordo con alcune delle sue osservazioni alle tesi che ho esposto, ma non con il giudizio liquidatorio: "socialismo in un singolo paese = capitalismo di Stato". Infatti, la conseguenza inevitabile di un simile approccio, contrassegnato, ad un tempo, dalla negazione dell’evidenza storica, dallo schematismo e dal nullismo, è che il nodo teorico della transizione dal modo di produzione capitalistico al modo di produzione comunistico, che sta al centro della rivoluzione d’Ottobre e dello stesso giudizio su Stalin, cessa di essere un problema teorico e politico non perché in tal modo la questione sia stata risolta, ma perché è stata semplicemente rimossa. La nozione, cui ricorrono coloro che ripropongono oggi le posizioni dei critici della rivoluzione sovietica negli anni Venti e Trenta del secolo scorso, è allora lo pseudoconcetto del ‘capitalismo di Stato’, il cui contorto significato, diversamente da quello attribuitogli da Lenin durante il periodo della Nep (1921-1929), servirebbe ad indicare il carattere fondamentale di una società, quella sovietica per l’appunto, in cui lo Stato è il proprietario dei principali mezzi di produzione e li gestisce in modo capitalistico.
Sennonché affermare questo significa non tenere conto della situazione dell’Urss dopo la rivoluzione d’Ottobre e non comprendere con quali difficoltà e con quali potenzialità, sia a livello interno (l’industrializzazione e il problema dell’alleanza con i contadini) sia a livello internazionale (l’accerchiamento capitalistico e il problema dell’alleanza con i movimenti di liberazione nazionale delle colonie e semicolonie), si siano dovuti misurare i dirigenti che si contesero l’eredità teorica e politica di Lenin, ossia la generazione di Stalin, Trotsky, Bucharin, Kamenev e Zinoviev, per dare al socialismo, con i soviet e l’elettrificazione, le due basi indicate dal grande rivoluzionario russo nella sua sintetica formula, e per mantenere aperta, lungo questa via, una prospettiva comunista. Sotto questo profilo, vale la pena di ricordare che il 7 novembre del 1917 non ha segnato la fine della rivoluzione, ma il suo inizio; parimenti, così come prevede la teoria marxista-leninista della ‘rivoluzione ininterrotta per tappe’, la fine della guerra civile ha costituito non la conclusione del processo rivoluzionario, ma la sua ulteriore continuazione in direzione del socialismo e del comunismo. Del resto, una volta sconfitte tanto le forze reazionarie legate al passato regime zarista quanto le forze controrivoluzionarie sempre riemergenti, le une e le altre appoggiate dal blocco delle potenze imperialiste coalizzate contro il primo paese socialista del mondo, il problema era quello, da un lato, del consolidamento dello Stato proletario e dei risultati sino ad allora conseguiti e, dall’altro, dei tempi, delle modalità e delle forme di sviluppo della transizione al comunismo. Queste nuove tappe non erano e non potevano essere lo sbocco di processi pacifici, giacché, come si è detto e come non si deve mai dimenticare, il loro raggiungimento era fortemente condizionato dalla costante pressione aggressiva dell’imperialismo e dalla realizzazione, sia nella struttura che nella sovrastruttura dello Stato sovietico, dei mutamenti qualitativi che erano necessari per garantire la direzione di marcia, anticapitalista e comunista, dell’intero processo della transizione (si apre qui il fondamentale problema, riconducibile per alcuni aspetti alla problematica dell''aristocrazia operaia', delle tendenze opportuniste e revisioniste che, pur duramente contrastate nel periodo staliniano, prenderanno il sopravvento con Kruscev a partire dal 1953, trasformando progressivamente il revisionismo in liquidazionismo). Quanto poi ai cosiddetti "partiti stalinisti e maoisti", sarebbe bene non dimenticare, se si intende rispettare la verità storica e non si vuole portare acqua al mulino delle forze reazionarie, che queste forze politico-ideologiche sono state le uniche, sinora, ad avere sconfitto il capitalismo e il fascismo nei rispettivi paesi e ad avere contribuito, in tal modo, alla rivoluzione socialista mondiale. Un compito fondamentale del movimento di classe è quindi quello di respingere l’offensiva ideologica e culturale della borghesia imperialista che, come si è potuto constatare anche recentemente con la risoluzione anticomunista del parlamento europeo, tende a liquidare l’esperienza teorica e pratica del proletariato mondiale nelle società di transizione e ad espungere lo studio di questa preziosa esperienza dalla formazione politica e intellettuale delle nuove generazioni che manifestano la loro opposizione al sistema capitalistico.
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claudio
Saturday, 01 February 2020 19:24
Illustre Eros Barone, non ho la pretesa di poter insegnare qualcosa a qualcuno, figuriamoci lei che ne sa molto più del sottoscritto. Detto ciò, voglio offrire il mio modesto contributo, per cercare di rispondere alle sue attuali domande: la classe operaia in generale, oggi manca di qualsiasi concetto di classe. Molti di loro, imbevuti delle teorie borghesi sul consumismo e balle di questo genere, conoscono molto vagamente di vivere in una società divisa in classi sociali con interessi economici, politici e sociali contrapposti. Trovandosi grosso modo a tale infimo stadio di preparazione politica, credo che non necessiti di erudite teorie che le creerebbero soltanto una grande confusione, ma di concetti elementari del tipo di quelli magistralmente illustrati ne “Il Manifesto dei comunisti”, sottolineando bene il concetto dell’internazionalismo proletario. Tali elevate teorie sono invece indispensabili per le avanguardie. A questo punto bisognerebbe chiederci: a chi sono diretti tali eruditi insegnamenti, a delle vere avanguardie o piuttosto a dei lettori un po’ distratti? A mio modo di vedere, ci rivolgiamo soprattutto a questi ultimi, salve poche eccezioni, come dimostrano i riferimenti e/o la provenienza di gran parte della cosiddetta sinistra antagonista, che ha come riferimento partiti borghesi come il PD e partiti fratelli. Mi spiego meglio, non è che la cosiddetta sinistra antagonista abbia idee un tantino chiare su qualche argomento. In base alla risposta alla domanda a chi ci rivolgiamo, andrebbe ovviamente graduato l’insegnamento teorico …
Passo brevemente ai punti: sulle forze produttive, ecc. A tale proposito occorrerebbe non dimenticare che con la sovrapproduzione, che caratterizza molti settori, e la forte automazione attuale, il capitalismo ha sempre più spesso a disposizione un eccesso di manodopera. L’Italia ne è una plastica dimostrazione. Infatti, una gran parte di giovani sono disoccupati, e vista la situazione, tanti di loro non cercano nemmeno lavoro; quei pochi che lavorano spesso s’”accontentano” di salari di fame, mentre quelli più preparati sono costretti a far le valigie per ricercarlo altrove. In quanto alla “legge della caduta tendenziale del saggio di profitto “ , già Marx aveva dedicato un intero capitolo ad illustrare “Le cause antagonistiche”, che negli ultimi decenni hanno travasato in lungo ed in largo. A tornare sull’argomento sono stati dei pretesi marxisti che teorizzavano la caduta del sistema senza bisogno dell’organizzazione e della lotta. Pertanto non darei troppo spazio a tale legge, per altro anteriore a Marz, come lui stesso ha onestamente ammesso.
In quanto a: (crisi dello Stato borghese, organizzazione del proletariato in partito rivoluzionario, situazione di doppio potere), vedo la prima, ma non la seconda e men che meno la terza, sulla quale bisognerebbe fare molta chiarezza; “l’ideologia (crisi dell’ideologia borghese, crescente influenza dell’ideologia rivoluzionaria), anche su questo, vedo la prima, mentre sulla seconda ha un grandissimo spazio il pressapochismo, altro che “crescente influenza dell’ideologia rivoluzionaria” ecc. ecc. … In quanto: “antagonistica, e antagonistica in modo definitivo con la classe operaia ed i popoli oppressi della periferia sottosviluppata e sfruttata, sarebbe del tutto fuorviante”. Per me non “sarebbe” ma è! “del tutto fuorviante”. Per quel che mi riguarda non ho affatto “Un’ideologia di questo genere”, però ogni punto merita di dover fare grande chiarezza, altrimenti, generalizzando e non specificando ogni singolo caso, si combinano tremendi pasticci, come quelli in cui si scambiava il capitalismo di stato (dell’Urss e della nutrita compagnia), con la realizzazione del socialismo in ogni singolo paese! In quanto al “crearsi di una nuova congiuntura internazionale della lotta di classe” è per davvero presente in molti paesi del Medio Oriente, America Latina, Asia ed Africa, ma senza un loro coordinamento politico internazionale, temo che tali spinte si esauriscano sotto la spinta della repressione reazionaria che marcia in modo assai coordinato sia a livello delle singole nazioni e che mondiale. Se si dovesse scrivere la storia dal secondo dopoguerra, bisognerebbe mettere in luce soprattutto questo aspetto, che grazie ai partiti staliniani e maoisti, di ogni paese, mentre la borghesia si è super organizzata ad ogni livello, le organizzazioni proletarie sono state sciolte, e questo è il drammatico risultato.
P S:Per ragioni indipendenti dalla mia volontà, purtroppo non ho potuto leggere l’intero suo scritto e nemmeno i commenti successivi a secondo. Mi auguro di poterlo fare quanto prima.
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Maurizio Gandini
Thursday, 30 January 2020 13:48
Quoting Maurizio Gandini:
[quote name="Eros Barone"] Non vorrei essere stato frainteso, la mia risposta non voleva porre un quesito, ma semplicemente far rilevare come l'opportunismo è un atteggiamento umano di fondo per la stragrande maggioranza del cosiddetto individuo massa, con questo non volevo dire che è fattore assolutamente naturale e non influenzabile, ma che anzi è variabile a seconda della realtà economica, certo che va combattuto, ma è molto più arduo nei periodi in cui i profitti sono in grado di alimentarlo e l'unica forza sociale in grado di farlo è il partito comunista, in quanto le condizioni ideologiche e politiche sono indotte nelle masse dalla classe dominante.
volevo aggiungere che anche la separazione tra paesi avanzati =aristocrazie e viceversa per paesi più deboli, non è un una divisione realistica, il rapporto tra aristocrazie operaie e proletariato è necessariamente numericamente a favore della seconda fascia sociale e sempre comunque legato al grado di sviluppo delle varie economie locali.
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Maurizio Gandini
Thursday, 30 January 2020 13:40
[quote name="Eros Barone"] Non vorrei essere stato frainteso, la mia risposta non voleva porre un quesito, ma semplicemente far rilevare come l'opportunismo è un atteggiamento umano di fondo per la stragrande maggioranza del cosiddetto individuo massa, con questo non volevo dire che è fattore assolutamente naturale e non influenzabile, ma che anzi è variabile a seconda della realtà economica, certo che va combattuto, ma è molto più arduo nei periodi in cui i profitti sono in grado di alimentarlo e l'unica forza sociale in grado di farlo è il partito comunista, in quanto le condizioni ideologiche e politiche sono indotte nelle masse dalla classe dominante.
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Mario Galati
Wednesday, 29 January 2020 22:36
Per coincidenza, ho postato il mio commento senza aver letto quello di Eros Barone, poiché stavo scrivendo. È chiaro che anch'io penso che la posizione da aristocrazia operaia e l'ideologia herrenvolk presso gli stessi lavoratori dei paesi imperialisti non siano "naturali" e ineluttabili, così come non è "naturale" la posizione di conflitto tra i lavoratori dei paesi sfruttatori e i lavoratori dei paesi sfruttati. Si tratta di operare per spezzare l'influenza borghese presso i lavoratori.
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Mario Galati
Wednesday, 29 January 2020 22:24
Su ciò che dice Maurizio Gandini andrei più cauto. Eros Barone ha chiarito che, seppure causa di ultima istanza, la condizione economica non è sola determinante l'opportunismo, l'aristocrazia operaia e il socialsciovinismo. Ci sono anche le condizioni politiche e ideologiche. Perciò, il peggioramento della situazione economica per la classe operaia dei paesi imperialisti dominanti non è di per sé sufficiente a innescare l'abbandono del socialsciovinismo o a innescare la rivoluzione.
Tanto è vero che proprio su questo puntano i capitalisti in questo periodo di crisi, attraverso i partiti reazionari di destra, ma anche di "sinistra".
Sulla scia di Lenin si potrebbe collocare l'osservazione dell'esistenza e della persistenza del sentimento della comunità bianca occidentale (la comunità dei liberi, la comunità herrenvolk, concetto inscritto nel razzismo aperto leghista e nella foga dell'esportazione della democrazia e dell'imperialismo dei diritti umani della "sinistra" imperiale piddina), che avvolge anche l'ultimo scalcagnato sottoproletario dinanzi ai popoli di colore coloniali (a proposito di aristocratismo di tutta classe operaia della nazione dominante, e non solo dello strato propriamente privilegiato. Ma questo è precisamente uno dei meccanismi che puntellano il razzismo).
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Eros Barone
Wednesday, 29 January 2020 21:42
Sia Claudio che Maurizio Gandini pongono lo stesso problema, cioè come articolare la teoria della rivoluzione in rapporto alla crisi globale del capitalismo. Sennonché la teoria della rivoluzione, nei classici del
marxismo-leninismo, assume due differenti ‘status’ in base ai due livelli: di ‘modello’ e di ‘congiuntura’. Al primo livello si colloca la teoria marxiana delle crisi, momento necessario e oggettivo del processo capitalistico di accumulazione, riproduzione e sviluppo, che fonda la possibilità e la necessità a un tempo della rivoluzione. Infatti, il fenomeno ciclico della sovrapproduzione è peculiare all’economia capitalistica. Le crisi sono, sì, un momento di riequilibrio del sistema, ma anche il momento in cui si afferma il carattere storico, quindi transitorio, del capitalismo. È quel che Marx esprimeva, dicendo che il proletariato non ha ideali da sviluppare, ma forze produttive da sviluppare. Vero limite del capitale è il capitale stesso: la sua contraddizione immanente è la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto; la tendenza alla creazione di ricchezza che si si rovescia nel suo contrario, nella tendenza alla distruzione ciclica di ricchezza e all’estensione della miseria alla stragrande maggioranza dell’umanità. D’altra parte, occorre rammentare che il movimento ciclico della produzione capitalistica è un fenomeno che non si incontra in alcun periodo anteriore della storia; le formazioni sociali precapitalistiche non conoscevano né crisi né sviluppo ineguale o sottosviluppo, quali specifiche conseguenze dello sfruttamento e del dominio politico. Al secondo livello si collocano la teoria leniniana dell’anello più debole e, in particolare, la concreta analisi dell’“anello” Russia nel 1917. È in questa occasione che Lenin definisce il “momento attuale”: la rivoluzione è resa possibile, in Russia e in quel momento, da una peculiare combinazione di contraddizioni, di forze in campo e di interessi in gioco. Sul piano internazionale e nazionale, si tratta di una crisi che investe, sì, l’economia, ma soprattutto la politica (crisi dello Stato borghese, organizzazione del proletariato in partito rivoluzionario, situazione di doppio potere), l’ideologia (crisi dell’ideologia borghese, crescente influenza dell’ideologia rivoluzionaria), i rapporti sociali (alleanza del proletariato con le grandi masse popolari, sottratte all’influenza della borghesia, ed egemonia del proletariato su di esse). Accanto al fondamento economico generale, immanente, della fine del capitalismo, è dunque necessario, perché il proletariato possa fare la rivoluzione socialista, il concorso di una serie di condizioni sovrastrutturali e sociali. Perciò, interpretare la teoria dell’aristocrazia operaia come se la classe operaia dei paesi imperialisti fosse in contraddizione antagonistica, e antagonistica in modo definitivo, con la classe operaia ed i popoli oppressi della periferia sottosviluppata e sfruttata, sarebbe del tutto fuorviante. Un’ideologia di questo genere non può che provocare sfiducia nelle masse e assenteismo politico nei militanti. Le cose stanno diversamente: gli interessi della classe operaia dei paesi centrali della formazione imperialista mondiale non sono soltanto economici; nonostante il benessere economico (peraltro sempre più relativo e decrescente), resta pur sempre suo interesse politico primario, come ho cercato di mostrare nel mio articolo, combattere e sconfiggere l’opportunismo, distruggere la dittatura della borghesia ed instaurare la dittatura del proletariato. Da questo punto di vista, sul lungo periodo, gli interessi della classe operaia mondiale e dei popoli oppressi che formano la base della piramide imperialistica coincidono, e torneranno a coincidere in concreto con lo sviluppo delle contraddizioni su scala mondiale e con il crearsi di una nuova congiuntura internazionale della lotta di classe.
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Maurizio Gandini
Wednesday, 29 January 2020 10:59
Quoting claudio:
Gentile Eros Barone,
... la classe operaia "privilegiata" dei paesi che sfruttano quelli più poveri ed emergenti, negli ultimi vent'anni non ha fatto altro che peggiorare la propria condizione salariale e normativa, permettendo ai ricchi di diventare sempre più ricchi. Insomma, questa classe operaia, ma anche le ex classi medie alle quali probabilmente appartiene anche lei, invece di lanciare una lotta politica, a scala internazionale, per superare l'attuale sistema, in cambio di finte briciole ha aiutato il capitale a sfruttare più intensamente i loro fratelli dei paesi poveri, e così si è sistemata il cappio intorno al collo, attendendo la prossima crisi.
Carissimo Claudio hai ragione, ma tutto questo era inevitabile, l'opportunismo fa parte della natura umana, ma è anche vero che il capitalismo non è in grado di alimentarlo in eterno, infatti nei paesi più progrediti, il maggior "benessere" è pagato con un maggior sfruttamento e comunque non vale per tutta la classe lavoratrice di quel paese, dopo il periodo di sviluppo dell'economia capitalista, quando questa inizia a ristagnare per la sovrapproduzione e la conseguente diminuzione del saggio di profitto, il numero dei privilegiati è destinato a diminuire irreversibilmente e quindi anche l'opportunismo trova sempre meno spazio nell'ambito della classe lavoratrice, a quel punto, come sempre, il problema potrà risolversi in due modi, o con una ennesima guerra imperialista, dopo la quale, si ricomincerà a ricostruire nello stesso modo, o la rivoluzione proletaria e comunista che abbattendo il potere borghese inizierà la lotta per la costruzione di una società senza classi, è chiaro che i comunisti sono per questa seconda opzione ed è per realizzare quella che impiegano tutte le proprie energie, oggi con la propaganda e progressivamente con i fatti, visto che la borghesia non ha alcuna intenzione di mollare il potere, e col tempo ne avrà sempre meno, si creeranno necessariamente le condizioni di un conflitto su vasta scala, adopriamoci affinché sia di classe.
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claudio
Wednesday, 29 January 2020 08:06
Gentile Eros Barone,
pur avendo letto, per ora, soltanto la premessa, mi viene da rispondere che ciò che descrive è una questione per così dire soltanto teorica, in quanto la classe operaia "privilegiata" dei paesi che sfruttano quelli più poveri ed emergenti, negli ultimi vent'anni non ha fatto altro che peggiorare la propria condizione salariale e normativa, permettendo ai ricchi di diventare sempre più ricchi. Insomma, questa classe operaia, ma anche le ex classi medie alle quali probabilmente appartiene anche lei, invece di lanciare una lotta politica, a scala internazionale, per superare l'attuale sistema, in cambio di finte briciole ha aiutato il capitale a sfruttare più intensamente i loro fratelli dei paesi poveri, e così si è sistemata il cappio intorno al collo, attendendo la prossima crisi.
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