Print Friendly, PDF & Email

futurasocieta.png

La “potenza” del pensiero di Karl Marx

di Gianfranco Cordì

Recensione del libro di Isaiah Berlin Karl Marx (Adelphi, Milano, 2021)

Se non capisci la storia sei destinato a non capire nulla della filosofia di Karl Marx: tutto parte da lì. Isaiah Berlin, in questa sua “biografia intellettuale” (stando alle stesse parole di Henry Hardy, il quale ha curato il volume – che reca nel suo titolo il nome e il cognome del grande pensatore comunista – per la casa editrice milanese Adelphi, uscito nella traduzione fatta da Paolo Battino Vittorelli dall’originale inglese), non fa che porre l’accento e “specificare” proprio quanto la “storia” – che è sempre in Karl Marx storia di una determinata “società” e non del singolo individuo o di una nazione o di un certo episodio “storicamente rilevante” –, mutuandone la discriminazione dalla originaria ascendenza di matrice hegeliana, abbia interessato, coinvolto, avvinto il pensatore di Treviri (Karl Marx, infatti, era nato in quella città della Renania tedesca il 5 maggio del 1818) al punto da farne il “centro” direzionale della sua stessa analisi del Capitale, degli obiettivi del movimento operaio internazionale, del comunismo e, in definitiva, della stessa “politica”, in tutte le sue varie manifestazioni. Ma che cos’è la storia?

Per Marx, che segue Hegel, è divenire; è qualcosa di dinamico; è movimento, è il contrario della “stasi” parmenidea (sembrerebbe quasi che “dove c’è l’essere non c’è storia”), è il dispiegarsi – lungo un tragitto e una traiettoria che consentono ai “nudi fatti” di farsi “narrazione” (questo, in definitiva, è il senso di ogni “filosofia della storia”) – di diverse e contrastanti “fasi”. Questo continuo alternarsi è anche un “alterarsi”. Infatti, se è vero che a una fase ne segue – di necessità – un’altra, è altresì vero che la fase precedente fa condurre alla fase successiva mentre la stessa fase successiva porta in sé, direttamente, dentro anche i germi della fase ancora successiva. In questo senso vale una specie di equazione: y–x=p. Il che vuol dire: sia y la fase successiva di cui si diceva e sia x quella precedente, se ne ha che il “presente” (la “fase” presente=p) è data dalla “sottrazione” tra queste due reciproche “fasi”. E il “presente” che Karl Mark analizza e che ha davanti a sé è, proprio quello dl XIX secolo. Nei Lineamenti di filosofia del diritto, lo stesso Hegel aveva a questo proposito scritto: “Il compito della Filosofia è comprendere concettualmente ciò che è, perché ciò che è, è la Ragione. Per quanto riguarda l’individuo, ciascuno è senz’altro figlio del suo tempo; così anche la Filosofia è il proprio tempo colto in pensieri”. Dunque, Karl Marx cosa “coglie” rispetto al “proprio tempo”? Nel Capitale, a giudizio di Isaiah Berlin: “Egli vide molte cose che gli altri non seppero vedere”. Appunto, le ha “colte”! Marx ha colto, infatti, che il “movimento della storia” viene sempre generato da una “tensione” fra due “forze” opposte. E fin qui anche Hegel, ammettendo che queste due “forze” siano due distinte e opposte emanazioni dello “spirito/idea” che si manifesta nella storia e rispetto al quale la storia si manifesta! Ma queste due “forze” contrarie generano il “meccanismo” delle “successive” fasi: chiamando queste due “forze” con il termine di “classi” (sociali) abbiamo un rovesciamento/ribaltamento della filosofia “spiritualista” di Hegel. Marx si rende conto che tutta la “storia” è necessaria; che ogni fase è transitoria; che ogni fase prevede la “lotta” fra due “classi” contrapposte: la “lotta di classe”. Da questo punto di vista, una “lotta” di questo tipo deve terminare, prima o poi, in un “esplosione”, che come tale sarà “violenta”. Solo così si raggiungerà un “livello più alto”, una nuova “fase” della storia che, se rimaniamo attaccati al periodo in cui stava vivendo Marx , non sarà più una corriva “fase transitoria”. La storia ha “leggi” inesorabili, definitive, irrevocabili. Fino alla “fase” all’interno della quale vive e opera Marx ci troviamo ancora nella “preistoria”; ossia nel “regno della necessità”. Ma se sostituiamo alle due “classi” opposte e, appunto, per questo in relazione, i due termini di “borghesia” e “proletariato” se ne deduce che al “regno della necessità” seguirà – attraverso la “rivoluzione” (“esplosione violenta” della dialettica delle due “classi” in oggetto) – il “regno della libertà”. Naturalmente, il “materialismo storico” va anche più a fondo: 1) dopo la “rivoluzione” avrà luogo una “fase intermedia” o “fase di transizione” caratterizzata dalla “dittatura del proletariato”; 2) solo dopo l’instaurazione del “regno della libertà” nascerà la vera e propria “storia”; 3) solo dopo la “rivoluzione” ci sarà la “società senza classi”, l’“estinzione dello Stato”, la totale “razionalizzazione” dei conflitti sociali (le “contraddizioni” dialettiche rilevate sia da Hegel che da Marx); 4) la rivoluzione sarà effettuata intaccando la “struttura economica” (materiale) su cui si regge l’“opposizione” borghesi–proletari, e non i loro pensieri, la loro coscienza, le loro idee, lo Stato, la giurisprudenza, la politica in generale (la cosiddetta “sovrastruttura”); 5) il “comunismo” (cioè il “partito comunista”) rappresenta l’“avanguardia cosciente” del movimento proletario; 6) le “forze in atto” (leggi: le “classi sociali”) sono il prodotto e sono state modellate e costituite dal “lavoro” o, come dice lo stesso Berlin, dalla “fatica umana” e 7) il comunismo è: “Da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”. Ridurre a questo, naturalmente, “tutta” la filosofia di Karl Marx sarebbe, effettivamente, “assurdo”. Isaiah Berlin non fa certamente questa operazione ma segue, a seconda dei cambiamenti intercorsi nella vita di Marx stesso e nella “storia” europea, l’itinerario speculativo del filosofo del Manifesto del partito comunista con acribia e molta bravura. Cosa rimprovera Berlin a Marx? La mancanza di “intuizione psicologica”, ovvero: “Questo singolare impiego di parole come ‘giusto’, ‘libero’ o ‘razionale’, quando non scivola insensibilmente verso il significato comune dei termini, deriva dalle concezioni metafisiche di Marx, e quindi si allontana molto da quello del linguaggio comune, destinato in gran parte a registrare e a comunicare cose che ben poco lo interessavano, cioè l’esperienza soggettiva di individui deformati dall’appartenenza di classe, il loro stato mentale o fisico quale è rilevato dai sensi o dalla coscienza di sé”.

In sostanza, Isaiah Berlin avanza una critica esistenzialista al materialismo storico; era stato, infatti, Kierkegaard a sostenere, proprio contro Hegel, le ragioni del “singolo” a fronte dell’“astrattezza” di chi dichiarava che: “Ciò che è razionale è reale, e ciò che è reale è razionale”. Le ragioni della “psicologia individuale” a fronte del “fatto” preciso per cui: “la nascita del proletariato moderno viene messa in relazione con lo sviluppo generale dei mezzi tecnici di produzione. Quando, nel corso della loro graduale evoluzione, questi mezzi non possono più essere creati e utilizzati individualmente, si verifica la divisione del lavoro e alcune persone, come insegnava Saint-Simon, avendo maggiore abilità, potere e spirito di iniziativa, acquistano il controllo di tali strumenti, venendo così a trovarsi in una posizione che consente loro di impiegare il lavoro degli altri unendo alla minaccia di privarli del necessario per vivere l’offerta di un compenso regolare, superiore a quello che riceverebbero come produttori indipendenti se cercassero di raggiungere gli stessi risultati unicamente con gli utensili vecchi e antiquati di cui dispongono. Una volta venduto ad altri il proprio lavoro, questi uomini diventano essi stessi merci nell’ambito del mercato economico, e la loro capacità lavorativa acquisisce un determinato prezzo il quale fluttua esattamente come avviene per tutte le altre merci”. La “critica” di Berlin, dunque, si può riassumere in quanto lo stesso filosofo lettone (naturalizzato britannico) scrive a un certo punto: “Il materialismo storico può consentire di spiegare ciò che accade nella realtà, ma non può […] offrire una risposta a quesiti di ordine morale”. Il “dilemma”, dunque, lo si può semplificare affermando che in Karl Marx (sempre a giudizio di Isaiah Berlin) coincidono le due “dimensioni” dell’essere e del dover essere – il che, in qualche misura, è una conseguenza del “fatto” che: “Secondo Marx un atteggiamento razionale non può essere determinato da una scala soggettiva di valori rivelati a ciascuno in modo diverso e derivanti dai lumi di una visione interiore, ma deve emanare dalla coscienza dei fatti stessa”. Partire dai “fatti” e non dall’“interiorità”: Marx agisce da “scienziato sociale”, non gli interessa fare lo “psicologo”. Il “fatto” che gli “uomini diventino essi stessi merci” spiega già, ampiamente, di per sé la mancanza di venature “morali” all’interno del “materialismo storico”: un detersivo non possiede “interiorità”! In definitiva, il volume di Berlin riconosce i meriti storici di Karl Marx, ne espone ampiamente la dottrina e diventa veramente “prezioso” quando fa notare una cosa, sempre rispetto al Capitale: “La tesi centrale, che esercitò un fascino così potente sui lavoratori, i quali non afferrarono generalmente quasi nessuna delle complesse argomentazioni di Marx sul rapporto tra valore di scambio e prezzi reali, è la seguente: esiste una sola classe sociale, quella operaia, che produce più di quanto consuma, e gli altri uomini si impadroniscono di questo margine di ricchezza semplicemente perché occupano una posizione strategica come possessori esclusivi dei mezzi di produzione, ossia delle risorse naturali, delle macchine, dei mezzi di trasporto, del credito finanziario e così via. Senza di questi i lavoratori non possono produrre, mentre il controllo su di essi conferisce a chi li possiede il potere di affamare il resto dell’umanità, costringendola a capitolare secondo le proprie condizioni”. A fronte di concetti “astrusi” come il “plusvalore”, il “feticismo delle merci” o magari anche l’“alienazione”, Marx sembra “urlare” ai poveracci di tutto il mondo: “Aprite gli occhi!”. “Non ve la bevete!”. “Diventate scaltri!”. “Allargate lo sguardo” … C’è “qualcuno” che, sul “fatto” che voi state male, ci guadagna!

Add comment

Submit