Print Friendly, PDF & Email
manifesto

L’illusione dell’assalto al cielo

Franco Fratini

«La lotta è armata» di Gabriele Donato per DeriveApprodi. La concezione della violenza negli anni Settanta a partire dall’analisi critica dei testi della sinistra extraparlamentare di allora

Con il volume di Gabriele Donato (La lotta è armata. Sini­stra rivo­lu­zio­na­ria e vio­lenza poli­tica in Ita­lia 1969–1972, Deri­veAp­prodi) affiora alla super­fi­cie e subito si sta­glia all’orizzonte un punto di vista a lungo atteso in Ita­lia, quello che emerge da una let­tura di oltre dieci di intenso con­flitto sociale (1967–1979) final­mente libe­rata dai pre­giu­dizi giu­di­ziari e poli­tici che per oltre trent’anni ne hanno impe­dito l’elaborazione al di fuori dei cir­cuiti della vec­chia mili­tanza.

La que­stione è molto sem­plice: come altre che l’hanno pre­ce­duta e che la segui­ranno, anche quella sta­gione di lotte e di grande inno­va­zione sociale e cul­tu­rale è stata inner­vata nel suo insieme dalla vio­lenza poli­tica, e non c’è gruppo comi­tato o sin­golo mili­tante che non si sia misu­rato con pra­ti­che mili­tari ad ogni livello – par­te­ci­pan­dovi, con­di­vi­den­dole o anche solo ammet­ten­dole, oppure pren­dendo da esse delle distanze sem­pre relative-, da quella del ser­vi­zio d’ordine a pro­te­zione di una mani­fe­sta­zione a quella dell’attentato a sezioni di par­tito o a sedi di mul­ti­na­zio­nali, per arri­vare alle rapine per auto­fi­nan­ziarsi, ai seque­stri, ai feri­menti e infine, nella fase dispe­rata e ter­ro­ri­stica, agli omicidi.

Vio­lenza poli­tica quindi, non vio­lenza cri­mi­nale. Vio­lenza che nasce come cate­go­ria, come oggetto di stu­dio e ana­lisi a par­tire dalle espe­rienze del movi­mento ope­raio e che suc­ces­si­va­mente trae ali­mento dal modo in cui le lotte si mani­fe­stano, dure e senza media­zione, e poi si espande e mol­ti­plica per rea­zione alla repres­sione giu­di­zia­ria e mili­tare dello stato e alla con­danna al «pur­ga­to­rio della lotta di classe» emessa dalla poli­tica delle riforme. Coe­ren­te­mente, Gabriele Donato non è inte­res­sato ai fatti, che com­pa­iono qua e là nelle pagine a puro titolo esem­pli­fi­ca­tivo, quanto alle idee, alla con­vulsa e tor­men­tata ela­bo­ra­zione delle teo­rie che accom­pa­gna la pra­tica delle lotte nei quat­tro anni cru­ciali 1969, 1970, 1971 e 1972. Al ter­mine di un pode­roso lavoro di ricerca, cita­zioni essen­ziali pro­ve­nienti dalle tante offi­cine delle idee, ovvero arti­coli, docu­menti e tra­scri­zioni di inter­venti di quell’intenso e fre­ne­tico periodo, ven­gono ripor­tate e ana­liz­zate nel loro con­ti­nuo fron­teg­giarsi e incro­ciarsi, nel loro affan­noso ricer­care la linea e la stra­te­gia spesso in com­pe­ti­zione tra loro, men­tre il movi­mento ral­lenta la sua corsa eppure non indie­treg­gia e men­tre «si mani­fe­stano i primi segni di fru­stra­zione inne­scata dalle aspet­ta­tive rivo­lu­zio­na­rie susci­tate dall’autunno caldo e dal movi­mento degli stu­denti a con­fronto con il pro­gres­sivo ridi­men­sio­na­mento dei livelli di anta­go­ni­smo favo­rito dall’imprevista capa­cità di recu­pero delle orga­niz­za­zioni riformiste».

A distanza di oltre quarant’anni quei testi che oggi Gabriele Donato torna, impla­ca­bile e anche impie­toso, a leg­gere e inter­pre­tare sono irri­me­dia­bil­mente datati. Per il Col­let­tivo Poli­tico Metro­po­li­tano la «vio­lenza non è un fatto sog­get­tivo, è un’istanza morale; essa è impo­sta da una situa­zione che è ormai strut­tu­ral­mente e sovra­strut­tu­ral­mente vio­lenta». Di lì a poco Sini­stra Pro­le­ta­ria e le Bri­gate Rosse sce­glie­ranno la pro­spet­tiva della guerra di lunga durata, e la clan­de­sti­nità mili­tante come con­di­zione per meglio condurla.

Potere Ope­raio è la for­ma­zione che più a fondo e più aper­ta­mente indaga e appro­fon­di­sce il tema dell’organizzazione poli­tica per la con­qui­sta del potere in quello che già all’epoca da qual­cuno dei mili­tanti viene per­ce­pito come un «paros­si­stico dibat­tito sul par­tito»; la rot­tura della tre­gua sociale è la prio­rità asso­luta, così come la pro­gram­ma­zione della vio­lenza aperta come scelta sog­get­tiva con­tro lo stato per rom­pere la sta­gna­zione, ban­dendo la discon­ti­nuità e la rot­tura come un’arma per «non essere scon­fitti dalle riforme». Si scrive in Potere Ope­raio set­ti­ma­nale: «Il pro­blema che si pone non è vio­lenza o non vio­lenza. Ma quale vio­lenza: la loro o la nostra». In Lotta Con­ti­nua a lungo si ritiene che l’area rivo­lu­zio­na­ria non abbia biso­gno di porsi obiet­tivi orga­niz­za­tivi che non siano quelli posti dall’urgenza dello scon­tro all’interno delle fab­bri­che; nell’estate del 1971 tut­ta­via anche Lotta Con­ti­nua, pur pren­dendo le distanze dagli «slo­gan este­tiz­zanti» (il rife­ri­mento è a Potere Ope­raio), pro­getta livelli orga­niz­za­tivi sta­bili e per­ma­nenti che la avvi­ci­nano a Potere Ope­raio a pre­scin­dere dai toni aspri con cui all’epoca veniva esor­ciz­zata qual­siasi ana­lo­gia. Rimane ben dif­fe­rente l’approccio, offen­sivo ed espan­sivo in Potere Ope­raio e difen­sivo in Lotta Con­ti­nua, dove sono la repres­sione, la «fasci­stiz­za­zione» dello stato e il poten­ziale stato d’assedio a giu­sti­fi­care l’organizzazione della vio­lenza proletaria.

Pagine estre­ma­mente inte­res­santi e docu­men­tate sono dedi­cate da Donato alla pre­pa­ra­zione, da parte dei gruppi e in par­ti­co­lare di Po, di Lc e del Mani­fe­sto, della gior­nata del 12 dicem­bre 1971 a Milano (secondo anni­ver­sa­rio della strage di stato) e alla linea di demar­ca­zione con il pas­sato che essa rap­pre­senta, così come, per quanto riguarda Lc, alla gestione poli­tica dell’uccisione del com­mis­sa­rio Luigi Cala­bresi, il 17 mag­gio 1972, e alle frat­ture con il pro­prio pas­sato che que­sta com­porta. Dopo il 1972 la ten­denza alla mili­ta­riz­za­zione è comune alle due for­ma­zioni, al di là delle scelte pro­cla­mate di poli­tica gene­rale, e lascia inten­dere le evo­lu­zioni degli anni suc­ces­sivi, quando i livelli orga­niz­za­tivi dei gruppi si scom­pon­gono e si con­so­li­dano nel ten­ta­tivo di sfug­gire alla mano­vra a tena­glia del sistema dei par­titi. Cen­ti­naia di mili­tanti vir­tual­mente con­fi­nati in riserve o ghetti poli­tici faranno di lì a qual­che anno la scelta estrema, eser­ci­tando una vio­lenza sul pro­prio corpo per costrin­gersi a ferire e a uccidere.

La ricerca di Gabriele Donato si ferma qui, prima del nuovo movi­mento del 1977, della sua fol­go­rante vit­to­ria e del suo repen­tino declino, e prima dell’avvento della spe­cia­liz­za­zione ter­ro­ri­stica che pro­durrà l’illusione media­tica e giu­di­zia­ria della guerra civile.

Oggi occu­parsi della vio­lenza poli­tica che attra­versò quella lon­tana sta­gione (senza pre­giu­dizi e senza volerne in alcun modo risol­le­vare le ban­diere o can­tarne le gesta) è neces­sa­rio non solo per col­mare una vora­gine dal punto di vista sto­rico. C’è anche una neces­sità cul­tu­rale o pre­po­li­tica cui por mano. In Ita­lia la ste­ri­liz­za­zione della vio­lenza poli­tica –asso­ciata osses­si­va­mente agli anni di piombo, come se que­sta fosse un male asso­luto anche se si tratta del sabo­tag­gio di un com­pres­sore– ha esor­ciz­zato il cam­bia­mento e ha per­messo l’insediamento di un regime a domi­na­zione asso­luta. Il con­fronto sociale è stato espian­tato con un’operazione in ane­ste­sia totale; e stu­pi­sce anche que­sta volta dover ammet­tere che alcune di quelle scelte radi­cali ed estreme con­te­ne­vano almeno un punto di vista in anti­cipo sui tempi.

Add comment

Submit