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lacausadellecose

Una ciocca di capelli in Iran?

di Michele Castaldo

Protesta donne iranianeInutile girarci intorno la questione è seria e complicata: l’Occidente ha sviluppato e costruito – attraverso la sua storia – un modello di rapporti sociali che il resto del mondo guarda con ammirazione e sgomento al tempo stesso, proprio mentre si avvia verso il crack il paese simbolo del liberismo, gli Usa. Dall’Iran all’India, o alla stessa Cina si moltiplicano i fenomeni di emulazione di costumi sorti in Occidente e che pongono la donna al centro della scena sociale, politica, culturale, religiosa e quant’altro ancora. Saranno anche minoritari certi episodi, ma segnano il senso di una tendenza destinata più a rafforzarsi che a ridursi. Altrimenti detto: l’Occidente ha sviluppato il culto del liberismo individualistico, ovvero il senso della libertà assoluta dell’individuo.

Come si affrontano tematiche così complicate e importanti che investono milioni di persone nei diversi continenti? Cerchiamo di ragionare sulla cosa senza veli ideologici, come purtroppo spesso si fa, o per partito preso come i tifosi di una squadra di calcio, ma entrando nel merito e cercando di storicizzare la questione, partendo sempre dai fatti per quello che sono realmente e non per quello che si vorrebbe che fossero, per ricavare le idee corrette su di essi.

«Le donne insorgono pubblicamente contro la polizia morale, una istituzione che sorveglia minuziosamente i comportamenti femminili», scrive Sergio Romano sul Corriere della sera di domenica 16 ottobre 2022. Posta nei termini in cui la pone Sergio Romano, chi oserebbe dare torto alle donne «che insorgono pubblicamente»? Qualunque persona, qui da noi, dotata di buon senso direbbe: ma che malfattori questi governanti persiani, questi islamici retrogradi, questi conservatori reazioni e chi più ne ha più ne metta.

Viva perciò le donne che si immolano contro la conservazione reazionaria. Cerchiamo allora di ragionare dicendo innanzitutto che non si tratta di masse di donne, come scrive Michele Farina nella stessa pagina del Corriere della sera: «non di grandi raduni, ma di rivoli di folla, donne e uomini, che continuano a fluire nelle strade di un paese di 84 milioni di abitanti». Si vuole forse sminuire il problema? No, ma solo collocarlo correttamente dal punto di vista quantitativo e anche per la natura della partecipazione che non è fatta solo di donne. Questo per un verso, mentre per l’altro verso bisogna porsi correttamente il problema sapendo che molto probabilmente si tratta di un dito che indica la luna e non possiamo ridurci a fissare l’obiettivo sul dito e/o guardare altrove.

Il fatto che esista in Iran una “polizia morale”, che in Occidente non c’è, ci potrà suonare strano, dunque è un’ulteriore conferma dell’arretratezza di quel paese e dell’Islam come religione che impone costumi conservatori e reazionari contro la libertà della persona. Qui da noi, si direbbe, anche se una donna cammina in bikini per la strada nessuno ci fa più caso se non gli sguardi di depressi sessuali o la meraviglia di persone molto anziane. Dunque avere i capelli fuori dal velo in Iran comporta l’intervento repressivo della polizia morale. Peggio ancora se il gesto è fatto volontariamente per sfidare la legge, come pare sia successo alla povera Mahsa Amini.

La domanda da porsi è: perché esiste una “polizia morale”, ancor prima di definire il fatto come conservatore, retrivo e reazionario; perché si ritiene da parte dell’Islam in quanto religione, di dover frenare in qualche modo l’istinto naturale che la femmina interpreta del desiderio sessuale maschile, un istinto che Malthus definisce primordiale e insopprimibile e che addirittura potrebbe causare gravi danni nel rapporto con l’alimentazione umana perché più fecondo e prolifico della produzione alimentare della terra.

Ora, l’Occidente avendo conquistato mezzo mondo ed essere arrivato alla rivoluzione industriale attraverso una straordinaria accumulazione di ricchezza, ha risolto in modo liberistico il problema, cioè non ponendo limiti all’istinto sessuale ed anzi mercificandolo ulteriormente, facendone addirittura motivo di accumulazione nelle città come Venezia, durante i secoli rinascimentali dei grandi affari con l’Oriente, quando i mercanti arrivavano e potevano trovare tra tante altre mercanzie anche quella del piacere del sesso e del vizio. Un motivo in più per incrementare col prelievo fiscale, anche nei confronti delle meretrici, le casse comunali, per non parlare delle lupanari nelle grandi città come Pompei durante l’Impero romano

Nel corso degli ultimi secoli nei paesi occidentali insieme a tanti diritti conquistati anche dalle classi meno abbienti e dalle donne si è involato un senso di libero arbitrio nei costumi fino al punto da ritenere che la donna sia libera anche di prostituirsi, anzi che si libera attraverso la propria autodeterminazione. Ovvero il liberismo individualistico nella modernità è assurto a valore assoluto della emancipazione.

Per dare il senso di quel che cerco di descrivere mi riferisco a quando andai in Cina, nel luglio del 1989, dopo i fatti di piazza Tien an Men, ospite insieme ad altre delegazioni europee, e dovemmo transitare e fermarci per due giorni a Hong Kong, ancora sotto il protettorato inglese. Fummo ospitati, per conto di un’agenzia governativa cinese, in un lussuoso albergo in centro città con tanto di sfavillanti fontane per ogni piano, camere con aria condizionata che ci sollevava dal caldo umido, afoso e soffocante. Nelle stanze, sul comodino a fianco al letto c’era un piccolo libretto ciclostilato color rosa e stampa in nero con foto di prostitute e loro recapiti telefonici, le prestazioni cui erano disposte e i relativi prezzi, in inglese. Insomma un servizio completo. Non che in Italia le prostitute non vanno negli alberghi, ci mancherebbe, ma lo fanno in modo più discreto, d’accordo con i portieri di notte che vengono lautamente unti per la collaborazione. Quando però arrivammo a Shanghai, la prima città che visitammo con la guida in territorio cinese, notammo che nelle edicole non comparivano le riviste pornografiche, abituati come eravamo a quelle italiane ed europee che erano invece in bella mostra. La cosa ci colpì e capimmo di essere arrivati in un altro continente.

Successivamente quell’immenso paese si è trovato prima a dover rallentare, malthusianamente, la crescita demografica, obbligando le famiglie a una politica di figlio unico, per ridurre la povertà e la fame per decine di milioni di persone e dopo alcuni decenni di “denxiapinghismo”, cioè di sviluppo accelerato alla massima potenza, ha dovuto rilanciare una politica di più figli per famiglia perché altrimenti sarebbero rimaste invendute molte merci e si sarebbe ulteriormente rallentato il processo di accumulazione capitalistico. Per dare un esempio: il 1° ottobre 2004 cinquecento coppie animarono nella capitale una festa dal titolo Pechino ci vede doppio con tanto di telegiornale nazionale e inviati da tutto il paese per festeggiare i parti gemellari, salutando così il nuovo corso cinese sulla natività. Ricordiamo che questo paese che aveva una popolazione pari a una volta e mezzo il numero degli abitanti dell’India, con la riduzione della propria crescita è stato da esso quasi sorpassata.

Passare dalla politica del figlio unico, addirittura obbligando ad abortire le donne incinte per controllare la crescita con la forza poliziesca, in modo particolare nelle campagne, ha avuto i suoi effetti, ma ha anche influito sulla formazione del carattere dei figli unici che sono cresciuti «egocentrici, arrivisti spietati, incapaci di accettare critiche», come scrive Yang Xiaosheng.

Insomma il rapporto uomo-donna tanto per soddisfare l’istinto sessuale quanto per la procreazione è costretto non solo a essere subordinato alle leggi dell’economia, ma subisce le conseguenze sociali del caso. La dimostrazione più evidente la cogliamo nell’insieme dei paesi occidentali che sono in grave crisi demografica e costretti a ricorrere alle genti del nord Africa per tentare di incrementare la crescita, con tutte le contraddizioni che questo poi comporta.

Torniamo all’Iran e alle questioni inerenti a quello che sta accadendo in questo periodo e nella prospettiva immediata. Un paese che è entrato ormai nell’agone della concorrenza del mercato mondiale, non avendo alle spalle uno straordinario processo di accumulazione capitalistico, come l’Occidente, ed avendo subito ricatti e sanzioni continue da parte dell’imperialismo occidentale, è costretto ad essere guardingo nei confronti dei costumi occidentali per non essere invaso e disgregato. Se si vuole è la stessa logica che padroneggia la Federazione Russa in questa fase, basta leggere il discorso di Putin fatto in Russia dopo il referendum nel Donbass: da un lato c’è la dura denuncia del colonialismo di parte occidentale mentre contemporaneamente si disprezzano i valori cui sono giunti i nostri costumi: «vogliamo avere, qui, nel nostro Paese, in Russia, al posto di mamma e papà, i “genitore uno”, “genitore due”, “genitore tre” (sono totalmente impazziti)? Vogliamo davvero che le perversioni che portano al degrado e all’estinzione siano imposte ai bambini nelle nostre scuole fin dalle elementari? Vogliamo che venga insegnato loro che oltre alle donne e agli uomini ci sono presumibilmente altri generi e che venga loro proposto un intervento di riassegnazione del sesso»?

Per una certa sinistra occidentale leggere queste posizioni espresse da Putin, che riecheggiano in qualche modo quello che è dominante anche in molti paesi islamici, può sconfortare per lo spirito conservatore e reazionario, e decretare la conseguente condanna senza appello.

Ma l’Occidente è completamente immune da quel modo di pensare in Russia o fra gli islamici? Assolutamente no. Vale la pena ricordare che il 4 ottobre 1997 ci fu a Washington una immensa manifestazione di circa 750 mila persone dei Promise Kippers che furono tacciati di «fanatismo maschilista e religioso». Una manifestazione di «allarme collettivo» per lo «smarrimento generale della società», «contro la deresponsabilizzazione del maschio nei confronti della famiglia», «contro la disumanizzazione rappresentata dalla omosessualità», «contro la pornografia» e via di questo passo. Una mobilitazione che fece scalpore in tutto l’Occidente. Ad onor del vero non vi fu un grande seguito sul piano della mobilitazione sui temi specifici che proponevano i Promise Kippers negli anni successivi, ma i contenuti che quella mobilitazione esprimeva sono poi continuati a permeare una certa opinione pubblica americana per esplodere poi con la elezione di Donald Trump dopo Barak Obama ed essere immediatamente messi alla gogna dall’opinione pubblica democratica in quanto reazionari.

In Italia, il neo presidente della Camera dei deputati, Lorenzo Fontana, leghista, ha più volte definito in pubblici comizi i matrimoni gay come una schifezza; in Francia ampi settori sociali orientati a destra pensano la stessa cosa. Dunque non necessariamente bisogna andare in Russia o nei paesi islamici per ascoltare certi giudizi su relazioni sociali o affettive che emergono nella moderna civiltà in modo particolare in Occidente. In molti ambienti si prova un certo disgusto nel vedere le manifestazioni arcobaleno con omosessuali e lesbiche che ballano felici di poter finalmente esprimere le proprie tendenze sessuali senza doversi vergognare come succedeva fino a non molti anni fa.

Certo fa strano che una coppia di omosessuali voglia adottare un figlio oppure procrearlo attraverso l’utero in affitto e altri artifici per esaudire il desiderio della paternità. Fa strano perché la storia ci ha trasmesso l’abitudine alla famiglia monogamica interpretata da due sessi, uno maschile, l’altro femminile, uno il germe, l’altro la terra che lo feconda, sicché osservare due uomini omosessuali che fanno da padre e da madre entrambi, o due donne come due mamme, pare strano.

Durante gli anni ’70 del secolo scorso mi capitava spesso di scontrarmi con alcuni intellettuali di sinistra circa la potenza delle leggi economiche rispetto alla volontà degli uomini. Ad esempio ero convinto che anche l’Italia sarebbe stata invasa dai McDonald’s. A questa mia convinzione si opponeva il netto diniego di alcuni perché, secondo loro, in Italia «c’è una cultura di una cucina e di un modo di alimentarsi completamente diversi da quelli degli Usa». Poi i fatti si sono incaricati di dimostrare che la cultura deriva dalle leggi dell’economia e non viceversa: anche l’Italia è invasa dai McDonald’s.

Cito non a caso i McDonald’s come simbolo di un certo consumismo occidentale e occidentalista. Prescindendo dai gusti e dalla bontà dei cibi che vengono serviti in quella famosa catena, alla base ci sono tre fattori che la compendiano: il prezzo, il gusto, la comodità. Poi lo stesso Federico Rampini, il cantore del liberismo e della sempre viva fascinazione che continuano ad avere gli Usa, scrive che negli (?) si mangia una schifezza e che quel modo di mangiare ha disseminato nelle nuove generazioni una infinità di malattie come l’obesità, il diabete e così via. Dunque non bisogna essere dei profeti per prevedere che le stesse malattie si svilupperanno ovunque dilaghi quel modo di alimentazione. Altro che cultura “diversa”.

L’esempio dei McDonald’s lo si può estendere a ogni altro bene di largo consumo. Se questo vale per le merci, vale anche per altre attività umane, che al momento sono sopite, fra queste la omosessualità. Ora, fino a che punto il governo della Federazione Russa può vietare le manifestazioni degli omosessuali perché ritenute «uno schifo sociale»? Non lo sappiamo, ma il fenomeno si ripresenterà continuamente e sempre più forte fino a imporsi manifestamente come in Occidente. È un fenomeno tutto e solo occidentale? È una domanda alla quale è veramente complicato rispondere, ma di certo che l’omosessualità fosse presente fin dall’antica Grecia e durante l’Impero romano sembra assodato. Che si trattasse di un fenomeno minoritario rispetto al resto della società è sicuro, ma che fosse presente è altrettanto certo.

Tralasciamo per un momento gli Usa, il calo demografico, le malattie da stress e da alimentazione, tralasciamo anche il calo del desiderio sessuale presente in entrambi i sessi e così via per ragionare su quello che racconta F. Rampini in Il secolo cinese, ne vale veramente la pena.

«La censura di Stato, a Pechino, esiste tuttora: ancora in tempi molto recenti, i limiti in tema di sesso erano molto severi. Ne fece le spese un caso letterario del 2000, il romanzo erotico-autobiografico Shanghai Baby della ventottenne Zhou Weihui, figlia di un ufficilale dell’Esercito di liberazione popolare nonché giornalista, attrice e regista. Passato inizialmente fra le maglie della censura, ebbe un successo di massa che colse le autorità alla sprovvista. Pochi mesi dopo la sua uscita non tardò a farsi sentire la reazione: venne bollato dai media governativi come “decadente, depravato, schiavo di una cultura straniera”; la cultura lo mise al bando, e ben 40.000 copie di libro furono bruciate in pubblico nell’aprile 2000 in uno spettacolare autodafè (che non fece che accrescere la popolarità dell’autrice)».

Si adduce sempre al nemico esterno la responsabilità di un malanno interno, ma il bacillo attecchisce là dove si sviluppano le condizioni per accoglierlo. In molti miei scritti ho ripetuto che la forza dei fatti è come la tosse, che non può essere a lungo contenuta, e quella differenza che citavo nell’episodio della mia andata in Cina nel 1989 con Hong Kong rapportato ai nostri giorni ci fornisce il passo enorme, insieme all’economia, compiuto da quel paese in ogni altra direzione.

Era un’eccezione l’evento di quel romanzo erotico-autobiografico? No, tant’è che Rampini scrive ancora: «Il best seller del momento», siamo appena nel 2020, «che ha invaso le librerie si intitola Storie vere di una notte. Diciannove impiegate d’ufficio confessano la loro vita notturna». Sono generalizzabili a tutta la Cina gli episodi citati? Certamente che no, ma quello che si vuole qui evidenziare è una tendenza obbligata da una forza dirompente e che non può essere frenata dalla volontà degli uomini alla cui base ci sono i rapporti economici che generano tutto il resto, sconquassando così usi e costumi antichi fin dentro anche l’ultimo angolo del pianeta.

Proviamo ad estrapolare alcuni concetti ancora dal libro di Rampini per rendere l’idea dell’evoluzione che è avvenuta e sta avvenendo in Cina a seguito dello sviluppo dell’accumulazione capitalistica in modo specifico dal dopo Mao e l’avvento di Deng Xiaoping. Scrive l’italoamericano riportando uno studio del professor Ma Xiaonian cui ha offerto la sua collaborazione la ricercatrice Chen Xinxin: «Tra le sposate, il 32 per cento ammette di avere avuto relazioni extraconiugali e l’8 per cento di averne avute di più d’una». Più avanti dice ancora: «Pan Suiming dell’Università Renmin aveva investigato il tema del sesso fra coppie cinesi. Solo il 38 per cento delle intervistate diceva di aver raggiunto l’orgasmo, contro il 62 per cento degli uomini. Quasi un terzo delle coppie aveva rapporti sessuali meno di una volta al mese. Il 60 per cento delle donne si dichiaravano “non attirate” dal sesso». Da un quadro del genere, risulta del tutto naturale che «Crescono del 30 per cento ogni anno i mariti che chiedono il test del Dna per il riconoscimento dei figli.», oppure che «l’anno scorso c’è stato un boom dei divorzi: 1,6 milioni, il 20 per cento in più rispetto al 2003». Ma non è mica finita, perché in coda al paragrafo c’è la summa di dove sono arrivati i rapporti relativi alla sessualità in modo particolare con riferimento all’altra metà del cielo, come diceva Mao e cioè:

«Nelle due metropoli postmoderne, Pechino e Shanghai, si calcola che ci siano circa 500.000 single (quindici anni fa erano appena un quinto), di cui il 60 per cento sono donne. La shanghainese Liang Chen, 30 anni, designer, nel suo blog descrive una vita tutta carriera, yoga, nuoto, letture, feste mondane e relazioni sentimentali passeggere: “Con tante cose da fare, perché farsi inchiodare da un marito? Molti maschi adulti sembrano affetti da un’autostima bassissima. Nella loro vita non c’è posto per una donna con una forte personalità”». Ma non è finita qui, perché «L’esperto di marketing Yuan Yue riassume le quattro opzioni di questa Generazione-Lei: “l’amore senza il matrimonio, il sesso senza l’amore, il matrimonio senza figli, un figlio fuori dal matrimonio”». C’è dell’altro e di più, riferisce ancora Rampini: «Un’altra shanghainese di questa generazione, la ventinovenne giornalista Wang Ting, racconta che “nella Cina settentrionale le zitelle venivano chiamate beidahuang, come terre aride e sterili. Ma guardateci oggi: noi single diventiamo sempre più belle. Quando accendo la Tv e vedo una puntata della serie americana Sex and the City mi chiedo: quante volte capita davvero di vedere delle donne vestite così bene a New York? Quella non è New York. Quella è Shanghai».

 

Proviamo a tirare qualche conclusione

Sono partito da Roma a vol d’uccello verso Teheran attraversando poi la Federazione Russa per atterrare in Cina, in una grande metropoli come Shanghai per toccare con mano quanto i valori occidentali siano una potente forza di attrazione nei confronti del resto del mondo. Attenzione bene: non si tratta di comparare i “nostri” valori con quelli di altre aree del mondo per concludere di quanto siamo belli e bravi noi europei e occidentali al cospetto degli altri popoli. È il liberismo che compie questa operazione per giustificare attraverso il fine che ha raggiunto l’Occidente i mezzi di dominio impiegati. Il materialista determinista, studia le cause delle cose e fornisce una consecutio storica facendo derivare da ogni causa un effetto, una nuova causa e un nuovo effetto. Pertanto chi oggi saluta trionfalisticamente la ribellione di giovani donne in Iran contro l’oppressione femminile sa di proporre come modello alternativo a quello teocratico islamico quello del liberismo occidentale, dell’individualismo femminile preda della mercificazione di tutta la società, compreso il corpo e la mente della donna, anzi proprio attraverso la donna. Forse che non è mercificato il corpo femminile in Iran? Non in questi termini si pone la questione, bensì che l’Occidente attraverso la liberazione del corpo femminile dalla schiavitù maschilista della teocrazia, tende a penetrare e invadere coi propri valori, che sono ormai decrepiti in Occidente, a detta degli stessi liberisti.

In che modo viene presentata l’emancipazione della donna da parte degli occidentali? In realtà si propone alla donna di passare da una schiavitù maschilista di tipo teocratica ad una schiavitù di tipo merceologico incentrata sul sesso. Sicché sul piano storico saremmo in presenza o di una schiavitù legata alla maternità e al focolare domestico oppure alla mercificazione sessuale del corpo femminile e la conseguente riduzione demografica perché la donna a giusta ragione si sente attratta da altri valori e per rincorrerli intende sottrarsi a quello della maternità, o a gestirla finalizzandola in modo marginale, esattamente come sta succedendo sia in Occidente che nella Cina ormai occidentalizzata, come descrive Federico Rampini.

Pertanto un paese come l’Iran già in calo demografico e avviluppato in una crisi generale del modo di produzione vede come il fumo negli occhi la possibilità che in quel paese penetri l’industria consumistica di istituti di bellezza, di estetica per il corpo femminile, di chirurgia plastica e così via, perché questo andrebbe a detrimento certo di una crescita demografica e all’impoverimento del paese. E l’individuo femminile non se la sente in alcun modo di farsi carico ancora di un problema comune attraverso il suo corpo. Così è posta la questione. Le Mahsa Amini, Nika Shakerami, Sarina Esmaeilzadeh o ancora la povera Ernaz Rekabi, atleta scalatrice che perde il velo mentre è in volo sulla parete che sta scalando, guardano il mondo partendo dal proprio corpo, e osservando quelle che sono libere in Occidente vorrebbero avere le stesse possibilità.

Bisogna dire con franchezza che l’azione dell’Occidente nel dare pieno sostegno alle mobilitazioni di libertà invocate dalle nuove generazione, in modo particolare del genere femminile, e dell’attacco politico continuo nei confronti dell’Islam, costituiscono un motivo ulteriore di compattamento antioccidentale e antimperialista intorno ai valori teocratici del governo iraniano e degli ayatollah..

Osservando i fatti fuori dell’Occidente, si commettono, qui da noi, due errori: a) quello di ritenere che si tratti di un complotto operato dai servizi segreti, dalla Cia e chissà da quali altri servizi ancora (i fatti accadono, poi c’è la gestione dei fatti ed è fuori dubbio che l’Occidente cerca di utilizzarli in funzione democratica, ovvero per propagandare i propri valori contro quelli dell’Islam oppressivo e teocratico); b) che si tratti di semplice lotta delle donne per ottenere gli stessi diritti che hanno in Occidente: vestirsi in un certo modo o svestirsi, truccarsi, portare i capelli alla moda, andare dal chirurgo estetico, gonfiarsi le labbra, abortire ecc. (ovvero un semplicismo riduttivo che non aiuta la comprensione delle questioni).

Nel primo caso il complottismo non s’avvede della forza che esercitano ancora i valori occidentali, che influenzano e tendono ad essere assorbiti dal resto del mondo, nonostante siano in decadenza in Occidente; nel secondo caso si isola la lotta delle donne come a sé stante per ottenere gli stessi diritti presenti in Occidente.

Diciamo allora le cose in modo brutale: l’Occidente attraverso la sua storia ha messo a nudo la natura dell’uomo come specie che ha raggiunto in questa fase lo stadio delle sue massime espressioni nelle interrelazioni sociali. E bisogna riconoscere a Hayek, il teorico per eccellenza del liberismo, di aver intuito correttamente il punto in questione, cioè che il modo di produzione capitalistico non poteva né doveva essere imprigionato o zavorrato attraverso una programmazione centralizzata, sul piano nazionale e ancor meno su quello internazionale, dell’economia che avrebbe dovuto dire anche centralizzazione programmata di ogni sorta di vita sociale. Inutile illudersi, questa è la questione. Ora, senza rincorrere i se, al punto in cui siamo arrivati come specie continuare a rincorrere il principio del liberismo individualista ci fa precipitare là dove ormai stiamo andando, ovvero verso un caos catastrofico. Ecco il modo corretto di porre la questione, «il quadro generale si presenta in modo caotico e di decomposizione dell’insieme di valori cresciuti col crescere del modo di produzione capitalistico e che non può essere frenato dalla volontà della cristianità ortodossa russa, degli ayatollah o dai cosiddetti comunisti alla cinese.

Il mondo femminile non occidentale e non ancora cinesizzato dovrà attraversare per forza il purgatorio del liberismo per emanciparsi a uno stadio superiore a quello legato solo al suo sesso? È una domanda molto difficile che può trovare una risposta soddisfacente solo con una crisi generale che rimetta in discussione l’insieme dell’Occidente come impostazione valoriale fondata sul liberismo individualista. Solo così le due parti spaiate in comunione con l’altra metà, l’universo maschile, potranno impostare nuovi rapporti di solidarietà.

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maza
Wednesday, 26 October 2022 17:18
Non si capisce perché il mondo femminile non occidentale, dovrebbe pagare, in termini di autodeterminazione e libertà , gli orrori creati dal Capitalismo d'Occidente, (perché di questo si tratta),che rincorre il principio del liberismo individualista in maniera perversa; molte donne d'occidente come anche uomini, sono "vittime" della propaganda multimediale foraggiata dal capitale ma non tutte le donne e gli uomini lo sono. C'è anche un lato B poi, che viene dalla radice stessa della parola Liberismo: "Libero" e di questo, sempre tutta l'umanità ne ha bisogno e diritto e ognuno "fa quel che sa e può" per goderlo e/o ottenerlo.
In ultima analisi penso che la "qualità" delle espressioni di sé e delle interrelazioni sociali, dipendano molto dal grado di valori e cultura delle persone (a cui hanno potuto accedere) e le donne iraniane potrebbero scegliere differenti e certo migliori strade di emancipazione grazie anche al loro grado di istruzione.
Glielo auguro di cuore.
M.Zanini
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Franco Trondoli
Wednesday, 26 October 2022 15:45
Difficile realisticamente non essere d'accordo.
Per quello che vale il "mio" parere, cioè meno che zero, non darei per scontato sia "l'accordo" Russia/Cina, sia il "disaccordo" degli Usa; ne con la Russia, ne con la Cina.
Se è corretto descrivere un quadro generale di collasso e/o snervamento progressivo del "Sistema Mondo", il Caos ondivago viaggia rizomaticamente.
Cordiali Saluti
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