Print Friendly, PDF & Email

linterferenza

Multipolarimo, socialismo e decolonizzazione del mondo

di Antonio Castronovi

gettyimages 127966916 1024x1024.jpg“Nel mondo che emerge, un mondo fatto
di conflitti etnici scontri di civiltà,
la convinzione occidentale dell’universalità
della propria cultura comporta tre problemi:
è falsa, è immorale, è pericolosa…
l’imperialismo è la conseguenza
logica e necessaria dell’universalismo.”
(S. P. Huntington: Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale).

Il mondo è scosso come non mai da un moto tellurico che sta rompendo gli ingiusti “equilibri” secolari ereditati dal colonialismo occidentale che ha saccheggiato, depredato e colonizzato interi continenti: dall’Africa all’Asia, dalle Americhe all’Australia. Interi popoli stanno riemergendo oggi dall’oscurità della storia e dalla marginalità, e stanno ritrovando le vie del proprio riscatto e della propria indipendenza e sovranità, accelerando la tendenza al multipolarismo.

La frattura che ha provocato questo evento è stata causata dalla decisione coraggiosa della Russia di non sottostare alle provocazioni della NATO di voler fare dell’Ucraina un avamposto anti-russo, minacciandone così la sicurezza. La guerra che ne è seguita sta mettendo in crisi l’ordine unipolare USA nel mondo, accelerando le spinte anticoloniali che si stanno liberando dall’egemonismo occidentale in Africa, in Asia, nel Medio Oriente, in America Latina.

Sta prendendo sempre più forma un nuovo ordine mondiale multipolare, con nuove istituzioni, nuovi rapporti di cooperazione tra Stati e paesi, con nuovi e diversi valori alternativi e contrapposti a quelli neo liberali.

La pretesa dell’Occidente di essere la guida del mondo in nome della sua superiore civiltà non è più accettata e data per scontata dalla maggioranza del mondo non-occidentale.

L’imperialismo si è sempre imposto al mondo sulla base della presunta superiorità della civiltà occidentale che, in quanto tale, si farebbe carico del fardello dell’uomo bianco, portando avanti la sua missione “civilizzatrice” nel mondo, a cui non è stata estranea la stessa sinistra occidentale, compresa quella marxista (A.Castronovihttps://www.linterferenza.info/attpol/la-sinistra-occidentale-fardello-delluomo-bianco/).

Ma l’occidente non è l’unica civiltà della storia umana. Oggi interi popoli riscoprono con orgoglio le proprie civiltà e le proprie radici: le civiltà della Russia, della Cina, dell’India, del mondo islamico, la civiltà ancestrale africana, quella originaria dei popoli amerindi. Ricordare queste civiltà significa precisamente dire che la civiltà occidentale è una parte, una tra le tante civiltà della storia umana. E quando diciamo civiltà occidentale, stiamo parlando in realtà di quella anglosassone, avendo l’Europa rinunciato a trovare un suo spazio e una sua identità unitaria ancorata alla sua civiltà classica, confluita invece nella ideologia americanista mercantile e neo liberale.

La riscoperta di queste identità di civiltà è oggi la benzina nel motore della nuova rivoluzione anticoloniale e multipolare in corso.

L’Occidente egemone, se avrà e vorrà avere un ruolo nel mondo multipolare in formazione, dovrà imparare a con-vivere su una base di uguaglianza con le altre civiltà, riconoscendole e rinunciando al colonialismo economico e culturale su cui ha costruito il suo potere e benessere.

Ma ne sarà capace? Questo esito non è e non sarà scontato e pacifico. L’ordine costitutivo del patto sociale che lega le potenze occidentali egemoni ai suoi cittadini si basa sul presupposto del primato del proprio benessere su quello del resto del mondo, fino a negare il diritto di questi allo sviluppo se contrasta con i propri interessi. È stata questa la filosofia della globalizzazione neoliberale a guida anglosassone, in cui un relativo sviluppo dei paesi periferici era consentito solo in quanto funzionale alla necessità di approvvigionamento di merci a basso costo per sostenere la propria domanda interna.

La Sicurezza Nazionale Americana si basa sul presupposto che lo sviluppo di qualsiasi altro paese, al punto in cui è indipendente dagli Stati Uniti, è una minaccia per gli Stati Uniti stessi.

La ragione per cui la Cina è l’avversario numero uno e il rivale “sistemico” degli Stati Uniti è che si sta sviluppando secondo una autonoma visione cinese, e gli Stati Uniti sono contrari a qualsiasi sviluppo tranne quello che gli interessi finanziari americani controllano e nella misura da essi decisa.

Quindi il resto del mondo può crescere solo se la sua crescita non contraddice gli interessi degli Stati Uniti. Esattamente quello che è successo con la Cina. Immanuel Wallerstein, prestigioso storico dell’economia recentemente scomparso (Il sistema mondiale dell’economia moderna. Bologna, Il mulino, 1978), ci ha ben spiegato come funziona il sistema-mondo capitalistico nella dinamica centro-periferia: il centro del capitalismo ha bisogno per svilupparsi di creare sempre nuove periferie da cui attingere manodopera, materie prime e beni di consumo a basso costo. L’espansione coloniale era ed è vitale per il suo perpetuarsi. Senza un suo sistema periferico, il capitalismo non può più svilupparsi e oggi le periferie disposte a farsi sfruttare scarseggiano.

Questa contraddizione sistemica non è sanabile con la diplomazia, e da ciò deriva la crisi globale che sta provocando conflitti e guerre lungo la faglia che divide l’Occidente dall’Oriente e dal Sud del mondo: dal Nord Atlantico e dall’Ucraina, verso la Serbia, il Caucaso, l’Iran, la Siria, la Palestina e il Medio Oriente, fino all’Africa. Oggi risuonano profetiche le parole di Giulietto Chiesa: “Gli Stati Uniti ci stanno trascinando verso lo scontro con la Russia, con la Cina e con il resto dei sette miliardi di abitanti del pianeta. La ragione è una sola, ed è semplice: gli Stati Uniti non sono in grado di capire che il XXI secolo non può più essere ‘americano’ “.

 

Una alternativa anticoloniale e multipolare all’universalismo-imperialismo liberale. Il comunitarismo nella Tradizione africana e il caso della Carta Manden.

Sempre secondo I. Wallerstein, esistono due tipi di sistema-mondo: le economie-mondo e gli imperi-mondo, il primo governato dall’economia (caratterizzato dalla “libertà” di mercato), il secondo dalla politica (quelle che definiamo“autocrazie”, con le sue forme storiche diverse di comando). L’epoca iniziata col XVI secolo e continuata fino ai giorni nostri sarebbe caratterizzata dall’emergere dell’economia-mondo-capitalista che ha gradualmente sostituito i precedenti imperi-mondo. Questa egemonia viene contrastata oggi dall’emergere di una alternativa imperniata sugli imperi-mondo, i grandi Stati-Continenti o Stati-Civiltà che si oppongono al predominio del globalismo neoliberale, forma moderna della civiltà capitalistica nella sua fase imperialista dominata dalla finanza.

Questo scontro sta assumendo sempre più il carattere di una guerra ideologica, come aveva profetizzato SamuelP. Huntington: “Nell’epoca che ci apprestiamo a vivere gli scontri di civiltà rappresentano la più grave minaccia alla pace mondiale, e un ordine internazionale fondato sulle civiltà è la migliore protezione dal pericolo di una guerra mondiale.” (Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale).

È innegabile che quello descritto da Wallerstein e da Huntington sia lo scenario a cui stiamo assistendo oggi nel mondo: uno scontro che ha assunto le caratteristiche di una guerra di civiltà, tra quella universalistica neoliberale incarnata nel globalismo unipolarista a guida americana e il resto del mondo non-occidentale, in particolare quelli che possiamo definire Stati-civiltà o Stati-Continente come quelli russo e cinese, eredi di due grandi imperi. Letta anche nel gergo geopolitico, si presenta come l’eterna lotta fra Terra e Mare, tra potenze terrestri e potenze marittime. Dentro questa frattura stanno avanzando spinte anticoloniali e indipendentiste che aspirano a liberarsi dai vincoli imposti dall’Occidente al libero sviluppo di popoli e paesi soggiogati da secoli di sottomissione.

Il mondo che abbiamo ereditato dalla storia è, infatti, figlio in gran parte degli assetti ereditati dal colonialismo europeo che ha depredato risorse e devastato economie locali, ha diviso popoli, storie, religioni e culture affini, attraverso la spartizione e la costruzione artificiale di confini.

I nuovi movimenti anticoloniali puntano ormai a rimettere in discussione tutta l’eredità coloniale, a partire da quella degli Stati-Nazione in favore di nuove configurazioni meso-regionali e neo-imperiali che recuperino le antiche tradizioni e gli antichi “spazi vitali”.

Alcune tendenze di integrazione continentaliste, anticoloniali e antiliberali sono già in movimento nel mondo, con la ripresa dell’idea di unione panafricana sostenuta da prestigiosi leaders africani come Thomas Shankarà, Ahmed Sékou Touré, Julius Nyerere, Patrice Lumumba, Kwame Toure, Kemi Seba; con il panamericanismo latino-bolivariano che propone una unione dei paesi del Sud America per sottrarsi all’egemonismo nordamericano sulla base di un costituzionalismo basato sui diritti dei popoli indigeni e sui beni comuni della terra; e con l’dea di eurasiatismo che sta ritornando in auge in Russia per sostenere il progetto di integrazione eurasiatica sulla base di una ideologia, Mosca come Terza Roma erede di Bisanzio, che riposiziona la Russia fuori dell’Occidente neoliberale, ma in continuità con l’eredità filosofica e religiosa ortodossa dell’impero romano d’Oriente.

Il tratto comune di queste tendenze è il rifiuto dell’ideologia neoliberale e coloniale occidentale e la rivendicazione della propria identità storica, religiosa e culturale. Kemi Seba, prestigioso leader panafricanista di origine beninese, propugna una profonda decolonizzazione dell’Africa che, oltre alla liberazione politica ed economica, implichi la completa pulizia della coscienza africana dagli stereotipi coloniali eurocentrici e soprattutto liberal-globalisti.

Mentre i primi panafricanisti inizialmente credevano che il futuro dell’Africa fosse nell’adozione del capitalismo, del modello di governo occidentale, del cristianesimo o persino del marxismo, all’inizio del XXI secolo il panafricanismo ha preso consapevolezza del fatto che gli strumenti e le strutture della modernità hanno contribuito a perpetuare la dipendenza e la subalternità neocoloniale degli africani. Da ciò il ritorno alla Tradizione, al recupero di modelli politici più radicati nel proprio passato, come la Carta di Kouroukan Fouga nell’Impero Manden del 1235 codificata sotto il regno di Soundiata Keïta, che includeva gli attuali stati di Mauritania, Senegal, Guinea, Mali, Niger, Costa d’Avorio e Burkina Fasou. Forse non è un caso che qui ci sia il nucleo del blocco anticoloniale di resistenza antifrancese. La Costituzione Manden è la più antica della storia, certamente la prima carta dei diritti umani, che venne adottata nel cuore dell’Africa prima ancora di quelle apparse in Occidente e dal 2009 inserita dall’UNESCO nel Patrimonio Culturale dell’Umanità. Si tratta di un sistema di norme, di diritti e doveri che regolavano la vita pubblica nel 1235 con principi di libertà, solidarietà, uguaglianza e non discriminazione codificate da una assemblea popolare. Ecco un estratto dalla Carta:“Ognuno ha diritto alla vita e a preservare la sua integrità fisica/Praticate il mutuo aiuto / Ognuno è libero di agire rispettando i divieti delle leggi della propria Patria/Non fate mai torto agli stranieri/ L’essenza della schiavitù si estingue oggi da un muro all’altro, da un confine all’altro del Manden”. E ancora: “Non offendete mai le nostre donne, le nostre madri /Le donne, oltre alle occupazioni quotidiane, devono essere associate a tutti i nostri governi”. (Vedi: https://www.jpic-jp.org/a/la-costituzione-piu-antica-del-mondo. Roba da far impallidire molte di quelle autodefinitesi democrazie occidentali! Dimostrazione, questo, di come il recupero di valori definiti tradizionali o conservatori, possono essere in verità portatori di un progetto di emancipazione nel presente storico, un esempio di rivoluzione conservatrice, comune a intellettuali europei come Mario Tronti e alla filosofia panafricana.

Per i nuovi panafricanisti lo Stato-Nazione e la democrazia liberale sono retaggi ereditati dall’occidente e non appartenenti alla loro storia e cultura. Anche la “classe”, nozione a noi cara, rimane una vestigia occidentale nata con la colonizzazione con l’obiettivo di creare una borghesia indigena, che però ha lavorato con il colonialismo per dominare e sfruttare il resto della popolazione. Tutto ciò va contro il comunitarismo africano, contro il concetto collettivo africano basato su Ubuntu (“Io sono perché noi siamo”), un comunismo “primitivo” avremmo detto in altri tempi, estraneo alla democrazia liberale come alla solidarietà di classe di matrice marxista.

Questo movimento riconosce però l’importanza del ruolo anticoloniale che stanno assumendo la Cina e la Russia nel contesto africano, come avanguardie del mondo multipolare.

La Russia e la Cina, gli attuali poli di opposizione all’Occidente, sono considerati infatti alleati logici e naturali del movimento anticoloniale perché la Russia, in particolare con la sua guerra alla NATO in Ucraina, sta diventando il garante della multipolarità che consente ai popoli africani di aspirare a vivere secondo le proprie inclinazioni.

Questo spiega la presenza di bandiere russe nelle manifestazioni di giubilo che hanno accompagnato le rivoluzioni antifrancesi in Niger, in Mali e in altri paesi africani, e spiega anche la ricomposizione in atto nel mondo islamico, con un ruolo fondamentale assunto dalla Cina, che sta superando le divisioni religiose tradizionali tra sciiti e sunniti, che ha portato alla pacificazione della guerra in Yemen, e all’ingresso di Egitto, Iran, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita nell’area BRICS. Eventi impensabili un anno fa.

Quelle che avanzano nel mondo multipolare, in contrapposizione all’unipolarismo liberale, sono le nuove ideologie continentaliste, che propugnano il passaggio dagli Stati-Nazione ereditati dal colonialismo occidentale agli Stati-Continente e agli Stati-Civiltà: spazi geopolitici, cioè, che non solo si caratterizzano per una omogeneità culturale o etnica, ma che si considerano ancor prima come delle vere e proprie civiltà a sé stanti, profondamente diverse da quella occidentale.

Il XXI secolo sarà il secolo dei grandi spazi/grandi poli e Stati-Civiltà, le potenze terrestri, che accelereranno il declino delle potenze marittime coloniali. Il nascente multipolarismo sarà in gran parte basato su questi poli e non sui vecchi Stati-Nazione di matrice europea, inadatti a garantire l’equilibrio geopolitico necessario tra i diversi grandi poli.

Questa riscoperta della dimensione meso-regionale e continentale è anche una base solida di resistenza alla penetrazione coloniale e condizione per la promozione di forme di cooperazione pacifica e di condivisioni di spazi commerciali ed economici comuni, con la possibilità di creare un solido mercato interno e di dotarsi di strumenti finanziari indipendenti per sottrarsi alla schiavitù del debito e del dollaro. Da qui l’idea della moneta africana, un sogno inattuato di Thomas Shankarà e di Muammar Gheddafi e, nell’America Latina, del SUR (SUD), la moneta comune rilanciata ora da Brasile e Argentina, ma sul cui capo pende ancora la cappa della dottrina Monroe che la lega agli interessi geostrategici degli USA e al sua nefasto condizionamento: “Se Dio vuole, creeremo una valuta comune per l’America Latina, perché non dovremmo dipendere dal dollaro”, ha detto Lula dopo la sua elezione. La prospettiva meso-regionale è stata anche accarezzata nel recente passato dalla Unione Europea con l’idea euro-mediterranea, che avrebbe fatto del partenariato fra i paesi delle due sponde del Mediterraneo uno dei possibili poli del multipolarismo. Prospettiva poi naufragata con l’apertura a Est dell’U.E. dopo il crollo dell’URSS (Bruno Amoroso, “Europa e Mediterraneo. Le sfide del futuro”, Ed. Dedalo).

La resistenza al globalismo assume, soprattutto oggi, le forme del progetto di Nuova Via della Seta Cinese, dello S.C.O.(Organizzazione di Shanghai per la cooperazione in Asia centrale), della cooperazione dei paesi BRICS, in forte espansione, che si prefiggono di aggirare il controllo e il dominio del commercio mondiale da parte della potenza marittima americana con una imponente costruzione di un gigantesco sistema di connessione intermodale di strade e treni superveloci, di porti, di gasdotti e oleodotti che collegheranno Russia, India, Cina, Asia Centrale, Medio Oriente, Iran, Africa, con forti investimenti cinesi, su cui far viaggiare merci e materie prime energetiche, e basati su una modalità di accordi tra Governi con la logica del reciproco vantaggio, secondo una visione anti-egemonica riassunta nel libro bianco alla base della politica cinese, “Una comunità globale dal futuro condiviso” ( https://giuliochinappi.files.wordpress.com/2023/09/una-comunita-globale-dal-futuro-condiviso-proposte-e-azioni-della-cina.pdf).

Insomma siamo di fronte a un tornante della civiltà, in cui un nuovo ordine multipolare si candida a sostituire il vecchio ordine e sta avanzando modellando nuove istituzioni e nuovi valori secondo linee che rispettino l’autodeterminazione di Stati e popoli, le loro diverse culture, le diverse civiltà e religioni, le diverse forme politiche e di governo, le diverse tradizioni culturali e pratiche comunitarie e democratiche.

 

Per un socialismo decolonizzato e multipolare

Chi sta perdendo il treno della storia in marcia è l’Europa euro-atlantica e, insieme a essa, la sinistra occidentale nelle sue diverse accezioni: quella new liberal filo NATO completamente sussunta all’interno dell’occidentalismo, e quella comunista, più o meno residua, che sogna ancora una impossibile rivoluzione proletaria in questo Occidente, senza aver fatto i conti con i suoi fallimenti storici e con la crisi stessa dell’idea socialista nel senso comune diffuso, e considerato pure che il panorama della sinistra di matrice marxista in Italia e in Europa si presenta, purtroppo, abbastanza problematico, con scarsa capacità di “innovazione”, con qualche eccezione in Germania con Sara Wagenknecht e in Francia con Jean-Luc Mélenchon. Di rivoluzione socialista in occidente si potrà ricominciare a parlarne solo dopo che l’impalcatura del potere finanziario, economico, ideologico e militare anglosassone che lo sorregge avrà subito una sconfitta strategica nel mondo. Per questo la priorità oggi è sostenere fino in fondo la portata rivoluzionaria della rottura impressa dalla Russia e dalla Cina nella storia del mondo con l’apertura alla prospettiva multipolarista ma anche a una alternativa di civiltà e di rapporti tra civiltà. Sono ancor di più incomprensibili, a tal fine, certi “distinguo” che provengono anche da questo campo da parte di quelli del “né con Putin né con Zelenskj”, di quelli del “c’è un aggressore e un aggredito”, oppure di quelli che “con la Palestina sì ma Hamas no”, di quelli che ma “la Cina non è un paese socialista, è una dittatura”, oltre a quelli che “l’Iran è un regime autocratico che opprime le donne”, disconoscendo il ruolo attivo e fondamentale di Russia, Cina e Iran nel campo antimperialista e anticoloniale. Posizioni, queste, apertamente subalterne all’ideologia neoliberale, e quindi un freno oggettivo, un ostacolo allo sviluppo della lotta antimperialista e per il multipolarismo nel mondo.

Questo, il multipolarismo, è invece la vera rivoluzione in atto della nostra epoca che segnerà il destino del mondo a venire, e dal cui esito dipenderà la possibilità che si riapra una nuova prospettiva socialista anche in Occidente, che vede invece una sua rinascita originale nel Sud del mondo e in Oriente, proprio all’interno della resistenza al globalismo e all’imperialismo statunitense. Giova a tal fine ricordare che le rivoluzioni del ‘900, a partire da quella dell’Ottobre russo, sono state rivoluzioni contrarie alla modernizzazione capitalistica, e quindi antimoderne, antiprogressiste, rivoluzioni di contadini, di popolo, guidate da avanguardie comuniste ( Gianfranco La Grassa li definirebbe “gruppi strategici” impegnati in conflitti strategici per il potere), in cui la classe operaia è sempre stata minoritaria o irrilevante e che, come nel caso di Cina, Vietnam e Cuba, avevano una forte impronta anticoloniale. Sono state rivoluzioni eretiche secondo i canoni dell’ortodossia marxista occidentale: rivoluzioni delle periferie contro il centro, non rivoluzioni nel cuore del centro capitalistico. Del resto la scissione tra marxismo occidentale e orientale, tra rivoluzione in occidente e lotte di liberazione coloniali nasce proprio da questa non comprensione che ha segnato la contraddizione dell’Internazionalismo, cioè il suo mancato incontro con la rivoluzione anticoloniale che, secondo Domenico Losurdo, rimane il problema non risolto del marxismo in Occidente.

Secondo Samir Amin, il marxismo e il socialismo possono rinascere solo se si ricollegano alla lunga lotta contro il sistema colonialista e contro tutti i colonialismi e se si ricollegano alla lotta per “un mondo multipolare”, considerato “il contesto per il possibile e necessario superamento del capitalismo”. Un mondo multipolare per essere stabile e autentico deve poggiare però su forme di democrazia popolare, quindi deve essere socialista e richiede e pretende il protagonismo dei vari “sud” del mondo e in questo senso alternativo all’eurocentrismo del marxismo occidentale (Alessandro Visalli in https://tempofertile.blogspot.com/2017/10/samir-amin-per-un mondomultipolare.html ).

In ogni caso l’Europa sta perdendo la sua anima, prigioniera di una ideologia, quella anglosassone, estranea alla sua storia e tradizione culturale classica e alla sua tradizione filosofica che è greca, romano-cattolica, germanica. Anima che la sinistra europea ha già perduto con i suoi fallimenti storici e con la sua adesione totale alla ideologia neoliberale, alla retorica del politicamente corretto, al femminismo liberale, a un ecologismo depurato da ogni istanza anticapitalista, a un pacifismo pilatesco, e con la sua contrarietà e ostilità alle istanze di liberazione e di autodeterminazione di popoli che lottano per emanciparsi dal dominio del globalismo e dal capitalismo finanziario e coloniale. Lo abbiamo visto nella guerra della NATO contro la Serbia, contro l’Irak, contro l’Afghanistan, contro la Siria, contro la Libia di Gheddafi; in Venezuela contro Chavez e Maduro, in Ucraina a sostegno del neonazismo di Kiev, in Africa contro le rivolte anticoloniali in corso, e oggi in Palestina, dove sono stati e sono in prima linea a sostegno delle politiche aggressive e guerrafondaie della NATO, degli USA e della politica razzista di genocidio e di apartheid di Israele in Palestina. Ovviamente in nome della democrazia liberale, del progressismo e dei diritti umani!

I movimenti nazionali di liberazione e gli Stati che resistono all’egemonismo occidentale in Africa, soprattutto nell’Africa francofona, in Sud America, in Asia, vengono infatti accusati dall’Occidente e dalla sinistra new-liberal e anche in parte da quella più “radicale”, di essere portatori di una concezione non liberale della società, ancorati a valori tradizionali e quindi definiti conservatori e antiprogressisti: si tratti dell’eurasiatismo russo, della millenaria civiltà iraniana, del socialismo confuciano cinese, del socialismo indigeno e comunitario bolivariano, del socialismo panafricano, della resistenza araba e islamica.

Quali sarebbero poi questi valori irrinunciabili nel momento in cui nella sua furia totalitaria e anti-dialettica il neo-liberalismo ha riabilitato il nazismo e il nazionalismo razzista in Europa? Nel momento in cui sta precipitando lungo una deriva post-umanista attraverso il suo approdo definitivo all’era del dominio della Tecnica e dell’I.A. sull’Umano, con l’avvento del Transumanesimo come nuova dimensione filosofica di denaturazione dell’uomo attraverso la sua ibridazione con le macchine? La chiamano quarta rivoluzione industriale o Grande Reset, in realtà l’estremo delirio di onnipotenza delle élite globaliste in corsa verso una deriva nichilista! Ma non si può essere coerentemente antiliberisti e antimperialisti, abbracciando contestualmente i valori e la ideologia di chi vorresti combattere! (A. Castronovihttps://www.linterferenza.info/in-evidenza/l-ideologia-new-liberal-la-deriva-nichilista-delloccidente/ )

Prendere le distanze ed emanciparsi quindi dall’occidentalismo, dal suo preteso universalismo dei valori e dalla sua deriva post-umana è l’imperativo categorico su cui poter ricostruire un pensiero e una nuova teoria critica in Occidente, che sia rivoluzionaria, neo-umanista e neo-socialista, fondata sulla cultura e tradizione classica antipositivista e antiutilitarista europea e che soprattutto sia connotato da una forte visione anticoloniale. Il socialismo futuro dovrà corrispondere alla storia, alle civiltà, alle religioni e alla cultura dei rispettivi popoli con le sue specifiche tradizioni anche nelle forme di governo, di democrazia e di giustizia sociale che adotteranno, senza pretese universalizzanti e abbandonando l’ideale dell’Uomo Nuovo Universale come proiezione del suprematismo bianco occidentale. Dovrà essere multipolare.

Per comprendere i popoli è necessario comprendere anche i loro valori, la loro religione, i costumi, la cultura, le loro tradizioni, cioè tutto ciò che per tanto tempo è stato deriso e ostinatamente ignorato dal laicismo progressista socialista.

Un nuovo progetto di sinistra ha quindi l’obbligo di legittimare la resistenza antiglobalista, combattendo innanzitutto la falsa propaganda ideologica occidentale che i conflitti in corso tra i movimenti di resistenza contro l’ordine mondiale anglosassone siano conflitti tra democrazia e autocrazia, tra progresso e conservazione, un capitolo della eterna guerra di civiltà tra Occidente e Oriente, tra civiltà e barbarie, tra dittatura e libertà. Ovviamente questa è una menzogna da gridare a voce alta.

Va assunta anche la consapevolezza che ogni civiltà, anche quelle considerate “arretrate”, ha il suo modo di “Essere” autentico, la sua verità, la sua natura, il suo “essere nel mondo”, il suo “Dasein”, direbbe Heidegger. In Cina esso si incarna nel confucianesimo e nel concetto di “armonia”, nell’Essere eurasiatico nel cristianesimo ortodosso e nel patriottismo russo, in America Latina nell’opposizione patriottica e popolare alla dominazione imperialista e nelle proprie radici indigene, in Africa nella riscoperta delle tradizioni e nel comunitarismo solidaristico, nel mondo arabo-musulmano nell’islamismo. Tutto questo mondo è estraneo alla democrazia liberale e al socialismo occidentale, ma è un mondo autentico che dobbiamo imparare a rispettare. La domanda vera sarebbe in realtà: qual sarebbe il modo autentico di “Essere” dell’Occidente, la sua ontologia? Può ridursi a quella liberale anglosassone? Ma esiste poi un solo Occidente? L’Europa può ridursi a esso? Esiste una peculiare e unica civiltà autenticamente europea? Oppure l’Europa nordica, quella dell’Est e quella mediterranea sono entità diverse? Domande difficili, che meriterebbero una risposta.

 

Una prospettiva socialista può venire dall’oriente?

Secondo Michael Hudson, economista americano, professore di economia all’Università del Missouri- Kansas City autore de “Il destino della civiltà: capitalismo finanziario, capitalismo industriale o socialismo” ( https://michael-hudson.com/2022/05/the-destiny-of-civilization/ ), “il mondo si sta dividendo in due parti, Occidente contro Oriente”. Prosegue Hudson: “L’attuale frattura globale sta dividendo il mondo tra due diverse filosofie economiche. Nell’Occidente USA/NATO, il capitalismo finanziario sta deindustrializzando le economie e ha spostato l’industria manifatturiera verso la leadership eurasiatica, soprattutto Cina, India e altri Paesi asiatici, insieme alla Russia che fornisce materie prime di base e armi. Questi Paesi sono un’estensione di base del capitalismo industriale che si sta evolvendo verso il socialismo, cioè verso un’economia mista con forti investimenti governativi nelle infrastrutture per fornire istruzione, assistenza sanitaria, trasporti e altre necessità di base, trattandole come servizi di pubblica utilità con servizi sovvenzionati o gratuiti per queste necessità”.Conclude Hudson: “I paesi del centro eurasiatico in rapida crescita del mondo stanno sviluppando nuove istituzioni economiche basate su una filosofia sociale ed economica alternativa (all’Occidente neoliberale). Poiché la Cina è l’economia più grande e in più rapida crescita nella regione, è probabile che le sue politiche socialiste abbiano un’influenza nel plasmare questo sistema finanziario e commerciale emergente non-occidentale”.

Secondo Hudson, quindi, la crisi del mondo finanziario globalizzato sta aprendo le porte non solo al multipolarismo ma anche a una prospettiva socialista che, paradossalmente, viene dall’oriente cosiddetto autocratico che, in nome della regolamentazione pubblica del credito, della finanza e del mantenimento del monopolio pubblico dei beni naturali e pubblici, non consente alla cosiddetta democrazia di mercato i facili profitti privati dei rentiers e degli speculatori.

Questo delineato da Hudson mi sembra un buon punto di partenza per una seria riflessione da parte di tutti quelli che si richiamano ancora al socialismo in Europa e non sanno da dove cominciare. Multipolarismo e socialismo non sono poi così distanti. E’ necessario però che l’Europa ritrovi la sua “anima”, la sua peculiare identità storica e filosofica, che è greco-romana e germanica, divorziando dall’ideologia liberal e coloniale anglosassone per ritrovare la strada smarrita delle sue origini, il suo Spirito inteso hegelianamente come la sua Storia, la sua autentica civiltà. Questo scenario potrebbe aprire spazi di libertà per rifondare un nuovo pensiero critico neo-socialista in Italia e in Europa che si colleghi al movimento di decolonizzazione del mondo e apra alla prospettiva di lotta per un’Europa autonoma fuori dall’occidentalismo e dalla gabbia d’acciaio UE/NATO.


Pubblicato in:
“L’era multipolare: competizione o cooperazione?” A cura di Gabriele Germani.
Edizione: La Città del Sole – 2024

Comments

Search Reset
0
Michelangelo Tumini
Saturday, 20 January 2024 11:15
Per non commettere gli stessi errori storici è bene che i percorsi intravisti, ma possibili, occorre implementare un efficace sistema multipolare senza escludere nessuno, per perseguire obiettivi utili a tutta l'umanità imperniata su un'ECONOMIA DI PACE e superare così gli attuali schemi di economie di guerra. Ed il tutto passa attraverso un sano lavoro mirato a non creare nemici che giustificano la produzione delle armi, ma LA RICONVERSIONE IN CONTEMPORANEA IN TUTTI PAESI ADERENTI E NON ALL'ONU, DELL'INDUSTRIA BELLICA.
Like Like Reply | Reply with quote | Quote

Add comment

Submit