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Notizie sull'operazione speciale condotta dall'esercito russo in Ucraina
Nel luglio 1934, H. G. Wells si recò a Mosca per intervistare Stalin. Il colloquio tra lo scrittore inglese e il leader bolscevico durò circa tre ore, alla presenza di un interprete, e il 27 ottobre successivo ne fu pubblicata la trascrizione integrale sul settimanale britannico The New Statesman and Nation. Il periodico aveva cominciato le pubblicazioni sotto questo nome tre anni prima, a seguito della fusione di due riviste appartenenti all’area della sinistra socialista e liberale inglese: The New Statesman, che era stata fondata nel 1913...
L’attacco iraniano sul territorio di Israele è stato un evento di portata storica e potenzialmente in grado di cambiare gli equilibri mediorientali nonostante le autorità dello stato ebraico e i governi occidentali stiano facendo di tutto per minimizzarne conseguenze e implicazioni. I danni materiali provocati da missili e droni della Repubblica Islamica sembrano essere stati trascurabili, anche se tutti ancora da verificare in maniera indipendente, ma il successo dell’operazione è senza dubbio da ricercare altrove. La premessa necessaria a...
Israele ha utilizzato i Territori occupati come la migliore vetrina del potenziale offensivo e di controllo dei sistemi d’arma e d’intelligence sviluppati dalle sue aziende di settore. È la tesi di Laboratorio Palestina, ultimo lavoro di Antony Loewenstein nel quale emerge il sostegno israeliano ad alcuni dei regimi più spietati degli ultimi settant’anni, e si denuncia come, paradossalmente, proprio questa capacità bellica e di controllo sono fattori determinanti nel ruolo centrale guadagnato dal Paese nella governance globale tanto da...
Dall’ipocrisia alla follia: disamina del suprematismo occidentale in Ucraina con la narrazione aggredito-aggressore imposta dalla maggioranza dei mezzi di comunicazione occidentali, quindi, senza affatto avere alcuna partecipazione ideale al putinismo, proverò a dimostrare, attraverso le dinamiche stesse della guerra, perché l’imperialismo occidentale è destinato a perderla e, prima questa sconfitta viene riconosciuta, minori saranno i danni per l’umanità. Il tratto fondamentale della strategia Nato in Ucraina è quello di utilizzare la...
Ieri è giunta l'attesa risposta iraniana al bombardamento israeliano del consolato iraniano di Damasco, che aveva ucciso tra gli altri il generale Haj Zahedi. L'Iran ha effettuato un attacco simultaneo con droni e missili in modo da saturare la poderosa difesa antiaerea israeliana. Missili hanno colpito due basi militari israeliane (monte Hermon e Novatim). Oggi l'autorità iraniana rivendica quei due obiettivi come primari, ma è abbastanza ovvio come questa rivendicazione abbia semplicemente la funzione di far coincidere gli obiettivi...
Per capire cosa succede a Gaza è necessario guardare cosa accade in Ucraina. Per quanto i politici italiani “autorevoli” ripetano i loro “atti di fede”, e ugualmente gli altri leader “nani” europei e i giornalisti a loro legati (ed entrambi proni esecutori dei loro padroni yankee), le loro dichiarazioni stizzite e altisonanti sono solo il riflesso della vittoria strategica del governo russo nel confronto con la NATO. Ancora non c’è la vittoria palese sul campo della Russia, ma quella strategica è già stata ottenuta, perché da più di venti...
B. Stiegler, filosofa politica francese, conduce in questa ricerca una genealogia del neoliberismo americano, sincronico all’ordoliberismo tedesco e quello poi più idealista di Hayek, versione americana meno conosciuto ma forse anche più influente. L’eroe negativo della storia è il mitico Walter Lippmann. Solo un “giornalista” come alcuni lo ritennero, in realtà politologo pieno e poi politico dietro le quinte, stratega di pratiche e pensiero, inventore di una versione americana della propaganda più sofisticata, delle pubbliche relazioni,...
Qual’è il rimedio delle classi dirigenti, politiche ed economiche (nel capitalismo liberista, tutt’uno) quando la crisi gli morde i calcagni? Il fugone nel fascismo, in qualsiasi nuova forma ritenuta adatta ai tempi. Oggi si presenta in veste psicomanipolatoria-tecnologica, ma senza mai rinunciare alla violenza fisica, a seconda dei casi pestaggi o mattanze. Ecco cosa hanno in comune i massacri dei nostri fratelli in lotta a Gaza e in Cisgiordania e le teste spaccate dai gendarmi agli studenti delle università italiane – vera eccellenza del...
Nell’analizzare gli ultimi sviluppi del conflitto mediorientale sono molti i rischi, o le tentazioni, che possono portare fuori bersaglio. Anche l’analisi di classe mostra qualche limite, se si fa attenzione al concreto della struttura sociale israeliana – quanto meno – dove ai “cittadini a pieno titolo dello Stato ebraico” (la definizione è stata assunta nella “legge fondamentale”, para-costituzionale) sono riservati tutta una serie di diritti e privilegi, anche in termini di posizioni lavorative, mentre il “lavoro bruto” o lo sfruttamento...
Il mondo intero è di nuovo con il fiato sospeso, per il terrore di una grande guerra che infiammi il Medio Oriente. L’attacco di ritorsione lanciato dall’Iran, nella lunga notte tra sabato e domenica, ha lasciato senza sonno Israele. Per cinque ore oltre 300 munizioni sono state scagliate contro il territorio israeliano. La rappresaglia per l’attacco dell’1 aprile a Damasco è arrivata dopo quasi due settimane, ampiamente annunciata, lenta ma imponente. Secondo le stime ufficiali riportate dal New York Times, l’Iran ha utilizzato 185 droni...
Molti neuroscienziati notano come il nostro cervello-mente si sia lungamente evoluto, quindi formato, alle prese con problemi vicini (fame, sete, sicurezza), immediati (giorno per giorno, ogni giorno) relativamente semplici (amico/nemico, sesso, utile/inutile), in gruppi piccoli tendenzialmente egalitari, relativamente isolati tra loro, in cui ognuno conosceva ogni altro. Oggi ci troviamo associati in gruppi enormi, di una certa densità territoriale che si estende ormai alla dimensione planetaria, in cui i più ci sono sconosciuti, dentro...
Nonostante sia palese che la guerra ucraina è persa, l’Occidente resta aggrappato ai dogmi neocon, incapace non solo di trovare, ma anche solo di pensare una exit strategy da una guerra disastrosa per Kiev e per l’Europa, che il conflitto sta degradando sia a livello economico che politico. Quest’ultimo aspetto inquieta e interpella sia perché denota un asservimento della Politica europea ai circoli neocon, dipendenza mai registrata in tale misura in precedenza, sia perché evidenzia il degrado delle dinamiche democratiche, dal momento che...
Le parole dovrebbero essere annoverate nell’elenco delle droghe pesanti, e purtroppo a chiunque può capitare di farsi ogni tanto una “pera” eccessiva. Il quotidiano neocon “il Foglio” si è approfittato del “trip” di uno dei padri costituenti, Umberto Terracini, per fargli fare una figuraccia postuma mettendo in evidenza alcune sue frasi poco felici in sostegno di Israele. Dopo averci ammonito sul fatto che anche Terracini considerava l’antisionismo una forma di antisemitismo, ci viene proposta una citazione nella quale il vecchio comunista...
Da questa parte del "mondo democratico occidentale", molti di noi si dibattono tra rabbia e la sensazione drammatica di impotenza nell'assistere allo sterminio in diretta di un intero popolo. A volte questo senso di frustrazione si trasforma in disagio somatizzato, in depressione (parlo per me e per gli amici e compagni con cui mi confronto ogni giorno). In altri casi, invece, rischia di generare reazioni di autoconservazione fatalista, ricerca del deus ex machina, rimozione. Eppure qualcosa si muove. Qualcosa possiamo fare. Una piccola...
1. Seguendo un copione creato a tavolino per ingannare la mente di chi si abbevera ai telegiornali della sera, gli Stati Uniti continuano a tirare il guinzaglio legato al collo del cagnolino d’oltremanica. Quel cagnolino era un tempo l’Impero britannico’, oggi solo un maggiordomo che esegue gli ordini dell’Impero Atlantico: tenere Julian Assange in prigione fino alla morte. Per la più grande democrazia al mondo – da esportare, se del caso, a suon di bombe e che ormai solo i politici europei (e italiani) credono sia tale – il rischio più...
Qualcuno parla di rischio di terza guerra mondiale davanti alla rappresaglia dell’Iran verso Israele, ma cari miei, una terza guerra mondiale sarebbe solo nucleare. Perciò, definitivamente distruttiva dell’umanità. Avete presente l’anime e il manga “Ken il Guerriero”? Lì, almeno, le armi nucleari sono state relativamente innocue: hanno distrutto il mondo, ma non hanno lasciato radiazioni. Ma nella realtà, una guerra di tale portata, ridurrebbe il mondo a una landa desolata radioattiva, invivibile. E per quanto noi siamo governati dai...
Il Governo è in difficoltà, è debole. Questo è il precipitato politico di un ragionamento che prende le mosse dalla scelta del Governo di approvare un Documento di economia e finanza (DEF) privo delle principali informazioni sulle tendenze della finanza pubblica e dei conseguenti effetti macroeconomici. Il DEF è il principale strumento di programmazione economica del Governo, serve a definire il quadro della finanza pubblica per l’anno in corso e per il successivo triennio. In pratica, con il DEF il Governo è chiamato a mettere nero su bianco...
Dopo l’oblio dell’attacco al Crocus da parte dei media d’Occidente, preoccupati solo di discolpare l’Ucraina dalle evidenti responsabilità, come peraltro accaduto varie volte in passato – a parte eccezioni che confermano la regola – per altre azioni oscure di Kiev, anche l’attacco di droni alla centrale atomica di Zaporizhzhia è passato sottotraccia, come qualcosa di marginale. L’attacco alla centrale di Zaporizhzhia e i topos delle guerre infinite E ciò nonostante la gravità dell’accaduto: se l’attacco fosse riuscito al 100% poteva creare...
Il senso di colpa domina incontrastato nella multiforme platea dei sentimenti umani. Senso di colpa per non essere abbastanza, per non aver superato l’esame, per non aver performato quanto desideravamo, per aver disatteso le aspettative, per non aver concluso un lavoro, per aver trascurato passioni e interessi, per aver manifestato rabbia, tristezza e paura, per gli errori commessi, per le azioni compiute, per una parola fuori posto, per non esserci stata, per aver mangiato, per aver risposto nervosamente, per quella carezza non data, quei...
Immancabili, come ogni anno, i dati Istat sull’andamento demografico del paese registrano un deciso segno meno”. Che non è grave soltanto in sé, ma soprattutto perché conferma una tendenza di lunghissimo periodo. Dal 1964 a oggi sono stati pochissimi gli anni in cui le nuove nascite sono state più numerose dell’anno precedente, ma anche a uno sguardo disattento balza agli occhi che la dimensione delle diminuzioni è sempre alta, mente i “rimbalzi” sono sempre appena percettibili. Il risultato finale, al 2023, non lascia dubbi: i nuovi nati...
‘Essere democratici è una fatica immane. Allora perché continuiamo a esserlo quando possiamo prendere una scorciatoia più rapida e sicura?’. Così Michela Murgia, la scrittrice sarda recentemente scomparsa, nel suo pamphlet del 2018 dal titolo provocatorio: ‘Istruzioni per diventare fascisti’. Con una originale sapienza dialettica, com’era suo stile di comunicazione in ogni dibattito pubblico e nel relazionare sulle grandi ingiustizie e ineguaglianze che affliggono le società odierne, Michela Murgia, nel suo saggio, ci invita a sottoporci a...
I due anni della pestilenza da Covid-19 si sono rivelati una grande imprevedibile opportunità per testare il livello di ubbidienza che, si può ottenere applicando un regime disciplinare come lo è stato l’obbligo di vaccinarsi, appunto. La narrativa secondo la quale il barbaro no-vax e chi lo sostiene rappresentano il Male, e quindi vanno denigrati, censurati, emarginati, criminalizzati ha funzionato. Pertanto, lo stesso identico canone è stato applicato su una nuova dicotomia buono-cattivo nella politica internazionale. Stesso manicheismo,...
L’avesse compiuto, per dire, il Ministro degli esteri russo Sergej Lavrov, un gesto come quello del suo omologo britannico David Cameron, recatosi in “visita di lavoro” da Donald Trump in USA, intrattenendosi – magari – in Germania, con Sahra Wagenknecht, per di più alla vigilia delle elezioni, il coro liberal avrebbe subitamente gridato alle «interferenze russe nei processi democratici dei paesi liberi». Ma fatto tra “alleati”, per di più di estrazione anglosassone, la cosa rientra nella normalità e, trattandosi della “democratica Ucraina...
Un’analisi di cosa succede e di cosa si prospetta in Medioriente, a partire dal genocidio in atto a Gaza, dalla rivolta generale palestinese, dallo scontro tra Stato Sionista e Asse della Resistenza in Libano, Siria, Iraq, Yemen, all’indomani dell’attacco israeliano all’ambasciata iraniana a Damasco. Una panoramica che parte dalla ritirata della FOI (Forza di Offesa Israeliana) dalla metà sud di Gaza, dopo sei mesi di offensiva del presunto “esercito più potente del Medioriente” che non è riuscito a controllare la Striscia, annientare Hamas e...
In vista della settimana di mobilitazione dei lavoratori all’interno dell’accademia italiana, proponiamo qui un resoconto delle linee d’intervento del movimento negli ultimi mesi, mettendo al centro i punti politici principali che stanno caratterizzando le proteste dei lavoratori e delle lavoratrici dell’università di concerto con i movimenti studenteschi. Si tratta di una riflessione che vuole essere un punto di partenza che ci porti allo sciopero del 9 aprile di tutto il mondo universitario, una data che deve essere un punto di partenza per...
Trent’anni dopo il genocidio in Ruanda, innescato dall’abbattimento dell’aereo privato su cui viaggiavano il presidente del Paese e il suo omologo del Burundi, e spacciato per l’esplosione di un conflitto etnico tra Hutu e Tutsi, si continua a discutere sulle cause del massacro di quasi un milione di persone. Dopo tre decenni, si evidenziano implicazioni che gettano una luce meno semplificata su quegli eventi drammatici: a cominciare dal ruolo delle grandi potenze che cercavano di accaparrarsi le enormi risorse strategiche nella regione dei...
È certamente corretto sostenere che le motivazioni che stanno spingendo Washington a mettere sotto assedio Pechino sono di natura economica. Paradossalmente questa tesi è stata infatti espressa indirettamente dalla stessa Segretario al Tesoro Yellen, in una intervista della settimana scorsa che non ha avuto la risonanza che avrebbe meritato nonostante anticipasse i temi che la stessa Yellen sta trattando con l'élite politica cinese nel suo viaggio diplomatico in corso in questi giorni. Di importanza capitale per comprendere la situazione a...
Pubblichiamo un estratto della prefazione del libro “Ucraina, Europa, mondo. Guerra e lotta per l’egemonia mondiale” di Giorgio Monestarolo (Asterios, Trieste, pp.106, euro 13). L’autore è ricercatore presso il Laboratorio di Storia delle Alpi dell’Università della Svizzera italiana e docente di Storia e Filosofia al liceo Vittorio Alfieri di Torino. La prefazione è del generale Fabio Mini, che tra le altre cose è stato generale di Corpo d’Armata, Capo di Stato Maggiore del Comando NATO del Sud Europa e comandante della missione...
Volete uscire dal dominio neoliberista, volete allentare la morsa della gabbia d’acciaio capitalista, volete invertire l’allungamento in corso da decenni della scala sociale di cui tra l’altro vi è vietato l’uso per provare a scalarla. Avete idee di mondo migliore, più giusto, qualsiasi sia la vostra idea di “giusto”. Tutto ciò è politico. Ma la vostra società non è ordinata dal politico, è ordinata dall’economico. È l’economico il regolamento del gioco sociale, è lui a dettare scala di valori, premi, punizioni, mentalità e cultura comune. E...
Nelle Conferenze di La Paz, nel 1995, il teologo e filosofo argentino, tra i pionieri della Teologia della Liberazione e in esilio dalla sua patria durante il regime fascista sviluppa la sua attentissima lettura di Marx dal punto di vista rivendicato dell’esternità e del lavoro ‘vivo’; ovvero della persona effettiva, reale, completa. Questo, declinato nelle sue diverse forme, marginali e ‘poveri’, stati subalterni e periferici, è il tema centrale della filosofia e della prassi politico-culturale ed etica di Dussel. Proviamo, dunque, a...
Come ha potuto succedere? Che mostruosità! Tutte quelle armi che circolano! Ma in che tempi viviamo! Colpa dei genitori….Colpa della scuola…. Sono le esclamazioni dei manigoldi ipocriti che tendono a ottunderci il cervello mentre cerchiamo di farci capaci dell’enormità di un bambino di dodici anni che entra in classe con una pistola e spara e uccide suoi compagni. Si assembrano sugli schermi e nelle paginate psicologi, sociologi, esperti di ogni risma da un euro all’etto a disquisire sul fattaccio. E tutti, indistintamente, a mancare...
L’apparente moderazione dell’Iran di fronte all’aggressione israeliana non dovrebbe essere confusa con la debolezza. Teheran esercita costantemente pressioni su Tel Aviv attraverso i propri metodi, preparando attentamente il terreno per il disfacimento di Israele. «La leggenda narra che una rana posta in una pentola poco profonda piena d’acqua riscaldata su un fornello rimarrà felicemente nella pentola d’acqua mentre la temperatura continua a salire, e non salterà fuori anche se l’acqua raggiunge lentamente il punto di ebollizione e uccide la...
Più passano i giorni, più Israele procede nella sua campagna di sterminio, più si isola dal resto del mondo, più comprendo che il pogrom del 7 ottobre, pur essendo, come non può che essere un pogrom, un’azione atroce moralmente inaccettabile, è stato un atto politico capace di cambiare la direzione del processo storico. La conseguenza immediata di quell’azione è stata lo scatenamento di un vero e proprio genocidio contro la popolazione di Gaza, ma il genocidio era in corso in modo strisciante da settantacinque anni, nei territori occupati, in...
Marx era consapevole della difficoltà che l’idea di classe poneva come categoria che rappresenta un insieme eterogeneo di lavoratori, perché sapeva che il proletariato era composto non solo dagli operai di fabbrica ma da tanti altri lavoratori che, al pari di oggi, avevano in comune il fatto di trovarsi nella stessa posizione nei rapporti di potere. Tuttavia, nel pieno del capitalismo industriale, la classe in termini marxiani ha rappresentato una categoria utile a descrivere l’asimmetria dei rapporti di produzione e come questi fossero...
Premettendo che l'uscita di CS dai social ebbe molte ragioni circostanziate e che continuo a pensare che i social network siano già da tempo "territorio nemico", cominciamo mettendo in rilievo l'annuncio nell'articolo: Sabato 11 Maggio alle ore 10 presso il Centro Congressi Cavour sito a Roma in Via Cavour 50/a, ci riuniremo per il decennale de L’Interferenza e sarà l’occasione, oltre che per un dibattito politico sui vari temi di politica e di politica internazionale, anche per lanciare una battaglia per la libertà di informazione, per...
I ricchi sono sempre più ricchi, i poveri sono sempre più poveri. Alla base del divario, tra gli altri fattori, anche le eredità che in molti Paesi passano di mano senza essere tassate, o quasi. Così per la prima volta in 15 anni, secondo i dati di Forbes, tutti i miliardari sotto i 30 anni hanno ereditato la loro ricchezza. Detto in altri termini: nessuno di loro ha un’estrazione socio-economica familiare differente e si è “fatto da solo”. Addio ascensore sociale: il “grande trasferimento di ricchezza” – 84.000 miliardi di dollari nei...
Il giornale statunitense Politico ha intervistato alcuni ufficiali militari ucraini di alto rango che hanno prestato servizio sotto il generale Valery Zaluzhny silurato a febbraio da Zelenski. Le conclusioni sono che per l’Ucraina “il quadro militare è cupo”. Gli ufficiali ucraini affermano che c’è un grande rischio che le linee del fronte crollino ovunque i generali russi decidano di concentrare la loro offensiva. Inoltre, grazie a un peso numerico molto maggiore e alle bombe aeree guidate che stanno distruggendo le posizioni ucraine ormai...
L’assassinio del generale Reza Zahedi in un edificio dell’ambasciata iraniana di Damasco, assassinato insieme ad altri membri delle guardie rivoluzionarie, supera un’altra delle linee rosse che normalmente hanno limitato la portata dei conflitti del Secondo dopoguerra, evitando al mondo escalation ingestibili (il mondo guidato da regole esisteva prima dell’89; dopo il crollo del Muro, le regole sono state riscritte a uso e consumo degli Usa…). Anzitutto perché Israele ha colpito un alto ufficiale di una nazione non ufficialmente in guerra....
Sul quotidiano La Stampa di ieri è stata pubblicata una significativa intervista al fisico Carlo Rovelli che ha preso posizione a sostegno delle mobilitazioni degli studenti che chiedono la sospensione della collaborazione tra le università italiane e le istituzioni israeliane. Qui di seguito il testo dell’intervista Carlo Rovelli, fisico teorico, autore dei bestseller di divulgazione scientifica “Sette brevi lezioni di fisica” e “L’ordine del tempo”, non è uno da giri di parole. Nemmeno quando le idee rischiano di essere impopolari. Di...
Riporto questo articolo di Xi Jinping uscito ieri sul L’Antiplomatico, che conferma quanto ho avuto modo di analizzare in un mio contributo apparso si Carmilla e ripreso da Sinistrainrete poche settimane or sono. Non starò a ripetermi in queste sede e in estrema sintesi, mi limito a ribadire che quello cinese non è socialismo, ma nell’ambito di un processo internazionale multipolare occorre sostenere tutte le forze e i paesi che vanno in quella direzione e che di fatto contribuiscono al declino storico e generale dell’imperialismo atlantista,...
Nulla sarà più come prima. È una predizione assai facile, in base allo stato di disfacimento politico in cui oggi si trova tutta l’area che va dalla Libia all’Afghanistan, come al solito grazie all’imperialismo occidentale. Gli Stati più o meno artificiali creati dai vincitori della Prima guerra mondiale, spartendosi il defunto Impero ottomano attraverso la mistificazione dei “mandati”, potrebbero scomparire o comunque potrebbero nascere nuove linee di frontiera. Né vanno trascurati entità precarie come il Pakistan (originariamente addirittura distinto in due parti lontanissime fra loro, di cui quella orientale sarebbe poi divenuto il Bangla Desh) e l’Afghanistan, che obiettivamente è sempre stato un caso a parte, più o meno tenuto insieme da dinastie la cui forza derivava da accorti equilibrismi tra i componenti di un complicato mosaico etnico-religioso e tribale. Ciò almeno fino a che nel lontano 1973 il re Zahir Shah non venne spodestato dal cugino Sardar Muhammad Daud che proclamò la repubblica; le successive occupazioni sovietica e statunitense hanno però definitivamente scompigliato le tessere del puzzle con cui si può metaforicamente identificare quel paese.
Tutto si complica inevitabilmente quando, con estrema miopia ammantata da cinica furbizia, gli imperialisti utilizzano proprio l’estremismo islamico per destabilizzare e dominare. Il caos afghano è sotto gli occhi di tutti, e dopo il ritiro degli occupanti occidentali le cose andranno anche peggio. Il Pakistan, oltre ai suoi problemi endogeni è alle prese con la sovversione jihadista originariamente creata da quel mix fra incoscienza e autolesionismo che caratterizza da tempo la politica statunitense.
Lo stato di decomposizione degli altri paesi del Vicino e Medio Oriente è del pari palese: la Libia è nel caos e lo Stato unitario appartiene al passato; in Siria, quand’anche l’esercito regolare abbia ormai ripreso l’offensiva con ricorrenti successi, la guerra si prolunga e tutto sommato il rischio di un intervento statunitense è ancora pendente, seppure la diplomazia russa lo abbia allontanato - comunque al-Assad è stato rieletto Presidente con un risultato formale per lui più che soddisfacente (ha votato il 73,42% degli elettori e ha ottenuto l’88,7% dei voti); difficilmente il governo di Baghdad potrà evitare che il distacco del Kurdistan divenga definitivo (a prescindere da come ciò si formalizzerà) e riportare sotto il suo controllo le zone a maggioranza sunnita; infine il Libano è più instabile che mai per i contraccolpi interni dei conflitti regionali in corso.
La Giordania
Con la creazione di un sia pur velleitario “califfato” sunnita tra Iraq e Siria, la Giordania è a rischio immediato, e senza l’interessato e pericoloso aiuto di Washington, re Abdallah non potrà restare sul trono; e comunque è da vedere in quali condizioni. Già nel suo territorio si è rifugiato almeno un milione di profughi siriani, e sulla loro impermeabilità alla propaganda jihadista non c’è da fare sottovalutazioni. Il sud del paese è fondamentalista, e almeno 2.500 giordani combattono in Siria e in Iraq tra i jihadisti. Secondo stampa statunitense l’amministrazione Obama non ritiene la Giordania in grado di resistere se si verificasse un’espansione jihadista; e allora? La monarchia, tradizionale alleata degli Stati Uniti, oltre a rivolgersi a questo suo protettore potrebbe anche avere l’aiuto di Israele; e secondo il giornale israeliano Haaretz, il governo di Netanyhau avrebbe già assicurato agli Stati Uniti la sua disponibilità a intervenire, se necessario, per il “salvataggio” della Giordania. In una simile ipotesi Abdallah salverebbe momentaneamente il trono, ma lo manterrebbe solo grazie ai carri armati israeliani. Lui, discendente del Profeta, e nell’attuale situazione globale del mondo islamico. Figuriamoci!
Per completare il quadro non vanno trascurati Egitto, Palestina, Arabia Saudita e Iran. Il primo di questi paesi ancora non è sotto il pieno controllo dell’uomo “forte” del momento, il generale al-Sissi, oggi Presidente; e gli eventi iracheni sono ben suscettibili di dare ulteriore fiato all’opposizione cruenta degli estremisti islamici. Il futuro prossimo sarà quindi assai agitato.
Palestina
La Palestina è un caso sempre più tragico. Le prospettive di pace sono svanite, poiché l’unica forza virtualmente in grado di costringere Israele a ridurre pretese e arroganza – cioè gli Stati Uniti – non è in grado di farlo: nessun presidente si farebbe carico della sicura sconfitta del suo partito qualora si alienasse la lobby elettorale sionista. In più entrambe le leaderships politiche palestinesi – al-Fatah e Hamas - sono al collasso, sia pure per motivi diversi. Il recente “governo di unità nazionale” fra Abu Mazen e Hamas sembra più un pio tentativo che una vera e propria realtà; e Abu Mazen è prossimo a diventare il poliziotto d’Israele, se già non lo sia, ma ovviamente senza portare risultato alcuno al suo popolo. La crisi causata dall’omicidio dei tre ragazzi israeliani lo ha messo del tutto nell’angolo e ormai conta meno di quel meno che contava prima. Hamas – pur con il suo attuale apparato missilistico (in grado di arrivare fino ad Haifa) – non ha certo la stessa forza militare dimostrata a suo tempo dall’Hezbollah libanese.
Inoltre, proprio i predetti tre omicidi dimostrano la sua perdita di controllo sulla galassia islamista. Attribuirgli la responsabilità di quel tragico evento, come ha fatto Netanyahu, sa di mera e opportunistica propaganda: secondo Limes la responsabilità sarebbe di membri della concorrente tribù Qawasameh, di Hebron, che non da ieri opererebbero per screditare e danneggiare proprio il ruolo di Hamas come guida islamica. Una differenza fra Abu Manzel e Hamas sta nel fatto che mentre il primo non è più un interlocutore politico significativo, Hamas invece ha realizzato un forte gioco diplomatico esterno, ma puntando su un cavallo risultato perdente: infatti, si era schierato soprattutto con la Fratellanza Musulmana, ma pure con la Turchia e il Qatar, alienandosi i precedenti appoggi siriano, libanese e iraniano. Di questa situazione di debolezza hanno approfittato Jihad Islamica (5.000 uomini, contro i 20.000 di Hamas), Comitati di Resistenza Popolare e vari gruppi radicali. Caduto Morsi, il rapporto con l’Egitto è finito, e in più Hamas ha cominciato a corteggiare i ribelli islamisti nel Sinai di Ansar Bayt al-Maqdis, contro cui sta combattendo l’esercito egiziano. In queste condizioni tali dirigenze, a tutti i fini, è come se non esistessero.
L’attuale aggressione israeliana a Gaza - che ancora una volta Washington non può e non vuole impedire per i soliti motivi elettoralistici - in sé e la sproporzione delle vittime civili finora provocate dall’aviazione di Israele in rapporto al numero dei ragazzi israeliani uccisi, sono elementi che complicano il quadro, rinfocolando odi e soprattutto attirando ulteriori islamici arrabbiati nelle fila jihadiste. Proprio in questo momento!
L’Arabia Saudita
Dal canto suo la dirigenza saudita sta svolgendo da tempo un gioco destabilizzante ma altresì pericolosissimo, in quanto rischia di diventare un boomerang. Essa, cioè, sta palesemente dietro alla sovversione jihadista diffusa in tutto il mondo islamico, e in Iraq tiene le fila di una manovra strategica orientata, sul piano economico, a che i suoi alleati jihadisti si impadroniscano quanto più possibile dei centri petroliferi iracheni e, sul piano politico, all’indebolimento degli Sciiti locali. Ma stando così le cose, il problema è se, e fino a che punto, i Sauditi siano in grado di evitare che la furia jihadista si volga anche contro di loro, visto che il loro comportamento non è del tutto in linea col rigorismo islamico di cui i jihadisti si dicono fautori. Il dubbio è più che legittimo, anche tenuto conto degli esiti delle manovre statunitensi passate e odierne.
L’Iran nel mirino
Gli odierni eventi in Iraq sono chiaramente diretti anche contro l’Iran, centro dello Sciismo mondiale, insieme a quelli siriani. Può darsi che l’entità sunnita creata dai jihadisti non resti nelle loro mani definitivamente e che i superstiti seguaci di Saddam Husayn se ne impadroniscano, e può darsi pure che in Siria le truppe di al-Assad riescano a riconquistare i territori orientali oggi ancora in mani jihadiste. Tuttavia è azzardato pensare che l’entità sunnita oggi costituita venga eliminata in tempi brevi, tanto più che essa non è contraria (in quanto tale) agli interessi statunitensi nell’area. Dando per scontata la permanenza di tale entità, c’è da chiedersi (un po’ retoricamente, a dire il vero) se non rientri tra gli obiettivi di essa (e dei loro sponsor sauditi) l’estensione della spinta sunnita anche verso il confinante Khuzistan iraniano: territorio a maggioranza araba e sunnita, e con forte concentrazione di pozzi petroliferi.
È fuori dubbio che l’Iran strategicamente non può consentire, e non consentirà senza intervenire (direttamente o no), né la sconfitta di al-Assad né quella degli Sciiti iracheni, essendo in gioco sia l’asse dell’alleanza sciita in Oriente, sia la difesa dei maggiori santuari della storia sciita; e a fortiori non lascerà impunite azioni entro i suoi confini. Alle brutte Teheran potrebbe sempre cercare di “compensare” i debordamenti sunniti decidendosi a fornire maggiori sostegni agli Sciiti dell’Arabia Saudita (oltre tutto concentrati in zona ad alta concentrazione di pozzi petroliferi) e a quelli del Bahrayn (dove sono maggioritari).
Sta di fatto che oggi per l’Iran gli Stati Uniti si sono spostati sullo sfondo come “grandi nemici” immediati, mentre tale è diventata l’Arabia Saudita nel grande arco geopolitico che comprende Libano, Siria, Iraq, Golfo Persico, Pakistan, Afghanistan e Khuzistan; per non tacere dell’Opec.
In Iran – e fra i loro alleati, ma non solo – il sospetto che le manovre saudite non avvengano senza il consenso e/o la compartecipazione degli Stati Uniti è tanto forte da risultare certezza. Infatti non hanno nulla di diplomatico le recenti dichiarazioni dello speaker del Parlamento iraniano, Ali Larijani, per il quale il terrorismo è diventato uno strumento di Washington; o del generale Mohammad Reza Naghdi; egli senza peli sulla lingua ha sostenuto che i jihadisti
«in diversi Stati regionali, specialmente in Siria e Iraq, sono finanziati dagli Stati Uniti (...) e gli Stati Uniti li stanno manipolando per distorcere l’immagine dell’Islam e dei musulmani”.
Per l’Iran la situazione attuale va affrontata con debita accortezza. Innanzi tutto, se per gli Stati Uniti il premier iracheno al-Maliki è da buttare, per quanto abbia vinto elezioni regolari, essendo ritenuto il responsabile unico del precipitare degli eventi nel suo paese (e lasciamo stare che se davvero dietro questo precipitare ci fosse pure lo zampino statunitense ci troveremmo di fronte a una mistificazione aberrante). Per Teheran, invece, l’atteggiamento è ben diverso. Infatti, nella presente situazione politico-militare un eventuale ammorbidimento di al-Maliki, nel senso di formare un governo non solo sciita, potrebbe essere preferibile a un cambio di cavallo in corsa, che non necessariamente darebbe maggiori garanzie.
Circoli iraniani prossimi ai Pasdaran vedono nella situazione irachena una maggiore opportunità. L’inerzia statunitense, cioè, rafforzerà i legami tra Iran e Iraq, e porterà Baghdad a rafforzare ulteriormente i legami con Teheran e Mosca (e difatti gli aerei recentemente inviati dalla Russia hanno mostrato tutta la loro utilità). La medaglia ha però un rovescio: l’Iran, già impegnato in Siria, potrebbe finire anche in Iraq coinvolto in un conflitto di lunga durata, col rischio di impegnarsi su due fronti; senza peraltro trascurare che gli eventi potrebbero evolversi nel senso di impegni ulteriori. Cosa auspicata dai nemici di Teheran. Allora toccherebbe alla Russia aumentare il proprio impegno. E magari anche alla Cina.
Ma l’Iraq non può cadere come i Sauditi vorrebbero. Oltre al fattore storico-religioso-politico, e alla perdita del collegamento territoriale tra Iraq e Siria a seguito dell’avanzata jihadista, c’è che si tratta di un paese il cui interscambio commerciale con l’Iran è stato di almeno 13 miliardi dollari solo nello scorso anno. L’importanza del partenariato iracheno è altresì rivelata dal progetto (ora evidentemente messo nel cassetto) per la creazione di condutture per 67 miglia al fine di fornire all’Iraq dai 3 ai 4 milioni di metri cubi di gas naturale al giorno, con un guadagno per l’Iran di circa 3,7 miliardi dollari all’anno. Resta da interrogarsi sulle ulteriori modalità dell’intervento iraniano in Iraq.
Sul piano preventivo vanno considerate le 10 divisioni terrestri poste al confine con l’Iraq, più squadriglie di aerei pronte a intervenire in caso di avvicinamento jihadista a meno di 60 chilometri dalla frontiera. Ovviamente questo dispositivo andrebbe a operare in territorio iracheno se fossero in pericolo i santuari sciiti (oltre all’obbligo morale se ne sarebbe anche uno giuridico: il trattato di Qasr-e Shirin, del 1723 fra impero ottomano e persiano).
In atto sembra che due battaglioni delle Guardie Rivoluzionarie Iraniane si trovino in Iraq: a Baghdad ci sarebbero 500 Pasdaran e a Diyala 1.500 miliziani, sembra per difendere Samarra (a 100 chilometri da Baghdad) e aiutare nella riconquista di Tikrit. Il governo iraniano lo nega, ma questo vuol dire poco e niente. A ogni buon conto il generale dei Pasdaran Qasem Soleimani si è recato varie volte a Baghdad. L’Iran può contare anche sulla milizia di Asa’ib Ahl al-Haq (Lega dei Giusti), sulla brigata al-Badr, a suo tempo disciolta ma ora ricomparsa sotto la guida del capo del Consiglio Supremo Islamico dell’Iraq, Sayyid Ammar al-Hakim, e sull’Esercito del Mahdi (Jaish al-Mahdi) di Muqtada as-Sadr. Allo stato delle cose, cioè in assenza di effettiva minaccia su Baghdad e/o le città sante di Najaf e Karbala, questo dispositivo dovrebbe bastare.
Sulla stampa internazionale si è fantasticato su una possibile azione congiunta statunitense-iraniana in Iraq. A prescindere da ogni altro aspetto, la convenienza sarebbe del tutto nulla per l’Iran, che non a caso sta evitando di far apparire il presente conflitto iracheno come un mero scontro settario fra Sunniti e Sciiti (che lo sia veramente, è altro discorso). Infatti, questa ipotetica azione congiunta sarebbe sfruttata dalla propaganda avversaria come frutto palese di un complotto tra sciiti e cristiani in funzione antisunnita. Per non parlare poi dell’assoluta mancanza d’interesse degli Iraniani per un ritorno di militari statunitensi sul suolo iracheno. Non è causale che il generale Soleimani, alle brutte, preferirebbe impiegare in modo massiccio le milizie sciite.
Ma il “Califfato” è davvero così forte?
In un’intervista riportata il 30 giugno da Reseau International, il generale libanese Hoteit dà una versione dell’avanzata jihadista in Iraq che conferma le opinioni di quanti l’hanno definita più che “resistibile”. Alla domanda se non tema che i miliziani del “Califfato” si espandano fino ad arrivare in Libano, ha risposto:
«Consideriamo gli eventi per come sono e non cadiamo nelle trappole mediatiche occidentali, che ci fanno credere che il Siil sia una forza gigantesca contro cui non possiamo resistere. Non è vero. (…) Abbiamo sufficienti informazioni sulla forza dell’organizzazione. (…) Perché abbiamo infatti assistito a una sceneggiata! Lo sapevate che 25.000 uomini della polizia e dell’esercito dello Stato iracheno erano presenti a Mossul e il Siil aveva solo 500 combattenti? Pertanto, ciò che è successo a Mossul non è una guerra, ma tradimento e capitolazione associati a una guerra mediatica condotta dai canali TV al-Jazeera (qatariota) e al-Arabiya (saudita) che annunciarono la capitolazione di Mossul sei ore prima della sua caduta reale! Esattamente come nel precedente di Bab al-Aziziyah in Libia, quando annunciarono la sconfitta di Muammar Gheddafi tre giorni prima della caduta e la morte tre giorni prima dell’assassinio. Nel caso di “guerra psicologica”, la regola è che gran parte della popolazione sia immersa nella “nebbia media”, in attesa di vedere chi sia il più forte per decidere da che parte stare».
Quindi si tratterebbe di una realtà in sé militarmente insignificante. La questione dell’esistenza o meno della mano statunitense dietro i jihadisti di al-Baghdadi trova obiettivamente risposte antitetiche, tra chi lo nega (considerandola assurda) e chi invece la sostiene. È giusto prenderne atto, ma non va trascurato un particolare: chi nega l’ipotesi di cui trattasi fornisce ragionamenti, mentre chi la sostiene fornisce fatti. È il caso del periodico Der Spiegel (non certo tacciabile di fantasiosità), che a marzo dello scorso anno parlò di istruttori statunitensi all’opera dal febbraio 2012 nella base di Safawi, nella Giordania settentrionale. In teoria si sarebbe trattato di addestramento di ribelli “moderati” da impiegare in Siria, ma sembra che vi abbiano “studiato” anche elementi dello Stato Islamico dell’Iraq e Levante (Siil). In seguito il britannico Guardian rivelò la presenza di istruttori anglo-francesi all’opera in un’altra base giordana. Successivamente ancora è emersa l’esistenza di un altro centro di addestramento, per militanti del Siil presso la base aerea turca di Incirlik. A livello di ragionamento, infine, se si considera la sostanziale inazione statunitense verso la nuova ondata di sovversione in Iraq (senza l’arrivo di aerei russi oggi al-Maliki starebbe ancora aspettando invano quelli statunitensi) certo è che i sospetti si ingigantiscono.
Resta il fatto che l’alleanza fra seguaci di Saddam e jihadisti non è affatto una novità: cominciò a essere operativa agli esordi della lotta armata sunnita contro gli invasori occidentali.
Le manovre statunitensi continuano
I bilanci sono sempre fonti utilissime per comprendere cosa si stia preparando. Alla fine di giugno Obama ha presentato al Congresso il budget per il 2015 sulle attività diplomatiche e militari all’estero (la Overseas Contingency Operations - Oco), pari a 65,8 miliardi. Di questi, 5 miliardi sono destinati alla creazione di un Fondo di partenariato contro il terrorismo; 3 miliardi per addestrare in loco forze antiterrorismo e lottare contro non meglio specificate “ideologie radicali” e promuovere modi “democratici” di governo; 1,5 miliardi per prevenire l’estendersi del conflitto siriano; 0,5 miliardi per «addestrare ed equipaggiare gli elementi controllati dell’opposizione armata siriana per aiutare a difendere il popolo siriano, stabilizzare le aree sotto il controllo dell’opposizione, facilitare la fornitura di servizi essenziali, contrastare le minacce terroristiche, e promuovere le condizioni per una «soluzione negoziata»; 0,5 miliardi saranno conservati per affrontare nuove situazioni di crisi.
Riguardo alla Siria non si capisce il significato dell’obiettivo di stabilizzare le aree sotto il controllo dell’opposizione. O meglio, viene il sospetto che sotto ci sia l’obiettivo di creare uno Stato separato sotto il controllo dell’opposizione siriana “moderata”. Tuttavia l’obiezione fondamentale è che le zone di cui trattasi oggi sono poche, piccole e separate fra loro. A meno che non si vogliano creare situazioni similari a quella che volle Israele nel sud del Libano utilizzando i Maroniti: potrebbe trattarsi di zone di sicurezza alla frontiera con Israele e con la Turchia. Il che sarebbe in linea con quanto affermato da Obama il 20 giugno alla Cbs:
«Penso che questa idea che ci fosse una forza siriana moderata in grado di sconfiggere Assad semplicemente non sia vera, e voi lo sapete, abbiamo passato molto tempo a cercare di lavorare con un’opposizione moderata in Siria (...) L’idea che fosse in grado di rovesciare improvvisamente non solo Assad, ma anche degli spietati jihadisti, altamente qualificati, a condizione che le inviassimo alcune armi è una fantasia (…)».
Questo discorso conferma varie cose: il carattere etero-diretto dell’opposizione siriana “moderata”; la raggiunta consapevolezza dell’estrema difficoltà di abbattere al-Assad; il persistere nel non mollare la presa; la costante priorità data alla protezione di Israele. Va pure notato che l’obiettivo della costituzione di queste due zone di sicurezza risponde a due esigenze strategiche: costituire una sorta di tenaglia da cui eventualmente ripartire contro al-Assad, e insieme contribuire alla vecchia esigenza israeliana di disporre di fasce territoriali di protezione, meglio ancora se “allargata”, cioè non attorno agli stessi confini di Israele (anche la neonata costituzione dello Stato del Sud Sudan – già fallito alla sua nascita e subito in preda a guerra civile – corrisponde a questa esigenza). Sul sito “Rete Voltaire” il giornalista Thierry Meyssan sostiene che, per questa e altre ragioni,
«Nel corso della riunione a porte chiuse durante la quale il Segretario della Difesa Chuck Hagel e il Capo di Stato Maggiore, il generale Martin Dempsey, sono andati a spiegare ai parlamentari del Congresso la situazione in Iraq, non solo hanno preteso di aver perso il dossier su Abu Bakr al-Baghdadi (e quindi di ignorare perché lo avevano arrestato nel 2004 e perché lo hanno rilasciato pochi mesi dopo), ma hanno ammesso di non avere alcun piano di intervento e di lasciare il campo completamente libero all’Emirato islamico e al Kurdistan».
Ma non dimentichiamo i Curdi
La causa curda ha sempre suscitato simpatie, non foss’altro per le indicibili sofferenze di questo popolo dagli inizi del secolo XX. Pur tuttavia sarebbe ingenuo considerarli i personaggi “buoni” della storia; pur lasciando da parte la loro volontaria ed entusiastica partecipazione al genocidio armeno, ad attestarlo ci sono anche le sanguinose e spietate faide politiche interne che li hanno caratterizzati per la disunione anche a fronte dei nemici.
Oggi i Curdi dell’Iraq stanno giocando in modo spregiudicato e pragmatico le proprie manovre a tutto campo. Impadronitisi dei pozzi di Kirkuk e di Bai Hassan – con la scusa ufficiale di proteggerli nell’attuale caotica situazione – si sono affrettati a espellere i lavoratori arabi, cominciando a reiterare in proprio le pulizie etniche di cui erano stati vittime fino a poco fa. Inoltre è in corso un riavvicinamento reciproco con la Turchia per evidenti ragioni economiche legate all’interscambio commerciale col Kurdistan iracheno e per ragioni politiche interne. Di recente Erdoğan ha fatto votare dal Parlamento di Ankara l’autorizzazione a negoziare con i Curdi della Turchia, con il “presente” per cui i parlamentari curdi che opereranno per il disarmo dei guerriglieri del Pkk saranno esenti da procedimenti giudiziari: chiaramente l’iniziativa mira a lucrare un bel po’ di voti curdi alle vicine elezioni presidenziali in cui Erdoğan è candidato. In più si va costituendo una specie di asse fra il Kurdistan iracheno e Israele, in Italia subito entusiasticamente salutato da un organo filosionista come Il Foglio. Sul futuro unitario dell’Iraq non c’è da farsi illusioni.
Carissimo Dott, Zarcone, sono Dott. Alessandro Remoundos da Atene Grecia, l' ex maestro di Emiliano alla scuola Greco-ortodossa in Via Sardegna di Roma... Dall internet ho visto che vivi in Portogallo. Coma sta tu e la famiglia??? Emiliano e' autore come si presenta nell internet??? Tanti bacci a tutti, aspetando novita'… Comunicazione. Alessandro Remoundos Via ASPASIAS 75, CP 15561 Atene Grecia tel. 00302106529119 e mail. pnemorem1gmail.com
Enrico Grazzini è giornalista economico, autore di saggi di economia, già consulente strategico di impresa. Collabora e ha collaborato per molti anni a diverse testate, tra cui il Corriere della Sera, MicroMega, il Fatto Quotidiano, Social Europe, le newsletter del Financial Times sulle comunicazioni, il Mondo, Prima Comunicazione. Come consulente aziendale ha operato con primarie società internazionali e nazionali.
Ha pubblicato con Fazi Editore "Il fallimento della Moneta. Banche, Debito e Crisi. Perché bisogna emettere una Moneta Pubblica libera dal debito" (2023). Ha curato ed è co-autore dell'eBook edito da MicroMega: “Per una moneta fiscale gratuita. Come uscire dall'austerità senza spaccare l'euro" ” , 2015. Ha scritto "Manifesto per la Democrazia Economica", Castelvecchi Editore, 2014; “Il bene di tutti. L'economia della condivisione per uscire dalla crisi”, Editori Riuniti, 2011; e “L'economia della conoscenza oltre il capitalismo". Codice Edizione, 2008
Salvatore Minolfi: Le origini della guerra russo-ucraina
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