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goofynomics

La prevalenza del declino

di Alberto Bagnai

L’informazione nell’età dell’euro

Con l’avvicinarsi dell’inevitabile epilogo, quello che la Storia ci racconta, il dibattito sull’euro assume toni sempre più concitati.   Il crescente nervosismo è comprensibile.   Da circa un trentennio l’Italia è governata dal partito unico del vincolo esterno: prima sotto forma di Sme, oggi, sotto forma di PUDE (Partito Unico Dell’Euro). I personaggi sono sempre quelli, e da trent’anni sono dietro, sotto, sopra, o dentro al governo. L’informazione, che è un bene costoso, è stata comprata da chi aveva i soldi per farlo: gli azionisti di maggioranza di questo partito unico, le grosse lobby finanziarie che dominano le scelte di Bruxelles. Ne è risultata una plumbea uniformità: nessuna voce di dissenso aveva finora raggiunto i media, eccezion fatta per alcune strampalate organizzazioni, o movimenti, o iniziative, meritatamente prive di credibilità agli occhi degli elettori, e visibilmente strutturali a un disegno reazionario di canalizzazione del dissenso (come il nostro caro amico Donald).

Ma ora la situazione è cambiata.   Per motivi vari e complessi, che vanno dal desiderio di alcuni politici e organi di informazione di predisporre un piano B onde evitare il totale discredito e assicurarsi la sopravvivenza (vedi Fassina), alla pressione che iniziative indipendenti e credibili hanno saputo promuovere presso i media tradizionali, capita che ogni tanto si riesca a sentire una voce seria e argomentata di dissenso, come quella di Claudio Borghi Aquilini.

 

Per l’Italia questa è una grande novità. Non lo è, va da sé, per il resto del mondo, dove il dissenso serenamente motivato ed espresso accede da sempre agli organi di stampa più qualificati. Pensate a Krugman, che non solo nel 2012 sul New York Times,  ma già nel 1998 su Fortune,  si era espresso in modo critico sulla sostenibilità della moneta unica. Potrei aggiungere Roubini, Wolf, ecc.

 Del resto, è evidente che i giornali espressione della comunità finanziaria internazionale, quelli letti da persone che ogni giorno devono prendere decisioni importanti, siano di qualità diversa rispetto ai nostri organi di stampa provinciali, gestiti vuoi da furbastri il cui unico scopo è quello di condizionare dei poveri di spirito (come Repubblica), vuoi da quattro gatti spelacchiati, che hanno venduto la propria credibilità per un piatto di lenticchie (come il Manifesto).
 
Prima, in Italia, certe informazioni si potevano avere solo accedendo a Internet e sapendo almeno l’inglese. Il digital divide era la miglior garanzia di sopravvivenza per il regime eurista, che infatti si è ben guardato dal prendere iniziative che potessero colmarlo. Ora queste informazioni stanno arrivando ai media tradizionali.
 
 
Del resto, avendo il monopolio dell’informazione, il PUDE giocava facile. Le menti migliori poteva tenerle nelle retrovie, a prendere le decisioni importanti, e in prima linea, sui media, poteva tranquillamente inviare una composita armata Brancaleone di ragionieri, opinionisti, giornalisti dalle giacche fantasiose, ex politici, ex manager, ex sindacalisti, ex qualsiasi cosa. Tanto bastava far presenza, non c’era bisogno di argomentare se non esponendo i due o tre paralogismi ad usum piddini: il teorema del cinghiale (per una grande area ci vuole una moneta grande), quello del pulcino (la nostra liretta verrebbe attaccata dai mercati), e quello di Morfeo (l’euro incarna il Fonno, pardon, il Fogno europeo).

Con questa amena silloge di stronzate una ciurma di venduti, di cialtroni, di disinformatori dilettanti ha potuto tenere in pugno un’intera nazione.
 
Ma ora è finita.
 
I dati cominciano a circolare, i cittadini desiderano averli (il successo di questo blog lo prova) e cominciano ad avere strumenti di valutazione, le trasmissioni che si arrischiano ad aprire una finestra sul web (gruppo Facebook, Twitter), vengono travolte dagli insulti quando perseverano sulla strada della disinformazione terroristica spicciola, e quelle che invece fanno scelte coraggiose vengono premiate dagli ascolti.

Il vento è cambiato, e, come si dice a Roma, non si può fermare il vento con le mani.
 

La slealtà

In coerenza con le mie convinzioni politiche e con la mia attività di ricerca, ho sentito il dovere di impegnarmi in una battaglia trasparente e argomentata a favore dell’Europa, e quindi, necessariamente, contro la moneta unica, strumento di disintegrazione europea sul quale mi ero comunque espresso criticamente a suo tempo (lo noto a beneficio dei patetici latecomers dilettanti come Donald: gli economisti veri erano tutti arrivati molto prima di me)! Un impegno faticoso ma pieno di soddisfazioni, che ho assunto perché credo che la verità storica stia dalla mia, cioè dalla nostra, parte.
 
Sapevo che questo mi avrebbe esposto ad attacchi personali, provenienti in particolare dalla professione. Puntualmente, questa previsione si è realizzata. Non voglio soffermarmi su questo penoso episodio. Un episodio che scredita il suo autore (cosa della quale sinceramente me ne infischio), ma soprattutto scredita la mia professione, che non ne avrebbe bisogno. Oggi vorrei lasciarmi questo squallore dietro le spalle, e non è certo per rimarcare questa sciocca bavure che vi intrattengo, no, tutt’altro. Come al solito, non sono i passi falsi degli avversari che mi preoccupano, ma quelli dei sedicenti alleati.
 
Desidero quindi dissociarmi da chi combatte la nostra stessa battaglia, quella a favore dell’Europa, con mezzi indegni e sleali, in particolare cercando di screditare con attacchi personali i nostri avversari, cioè le persone che sostengono il progetto eurista. Lasciamo gli attacchi personali ai gianninizzeri del progetto eurista. Certo, noi sappiamo che gli euristi necessariamente ricadono in due categorie: quella delle persone in malafede, e quella delle persone dalla limitata capacità di comprensione (più eventuali combinazioni convesse). Ma non è questa una buona ragione per attaccarli in modo subdolo, usando le loro stesse armi vili, meschine e controproducenti (in un mondo nel quale ogni peto viene inesorabilmente consegnato all’eternità digitale).
 
La verità è dalla nostra parte, lasciamo che lavori per noi e non ricorriamo a mezzucci infimi.

Scrivo quindi questo post, come vi dicevo, per dissociarmi da un’iniziativa che ritengo sleale, incivile e indegna. Circola sul web un video nel quale un sosia del professor Michele Boldrin profferisce una serie di bestialità inconcepibili a sostegno della permanenza dell’Italia nell’euro. Qualcuno lo avrà già visto, chi non lo avesse vistolo trova qui.
 
È evidente che un economista della statura del prof. Boldrin non può aver detto le cose che il video gli attribuisce (e sulle quali ci soffermeremo qua sotto), ed è quindi assolutamente palese che siamo di fronte ad un calunnioso e sleale tentativo di disinformazione, dal quale desidero, lo ribadisco per la terza volta, dissociarmi.
 
Ma prima di analizzare il contenuto del video, vorrei segnalarvi tre dettagli che rivelano un notevole dispendio di mezzi e una subdola intelligenza strategica nella preparazione di questo palese falso.
 
Primo: noterete che a interpretare il prof. Boldrin è stato chiamato un attore professionista. Riteniamo si tratti di Stefano Chiodaroli, passato alla storia (questa volta la s è minuscola) per la sua appassionata invocazione: “Pieraaaaa!”. Non oso pensare quindi quanto sia costato il video, dato il coinvolgimento di un interprete così noto e apprezzato dal grande pubblico.
 
Secondo: badate al look estremamente dimesso e casalingo del video. Il mezzo, si sa, è il messaggio, e qui il messaggio è subdolo: si vuol lasciare intendere, per screditarlo, che l’avversario sia poco a suo agio con i moderni mezzi di comunicazione. Questo, lo sappiamo, non è assolutamente vero. Il prof. Boldrin (quello vero, non il sosia del video) è, fra le altre cose, uno dei due economisti di riferimento di Caterpillar, una trasmissione di Radio2 diabolicamente scaltra, che coglie i cittadini quando, al termine di una giornata di lavoro, si trovano inscatolati nel traffico, con le difese immunitarie abbassate, e ne approfitta per veicolare una serie di messaggi pinochettiani (abitualmente conditi con amene musichette da centro sociale, tutte fisarmonica e distintivo, che fanno tanto “semo de sinistra”: ma che furbettini!). Perché uno dei due? Perché ce n’è un altro. E chi è? Ma è chiaro, Savonarola, quell’altro furbettino di tre cotte, il piazzista della tecnologia tedesca in nome dell’ideologia della decrescita, che ad essa tecnologia, e ad esso modello sociale neonazista, tanto armoniosamente si coniuga.
 
E voi vorreste farci credere che una persona così integrata nella macchina della disinformazione di regime sia costretta a girare un filmettino amatoriale per diffondere le proprie idee? Suvvia, non siamo così ingenui. Del resto, il tentativo di screditare in questo modo il professore si risolve in un autogol: invece di screditarlo, avvalora l’idea di un docente coraggioso che con pochi, austeri mezzi combatte una battaglia a favore delle proprie idee. Mica come certi intellettuali radical chic che possono permettersi video ben più curati, avendo dietro, com’è evidente, i poteri forti, la massoneria.
 
Anche perché, ripeto, il vero prof. Boldrin è un economista, un economista vero, e quindi non avrebbe mai profferito bestialità come quelle che troviamo nel video.
 
Vediamole insieme.
 

La piccola bottega degli orrori, parte prima: “un paese come la Grecia quindi come l’Italia”

La tesi sostenuta dal finto prof. Boldrin, quello del video, è assolutamente strampalata, ma rientra a pieno titolo nel quadro dell’informazione terroristica che i media (nei quali il vero prof. Boldrin è perfettamente integrato) ci propalano. Secondo il (finto) prof. Boldrin, l’uscita dall’euro per l’Italia sarebbe un disastro (0:54), e per argomentarlo il (finto) prof. Boldrin prende ad esempio il caso della Grecia, cercando di capire cose significherebbe per un paese “come la Grecia quindi come l’Italia” (1:15) uscire dall’euro.
 
Basterebbe questa frase per far capire a un esperto, o anche semplicemente a una persona con la testa sulle spalle (posto che i due insiemi abbiano intersezione non nulla), che chi parla evidentemente non è un economista. Sì, perché nemmeno sul 64 barrato nessun pensionato delle Poste mai si arrischiò, dopo lauta libagione albana, a similitudine tanto ardita.
 
Il finto Boldrin, invece, insiste, con un evidente intento subdolo: quello di instillare nell’ascoltatore il terrore della bancarotta, del default del governo italiano, laddove si uscisse dall’euro. Equiparare surrettiziamente l’Italia alla Grecia aiuta, perché che la Grecia sia messa male, anzi, malissimo, è evidente. E così per tutto il video si snocciola una patetica litania di “l’Italia, quindi la Grecia”, “la Grecia, cioè l’Italia”, “l’Italia, o la Grecia”, per rafforzare subliminalmente l’idea di una impossibile equivalenza fra i due casi, in un confuso guazzabuglio di lire, dracme, e, beninteso, euri (sic).
 
Viceversa, l’ovvia riflessione che bisognerebbe fare è che la Grecia sta messa male perché la trattengono dentro l’euro. Ma non entriamo in questo argomento, per il quale rinvio ai tanti studi di altri economisti veri. Leggete ad esempio Panizza e Borenzstein (i quali chiariscono che il default per la Grecia sarà costoso solo se essa resterà nell’euro; qui trovate la versione estesa – incidentalmente noto che il vero prof. Boldrin, che quotidianamente parla di economia monetaria internazionale in televisione, non mi pare abbia mai fatto ricerca presso il Fondo Monetario Internazionale). Oppure rileggete Woo e Vamvakidis, che collocano la Grecia al terzo posto fra i paesi dell’Eurozona per convenienza ad uscire dall’euro (al primo posto essendoci Italia e Irlanda ex aequo).
 
Strano, direte voi, che il finto prof. Boldrin non menzioni mai la Spagna, un paese che, pur essendo anche lui in condizioni ben diverse e peggiori di quelle dell’Italia, almeno gli somiglia per dimensioni, reddito pro capite, ecc. Ma anche questo, come del resto l’intento terroristico, aggiunge un tocco di realismo al video, serve a corroborare l’idea che chi sta parlando sia il vero Boldrin, e non un attore. Nell’ambiente si sa bene che il preciso prof. Boldrin (quello vero) per la Spagna ha un debole. Deve essere un fatto sentimentale: si sa che è stato “a Carlos Tercero” (come dicono gli introdotti), e ci deve aver lasciato il cuore. Solo questo spiega la pervicacia con la quale continua, against all evidence, a parlarci di successo spagnolo. Ma si sa, il prof. Boldrin – quello vero – non è a suo agio con le statistiche del Fondo Monetario Internazionale. Così, negli anni nei quali io chiedevo agli studenti spagnoli che venivano in Erasmus a Roma: “Scusate, cari, ma voi come pensate di ripagarlo il vostro debito estero, che viaggia a vele spiegate oltre il 40% del Pil?” (e loro rispondevano con una hidalghesca scrollata di spalle, e uno sdegnato lampo dei loro profondi occhi andalusi), lui magari avrà parlato, a Madrid, coi suoi studenti, di argomenti meno sgradevoli, o più piacevoli. Sapete, non è cattivo, il prof. Boldrin: si dipinge così. In realtà è una persona profondamente compassionevole e umana (del resto, è ospite fisso di trasmissioni di sinistra): quindi sa bene che non si parla di corda in casa dell’impiccato, e di debito estero in casa di uno spagnolo. Soprattutto, poi, se si ignora cosa sia il debito estero.
 
Attenzione, vorrei precisare una cosa, che non è stata capita da alcuni trollazzi particolarmente imbecilli.

Ho sostenuto più volte e in più sedi che il meccanismo sottostante alle crisi dei paesi periferici dell’eurozona è estremamente simile, le dinamiche sono quelle, e sono quelle delle crisi dei paesi emergenti nell’era della liberalizzazioni finanziaria, cioè del ciclo di tipo minskyano descritto in particolare da Frenkel e Rapetti (2009). Le famiglie infelici sono tutte uguali, e questa non credo sia una grande scoperta (in economia). Ma se le dinamiche sono le stesse, non sono certo gli stessi i livelli, le dimensioni dei fenomeni. Essere sulla stessa strada, andare nella stessa direzione, non significa essere nello stesso posto. E Grecia e Italia, anche se avviate sulla stessa strada (come del resto la Francia) sono ancora in località diversissime, nonostante, lo ripeto e lo mantengo, le dinamiche siano identiche.
 
Vale la pena di ricordarlo a chi si fosse messo in ascolto in questo momento, facendo un rapido giro fra i fondamentali economici dei due paesi.
 
Cominciamo dall’indebitamento estero (saldo delle partite correnti). Certo: in entrambi i paesi l’indebitamento estero è aumentato (il saldo delle partite correnti peggiorato) dalla fissazione del cambio in poi, seguendo la nota trama del Romanzo di centro e di periferia. Ma è evidente, ogni economista degno di questo nome lo sa, che la dimensione degli squilibri è ben diversa da un paese all’altro:
 
 
(fonte: WEO).
 
Come sappiamo e come vediamo dal grafico, l’indebitamento estero della Grecia già dal 2005 aveva superato i 10 punti, laddove molti studi empirici, che ho più volte citato, situano il livello di attenzione intorno ai 5 punti. L’Italia non ha mai nemmeno avvicinato questo livello di attenzione.
 
Dato che l’Italia si è indebitata con l’estero meno della Grecia in ogni singolo anno, è ovvio quindi che il suo debito estero complessivo (più esattamente, la posizione netta sull’estero), in rapporto al suo Pil, non avrà esattamente lo stesso ordine di grandezza di quello greco:
 
 
(fonte: dal 1999 al 2004 EWN, poi IFS).
 
Eh, no! In effetti gli ordini di grandezza sembrano diversi, che ne dite? Notate: la dinamica è molto simile: il debito estero aumenta dall’ingresso nell’euro. Ma i livelli sono diversi.
 
Sappiamo che esiste una dilettantesca genia di cialtroni per i quali conta solo il “debitopubblico”. Ecco, vediamo anche questo, perché è interessante:
 
 
 
 
(fonte: WEO)
 
E anche qui direi che non ci siamo, perché è vero sì che l’ordine di grandezza, prima della crisi, era molto simile (anche se il debito italiano stava diminuendo, mentre quello greco leggermente aumentando), ma la reazione del debito pubblico greco alla crisi è stata abnorme, il che indica, ovviamente, una situazione di forte fragilità. E notate anche che nel periodo nel quale si accumulava debito estero, il debito pubblico era stabile, in rapporto al Pil, in entrambi i paesi.
 
Quindi?
 
“Quindi il debito estero era contratto dal settore pubblico!”, direbbe il mio solito studente di Pescara, ragionando da studente. E come ragiona uno studente? Così: “Sembra evidente che se il debito contratto dal settore pubblico sta fermo mentre quello complessivamente contratto con l’estero aumenta, chi ha contratto debiti con l’estero sia il settore privato. Ma siccome il prof. mi vuole fregare, e io sono fuuuuuuuuuuurbo, invece di rispondere “settore privato” risponderò “settore pubblico”, a me non la si fa”!
 
Ecco, voi invece non ragionate più così, perché ormai sapete, perché ve l’ho detto io, e perché lo sapevate anche prima, che la risposta è dentro di voi, ed è giusta.
 
Perché la Grecia, nonostante la similarità delle traiettorie, è tanto più fragile?
 
Ma per due motivi: intanto perché i suoi conti pubblici sono in una situazione strutturalmente peggiore della nostra. Lo testimonia il saldo primario del bilancio pubblico (quello calcolato escludendo la spesa per interessi). Ancora una volta, le dinamiche sono simili (si peggiora dall’entrata nell’euro), ma le intensità molto diverse:
 
 
(fonte: WEO)
 
Del resto, è esattissimamente per questo motivo che gli studi seri sull’uscita dall’euro, come quello di Bootle, o quello di Tepper, non considerano probabile un default dello Stato italiano. Ed è quindi per questo motivo che ragionare sull’uscita dall’euro in termini di parallelo fra situazione greca e italiana è ovviamente un segno di dilettantismo, sul quale il video insiste, ostentatamente, al mero scopo di screditare il prof. Boldrin.
 
Rimane, certo, la controversia sul fatto se la ridenominazione del debito possa essere considerato un default tecnico, ma certo non è un default in termini giuridici, e lo Stato italiano, a differenza di quello greco, non è mai stato e non è attualmente sull’orlo di una sospensione dei pagamenti. Lo conferma la Commissione Europea, come ogni economista vero (quindi anche il vero prof. Boldrin) sa. E se non lo sa, non è un economista vero, ma un attore, come quello che nel video interpreta, appunto, il prof. Boldrin.
 
Questo anche perché le famiglie italiane risparmiano strutturalmente molto di più di quelle greche, e lo si vede benissimo qui:
 

(fonte: AMECO, Par. 15.3, net saving ratio)
 
Ovviamente in entrambi i casi (vedi alla voce dinamica) il risparmio netto delle famiglie (qui presentato in rapporto al loro reddito disponibile) diminuisce (vedi alla voce “le dinamiche sono simili”, o meglio vedi alla voce “l’euro ha impoverito le famiglie, che quindi non riescono a risparmiare”), ma, attenzione! In Grecia il risparmio netto è stato quasi sempre negativo, cioè le famiglie si sono indebitate per finanziare il consumo corrente.
 
Insomma: è piuttosto chiaro come stanno le cose, no? Il quadro è simile, certo, come tendenza, come dinamica: le variabili scendono in entrambi i paesi. Ma solo un totale ignorante potrebbe assimilare la situazione della Grecia a quella dell’Italia, perché il livello delle variabili, la dimensione dei fenomeni, è totalmente diversa. Ed è proprio per questo che il video, squallidamente diffamatorio, attribuisce al prof. Boldrin una simile bestialità, proprio per questo nel video l’attore che impersona il prof. Boldrin continua a ripetere “l’Italia come la Grecia”, “la Grecia cioè l’Italia”, a rullo, senza pudore: per screditare il personaggio che interpreta.
 
Ma il peggio deve ancora venire...
 

La piccola bottega degli orrori, parte seconda: conversione e changeover

Ascoltate il video. Dal minuto 1:24 al minuto 5:17 è puro delirio!
 
L’attore che impersona il prof. Boldrin si avventura in una confusa e dilettantesca ricostruzione di quale sarebbe, secondo lui, il metodo adottato per cambiare unità di conto all’atto dell’uscita dall’euro. Come sopra, da un lato, per aggiungere realismo, gli argomenti sono terroristici (come quelli che ci si aspetta usi un fermatore del declino), ma dall’altro, per diffamare il professore, la loro esposizione è contraddittoria, caricaturale e si appoggia ad argomenti che nessun economista vero userebbe mai. Questa sarà una costante di tutto il video.
 
Sentite come la racconta, il nostro attore, il finto Boldrin:
 
“All’atto della transizione... il governo... dovrà decidere a che cambio con l’euro questa moneta potrà cominciare a circolare...  I prezzi esistenti in euro dovranno essere tradotti in lire... Questo cambio non dovrà essere accettato da tutti immediatamente... Molti hanno avuto l’impressione che quando si entrò nell’euro svariati commercianti... avessero effettuato un cambio dalle lire all’euro che fosse da uno a mille per far aumentare i prezzi in euro. Lo stesso potrebbe avvenire oggi ma questo è un aspetto non centrale”.
 
Insomma: il messaggio è chiaro: puro terrorismo! Vi siete fatti fregare entrando, vi aspettano all’uscita per fregarvi di nuovo.
 
Notate due peerle (sì, con due “e”: sapete che il rating del professor Boldrin, quello vero, è EE+). L’attore (subdolo) attribuisce al prof. Boldrin due bestialità pazzesche! Prima gli fa sbagliare la data di ingresso nell’euro (nel 2000, dice il nostro), poi gli fa toppare clamorosamente il cambio al quale entrammo (“1997, se non ricordo male”).
 
Due errori evidentemente imperdonabili, su due dati di fatto talmente noti che perfino quel laboratorio di disinformazione di regime che è Wikipedia Italia sezione economia è costretto a riportarli in termini corretti: si entrò nel 1999, e il tasso di cambio era 1936,27. Dice: “Vabbe’, so dettagli, quello è un genio, lo devi lassa’ perde!”
 
Dettagli una sega!
 
Il cambio italiano a 1997 c’è stato (naturalmente sull’Ecu, l’unità di conto europea alla quale eravamo agganciati nel percorso verso l’euro) e sapete quando? Nei primi mesi del 1996. In quell’anno il surplus delle partite correnti della bilancia dei pagamenti raggiunse il 3% del Pil. Ma poi, siccome siamo bravi, dovemmo rivalutare. Il tasso al quale entrammo corrisponde in effetti a una rivalutazione di un po’ più del 3% rispetto al valore raggiunto nel 1996 (che comunque era già rivalutato rispetto al massimo storico raggiunto nel marzo dell’anno precedente). Pare poco, ma intanto, nel 1999, grazie alla rivalutazione il nostro surplus con l’estero era già sceso all’1% del Pil. Abbiamo visto, ricordate, che le esportazioni italiane sono molto elastiche al cambio? Quindi il cambio non è un dettaglio.
 
Comunque, più si va avanti e più ci si diverte. Perché l’attore chiamato a impersonare il prof. Boldrin, al minuto 4:00, dice una cosa esatta, ovvero che il cambio con le “nuove lire” avverrà uno a uno: una nuova lira per un euro. Lo dicono tutti, sappiamo che sarà così.
 
Subito dopo, però, a 4:31, si contraddice, e si avventura in una fumosa teoria su come dovrà essere quotato dal governo italiano il nuovo cambio. Notate che il prof. Boldrin (quello finto) usa la teoria economica che gli economisti veri normalmente adottano per questi calcoli, quella della parità relativa dei poteri d’acquisto, ipotizzando che, dato il differenziale di inflazione cumulato dall’Italia verso la Germania, il nuovo cambio dovrebbe situarsi a circa 2100 lire per euro (corrispondente a una svalutazione complessiva di circa l’8.5%, a spanna, e quindi, sempre linearizzando, di circa lo 0.7% all’anno, che in effetti è più o meno il differenziale di inflazione fra Italia e Germania).
 
Perché questa contraddizione, e perché è ridicola la seconda ipotesi?
 
Il motivo della contraddizione è ovvio: se il finto Boldrin dicesse che la conversione sarà uno a uno, poi non potrebbe fare la sua supercazzola sul fatto che i commercianti ci fregheranno col cambio, perché è ovvio che se il cambio è uno a uno, sarebbe difficile per un commerciante venderti a 4 nuove lire quello che ti vendeva a 2 euro, no? Del resto, questo è il motivo per il quale, per il bene di tutti, si assume che l’uscita avverrà col cambio uno a uno.
 
Ma il finto (speriamo) Boldrin ci vuole terrorizzare, e allora, lellero lellero, senza farsi né in qua né in là, si contraddice in un modo ridicolo per un economista (sostenendo che il cambio sarebbe 2100 a uno). Perché è ridicola questa contraddizione? Ma è ovvio! Perché confonde il ruolo dello Stato con quello del mercato! Una cosa che un vero liberista, come il vero prof. Boldrin, non farebbe mai.
 
Lo Stato deve ridefinire l’unità di conto nella quale sono definiti i contratti regolati dal diritto nazionale. Il Mercato deve attribuire alla nuova unità di conto il suo valore corretto sul mercato interazionale. Le due operazioni sono logicamente scisse ed è giusto e razionale che siano portate a termine da due istituzioni distinte.
 
Supponiamo col prof. Boldrin che la sopravvalutazione attuale della lira sia del 10% (secondo me è un po’ di più, sono meno ottimista di lui, ma lasciamo stare). Lo Stato non se ne deve preoccupare, non deve preoccuparsi dei decimali. Lo Stato dice: quello che ieri era l’obbligazione di pagare 100 euro, diventa l’obbligazione di pagare 100 nuove lire, e questo mio decreto fa legge sugli scambi regolati dal diritto nazionale. Non è altro che l’applicazione della Lex monetae, ne abbiamo già parlato.

Il riallineamento non è nei rapporti interni, fra creditore e debitore nazionali, denominati nella stessa valuta. Il riallineamento è nei rapporti con le altre valute.
Siccome esportiamo meno di quello che importiamo, e quindi chiediamo più valuta estera (per acquistare i beni esteri) di quanta valuta nazionale venga chiesta a noi (per acquistare i nostri beni), la nostra valuta sarà, come quella di ogni paese in deficit, in eccesso di offerta sui mercati internazionali, e quindi subirà, come ogni cosa in eccesso di offerta un naturale deprezzamento. Chiaro?
 
Il cambio è il prezzo di una valuta in termini di un’altra, e quale sia il suo valore corretto possiamo anche farlo determinare al mercato, se siamo liberisti, no? Quindi lo Stato, invece di fare lui il calcoletto su quanta inflazione c’è stata, deve semplicemente lasciare che la valuta fluttui.
 
Ovvio, il primo giorno il tasso di conversione interna (uno a uno) coinciderà con quello di conversione esterna, cioè con il tasso di cambio (uno a uno). Poi le cose evolveranno, secondo le leggi del mercato. Il tasso interno rimarrà quello: chi doveva cento nuove lire a un creditore nazionale dovrà sempre cento nuove lire. Il tasso di cambio invece fluttuerà: per comprare un euro, invece di una nuova lira, ci vorranno, poniamo, 1.03, poi 1.07, poi 1.10, poi... fino magari a 1.20 lire. La lira cioè si sarà progressivamente svalutata, ne occorreranno di più per acquistare un euro. Ma per pagare il tuo creditore, figlio bello, non avrai bisogno degli euro, capisci, perché applicando la Lex Monetae e il codice civile italiano lo Stato avrà convertito simmetricamente crediti e debiti!
 
Questo è il lavoro che deve fare lo Stato: stabilire quante nuove lire un creditore deve avere dal suo debitore. Il mercato invece stabilirà quante nuove lire occorreranno per un euro.
 
Chiaro? Se non lo è, fatevi prestare il mio libro.
 
Ricapitolo: dei due snodi che necessariamente faranno parte dell’uscita dall’euro (la ridenominazione delle obbligazioni giuridiche rette dal diritto nazionale e il riallineamento del cambio) la prima dovrà necessariamente essere gestita dallo Stato (semplicemente perché è lo Stato che gestisce i tribunali dove queste obbligazioni vengono fatte valere), e la seconda dovrà essere necessariamente gestita dal mercato (semplicemente perché il valore corretto del cambio risulta dalle domande e offerte di valuta che sui mercati valutari si manifestano).
 
Capito perché la papera subdolamente attribuita a un luminare come il prof. Boldrin da questo video diffamatorio è totalmente assurda?
 
Ma il peggio deve ancora venire...
 

La piccola bottega degli orrori, parte terza: l’effetto principale

Finalmente a 5:17 si entra in medias res. Sentite cosa dice il nostro attore:
 
“Quale sarà l’effetto principale? La nuova moneta... si commercerà sui mercati valutari internazionali in maniera indipendente dall’euro. Sarà una moneta diversa la cui garanzia, il cui valore, viene deciso dalle operazioni di emissione della banca centrale... e dalle operazioni di indebitamento o di non indebitamento del governo italiano che emette titoli di debito in moneta. Questo ha delle conseguenze”.
 
Quali siano queste conseguenze non è dato sapere, perché il subdolo guitto, nella sua sleale azione diffamatoria verso il vero prof. Boldrin, passa subito ad un’altra stazione di questa autentica Via Crucis della scienza economica. Ma, vi prego, apprezzate con me un paio di peerle.
 
Intanto, mi piacerebbe sapere cosa sia una “operazione di non indebitamento”! Qui sono sicuro che istwine potrà illuminarci.
 
Poi, sarei curioso di capire come si possa emettere un “titolo di debito in moneta”. Forse vuol dire “denominato nella nuova valuta”? Giustamente, il linguaggio approssimativo, da osteria, fa parte del progetto diffamatorio.Chapeau!
 
Ma il punto dolente del finto (e temo anche del vero) Boldrin è che proprio non vuole (non vogliono?) rassegnarsi a capire come funzionano i mercati valutari. L’idea che il cambio sia deciso da quanto la banca centrale decide di stampare, questa ossessione fobica per l’emissione di moneta, fonte di ogni e qualsiasi male, è assolutamente balzana. Lo Stato (il nemico) può stampare tanta moneta quanto vuole, ma se poi quella moneta non viene scambiata sui mercati dei cambi, l’impatto dell’orrendo crimine sulla quotazione internazionale della moneta è nullo. L’idea che il tasso di cambio sia dato dal rapporto fra due stock di moneta, per cui se aumenti lo stock di moneta nazionale, questa vale di meno, vale tanto l’altra idea che l’inflazione sia il rapporto fra massa monetaria e beni prodotti.
 
Una diversa versione del famoso sogno del fruttarolo, per chi ha letto il libro.
 

La piccola bottega degli orrori, parte quarta: l’euro come valuta straniera

Andiamo avanti. So che non vorreste, so che, come me, siete giustamente indignati da questo tentativo subdolo di ledere la credibilità di un noto economista, so che avete capito il messaggio che vi voglio trasmettere: chi combatte una battaglia di libertà e verità non può abbassarsi a usare questi mezzucci sleali, e so che oltra a capirlo, condividete con me questo messaggio. Ma beviamo fino in fondo l’amaro calice della vergogna, la vergogna di scoprire che c’è qualcuno che combatte la nostra battaglia con le armi sleali del discredito e dell’attacco personale, armi che avremmo voluto lasciare al partito eurista, insieme al manganello dello spread.
 
Al minuto 6:00 si sprofonda nel ridicolo. Sentite:
 
Il secondo aspetto che occorre tenersi molto chiaro in mente è che in questo momento tutto il debito pubblico italiano è espresso in euro... Un governo ha due scelte... può farne una amichevole, e dire ‘ok, tutte le obbligazioni che ci siamo presi in euro le manteniamo pari’... da quel giorno in poi, siccome non abbiamo più accesso alla Bce che emette euro... la banca centrale e il tesoro dovrebbe  rifornirsi sui mercati internazionali di questa valuta a quel punto diventata straniera... esattamente nella stessa maniera in cui oggi si riforniscono di dollari... Ovviamente parte di queste valute estere fluirebbe nel paese attraverso un ripristinato ufficio dei cambi... e parte quindi fluirebbe dalle esportazioni verso altri paesi e in parte andrebbe acquistata indebitandosi sui mercati delle valute.
 
Certo che chi ha scritto il testo letto dal finto prof. Boldrin ha una fantasia sconfinata! Credo che nessun genio della satira riuscirebbe a condensare così tante fanfaluche in così poche righe.
 
Cominciamo dai fondamentali.
 
Intanto, è assolutamente chiaro che al finto prof. Boldrin proprio non è chiaro lo scopo del gioco! Va da sé che lo scenario da lui dipinto non è sensato, nemmeno come caso di scuola, per almeno due ovvi motivi. Tralasciando sempre il “dettaglio” che il problema sono i debiti privati (come le banche spagnole e da qualche settimana anche quelle italiane dimostrano, e de Grauwe ci ha limpidamente chiarito – qui il riassunto in italiano), e restando sul debito pubblico:
 
1)      ovviamente uno Stato non lascerebbe l’euro per pagare il servizio del proprio debito il 20% in più in valuta nazionale (cosa che accadrebbe se lo lasciasse denominato in valuta estera). La Lex monetae si applica anche ai debiti verso creditori esteri, purché regolati dal diritto italiano, come è oggi la stragrande maggioranza dei titoli di Stato in circolazione. Va da sé quindi che lo Stato ridenominerebbe le proprie obbligazioni in “nuove lire”, altrimenti tanto varrebbe, per lui, restare dentro;
 
2)      inoltre, che il debito estero verrebbe ridenominato (e quindi lasciato svalutare), viene dato per scontato da tutti gli studi in circolazione e dagli stessi mercati. Infatti:
a.       l’unica perplessità espressa negli studi consiste nel chiedersi se la ridenominazione possa essere tecnicamente considerata un default (una decisione che poi, in definitiva, sarebbe più politica che tecnica, e che ha conseguenze sui mercati dei prodotti derivati);
b.      dall’inizio della crisi decine di Stati sovrani (Regno Unito, Svezia, Polonia, per restare nelle vicinanze) hanno svalutato e nessuno ha gridato al default, anche se ha visto tornare indietro un po’ meno soldi di quanti se ne aspettasse. Questo perché una svalutazione, in caso di crisi, è un evento fisiologico, e il tasso di interesse ti ricompensa (anticipatamente) anche per questo rischio; l’unica differenza nel caso dell’Italia quindi sarebbe la ridenominazione, non la svalutazione, visto che tutti quelli che potevano svalutare l’hanno fatto (e si son trovati meglio);
c.       nel caso dell’Italia lo spread misura proprio il rischio di cambio che gli investitori esteri pensano di poter correre se la nuova unità di conto si svalutasse, come del resto spiega perfettamente lo stesso finto prof. Boldrin più avanti.
 
Quindi è ovvio che ragionare sullo scenario di mantenimento del debito pubblico in euro è una perdita di tempo: il finto prof. Boldrin lo fa per le stesse finalità terroristiche di quelli che divulgano la fanfaluca secondo la quale se uscissimo, le famiglie sarebbero pagate in lire, ma i mutui rimarrebbero in euro.
 
Oltre a non essergli chiaro lo scopo del gioco, al finto prof. Boldrin non è nemmeno chiaro quali siano le regole del gioco.Quello che non capisce è che l’euro già oggi è una valuta straniera per lo Stato italiano, perché non mi risulta (forse risulta al finto prof. Boldrin dopo la quarta caraffa di prosecchino) che lo Stato italiano possa andare dalla Bce e, con una pacca sulle spalle, farsi consegnare gli “euri” (dice lui) dei quali ha bisogno.
 
Se è così, allora De Grauwe non se ne è accorto. Sentite infatti cosa dice:
 
Quando entrano un una unione monetaria, i paesi perdono la propria capacità di emettere debito in una valuta sulla quale esercitano un pieno controllo... Questo problema non è affligge solo i membri delle unioni monetarie. La sua gravità è stata riscontrata anche nelle economie emergenti che non possono emettere debito nella propria valuta (NdC: indebitandosi in dollari)
Paul De Grauwe, 2011, Managing a fragile Eurozone.
(NdC, come sempre, vuol dire Nota der Cavajerenero).
 
Non so voi, ma a me sembra che quello che dice De Grauwe somigli alla realtà più di quello che dice il finto Boldrin. Scusate! Qui è tutto un chiedere a Draghi: “Mario, che cce compri i titoli? Daje, Mario, facce ‘sto favore?” E lui, Mario, ritroso come una verginella, prima di darla, la liquidità, ovviamente alla persona sbagliata (come spesso accade alle verginelle troppo ritrose), si fa pregare, e pregare, e nel frattempo la periferia dell’Eurozona si sbriciola sotto la mannaia dello spread, ad majorem Alamanniae gloriam recessionemque.
 
Se le cose invece stessero come dice il finto Boldrin, cioè se adesso il governo “avesse accesso alla Bce che emette euro”, dove starebbe il problema? Basterebbe andar lì e prendere, no? Sarebbe Mario a dire: “A’ Mario, che tte serve?”. I cognomi li sapete.
 
Ma le cose non stanno come dice il finto Boldrin. Quello che lui dipinge come scenario futuro (l’euro come valuta estera se usciamo), è in realtà lo scenario attuale (il debito italiano è denominato in una valuta che non controlliamo, l’euro. Non avere sovranità monetaria significa proprio questo, cioè che l’euro, per la nostra finanza pubblica, è già una valuta “estera”).
 
Già questo fa capire con che dilettante abbiamo a che fare, pardon, con quale dilettante il video ci vuol far credere che noi si abbia a che fare.
 
Due altre piccole perle di dilettantismo.
 
La prima è il riferimento all’Ufficio Italiano Cambi. Par di capire che secondo il finto Boldrin questo sia stato soppresso con l’entrata nell’euro, visto che non serviva più, e dovrebbe essere ripristinato se uscissimo dall’euro, visto che ne avremmo di nuovo bisogno. È assolutamente ovvio che il vero prof. Boldrin non può aver detto una fesseria simile, perché il vero prof. Boldrin lavora negli Stati Uniti, e quindi il vero prof. Boldrin sa che per un cittadino italiano l’entrata nell’euro non ha comportato l’eliminazione della necessità di cambiare la valuta a corso legale in Italia con altre valute estere (ad esempio il dollaro). Tanto è vero, che l’Ufficio Italiano Cambi è stato in vita fino al 2007, ed è stato poi soppresso in recepimento di una direttiva comunitaria. Tutte cose che il vero prof. Boldrin sa benissimo.
 
La seconda è che nel resoconto del finto prof. Boldrin si fa una gran confusione fra bilancia dei pagamenti e bilancio dello Stato. Lui dice “parte (della valuta estera necessaria ad onorare il debito pubblico contratto in valuta estera, NdC) quindi fluirebbe dalle esportazioni verso altri paesi e in parte andrebbe acquistata indebitandosi sui mercati delle valute.” Ma scusate! Se dopo l’uscita dall’euro un esportatore italiano esporta un toro in Spagna, e viene pagato in euro (daje a ride, perché se esce l’Italia, ovviamente la Spagna non resta dentro, nonostante l’attaccamento sentimentale del prof. Boldrin per quella terra di tori, flamenco e bolle), dicevo, se l’esportatore italiano viene pagato in euro, mica porta i suoi euro a via XX Settembre (Ministero del Tesoro) onde consentire allo Stato di restituire questi euro a un risparmiatore, che so, olandese, o finlandese? No, gli euro sono suoi e lui se li tiene e ci fa quello che vuole (verosimilmente, in parte li userà per regolare altre transazioni internazionali). Il governo, ovviamente, non può tassarlo “in euro”, dopo la ridenominazione dell’unità di conto nazionale: lo tasserebbe in lire. Quindi gli euro necessari ad onorare il servizio del debito in euro, dopo un’eventuale uscita dall’euro, potrebbero provenire solo dai mercati finanziari.
 
Oggi una differenza in effetti c’è: visto che i redditi sono definiti in euro, lo Stato può attingere euro anche attraverso il prelievo fiscale. Domani no, ovviamente (perché i redditi degli italiani sarebbero convertiti in nuove lire, e in quella valuta sarebbero tassati).
 
Ma la bilancia dei pagamenti e gli euro che “fluiscono” non c’entrano una beneamata fava col servizio del debito pubblico, come ognuno vede, compreso, ne sono certo, il vero prof. Boldrin. E l’accesso ai mercati è necessario oggi quanto domani, perché oggi quanto domani l’euro è per l’Italia una valuta straniera (come vede De Grauwe, quindi me ne fotto se Boldrin lo veda o meno).

Per inciso, non pensiate che il raccogliere imposte in valuta “forte”, come oggi, sia un vantaggio: la valuta forte sta distruggendo il reddito degli italiani, e quindi fra un po’ non rimarrà nulla da raccogliere. Chiaro, no?
 

La piccola bottega degli orrori, parte quinta: la svalutazione

Più si va avanti, e più il referto del finto prof. Boldrin si fa agglutinato e confuso. Sentite cosa dice a 8:33:
 
L’altra opzione è fare default, che è l’opzione implicita in realtà... nella minaccia greca di uscire dall’euro, perché l’opzione implicita sembra dire: “Be’, va be’, adesso non riusciamo a pagare questo enorme debito che abbiamo accumulato in euro ... passeremo alla dracma... praticamente rimangiandoci la promessa di pagare il nostro debito  in euro... Questa seconda opzione la lascerei da parte perché l’effetto di fare questa scelta... è drammatico... Facciamo finta che la transizione all’euro avvenga in maniera ordinata, e che il governo che decide di uscire dall’euro dica ‘ok, però gli impegni che mi sono preso in euro li mantengo in euro...
Qual ì il problema cui ci troviamo di fronte? Il problema è quello della svalutazione. Se il cambio lira/euro rimanesse stabile... forse questo non sarebbe un grande problema... Ovvero, se i mercati internazionali dicessero “Va be’, sono usciti, però di fatto manterranno una politica monetaria e fiscale non dissimile da quella che avrebbero mantenuto, il numero di dracme è proporzionale e quelle che avrebbe emesso la bce sotto forma di euro (come se gli euro emessi venissero allocati pro-quota ai paesi!)
-          la bilancia dei pagamenti non varierà (ma allora che usciamo a fare)  il tasso di inflazione interno non varierà...  Se così fosse non cambierebbe molto. È realistica una reazione del genere? Qui viene la parte complicata da capire.
 
Pare evidente che l’attore voglia simulare uno stato alterato nel prof. Boldrin, perché il discorso stenta a decollare: si fa un passo avanti, e se ne fanno due indietro: una random walk, un po’ come quella dell’ubriaco sotto al lampione.
 
Allora: abbiamo già detto che la ridenominazione:
 
1)      probabilmente non sarebbe considerato default tecnico, nel senso che potrebbe essere considerato default dagli organismi – privati  - che disciplinano i cosiddetti credit events, come l’ISDA, come potrebbe non esserlo. Una decisione con ricadute certo non banali sul mercato dei derivati, ma, appunto, incerta; 
 
2)      certamente non sarebbe un default in senso giuridico (la Lex Monetae esiste);
 
3)      certamente non sarebbe un default economico: lo Stato e i cittadini italiani risparmiano abbastanza da potersi permettere il rientro del debito pubblico (tutti i dettagli nel mio libro).
 
Abbiamo già detto (citando Panizza e Borenzstein) che in caso di ridenominazione i costi del default non sono quelli esorbitanti che normalmente si indicano. Quindi de che stamo a pparla’?
 
Ma nel passo trascritto vi prego di notare una ulteriore finezza, che chiarisce come il finto (ma anche il vero) prof. Boldrin non siano molto consapevoli di quanto sta succedendo.
 
Ma come? In un momento in cui tutto il mondo ha chiaro e dice che il problema dell’Eurozona sono gli squilibri della bilancia dei pagamenti, cosa ti viene a dire il finto Boldrin? Che i mercati saranno rassicurati, e quindi noi riusciremo a mantenere la parità di cambio (opportunamente corretta) se “la bilancia dei pagamenti non varierà”.
 
Ah bbelloooo!? Ma che stai a ddi’? Guarda che noi siamo in deficit delle partite correnti, e che i mercati non sono contenti della nostra bilancia dei pagamenti.
 
Ah, non te n’eri accorto? E allora secondo te perché parliamo tanto di recuperare competitività? Cos’è? Una nuova dieta? Ce l’ha chiesto il medico? Abbiamo problemi di colesterolo? No. Abbiamo un deficit di conti con l’estero, vendiamo poco all’estero, dicono, e all’interno di una unione monetaria, come sanno gli economisti, non potendo svalutare la moneta si svaluta il salario (va da sé che non mi permetterei un tono altrettanto irriguardoso con il vero prof. Boldrin, ma è del resto altrettanto evidente che un economista vero non può aver detto una cosa simile, quindi mi permetto il tono irriguardoso).
 
Insomma, siamo al delirio!
 
Noi usciamo proprio per far variare la bilancia dei pagamenti (facendola tornare in pareggio), e se una volta usciti rimanessimo in deficit, il nostro cambio evidentemente si deprezzerebbe (perché un deficit è un eccesso di offerta di valuta nazionale per comprare beni esteri).Insomma: l’attore ci vuole veicolare l’infido messaggio che al prof. Boldrin manchino le più elementari basi di economia internazionale monetaria.
 
Una vergogna, uno scandalo! Diffamare così uno stimato collega! Pretendere che egli non sappia qual è la situazione economica del suo paese!
 
Ma qual è il suo paese, in effetti? Eh, bella domanda...
 

La piccola bottega degli orrori, parte sesta: l’inflazione

Ma la strategia teppistica, vandalica, di attribuire (per diffamarlo) al prof. Boldrin analisi teoriche screditate e dilettantesche prosegue. Uno strazio, ma pro veritate affrontiamolo insieme, a 11:36.
 
Oggi come oggi un governo che esca dall’euro perché lo fa? Lo fa perché non è in grado di raccogliere risorse reali proprie, dai propri taxpayer che gli permettano di pagare il numero di euro promesso... quindi... tenterà di pagare i propri debiti in dracme.
 
Ah! Ma allora lo sai? Ma scusa, poco sopra, a 6:00, non avevi detto che non ne avremmo parlato, e che lo scenario era quello nel quale si usciva mantenendo i debiti definiti in euro? Allora ti sei accorto che non ha senso?
 
In dracme emesse dalla propria bc, risparmiando le risorse reali raccolte con la tassazione per poterle utilizzare per pagare il debito in essere... Potrebbero provare a fare i virtuosi... però per riuscire a essere virtuosi, devono raccogliere risorse reali in euro dalla propria economia.
 
Aspetta, mi sono perso. Ma i greci, cioè gli italiani, il loro debito lo pagano o non lo pagano? Ed è in lire, in dracme, o in euro? E se è in dracme, perché devono raccogliere euro per pagare gli interessi? E come fanno a raccogliere euro dai propri taxpayer (a’ bbello de zzio, se dice ‘contribuenti’!), se nel frattempo, visto che siamo passati alla dracma in Italia o alla lira in Grecia, o era il contrario, non ricordo, comunque... in nessuno di questi due paesi nessuno guadagna più in euro, e quindi nessuno può essere tassato in euro?
 
Certo che se il vero prof. Boldrin spiegasse le cose come quello finto, il tasso di suicidi alla Washington University at St. Louis si impennerebbe...
 
Se il governo vuole continuare a spendere non avendo più accesso a finanziamenti in euro, dovrà farlo con finanziamenti in dracma.
 
Eccoci! Il colpevole è la spesa pubblica: un’affermazione da vero gianninizzero che aggiunge un tocco di realismo al video. Ma scusa, finto Boldrin, se c’è stata ridenominazione, all’interno dell’Italia, cioè della Grecia, circola la dracma. Quindi, perché mai il governo dovrebbe spendere in euro? Spenderà dracme. E allora qual è il problema se non accede a finanziamenti in euro? Bo’... Ma più si va avanti, peggio è...
 
La tentazione quindi qual è? Di stampare carta moneta a seconda della necessità, perché questo lo puoi fare: dracme, o lire. Cosa implica tutto questo? Che dietro a questa stampa di euro, scusate, di dracme o di lire da parte della bc greca o italiana non esiste un produzione non esiste una produzione di beni e servizi che la sostenga... Quindi quello che vedremmo è una crescita molto forte della offerta di questi pezzi di carta, dracme o lire, a fronte di una crescita non parallela di beni e servizi prodotti in quel paese. Questo è la classica situazione in cui si crea un’inflazione interna e quindi una svalutazione sul mercato internazionale di questo titolo.
 
Eccolo là! Ci siamo... Sembra incredibile, ma siamo ancora alla storia che la moneta causa i prezzi, che i prezzi sono il rapporto fra moneta stampata e produzione reale. Sì, insomma, il famoso sogno del fruttarolo, ricordate? L’endogenità della moneta, così chiara agli economisti del XIX secolo (ce l’ha ricordato istwine), l’idea che la dinamica dei prezzi sia influenzata soprattutto dalle dinamiche del mercato del lavoro, insomma, tutte le acquisizioni della macroeconomia dell’ultimo paio di secoli spazzate via da una teoria che fa ridere i polli e che non ha alcun riscontro nella realtà. Non ci credete? Bene, ve lo rifaccio vedere. Guardate la crescita del prodotto, della moneta (M3) e dei prezzi nell’eurozona:
 

(fonte: Eurostat per il prodotto, Bce per la moneta (M3), FMI per i prezzi)
 
Lo vedete, no, che le cose non stanno come dice il nostro guitto (ripeto, nel visibile e deprecabile intento di diffamare un noto studioso che il mondo ci invidia)?
 
Esempio: dal 2000 al 2002 il tasso di crescita del prodotto (linea verde) è sceso, ma l’inflazione (variazione dei prezzi, linea rossa) è rimasta costante. Bene. Se la Boldrinomics avesse un qualche riscontro empirico, ci aspetteremmo che per mantenere costante la crescita dei prezzi, il tasso di crescita della moneta sia parallelamente calato. Invece no, al contrario! Ha fatto un bel balzo verso l’alto, superando il 10% su base annua (dati trimestrali, come vedete), con zero impatto visibile sull’inflazione.
 
Viceversa fra 2003 e 2004, quando il tasso di crescita del prodotto aumenta, succede che il tasso di crescita della moneta diminuisca. Vi aspettereste un calo dell’inflazione, o addirittura una deflazione (inflazione negativa), giusto? Invece no, la Boldrinomics toppa di nuovo, clamorosamente: il tasso di inflazione sta lì fermo, granitico. Perché? Perché ci sono più cose fra la moneta e i prezzi che nella tua filosofia, caro finto Boldrin (una filosofia piuttosto disadorna, par di capire).
 
E da qui in avanti, siccome tutta la discussione circa i disastri che l’uscita cagionerebbe si appoggia all’idea che essa avrebbe conseguenze inflazionistiche, be’, forse possiamo anche risparmiarci di andare avanti,  no?
Però, dai, un po’ di curiosità... Vediamo cosa si inventa il perfido diffamatore...


La piccola bottega degli orrori, parte settima: la storia economica

Segue una dettagliata e sostanzialmente corretta spiegazione di come le aspettative di svalutazione possano influire sullo spread, condotta con riferimento al 1992.
 
Tutto giusto e tutto vero: avevamo uno spread rispetto ai titoli tedeschi che dipendeva dalle aspettative di svalutazione della lira, a sua volta determinate dal differenziale di inflazione con la Germania. Una situazione che abbiamo descritto per filo e per segno parlando dei terroristi dell’informazione e delle loro menzogne sulla crisi del 1992. Ricordando quegli eventi, però, abbiamo anche chiarito che dopo lo sganciamento il tasso di interesse dell’Italia scese. E, guarda caso, gli studi sull’uscita dall’Eurozona ci confermano che anche nel caso attuale sarebbe probabile, dopo lo sganciamento, una discesa dei tassi di interesse proprio in paesi come la Grecia e l’Italia.
 
Questo lo sanno tutti, ed è anche piuttosto ovvio. Lo spread è il pagamento per il rischio che si verifichi un certo evento (la svalutazione). Una volta che l’evento si è verificato, e che il paese (l’Italia, in particolare) si rimettesse a crescere e a generare ricchezza, i mercati non ci percepirebbero più come particolarmente rischiosi, perché saprebbero che saremmo in condizioni di mantenere le promesse che fatte nella nostra nuova valuta (vedi sopra i fondamentali, peggiorati con l’euro, ma tuttora solidi).
 
Bene.
 
Cosa dice invece il guitto?
 
Ci dice che recuperando la “capacità di stampare carta moneta a piacere”, il governo segnalerebbe la propria incapacità di sovvenire ai pagamenti presenti e futuri (17:30), e quindi “i tassi di interesse passeranno dal 4% all’8%” a seconda delle aspettative dei mercati.
 
“È qui il dramma”, dice l’attore. E non si può che concordare con lui. È, anzi, sarebbe drammatico, se un docente di economia tracciasse scenari così al di fuori di qualsiasi logica economica e esperienza storica.
 

Conclusione

Spero apprezzerete la mia lealtà. Attirando l’attenzione del vero prof. Boldrin su questo cialtronesco e sleale falso, gli permetto di sconfessarlo e di dimostrare il fatto di aver seguito, da qualche parte, in stato non alterato, un ECON101 di mediocre livello, sufficiente per confutare le lievi imprecisioni del video. Dissociandosi dalle bestialità defecate in questo video dal suo sosia, il prof. Boldrin difenderà la propria credibilità, e consentirà al dibattito sull’euro di svolgersi su un piano di maggiore serietà.
O anche no. Perché da discutere, cari euristi, c’è poco. Il vostro generoso supporto ai vari Quisling sparsi per l’Europa è ammirevole, ma sarà necessariamente effimero, perché la parola “fine” sta per apparire sullo schermo del sogno europeo. Fatevene una ragione, e invece di delirare e disinformare, dateci una mano a ricostruire questo paese.
 
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Cosa?

 
Come?

Noooo!

Non ci posso credere... Ma voi mi dite che NON è un attore? No dai, state scherzando? E adesso me lo dite? Ora che ho scritto tutte questa pagine per confutare le asserzioni strampalate e dilettantesche messe in fila nel video? Ma dai, no, siate seri, per favore. Dai, Boldrin lavora alla Washington University at St. Louis, che è fra le prime trenta al mondo, Boldrin, che ha più di cento pubblicazioni scientifiche internazionali repertoriate su EconLit... No, non è lui, non voglio crederlo. Preferisco pensare che siano falsi tutti i dati che ho raccolto e esposto in questo post, preferisco pensare che una orrenda congiura porti De Grauwe, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Centrale Europea e l’Eurostat a mentire e diffondere dati falsi, preferisco credere ai rettiliani, piuttosto che dover ammettere che un collega così prestigioso vada così ottusamente contro l’evidenza empirica, contro la semplice e incontrovertibile realtà dei fatti.

Io son fatto così, ho fatto l’ufficiale, ho spirito di corpo: un vero economista non si arrende mai, nemmeno di fronte all’evidenza. Ma come? Insistete? È lui? Ma siete sicuri? Sicuri sicuri? Sicuri sicuri sicuri?
 
Oh Gesù mio...

E ora come si fa?
 
Chi riconcilia queste evidenze così disparate?
 
Un professore che ce l’ha tanto lungo (il curriculum), com’è mai possibile dica tante lievi imprecisioni.
 
Son confuso...
 
Ma...
 
Forse una mano a risolvere questo mistero ce la può dare proprio l’illustre collega dal quale siamo partiti, il prof. Manasse. Perché vedete, pensandoci bene, il prof. Manasse è stato spiacevole nel suo voler distribuire pagelle (come altri prima di lui, del resto), e si sarebbe potuto risparmiare, per motivi che gli verranno chiariti nelle sedi opportune, l’allusione vagamente diffamatoria all’università nella quale insegno, ma al di là delle forme particolarmente infelici, che ci hanno deluso tutti, bisogna dire che nel merito tutti i torti non ce li ha.

Il suo unico torto è quello di tutti i “veri” economisti: quello di trarre le conclusioni sbagliate dalle premesse giuste.

Le premesse giuste quali sono? Sono quelle che lui espone: quando si affronta un problema, ci si dovrebbe rivolgere a uno specialista di quel problema. La conclusione sbagliata qual è? Che il prof. Boldrin sia uno specialista dei problemi di una unione monetaria fasulla. Non è così. Il prof. Boldrin è uno specialista di problemi fasulli, nel senso che nulla hanno a che vedere con i problemi che sono in testa alla nostra lista di priorità, i problemi dell’Eurozona, come mi accingo a dimostrarvi.
 

Che cos’è un economista?

Perché, mi preme (e mi duole) tornare a precisarlo: a differenza di tanti altri soggetti che circolano per l’Italia, il prof. Boldrin è un economista. Dicesi economista uno studioso con una comprovata attività di ricerca a livello internazionale, e di insegnamento accademico, nell’ambito dell’economia politica o della politica economica.

Gli elementi di questa definizione sono tre, e il prof. Boldrin, è innegabile, li possiede tutti e tre, e al più alto grado. Mi riferisco, va da sé, al vero prof. Boldrin.

Primo: l’ambito della ricerca, che deve essere appunto quello dell’economia politica o della politica economica o delle materie affini. In Italia gli ambiti di ricerca sono definiti dalla declaratoria dei settori scientifico-disciplinari che è regolamentata dal MUR. Vi apprendiamo che:
 
·         l’economia politica (settore SECS-P/01) “raggruppa le discipline aventi per oggetto quello di spiegare teoricamente i fenomeni economici a livello micro-economico e macro-economico, ricorrendo sia a metodi induttivi che deduttivi, sia statici che dinamici. Tali discipline devono servire come fondamento analitico per le indagini applicate e per gli interventi nel campo della politica economica e dell’economia pubblica. Principali campi di indagine sono la teoria del consumatore, dell’impresa, dei mercati e dell’equilibrio generale; l’analisi macro-economica dei mercati reali, monetari e finanziari; la teoria dell’economia internazionale sia reale che monetaria; la teoria della crescita e dei cicli economici.”
·         la politica economica (settore SECS-P/02) “raggruppa le discipline economiche aventi per oggetto gli obiettivi, gli strumenti ed i modi di intervento dello Stato, delle Banche Centrali nonché di altre Autorità indipendenti, sia nazionali che sovranazionali. I principali campi di indagine sono costituiti dallo studio, anche comparato, delle politiche monetarie e di bilancio; delle politiche di programmazione degli aggregati macro-economici, dei redditi, del mercato del lavoro, delle attività educative e culturali; delle politiche internazionali e del loro coordinamento; delle funzioni e del ruolo delle istituzioni economiche”.
 
Vi apprendiamo anche che i settori disciplinari dal SECS-P/03 (Scienza delle finanze) al SECS-P/06 (Economia applicata) sono in vari modi affini con l’economia politica a la politica economica. Non lo sono invece i settori dal P/07 (Economia d’azienda) in poi:
 
·         “le competenze di economia aziendale comprendono teoria dell'azienda e degli aggregati di aziende, strategie e politiche aziendali, analisi e progettazione delle strutture e dei processi aziendali, etica aziendale e bilancio sociale, comparazioni internazionali e dottrinali, valutazioni, revisione e consulenza aziendale. Le competenze ragioneristiche sono rivolte alle determinazioni quantitative, valutazione, analisi e utilizzo di dati nei processi decisionali e di controllo, comprendono contabilità e bilancio (ivi incluse revisione contabile e analisi finanziaria di bilancio), contabilità per la direzione (analisi dei costi, programmazione e controllo), storia della ragioneria.”
 
Questo chiarisce perché negli ultimi tempi abbiamo sentito diversi economisti d’azienda profferire svarioni abominevoli sui temi riferiti a “la teoria dell’economia internazionale sia reale che monetaria” o a “le politiche internazionali e del loro coordinamento”, o ancora a “le funzioni e il ruolo delle istituzioni economiche”. Il motivo è semplice. Di queste cose, loro, poverini, non ne sanno e non ne devono sapere nulla, non più di quanto un violinista debba saper suonare il clarinetto. Semplicemente, sono due ambiti diversi: loro, con l’economia, non c’entrano nulla.

Gli economisti avranno anche tante colpe. Chi non ne ha? Si iniquitates observaveris, Domine, quis sustinebit? E siccome io (sì, mi dispiace, devo dirlo, io: il più lurido dei pronomi), sono europeo, e l’Europa la vivo, a differenza dei cialtroni che l’Europa la sognano, permettetemi di dirvelo anche in francese e, soprattutto, in tedesco: So du willst, Herr, Sünde zurechnen, Herr, wer wird bestehen? Ripeto, gli economisti avranno i loro difetti. Ma non meritano di sopportare il discredito arrecato alla loro categoria dalle strampalate affermazioni di chi, per motivi incomprensibili, invade il loro campo.

Secondo: l’esperienza didattica, che, come ho ricordato, ha portato il prof. Boldrin a insegnare in una fra le più prestigiose facoltà americane. Guardate, che non è un dato banale. Perché insegnando si impara, si impara a capire e a farsi capire (con alcune ovvie eccezioni).

Terzo: la produzione scientifica, ampia e indubbiamente riferibile al settore P/01. Una rapida consultazione di EconLit ci informa che il professore ha 109 pubblicazioni internazionali, di cui 40 articoli su riviste, su questi argomenti:
·         Intellectual Property Rights,
·         One, Two, and Multisector Growth Models
·         Innovation and Invention: Processes and Incentives
·         Social Security and Public Pensions
·         Monopoly; Monopolization Strategies
·         Business Fluctuations; Cycles
·         Property Law
·         Asset Pricing; Trading volume; Bond Interest Rates
·         Market Structure and Pricing: Monopoly
·         Educational Finance

Tutta roba molto interessante (ovviamente, per il prof. Boldrin). Certo, con l’attuale crisi, come vi avevo anticipato, questa roba non c’entra molto, ma ha comunque più relazione con l’economia at large di quanta non possa averne la “teoria dell’azienda” (declaratoria del P/07).

Forse voi vi chiederete perché in questo blog non ho mai parlato di Boldrin, visto che è un economista, mentre ho parlato spesso di De Grauwe. Ma è semplice: perché una rapida consultazione di EconLit ci informa che De Grauwe ha 201 pubblicazioni internazionali, di cui 96 articoli su riviste, su questi argomenti:
·         Financial Aspects of Economic Integration
·         Foreign Exchange
·         International Monetary Arrangements and Institutions
·         Monetary Policy
·         Price Level; Inflation; Deflation
·         International Policy Coordination and Transmission
·         Exchange Rates and Markets--Theory and Studies
·         International Financial Markets
·         Central Banks and Their Policies
·         International Lending and Debt Problems

Chiaro, no?

Non ne faccio un problema di quantità (anche se De Grauwe ha il doppio di pubblicazioni), ma di qualità.

Secondo voi, con la crisi dell’euro, hanno più relazioni gli “aspetti finanziari dell’integrazione economica” (studiati da De Grauwe) o la “teoria dei diritti di proprietà intellettuale” (studiata da Boldrin)? Hanno più relazioni i “problemi di debito estero” (studiati da De Grauwe) o la “teoria del monopolio” (studiata da Boldrin)? Hanno più relazione i problemi di “coordinamento internazionale delle politiche” (De Grauwe) o i “modelli di crescita multisettoriali” (studiati da Boldrin)? Hanno più relazione le “Banche centrali e le loro politiche” (studiate da De Grauwe) o la “Finanza educativa” (studiata da Boldrin)? Andate avanti voi, che a me viene da ridere.

E veniamo, per completezza, a me.

Va da sé che io sono solo un nano sulle spalle di giganti. Lo ammetto senza alcuna difficoltà. La mia produzione EconLit comprende 14 pubblicazioni di cui 12 articoli su riviste, su questi temi:
·         current account adjustment; short-term capital movements
·         international linkages to development; role of international organizations
·         financial aspects of economic integration
·         international monetary arrangements and institutions
·         national deficit; surplus
·         socialist institutions and their transitions: international trade, finance, investment, and aid

Diciamo che gli argomenti somigliano a quello che ci interessa oggi, non trovate? Forse la lunghezza, in economia, non è tutto.

Comunque, quando, da nano, devo scegliere su quale gigante arrampicarmi, scelgo ovviamente De Grauwe, che si occupa delle cose delle quali indegnamente mi occupo io, e che purtroppo sono quelle che ci preoccupano oggi (l’aggiustamento dei conti esteri, il deficit pubblico, gli aspetti finanziari dell’integrazione economica, il ruolo delle istituzioni internazionali). Le cose delle quali si occupa il vero prof. Boldrin non si sa bene a chi possano interessare se non a lui e ai referee di qualche prestigiosissima rivista, e sono comunque inutili ai fini della soluzione dei nostri problemi più impellenti.

Mi direte: ma De Grauwe è alto il doppio, fai il doppio della fatica a salirgli sulle spalle? Vi dirò: sì, naturalmente, però non mi annoio sulla strada, perché nella sua produzione trovo cose interessanti e sensate, e poi quando sono in cima vedo più lontano e trovo meno forfora.

Mi direte: ma Manasse queste cose non le sa? Non sa che Boldrin è uno che praticamente non ha titolo per esprimersi su questioni di economia internazionale monetaria, come il video (che pareva fosse calunnioso, da quanto era strampalato), dimostra a sufficienza. Vi dirò: chiedetelo a lui, è lui quello che ha tirato fuori il discorso degli specialisti. Dite che non vi ha risposto? Be’, non ci fate caso, è un po’ timido, e non è abituato ad avere così tante visite sul suo blog. Un’abitudine che, secondo me, non dovreste dargli.

Glielo chiederò eventualmente con più calma io nelle sedi opportune.

Ma intanto, oggi, diffondete la Boldrinomics. È utile sapere chi ci sta aiutando a fermare il declino del nostro paese. C’è da ridere o da preoccuparsi. Direi più da ridere, perché le elezioni non saranno propizie a questa gente. Ma il semplice fatto che ce li troviamo sempre davanti, nonostante la loro scarsa competenza specifica, provata dalle loro affermazioni e documentata dalla loro produzione scientifica, in effetti potrebbe anche essere visto come preoccupante...
 
 
 
(Cittadino Manasse, se e quando verrà per te, come per me, il momento dell’oncologo, fammi una telefonata, perché mi sembra che con gli specialisti ti orienti male. In fondo, a me stavi simpatico finché ti leggevo sulla letteratura internazionale, perché lì dicevi la verità. E a me piace ricordarti così. Che il Signore ti abbia, il più tardi possibile, nella sua santa e degna guardia.)
 
(Nota metodologica: a partire da oggi inserirò la definizione della fonte in tutti i grafici che pubblico. Oggi ci volevo perdere poco tempo, l’ho fatto in modo rudimentale, poi lo farò con una filigrana, in modo che chi vuole appropriarsi del mio lavoro debba almeno perderci un po’ di tempo. Vi chiarisco un concetto, che voi che non siete di campagna capirete subito. Io sto facendo opera di divulgazione, e quindi sono contento se le informazioni corrette che vi fornisco circolano, e sono tanto più contento quanto più circolano. Ma per fare questa opera di divulgazione ho sacrificato affetti, soldi e carriera. Lo ho fatto perché dovevo farlo, perché non avrei potuto fare altrimenti, perché questo è il mio paese. Non voglio quindi alcun ringraziamento, ma desidero che lo sforzo fatto – quei grafici, ad esempio, non li ho trovati in terra – mi venga riconosciuto sistematicamente, tanto più che: (1) non avete certo imparato da me a non citare le fonti; (2) ho reso disponibili i contenuti di questo sito con licenza Creative Commons, secondo i termini specificati, e questa licenza prevede che la fonte venga citata. Aggiungo che se siete qui i casi sono due: o siete dei troll, o credete a questo progetto. Se credete a questo progetto, allora vi conviene rafforzarlo, perché l’unica seria garanzia che abbiamo di non veder spenta questa voce di verità in un mare di menzogna è concentrare i nostri sforzi affinché essa diventi il più visibile possibile, rendendo difficile ai nostri “amici” di farci brutti scherzi senza fare anche una brutta figura. Spero mi abbiate capito. Nel caso non abbiate capito, non preoccupatevi: chi capisce è dentro, chi non capisce è fuori. Ricordatevi che per mandarvi al diavolo basta un clic. Per reinserirvi in agenda devo perdere cinque minuti, e non credo che da qui all’uscita dell’euro li avrò. Quindi, nei vostri rapporti con me e con il mio progetto, pensateci bene prima, perché dopo è tardi. Siamo in trincea. Ma io più di voi. Questi brillanti (nel loro campo) colleghi sono sodali delle persone che devono giudicare la mia ricerca e dalle quali dipende la mia carriera, sia ben chiaro. Sia anche ben chiaro che me ne frego. Ci sono persone che hanno fatto sacrifici più grandi per dire una parola di verità. Ma non arrendiamoci senza combattere, e combattiamo nel modo giusto!)

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