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sinistra

Circa il giusto modo di invecchiare

Dedicato a Nicoletta Dosio 3

di Eros Barone

1557131536990190 24 boccaccinoTutte le civiltà conosciute si caratterizzano per la contrapposizione tra una classe di sfruttatori e delle classi di sfruttati. La parola vecchiaia esprime due specie di realtà profondamente diverse a seconda che si consideri quella o queste. Ciò che falsa le prospettive, è che le riflessioni, le opere, le testimonianze concernenti l’età avanzata, hanno sempre riflettuto la condizione degli eupatridi: sono soltanto loro a parlare. 1

Affinché la vecchiaia non sia una comica parodia della nostra esistenza precedente, non v’è che una soluzione, e cioè continuare a perseguire dei fini che diano un senso alla nostra vita: dedizione ad altre persone, a una collettività, a una qualche causa, al lavoro sociale, o politico, o intellettuale, o creativo. 2

Simone de Beauvoir, La vieillesse.

  1. Un archetipo della gerontologia: il De senectute di Cicerone

La vecchiaia non è un argomento allegro, perché evoca il carattere ineluttabile della morte, di cui essa è considerata l’anticamera. Tuttavia, conviene parlarne e rifletterci sopra, perché in tal modo, oltre a neutralizzare l’angoscia che provoca, di primo acchito, il discorrere di entrambe – della vecchiaia e della morte -, è possibile far emergere,, di fronte all’‘unheimlich’ 4 che è il loro carattere fondamentale, da un lato i limiti della riflessione filosofica occidentale e, dall’altro, un approccio alternativo e una diversa prospettiva.

Da questo punto di vista, il trattato di Cicerone, Cato maior, de senectute, è esemplare: in primo luogo, perché, riassumendo l’essenziale delle idee dell’antichità classica sul tema, influenzerà durevolmente il pensiero occidentale posteriore e, in secondo luogo, perché, come suole accadere tanto ad autori antichi quanto ad autori contemporanei (lo vedremo prendendo in esame la riflessione di Norberto Bobbio su tale tema), è evidente lo sforzo, che ne pervade ogni pagina, di esorcizzare lo spettro incombente della morte.

Composta nel 44 a. C., l’opera si propone di rendere sopportabile il peso della vecchiaia alla persona cui è dedicata, Pomponio Attico, grande amico di Cicerone, giunto all’età di sessantacinque anni, e all’autore stesso, più giovane di tre anni. L’opera è un dialogo in cui intervengono Catone il Vecchio, assai ammirato da Cicerone, e due interlocutori molto più giovani. Per opera di Catone si comincia con il confutare le opinioni più triviali sulla vecchiaia: essa non è pesante se non per coloro i quali, non avendo alcuna risorsa in se stessi, avvertono di ogni età della vita non il valore ma il peso; è inoltre incongruente desiderare una lunga vecchiaia per poi, una volta raggiuntala, lamentarsene; è infine assurdo pensare che essa giunga, per così dire, furtivamente, più in fretta di quanto l’adolescenza segua all’infanzia. In effetti, per gli insensati la vecchiaia sarà altrettanto pesante a ottocento quanto a ottant’anni. Sennonché bisogna confutare le quattro accuse più serie rivolte alla vecchiaia: che allontanerebbe dalle consuete attività; che indebolirebbe il corpo; che priverebbe di ogni piacere; che non sarebbe lontana dalla morte.

Orbene, se è certo che la vecchiaia non permette più le attività che richiedono vigore, agilità e rapidità del corpo, è vero però che permette, anche meglio della giovinezza, le grandi azioni in cui sono necessarie la saggezza, l’autorità e il valore delle opinioni. Non bisogna rimpiangere il vigore fisico della giovinezza, di cui ciascuno è del resto dotato in misura diversa, poiché ogni età ha un proprio temperamento. La terza accusa, secondo cui la vecchiaia è priva di piaceri, è facile da confutare, sol che si pensi che esistono piaceri di cui possono godere anche gli anziani: le lunghe conversazioni fra amici, le gioie dello studio e della scienza, i riconoscimenti ricevuti.

Esiste infine un piacere al quale l’età non pone alcun ostacolo, un piacere che suscita in Cicerone un empito quasi lirico e un vivo entusiasmo: sono le gioie dell’agricoltura, che Cicerone descrive con un palese compiacimento, indugiando a lungo sulla sottintesa similitudine tra il lavoro della terra e la fecondità sessuale: «La terra, quando ha ricevuto nel suo grembo soffice e smosso il seme, prima in sé lo tiene occulto...; poi, tepefatto nell’alito e nell’abbraccio suo, lo schiude e ne fa germogliare un che di verde a mo’ di erba, che, puntando sulle fibre delle radici, a poco a poco vien su crescendo, e dritta su uno stelo a noduli, già quasi pubescente, s’avvolge in guaine: dalle quali, quando è uscita, mette fuori una schiera di chicchi ordinati a mo’ di spiga, e contro i morsi degli uccelli meno grandi si difende con un vallo di ariste». 5 Dunque, il vecchio, se non può più darsi ai piaceri dell’amore e alla gioia della procreazione, li potrà gustare ancora sul piano simbolico in quanto saprà gustare i piaceri dell’agricoltura.

La quarta e ultima accusa che viene mossa alla vecchiaia è quella che è maggiormente causa d’angoscia e di tormento: essa avvicina alla morte. Ma per quanto riguarda la morte, esiste una sola alternativa: o essa estingue totalmente la vita dell’anima, e in questo caso non bisogna farsene un problema, oppure conduce all’eternità, e allora bisogna desiderarla. Quest’ultima è la convinzione di Cicerone, laddove l’argomento dell’immortalità dell’anima è rafforzato da quello della conformità alle leggi della natura. La vita umana è simile al ciclo annuale in agricoltura: l’adolescenza, come la primavera, mostra i frutti dell’avvenire; le altre stagioni assecondano la maturazione, la mietitura e la raccolta dei frutti. 6

 

  1. Lo scetticismo di Montaigne e il paradosso dei Saggi

Nei confronti dei miti più o meno consolatori sulla vecchiaia e sulla morte Montaigne compie, all’insegna di un disincantato scetticismo, un’impietosa demistificazione critica. Egli, benché sia impregnato di cultura antica, riconosce nondimeno la contraddizione insanabile dell’umanità quando osserva che «i desideri dell’uomo ringiovaniscono senza posa» e contrappone così l’esperienza comune alla dottrina secondo la quale la vita umana è conforme alla natura. Montaigne nega anche il ‘topos’ fortemente sottolineato da Cicerone, secondo cui le perdite e i difetti della vecchiaia sono compensati dal prestigio che deriva dalla saggezza, laddove, secondo lui, quest’ultima spesso non è altro che rassegnazione. Pertanto, ancorché si sia formato sulla base della filosofia e della cultura classica, l’autore degli Essais non esita a proporre per la vecchiaia un rimedio che nulla ha di filosofico: «Ci sono tante specie di difetti nella vecchiaia, tanta impotenza; essa è così esposta al disprezzo che il miglior acquisto che possa fare è l’affetto e l’amore dei familiari: comandare e farsi temere non sono più le sue armi». 7

Montaigne suscita l’ammirazione di Simone de Beauvoir in quanto rifiuta i luoghi comuni tradizionali sulla vecchiaia e non accetta di considerare acquisizioni quelle che in realtà sono le mutilazioni da essa provocate e una sorta di arricchimento il mero accumularsi degli anni. D’altra parte, nel suo fondamentale saggio, La terza età, la scrittrice francese sottolinea il paradosso che è implicito nell’opera di Montaigne: i Saggi, infatti, sono divenuti un’opera sempre più ricca, originale e profonda quanto più l’autore andava invecchiando: «Queste belle pagine aspre e disincantate sulla vecchiaia, non sarebbe stato capace di scriverle a trent’anni. È proprio al momento in cui si sente diminuito, ch’egli è più grande». 8

 

  1. Un’opera fondamentale sulla vecchiaia: La terza età di Simone de Beauvoir

Quello della Beauvoir è uno dei rari saggi di carattere complessivo, se non l’unico saggio su tale argomento, che figuri nelle bibliografie dedicate alla vecchiaia e che comprenda un’analisi di questo tema che spazia su tutti gli aspetti e su tutte le dimensioni di questa specifica condizione umana: da quelli storici a quelli scientifici, da quelli sociologici a quelli filosofici. Al termine della prima parte di questo saggio, la de Beauvoir constata che gli atteggiamenti delle società storiche nei riguardi dei vecchi variano considerevolmente a seconda che questi appartengano alle classi sfruttatrici o alle classi sfruttate.

L’ambivalenza, ella osserva, si specifica nelle immagini popolari del “buon vecchio” e del “vecchio bisbetico”. Quando la proprietà è istituzionalizzata, l’età non è una ‘deminutio capitis’ ma un dato positivo, poiché il suo sostrato materiale è costituito da ciò che i vecchi hanno potuto accumulare nel corso della loro vita: beni immobiliari, merci, denaro. L’ideologia giustifica allora il potere attribuito agli anziani: hanno accumulato numerosi anni di vita e l’età diviene, di per se stessa, una qualifica. Al contrario, i vecchi appartenenti alle classi sfruttate perdono ogni valore quando perdono la loro forza-lavoro. Inutili e ingombranti, essi dipendono essenzialmente dalla famiglia, la quale non è più in grado di assisterli in modo adeguato se non trasferendo questa funzione a soggetti terzi: gli ospizi o, se si preferisce un termine più anodino, le residenze socio-assistenziali. Così, le società contemporanee si trovano a fronteggiare un fenomeno dalle pesanti conseguenze come quello dell’invecchiamento della popolazione. 9

Nella Terza età Simone de Beauvoir non riesce a dare una definizione della vecchiaia che non sia, almeno in apparenza, tautologica: «La vecchiaia è ciò che capita alle persone che diventano vecchie». In sostanza, la filosofa francese constata l’impossibilità di racchiudere una pluralità di esperienze in un concetto o anche solo in una nozione, e riconosce che l’esperienza personale non fornisce indicazioni univoche circa il momento in cui si raggiunge la vecchiaia. Dal canto suo, la riflessione filosofica fatica a cogliere, e ancor meno a definire, la nozione di vecchiaia. In effetti, se è già difficile pensare la morte, è ancor più difficile, forse impossibile, pensare la coesistenza con la morte, che è lo ‘status’ in cui sembra consistere la vecchiaia.

 

  1. Un ‘laudator temporis acti’: Norberto Bobbio

Il libriccino intitolato, tanto immodestamente quanto polemicamente, De senectute, che l’ottantasettenne Norberto Bobbio pubblica nel 1996, descrive ‘apertis verbis’ la vecchiaia come età abominevole della vita umana. La tesi non è nuova e si contrappone al De senectute di Cicerone, che, come si è detto, enuncia sulla vecchiaia, dal punto di vista di un eupatride, una tesi ottimistica. Ma a chi è rivolto il saggio di Bobbio? Non ai giovani che, com’è noto, alla vecchiaia non pensano e oggi, in tempi di imperversante giovanilismo, si credono più immortali che mai; non ai vecchi ultrasessantenni, che in genere della vecchiaia si lamentano, come Bobbio, per via del decadimento fisico e dell’avvicinarsi della morte di cui molti hanno paura. Il saggio di Bobbio è invece rivolto al passato, dal quale egli afferma di trarre i ricordi che riempiono il poco tempo che gli rimane da vivere. La storia autobiografica (Bobbio fu arrestato nel 1935 quale appartenente ad un gruppo di Giustizia e Libertà e passerà poi al Partito d’Azione) è rappresentata come l’unica storia possibile o almeno come la più giusta, in quanto scandita da una personale continuità che va da Croce alla rivista «Comunità» di Olivetti (continuità per sostenere la quale Bobbio deve però omettere il triste episodio della lettera scritta a Mussolini il giorno stesso della sua scarcerazione per discolparsi).

Insomma, anche in questo libriccino l’autore non perde l’occasione per vantarsi di aver appartenuto a quella élite, piccola ma secondo lui nobile, che ha tenuto in mano e svolto il filo conduttore della civiltà italiana. La vita di Bobbio, partendo dal liberalismo crociano, attraversa così i due periodi, fascismo e antifascismo, come se le tragedie che hanno colpito l’Italia non avessero mai intaccato la sua coerenza. Sennonché, una volta osservato che tanto ai giovani d’oggi quanto agli storici una simile coerenza morale può interessare sino a un certo punto, va detto che è anche da qui che nasce l’idea di una vecchiaia come decadenza fisica e spirituale: un’idea che occorre, almeno in parte, ridimensionare.

 

  1. Il sorriso del samurai giunto alla soglia della vecchiaia

Proviamo allora a prospettare un altro filone: quello della vecchiaia come breve felicità, alla luce del quale la vecchiaia può essere vista, conforme al passo della de Beauvoir che si è riportato in epigrafe, anziché come volta al passato, come volta al futuro o quanto meno al presente. In questo senso, la vecchiaia può diventare sinonimo di libertà, di allegria e di verità: esattamente il contrario di quanto un giovane può pensare leggendo le pagine deprimenti e malinconiche di Bobbio. L’umanità, oggi più che mai, ha bisogno di una prospettiva rivoluzionaria, e i giovani senza questa prospettiva ideale e senza valori alternativi soffrono. Basti pensare che nel 1794 Robespierre aveva trentasei anni e Saint-Just ventisette, che nel 1917 Stalin e Trotzkij avevano più o meno la stessa età (trentotto anni) e che all’inizio del “biennio rosso” (1919-1920) Bordiga aveva trent’anni e Gramsci ventotto. Può meravigliare che uomini così giovani abbiano cambiato il volto dell’Europa, o abbiano provato a farlo cominciando dal proprio paese. Era una giovinezza eroica, che oggi, all’insegna del revisionismo, si tende ad oscurare.

In tempi di consumismo esasperato e di fascistizzazione avanzante, dominati dall’istrionismo e dalla paura, gravati dal peso mortifero di ceti anziani e rancorosi abbarbicati alle loro proprietà, ai loro conti correnti e alle conseguenti ideologie, se non c’è bisogno di eroi, c’è bisogno, comunque, di anticonformisti: di persone che prevedono il futuro e non si rifugiano nel passato. Solo i giovani o i ‘vecchi-giovani’ possono esserlo, ragione per cui non di De senectute ma di De juventute bisognerebbe parlare, a prescindere dall’età. Del resto, si sa che si può essere ‘giovani’ a qualsiasi età, e ‘vecchi’ anche a vent’anni.

Dunque, per conchiudere questo discorso circa il giusto modo di invecchiare giova ricordare una scena del film di Akira Kurosawa, I sette samurai. 10 Lui è quasi vecchio, è un eroe stanco. Sa che morirà senza gloria, senza soldi, solo per salvare qualche povero contadino... Gli fanno una domanda, ma non risponde: sorride dolcemente. Ebbene, quel sorriso è forse la più bella immagine che si sia mai vista della saggezza. La forza non è accettabile che al servizio della debolezza, senza speranza e senza odio. Quel sorriso esprime l’essenziale: un momento di dolcezza e di coraggio prima del furore del combattimento. Athos, il moschettiere più anziano che non sorrideva mai e che era capace di combattere sino all’estremo delle forze, avrebbe amato quel sorriso. 11


Note
1 S. De Beauvoir, La terza età (ed. or. La vieillesse, 1970, tradotta in italiano con un titolo edulcorato), Einaudi, Torino 1971, p. 202.
2 Ibidem, p. 495.
3 Esprimo la mia solidarietà politica e morale verso questa coraggiosa compagna che incarna – e dico ciò indipendentemente dal merito specifico della causa per cui è stata arrestata – quello che è definibile come un giusto modo di invecchiare. Nel bel libro intitolato I sentimenti Ludovico Geymonat, commentando il rischio ìnsito in una scelta di carattere radicale, ha scritto quanto segue: «Quando si agisce nella “legge di pace”, si ha una violenza più velata e civile, ma non meno aspra né meno spietata di quella [la violenza nella cosiddetta “legge di guerra”]... La legalità è puramente una veste esteriore che non impedisce agli uomini di combattersi senza quartiere fino alla rovina di uno degli avversari» (L. Geymonat, I sentimenti, Rusconi, Milano 1989, p. 63).
4 Questa categoria è utilizzata da Freud ed indica un sentimento di paura e disorientamento che nasce dal fatto che «unheimlich è ciò che un giorno fu heimisch, familiare, e il prefisso negativo `un' è il contrassegno di una rimozione» (cfr. “Il perturbante”, in S. Freud, Opere, vol. IX, Boringhieri, Torino 1977, p. 106).
5 Marco Tullio Cicerone, La vecchiezza e l’amicizia, traduzione di Carlo Saggio, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1958, p. 71.
6 Se è lecita una siffatta annotazione, chi scrive vorrebbe sottoporre al lettore la seguente periodizzazione quadripartita della vecchiaia, frutto di riflessioni ed esperienze personali e familiari: giovani anziani (60-70 anni), anziani di mezza età (70-80 anni), anziani di età avanzata (80-90 anni) e, ‘last but not least’, patriarchi e matriarche (oltre i 90 anni). Nella fattispecie lo scrivente è un anziano di mezza età (71 anni), la cui madre è una matriarca di 95 anni.
7 M. Eyquem de Montaigne, Saggi, Adelphi, Milano 1966, pp. 506-507.
8 S. de Beauvoir, op. cit., pp. 153-154.
9 La realtà demografica e quella storica spiegano anche le ragioni dell’attuale crisi migratoria: l’Europa è un continente ricco, che sta vivendo un lungo “inverno demografico” (questa è la definizione usata dagli studiosi di demografia) e la cui popolazione è sempre più anziana e stagnante. Al contrario, l’Africa, il Vicino Oriente e l’Asia del Sud sono aree più giovani e povere, la cui popolazione cresce velocemente. Al culmine dell’ascesa del primo imperialismo, nel 1900, i paesi europei rappresentavano il 25% della popolazione mondiale; oggi, gli europei sono circa 500 milioni e rappresentano attorno al 7% degli abitanti del pianeta. In Africa, al contrario, ci sono ora più di un miliardo di persone e, secondo l’ONU, diventeranno 2,5 miliardi nel 2050. Tanto per fare alcuni esempi, la popolazione dell’Egitto è raddoppiata dal 1975, raggiungendo gli oltre 80 milioni di oggi; la Nigeria, dal canto suo, aveva 50 milioni di abitanti nel 1960, che ora sono cresciuti a 180 milioni e nel 2050 saranno oltre 400.
10 I Sette samurai è un film del 1954 ed è considerato il capolavoro di Kurosawa: in quanto tale è ancora oggi uno dei film più importanti e più citati della storia del cinema.
11 Athos è un personaggio del trittico creato da Alexandre Dumas padre: I tre moschettieri, Vent’anni dopo e Il visconte di Bragelonne.

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