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insorgenze

Balzerani, Di Cesare e la polizia del pensiero

di Paolo Persichetti

 

L’associazione nazionale funzionari di polizia ha ritenuto doveroso inviare una lettera aperta alla professoressa Donatella di Cesare, docente di filosofia teoretica presso l’università di Roma La Sapienza, dopo le polemiche scatenate da un suo tweet di cordoglio per la morte della ex dirigente delle Brigate Rosse Barbara Balzerani, scomparsa domenica 3 marzo 2024. Nel suo breve messaggio la professoressa Di Cesare aveva scritto: «La tua rivoluzione è stata anche la mia. Le vie diverse non cancellano le idee. Con malinconia un addio alla compagna Luna».

 

Attacco al diritto di parola e di pensiero

L’Anfp è un’associazione di natura sindacale nata per tutelare gli interessi dei quadri direttivi della polizia di Stato. Nella lettera aperta, che potete leggere qui per intero (www.anfp.it/lettera-alla-prof-ssa-di-filosofia-teoretica) si rimprovera alla docente di aver dimostrato mancanza di rispetto verso le vittime e i familiari delle vittime, tra cui si enumerano anche quelle della strage di Bologna che nulla c’entra con la storia politica della Balzerani, anzi si pone in frontale antitesi con il suo percorso, dimenticando troppo in fretta quei funzionari di polizia e dei servizi segreti coinvolti nei depistaggi della strage e per questo condannati, e a cui – a quanto pare – i funzionari di polizia fanno sconti.


La lettera mette in discussione il diritto di parola e la libertà di pensiero della Di Cesare, punta il dito persino contro la pietas davanti alla morte, contestandole di essere mancata al suo ruolo istituzionale, al rispetto del gioco delle regole: una prova di infedeltà che nelle parole dei dirigenti di polizia sembra mostrare nostalgia verso un modello di università che espelleva chi rifiutava di giurare fedeltà al regime.

 

Il nuovo ministero dell’etica


Sorge immediatamente una domanda: quale è il ruolo e soprattutto il posto della polizia nel sistema politico-istituzionale italiano? Spetta a loro regolare il dibattito pubblico? Stabilire cosa e come si insegna all’interno delle Università, chi merita la cattedra o meno? Non sembrano questi i compiti che gli vengono attribuiti dalla costituzione, che pure dovrebbero rispettare alla lettera per mandato istituzionale. E’ davvero singolare pretendere di ricordare alla cittadina De Cesare che non può oltrepassare il suo ruolo istituzionale di docente, mentre una tale oltrepassamento viene largamente realizzato da parte dei funzionari di polizia con una simile lettera.

Per altro la professoressa Di Cesare ha espresso il suo pensiero su un social non all’interno della sua facoltà. Ha parlato da cittadina, non da docente davanti ai suoi studenti. Attenta a non confondere i due luoghi. Se dei funzionari di polizia si sentono liberi di andare oltre le loro funzioni, di additare in pubblico una persona, esercitando il magistero del pensiero e della parola, l’accaduto assume la fisionomia di una chiara intimidazione. Un invito a tacere manette alla mano.

 

Il volantino degli studenti e la stella volutamente fraintesa

Sempre nella lettera si contesta un volantino di solidarietà alla professoressa affisso da alcuni studenti sulle mura della facoltà di filosofia di Villa Mirafiori, subito etichettati come «pericolosi anarchici» (sic!) e filobrigatisti perché avrebbero firmato il testo con la stella brigatista. Come tutti possono vedere dall’immagine qui accanto, non si tratta della stella asimmetrica con le due punte allungate ma di una normale stella, simbolo storico della sinistra italiana, emblema nel 1957 del Fronte democratico popolare con l’effigia del volto di Garibaldi incastonato all’interno di una stella, appunto. Stella presente nel simbolo di molti partiti storici della sinistra che solo l’ottusa ignoranza questurina può ricondurre immediatamente allo stemma brigatista. Ma il clima è questo, l’ignoranza più gretta sale in cattedra.

 

Cosa ha detto di tanto scandaloso la professoressa Di Cesare?

Che le Brigate rosse sono nate in quel crogiolo di pensiero, ribellione e militanza che nel 1968-69 diede vita ad un nuovo spazio politico animato dalla sinistra rivoluzionaria. Nuova sinistra che contestava le forze storiche del movimento operaio concorrendo sul suo stesso terreno sociale: le fabbriche e le periferie delle grandi città.

Già Rossana Rossanda, nel 1978, ebbe a dire qualcosa del genere, suscitando scandalo per aver iscritto le Brigate rosse nell’«album di famiglia» del comunismo storico. Parole suscitate da volontà polemica non solo contro la posizione del Pci, che pur sapendo della loro vera origine le definiva «sedicenti», accusandole di essere manipolate, eterodirette, agenti Nato eccetera; ma con le stesse Br, ritenute un residuato culturale del veterocomunismo degli anni 50, più che una delle tante anime della nuova sinistra. Biografie politiche e inchieste sociologiche hanno poi dimostrato che sbagliava e di molto anche se più avanti cercò di capirle e raccontarle meglio di ogni altro.

 

La violenza politica? Una risorsa condivisa

In questo nuovo spazio politico il ricorso alla violenza politica era considerato una risorsa legittima. La violenza rivoluzionaria era innanzitutto «parlata», in un libro uscito alcuni anni fa per Deriveapprodi, La lotta è armata, Gabriele Donato spiega quanto fosse condivisa e discussa questa opzione in tutte le formazioni della nuova sinistra, quanto questo orizzonte fosse discusso, percepito come inevitabile: alcuni lo ritardavano ma non lo escludevano e nell’immediato tutti si dotavano di servizi d’ordine, livelli illegali, molti si armavano, facevano «espropri», rapine per finanziarsi, difendevano i cortei dalle forze di polizia e dalle aggressioni fasciste mentre tutt’intorno si susseguivano le stragi e gli attentati della destra e dei Servizi, nelle piazze, sui treni. Si agitavano ombre di golpe e altrove si ribaltavano con le dittature militari governi democraticamente eletti, tanto da spingere il maggiore partito di opposizione italiano a convincersi che non si potesse più salire al governo, divenendo maggioranza alle elezioni, senza prima allearsi con quello stesso partito di governo dagli albori della repubblica, da sempre avversario, dando vita una società senza più opposizione, priva di dialettica, senza conflitti, moderando salari e rivendicazioni e che gli specialisti chiamarono «consociativa». Una democrazia a sovranità limitata, sottoposta al dominio dei vincoli esterni della geopolitica. Si è così arrivati a sparare, ed i primi, ci ricorda la cronaca, non furono le Brigate rosse.

Un qualunque studio serio su quegli anni si immerge in un clima del genere, anche se molti, sopravvissuti e scampati, ormai avanti nello loro carriere professionali, preferiscono dimenticare, non farsi riconoscere, mentire e nascondersi pavidamente.

Che cosa avrebbe detto allora di non vero la professoressa Di Cesare? Che non ha mancato di sottolineare come quel comune sentire iniziale si sia poi diviso in percorsi diversi, in scelte politiche ed esistenziali separate?

 

La stigmatizzazione etica

Nelle parole della Di Cesare non c’è traccia di stigmatizzazione etica, questo è il punto. Le si rimprovera la mancata riprovazione, la damnatio negata. Il regime della indignazione è l’unico possibile a cinquant’anni dai fatti: indignazione selettiva, per giunta, se è vero che uno come Franco Freda, ritenuto giudiziariamente e storicamente responsabile della strage di piazza Fontana, vive tranquillamente quello che gli resta della sua esistenza ignorato, dimenticato, senza che nessuno gli ricordi quello che è stato: uno stragista, una massacratore di umanità al servizio e per conto di alcuni apparati dello Stato italiano.

Come ha scritto Adriano Sofri, si può uscire ad un certo punto dalla lotta armata, ma non si entra mai da un’altra parte. Quella storia è stata dichiarata conclusa dai militanti delle Brigate rosse, Balzerani compresa, con un atto politico quasi quarant’anni fa. Ma non è mai esistito un dopo. Le classi dirigenti e le loro sponde mediatiche non lo hanno voluto perché hanno ancora bisogno di quelle icone per rappresentarvi il male. Una comoda esportazione di ogni colpa e responsabilità per tutti. Per la destra che in questo modo può sbiancare le proprie origini e collusioni golpiste e stragiste; per la sinistra che può così eludere i propri errori politici e fallimenti culturali consolandosi con l’alibi del complotto attuato da forze oscure che le hanno impedito di salire al potere.

Le Brigate rosse hanno incarnato in questo modo tutto il male del Novecento. Risultato paradossale davanti agli orrori del secolo breve, ma ancor di più del presente: ad una guerra russo-ucraina che ha fatto in due anni, stando alle stime del New York Times, 200 mila morti e circa 300 mila feriti, e agli oltre 30 mila morti di Gaza.

 

Una preda di sostituzione

Barbara Balzerani se n’è andata in silenzio, con una mossa di judo si è sottratta alla morsa di chi aveva bisogno del suo corpo per eleggerla a moderna strega, come periodicamente accadeva. La società della «bava e del fiele», orfana della sua persona e del suo funerale che si è tenuto nel più assoluto riserbo, lontano dagli sguardi morbosi dei media, frustrata e livorosa ha cercato affannosamente un’altra preda da azzannare. Ha trovato sulla sua strada Donatella Di Cesare, oggetto transizionale della furia vendicativa. A lei la destra oggi al governo, l’entourage più stretto della Meloni, rimprovera di essere stata colta in fallo, smascherata, per aver squarciato il velo con cui tenta di coprire le sue idee radicate nel razzismo della «sostituzione etnica». Per questo deve pagare.

Comments

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Ennio Abate
Sunday, 17 March 2024 17:46
Che difesa pelosa della Di Cesare ha fatto Massimo Cacciari.

"Preferiti · eooSrdtnps77930g1chuuh35ll5 703ct7ac43l16c502g80g1f32mmchtg1 · 
MASSIMO CACCIARI (ansa): Che qualche fascista si scatenasse strumentalizzando una dichiarazione improvvisata e certo sbagliata di Donatella Di Cesare era cosa scontata. Che giornali che dovrebbero essere dall'altra parte si ostinino a non voler comprendere che vita, ricerca, lavori della Di Cesare, internazionalmente noti, siano l'esatto opposto di ogni più remota simpatia alle idee e alla storia del terrorismo degli anni di piombo - che questi organi di informazione continuino ad alimentare un attacco che non intende porre l'episodio nei suoi giusti e evidenti limiti, questo mi pare del tutto indecente. Peggio, sintomo di un clima da "emergenza" perenne che non ammette neppure battute "fuori dal coro". Che poi, per una battuta certo malissimo interpretabile, ma di cui la Di Cesare stessa ha immediatamente spiegato significato e limiti, le autorità accademiche possano pensare a provvedimenti disciplinari è semplicemente pazzesco. Che deve accadere, di grazia, se a lezione spiegando Marx parlo di cosa intendeva per rivoluzione? o spiegando Nietzsche che lo Stato era "un gelido mostro" di cui augurarsi la dissoluzione? é ancora possibile essere "politicamente scorretti" ?"

Contro ogni cancellazione della verità, mi consola ripensare alla posizione coraggiosa (malgrado le riserve di Persichetti) di Rossanda Rossanda e alle solitarie "Insitenze" di Franco Fortini:

«Lo so bene. Anche chi (o forse: soprattutto chi) sfruttamento, sopruso, violenza, oppressione di classe subisce da sempre, replicherebbe che, meno storie, è orribile e mostruoso (e quasi sempre inutile) ammazzare il prossimo, foss'anche un nemico. Ma tale sacrosanta affermazione procede, non è inutile ricordarlo, da un insegnamento religioso prima che da uno «umanistico». Un insegnamento che ebbe ed ha una sua precisa e complessa sistemazione (sottratta o laterale al potere e al sapere «civile») dei rapporti fra colpa originaria, natura vulnerata, confessione, pentimento, assoluzione, redenzione, divina promessa. Nel cristiano, il raccapriccio per l'assassinio, ha o dovrebbe avere, un fondamento che la tradizione umanistica e illuministica (kantiana, per intenderci) ha ereditato, mal celandone tuttavia l'origine, che è nella trascendenza; onde ha subito un secolo di critiche, da Marx a Nietzsche e a Freud e oltre e fino a noi, che non possiamo fingere inesistite. Ebbene, chiedere ai dissociati di riconoscere che la democrazia è un valore assoluto non è molto diverso dal chiedere loro il «giuramento» proposto dal ministro della Giustizia o certe dichiarazioni o firme antiterroristiche che furono domandate o proposte qualche anno fa nell'ambito sindacale e di fabbrica. Con una differenza grandissima: che il cattolico collega coerentemente morale, religione e diritto e rimanda al Vangelo e alla dottrina della chiesa; mentre il comunista italiano di oggi si è preclusa la possibilità di rinviare non solo ai testi e ai metodi marxisti ma persino a tutta una arte della riflessione sullo stato e sulla violenza che è all'origine della borghesia. Su questi argomenti Hegel, Marx e Lenin avevano opinioni assai diverse da quelle di Locke, Stuart Mill o Bobbio o, diciamo, dai teorici del costituzionalismo liberale. Onde la posizione che si può inferire dall'atteggiamento politico dei comunisti in materia di legislazione speciale e di «dissociati» oscilla fra l'idea di «stato etico» o di «legalità socialista» (varianti dello stato confessionale) e quella di stato «di diritto», fondato su di un patto sociale, sul diritto scritto, le «carte», la forma giuridica. Oggi questa seconda tendenza può sembrare a molti indispensabile per uscire da posizioni che altrimenti - ci insegnano anche i peggiori nouveaux philosophes - ci dovrebbero portare difilato ai gulag. Ma credo di aver passato lo scorso trentennio, lo confesso senza pentimento, a imparare e insegnare partendo dal pensiero di Hegel, Marx, Lenin, Trockij, Gramsci, Mao, Lukàcs, Sartre, Adorno. Da costoro ho appreso che non si oltrepassano i criteri giuridici della società illuministico-borghese - con le sue guerre, ben peggiori dei gulag - senza una modificazione radicale dei rapporti di produzione e di proprietà. Tale modificazione induceva quelle introdotte nel processo penale, della Russia anni Venti, poi degenerate nella inquisizione ideologica stalinista: vi assumevano ruolo primario l'indagine sociale sull'imputato, la «legalità socialista», la confessione, l'autocritica. Non credo certo che per uscire dalla legalità borghese si debba ripercorrere necessariamente quel cammino. Ma quella direzione, sì. E se tali prospettive marxiste le consideriamo solo invecchiate, assurde, sporche di sangue e generatrici di intolleranza, di corruzione burocratica e di ospedali psichiatrici per dissidenti, benissimo, si torni allora allo stato di stretto «diritto»; ma vi si torni davvero, se mai è esistito, e ci si risparmino allora le leggi eccezionali, le «perdonanze» e i sermoni sul «bene comune»»Preferiti · eooSrdtnps77930g1chuuh35ll5 703ct7ac43l16c502g80g1f32mmchtg1 · 
MASSIMO CACCIARI (ansa): Che qualche fascista si scatenasse strumentalizzando una dichiarazione improvvisata e certo sbagliata di Donatella Di Cesare era cosa scontata. Che giornali che dovrebbero essere dall'altra parte si ostinino a non voler comprendere che vita, ricerca, lavori della Di Cesare, internazionalmente noti, siano l'esatto opposto di ogni più remota simpatia alle idee e alla storia del terrorismo degli anni di piombo - che questi organi di informazione continuino ad alimentare un attacco che non intende porre l'episodio nei suoi giusti e evidenti limiti, questo mi pare del tutto indecente. Peggio, sintomo di un clima da "emergenza" perenne che non ammette neppure battute "fuori dal coro". Che poi, per una battuta certo malissimo interpretabile, ma di cui la Di Cesare stessa ha immediatamente spiegato significato e limiti, le autorità accademiche possano pensare a provvedimenti disciplinari è semplicemente pazzesco. Che deve accadere, di grazia, se a lezione spiegando Marx parlo di cosa intendeva per rivoluzione? o spiegando Nietzsche che lo Stato era "un gelido mostro" di cui augurarsi la dissoluzione? é ancora possibile essere "politicamente scorretti" ?"
(F. Fortini, Insistenze pp.223-224, Garzanti, Milano 1985)
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Michele Castaldo
Friday, 15 March 2024 20:18
Caro Paolo,
P.P.P. (Pier Paolo Pasolini) in un articolo sul Corriere della sera difendeva i poliziotti, che definiva figli di contadini piuttosto che gli studenti che definiva figli della piccola e media borghesia in quegli anni.
Ora, il fatto stesso di scrivere sul più importante giornale italiano edito dall'alto loco, la diceva lunga. Era difficile già allora spiegare anche a un intellettuale come lui che gli individui vengono a trovarsi in ruoli che ne determinano i comportamenti. Sicché nel rapporto tra lo Stato - che difende le leggi del modo di produzione capitalistico - e chi lo combatte, i poliziotti difendono il potere costituito. Dunque aveva torto marcio PPP, peccato che non lo capisse.
Per venire alla questione attuale, quella dell'attacco brutale e violento, da parte dell'insieme della stampa e di tutti i mezzi di informazione, nei confronti di Donatella Di Cesare che ha detto qualcosa di molto serio e che è stato interpretato per quello che realmente è: la difesa di un unico movimento sociale e politico che si richiamava al comunismo. Composito quanto si vuole, e lei non lo nasconde dicendo: >.
Dunque si tratta di un bilancio a posteriori, un riconoscere nelle generazioni degli anni '60 e '70 una lotta sociale e politica contro oppressione e sfruttamento e quanto di più putrescente esisteva in ambito dei partiti politici che difendevano le leggi del modo di produzione capitalistico traendone benefici.
come disse Sofri? Ma dove è finito l'Adriano Sofri? Evitiamo di fare citazioni "roboanti".
Una fase si è chiusa? Certamente, ma dove e per chi? Di cosa si sarebbe dovuta pentire Barbara Balzerani? Perché è questa l'accusa maggiore che le viene rivolta.
Ma come con un genocidio in corso contro il popolo palestinese - a proposito di una fase che "si è chiusa" - il liberismo sostiene lo Stato sionista di Israele che lo sta compiendo e addita al pubblico ludibrio, in sua morte, Barbara Balzerani perché non si è mai pentita?
E da chi vanno a confessarsi i nostri democratici e liberisti che sostengono il sionismo dei giorni nostri per ricevere l'assoluzione perché "pentiti"?
La storia, caro Paolo, è impersonale, ha tempi propri ma poi immancabilmente presenta il conto. E non è assolutamente vero quel che pensava Mark Fisher .
Le nostre generazioni sono state espressione di un tempo storico di lotta contro il capitalismo. Altri ne seguiranno inevitabilmente proprio perché il modo di produzione capitalistico è entrato - e finalmente - in una crisi di sistema.
Il liberismo sostiene che il capitalismo con tutti i crimini che ha compiuto in oltre 500 anni è il migliore dei mondi possibili.
I comunisti, traendo un rigoroso bilancio del passato guardano avanti e credono a una implosione dell'insieme del sistema e a nuovi rapporti degli uomini con i mezzi di produzione per diversi rapporti umani.
Michele Castaldo
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Francesco Demarco
Sunday, 17 March 2024 22:20
Castaldo sei tu che continui a non capire... Come a partire almeno dall'epoca dei tribuni del Popolo costoro non potevano mai colmare il vantaggio con gli Aristocratici, per cui si vendevano ed assurgevano alle più alte vette dello Stato. Le Guardie appunto altro non erano che i contadini di sempre, i dopo i primogeniti a cui non restava come in passato che trovare occupazione come artigiani, piccoli commercianti o Guardie, allora detti Milites. Gli stessi operai provenivano dalle campagne ed erano alla stessa stregua ricattabili sulla fame, che può durare solo alcuni giorni, mentre sceglievano il razzismo verso i compagni e i cittadini del Sud in accordo con gli interessi padronali. Tutto il Nord è razzista tuttora, per questo motivo, per questo tradimento della Sinistra dell'epoca e se vogliamo, diamo la responsabilità agli ignoranti e cafoni di allora... Chi sarebbero i comunisti dunque, quelli del Nord o quelli del Sud o nessuno di questi? Se devi mangiare fino a domani esistono di questi tradimenti, nelle società moderne; i quali però non escludono la capacità di comprendere gli avvenimenti e quindi Pasolini e a questo che faceva appello, in fondo la Polizia, strumento imperfetto e assurdamente popolare di estrazione e di nascita da sempre, rimane potenzialmente imparziale ed utile strumento da controvertire e non da rendere opposto e parziale per definizione... Tutti quegli studenti di allora, diventarono adulti e laureati, ma soprattutto adulti, dirigenti in senso lato, anche in riferimento al fatto, che passati gli altri anziani, sono rimasti loro al potere ed il risultato è quello che vediamo. A te ti fanno scrivere in questo posto, ma non se ne capisce la ragione... Anche nel periodo covid hai espresso l'agghiacciante intendimento di uccidere in via definitiva i piccoli commercianti e i piccoli artigiani, i ristoratori... Degli esclusi dei distributori di merce che potrebbero benissimo essere sostituiti da un distributore automatico. Quando oggi sono solo coloro che non hanno vinto un posto fisso o un posto fesso come il tuo! Sono solo persone che si arrabattano e che le politiche di quegli "studenti" hanno portato via dall'alveo di Sinistra che dopo la guerra li aveva guadagnati.
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