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Fiori e cannoni: la doppia (e oscura) transizione dell’UE

di Nicola Dimitri

23247.jpgFiori

Le ricadute socio-ambientali direttamente o indirettamente correlate al cambiamento climatico, riferiscono a fenomeni articolati e complessi (tra loro collegati), idonei a innescare con un effetto a catena centinaia di ulteriori ripercussioni nefaste. Questo è particolarmente vero, ad esempio, se si pensa allo scioglimento delle calotte polari e all’erosione del permafrost (con il rischio di riattivazione di virus o agenti patogeni sconosciuti e potenzialmente letali); all’innalzamento del livello dei mari; alla frammentazione della biodiversità; all’alterazione del ciclo idrologico (con siccità diffusa e precipitazioni più rare quanto severe); all’incremento della mortalità legata all’inquinamento; al consolidamento di fenomeni migratori forzati dovuti a catastrofi naturali (con contestuale approfondimento delle disuguaglianze); allo scoppio sempre più frequente delle c.d. guerre climatiche per la gestione di risorse naturali sempre più scarse…e così via.

Tuttavia, di fronte a tali (drammatici e per certi versi inediti) scenari, l’Unione europea non è rimasta inerte. Al contrario. Le Istituzioni europee e con queste gli Stati membri hanno intensificato i loro sforzi economici e politici al fine di contrastare, o tuttalpiù ritardare, gli effetti avversi del climate change e promuovere la transizione green.

Ad esempio, tra le altre cose, a partire dal 2019 l’obiettivo di costruire un’“Europa verde e a impatto zero” ha trovato ingresso nell’agenda del Consiglio europeo, primeggiando tra le priorità strategiche dei leader dei Paesi membri.

Dal 2021, inoltre, al fine di dare abbrivio alla “rivoluzione verde” e tracciare la rotta per rendere l’UE il primo continente a impatto climatico zero, l’Unione ha implementato la normativa europea sul clima (Reg. 2021/1119), traducendo in atti vincolanti le strategie che devono essere osservate dagli Stati in attuazione del c.d. Green Deal europeo.

L’obiettivo intermedio consisterebbe, come noto, nel ridurre entro il 2030 di almeno il 55% (rispetto ai livelli del 1990) le emissioni nette di gas serra. L’ambizioso punto di arrivo, invece, coinciderebbe col rendere entro il 2050 l’UE climaticamente neutra (1).

A tal proposito, il budget che l’Unione intende mobilitare (e in parte ha già destinato) per centrare questi obiettivi è senz’altro rilevante. Per il periodo 2021-2027, l’UE ha stanziato 578 miliardi di euro, pari a 32,6% della dotazione di bilancio, per promuovere azioni e programmi (direttamente o indirettamente) legati al contrasto del cambiamento climatico (2). Ma non è tutto: l’UE e i Paesi membri, solo nel 2022, hanno mobilitato 28,5 miliardi di euro da fonti pubbliche e altri 11,9 miliardi in finanziamenti privati per sostenere sul piano internazionale la lotta contro i cambiamenti climatici.

Si tratta di cifre senz’altro imponenti, che mettono in risalto, per un verso, l’impegno concreto e inedito che l’UE sta rivolgendo su questo fronte – fino a qualche anno fa sottovalutato -, per un altro (con buona pace dei “negazionisti climatici”), rivelano la drammaticità degli scenari che si profilano all’orizzonte.

In via di prima conclusione, pertanto, può senz’altro dirsi che l’UE e i Paesi membri (più di quanto non sia mai stato fatto in precedenza) hanno imboccato la strada della sostenibilità e della transizione energetica.

Tuttavia, non deve sin da ora sfuggire la circostanza che l’UE, capofila tra gli attori coinvolti nella Rivoluzione green, è la stessa che oggi spinge l’acceleratore sulla militarizzazione, perciò finanziando un altro genere di ‘transizione’ (quella bellica) che, tra i tanti aspetti negativi, certamente si pone sul fronte opposto a quello della sostenibilità ambientale.

Quale direzione sta prendendo, dunque, l’Unione? Come si metterà in evidenza più appresso, occorre valutare se, e fino a che punto, la ‘gassosa biosfera neoliberale’(3) in cui è da tempo immersa l’UE sia riuscita a contaminare anche i migliori propositi, disattivando quelle politiche che, almeno sulla carta, sembravano tracciare nuovi orizzonti di speranza e sostenibilità.

Cannoni

In aggiunta alle conseguenze negative legate al cambiamento climatico, l’Unione europea sta tentando di fare i conti con le avversità – peraltro non del tutto scisse dal tema del climate change (4) – che discendono dai conflitti in corso. Questo risulta particolarmente evidente, non senza paradossi etici e contrasti politici, con riferimento al conflitto Russo-ucraino e quello Israelo-palestinese (con un occhio puntato alla più ampia crisi che si va allargando in tutto il Medio-oriente, dal Libano all’Iran, fino allo Yemen). Anche in questo caso, tratteggiare un elenco delle possibili conseguenze collegate ad una escalation dei suddetti conflitti è mero esercizio di pensiero illusorio: si tratta di fenomeni complessi che involgono, anche contraddittoriamente, più piani di interesse e, come tali, aprono le porte a innumerevoli scenari catastrofici.

Venendo alla guerra di aggressione della Russia nelle regioni del Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson, si è potuto subito constatare che l’Unione non ha perso tempo per sostenere la causa ucraina. Per un verso, a partire dal 2022 l’UE ha adottato strategie – tuttora in corso – volte a indebolire l’economia del Cremlino (si pensi ai numerosi round di sanzioni economico-commerciali verso la Russia), per un altro, e in misura rilevante, si è impegnata a supportare il tessuto sociale, l’economia e le truppe militari al fronte. Con riguardo a quest’ultimissimo punto, degli oltre 138 miliardi di euro messi a disposizione dall’UE al governo Zelensky, si stima che almeno 28 miliardi di euro siano stati interamente destinati per rinforzarne la capacità militare. Più in particolare, la Decisione 2021/509 del Consiglio, che implementa lo “Strumento europeo per la pace” (denominazione, questa, quanto mai equivoca), ha consentito all’UE, tra il 2022 e il 2024, di mobilitare a favore dell’Ucraina l’equivalente di 6 miliardi di euro in armi e munizioni. Sono stati inoltre stanziati 362 milioni di euro per promuovere l’addestramento attivo di oltre 40 mila soldati ucraini.

Il supporto europeo garantito all’Ucraina è pertanto evidente nonché economicamente consistente, soprattutto sul fronte delle forniture militari e strumenti di difesa.

Venendo invece alle atrocità che si stanno compiendo a Gaza, come è noto, la posizione dell’UE ha seguito altre strategie, meno lineari e per molti aspetti ambigue. Da un lato, l’Unione si è affrettata a esprimere sostegno a Israele, riconoscendo il suo diritto all’autodifesa secondo il diritto internazionale e dunque legittimando la risposta armata inaugurata a partire dall’attentato di Hamas del 7 ottobre. Dall’altro lato, si è schierata dalla parte dei civili palestinesi: vittime innocenti di quel diritto all’autodifesa di Israele pure riconosciuto e legittimato dalla stessa UE (con tutta la paradossalità del caso), e al contempo capri espiatori di una guerra che Netanyahu starebbe (asseritamente) muovendo con il fine di estirpare alla radice Hamas.

A veder bene, si potrebbe dire che la posizione dell’UE rispetto ai tragici eventi di Gaza segue almeno tre diverse (ora divergenti, ora intrecciate) direzioni: l’assistenza umanitaria offerta alle ONG che soccorrono i civili palestinesi (stanziata in 125 milioni di euro per il 2024) e all’UNRWA (50 milioni di euro), si inscrive in un più ampio quadro di sostegno politico manifestato a Israele, che a sua volta si accompagna a tiepidi sforzi diplomatici per ottenere il cessate il fuoco.

E invero, la tradizionale (certamente non episodica) controversa posizione ricoperta dall’UE in relazione alla crisi in Medio-oriente, e l’evidente esiguità delle somme da ultimo mobilitate dall’UE a titolo di aiuti umanitari in Palestina (in confronto a quelle di recente destinate per armare le truppe ucraine(5), non è l’unica circostanza degna di nota che balza all’occhio. Ciò che colpisce (tra le altre cose) è la strategia di lungo periodo che l’UE sta scegliendo di perseguire dal punto di vista interno.

Alla luce delle turbolenze geopolitiche in corso su scala mondiale (che sembrano intensificarsi), e in vista del coinvolgimento (più o meno diretto) della stessa Unione nei summenzionati conflitti, l’UE ha deciso di investire sull’industria della difesa e, in particolare, sul settore degli armamenti.

Come ha dichiarato la Presidente von der Leyen: rafforzare la produzione militare e l’approvvigionamento degli eserciti è divenuta una priorità inderogabile per l’Unione.

Occorre “spendere di più” e “spendere meglio”, così da “consolidare la nostra base industriale della difesa”(6). In questo senso, non stupisce osservare che a partire dallo scoppio del conflitto in Ucraina nel 2022, e poi con la tragedia in corso a Gaza, l’UE e i Paesi membri hanno dato avvio ad una mobilitazione economica senza precedenti nel settore dell’industria bellica: dai 240 miliardi di euro complessivamente spesi nel 2022(7) (cifra di per sé enorme rispetto agli anni precedenti), si è passati ad una spesa pari a 280 miliardi nel 2023, stimata in aumento – fino a 350 miliardi – per il 2024(8).

Ciò considerato, in via di seconda conclusione, se ne ricava che l’impegno economico dell’UE nel settore della sicurezza e dell’industria bellica è smisurato: i programmi e le cifre messe in campo per rifornire gli armamenti mettono in evidenza tanto la drammaticità degli scenari che si stagliano all’orizzonte, quanto il fatto che, oltre alla strada della “sostenibilità”, l’UE ha imboccato la via della militarizzazione.

Verso una militarizzazione “green”?

Sovvenzionare la transizione verde e al contempo finanziare il riarmo. Stare dalla parte della sostenibilità, dell’ecologia, del bene comune, dell’etica dell’ambiente(9), e allo stesso tempo foraggiare il settore bellico, promuovendo una campagna acquisti di armi e munizioni senza precedenti. Supportare la – forse – utopistica idea che un progresso a “impatto zero” sia possibile, facendo i conti con i danni discendenti da una visione antropocentrica del mondo e, al tempo stesso, allontanare l’utopia di un mondo migliore, fare esercizio di realismo politico e rientrare nelle stanze della guerra (che spesso prende il nome di “sicurezza”). Dove va questa Unione? Quale direzione sta prendendo?

“…Tu parlavi difficile, come fa l’Europa quando piove”, cantava Paolo Conte in un famoso brano. Quante contraddizioni, quanti paradossi e quanti compromessi di continuo (sin da principio) attraversano l’UE, soprattutto quando “piove”; quando la tensione è alta, quando le crisi e le sfide sono molteplici e tra loro intrecciate, quando persino “parlare”, comprendersi, essere coerenti, diventa attività complessa.

È possibile guidare la rivoluzione verde e al tempo stesso promuovere la militarizzazione? Fino a che punto questi due obiettivi (evidentemente collocati su versanti opposti – il primo a beneficio dell’essere umano, il secondo a nocumento della vita) possono coesistere?

In un importante volume, il sociologo tedesco Hauke Brunkhorst parlava di Europa dal doppio volto(10), sottolineando che le ambiguità nell’UE sono sistemiche, funzionali inalienabili. Pertanto, in un certo senso, la presenza di contrasti (spesso irriducibili) non deve sorprendere: l’UE a trazione neoliberale, l’Europa tecnocratica e dell’egemonia finanziaria coincide con l’Europa della solidarietà. L’Europa della cronica crisi dei migranti corrisponde all’Europa delle politiche di accoglienza e dei diritti umani…e così via.

Tuttavia, il fatto che “produrre” contraddizioni sia una tendenza geneticamente inscritta nel patrimonio culturale dell’Europa e nell’architettura politico-istituzionale dell’Unione, non deve esimere dal metterne in evidenza i pericoli e, in certi casi, le ipocrisie.

Quanto a quest’ultimo aspetto, tra le decine di argomenti che si potrebbero sollevare per contestare la campagna acquisti avviata dall’UE nel settore delle armi, basterebbe notare (al fine di mettere in evidenza l’inconciliabilità tra la politica green e la politica della sicurezza) che il comparto dell’industria bellica, tra le altre cose, rientra tra i settori ad oggi maggiormente inquinanti.

Secondo un recente studio, le emissioni prodotte nei primi due mesi del conflitto a Gaza dalle forze armate coinvolte nelle diverse operazioni militari, sarebbero maggiori delle emissioni prodotte in un solo anno da 20 Stati(11). Inoltre, si stima che nell’arco di un anno il solo comparto militare dell’UE produrrebbe emissioni pari a quelle di almeno 14 milioni di automobili(12).

Perché l’Europa così interessata alla transizione verde non persegue coerentemente questo obiettivo, promuovendo con le ingenti somme stanziate per le armi la giustizia globale, il disarmo, la risoluzione pacifica dei conflitti?

In realtà, l’UE già riconosce ampiamente il nesso tra cambiamenti climatici e settore della difesa. Tuttavia, sembra che la questione venga affrontata non tanto a partire dalle strategie volte a diminuire, per quanto possibile, il ricorso alle operazioni militari, quanto a rendere “climate-proof” gli armamenti, le infrastrutture e il comparto bellico(13).

Parafrasando una celebre frase di Wittengestin (resa in altri contesti), si potrebbe dire che finanziare con questi volumi economici l’industria bellica e promuovere la transizione green (con obiettivi così ambiziosi) equivale a segare il ramo su cui si è seduti(14).

“Come vaccini”: l’inedita forza immunizzante delle armi

In un momento storico come quello attuale, in cui i processi di globalizzazione sembrano andare incontro ad una fase di riscrittura (idonea ad incidere sul ruolo dell’UE nello scacchiere globale), e in cui gli equilibri politici tra Paesi extra-europei appaiono sottoposti a un profondo processo di ricombinazione, è senz’altro ragionevole che l’interesse a tutelare l’ambiente si scontri con l’esigenza di irrobustire le proprie capacità di difesa. Accade perciò che affianco all’impegno politico teso a decarbonizzare l’UE si associ l’interesse a rifornire gli arsenali.

Del resto, la guerra, come ha dichiarato la Presidente von der Leyen all’Europarlamento, benché non imminente, “non è impossibile”(15). Motivo per cui la Commissione europea oltre a sovrintendere la strategia del Green Deal europeo, è ad oggi impegnata nella strutturazione di un inedito programma di difesa comune, che prende il nome di EDIS (European Defence Industrial Strategy). Programma che, come ha annunciato ancora von der Leyen, ricalcherebbe la strategia di approvvigionamento comune del gas naturale e prima ancora dei vaccini, avviata dall’UE nel corso della pandemia(16).

E invero, non solo l’accostamento tra il programma per l’acquisto di vaccini e quello in fieri per l’acquisto di armi si risolve in una analogia che – per quanto efficace sul piano comunicativo – certamente stride su quello simbolico, ma (inoltre) detto accostamento risulta in un certo senso demagogico. Sostenere che la campagna acquisti di vaccini coinciderebbe con quella delle armi mette in evidenza la volontà di indurre i destinatari del messaggio (i cittadini europei) a ritenere simili concetti, prospettive, conseguenze, invece, del tutto antitetiche. La capacità immunizzante dei vaccini suscita la prospettiva di una soluzione a un problema che sembra (sembrava) insormontabile; la capacità distruttiva delle armi (anche quando l’acquisto di armamenti ha finalità di difesa e sicurezza) apre invece le porte a scenari e ad esiti che, a prescindere dalle soluzioni, sono in ogni caso atroci.

A proposito di soluzioni: è poi vero che un’Europa più militarizzata potrebbe risolvere gli attuali conflitti? Che ne è delle altre priorità che l’UE dovrebbe invece perseguire con maggiore convinzione, per risolvere le innumerevoli crisi che da tempo immemore investono il “progetto europeo”?

La differenza, allora, si individua anche nel fatto che la militarizzazione è, tra le altre cose, un (grande) affare economico, mentre la prospettiva di sostenere (con la medesima forza economica impiegata per l’acquisto congiunto di armi) i welfare nazionali, l’occupazione, la sanità, e integrare l’Europa su altri fronti (primo fra tutti una solidarietà fiscale) probabilmente non lo è fino in fondo(17).

In un presente tragicamente costellato da minacce, la strada della doppia transizione (green e militare) che l’UE ha scelto di intraprendere rende la prospettiva di un orizzonte migliore una fragile alternativa: non solo la militarizzazione sembrerebbe contraddire, in via di fatto, gli sforzi che si stanno compiendo per tutelare l’ambiente, ma la corsa agli armamenti, e i volumi economici che li rendono possibili, suggeriscono che oltre ai virus dormienti, liberati dal permafrost che irrimediabilmente va sciogliendosi, si stiano risvegliano o riattivando altri “virus”, non meno letali, che hanno a che vedere con gli inestirpabili “impulsi primitivi selvaggi e malvagi dell’umanità”(18).

Note

  1. Si tenga, inoltre, in considerazione la recente “Legge sul ripristino della natura”, adottata dal Parlamento europeo per ripristinare entro il 2050 gli ambienti degradati.
  2. Si rimanda a Supporting climate action through the EU budget, consulabile al link: https://climate.ec.europa.eu/eu-action/eu-funding-climate-action/supporting-climate-action-through-eu-budget_en
  3. Si deve l’espressione a G. Preterossi, Ciò che resta della democrazia, Laterza, 2015
  4. La letteratura sul punto è vasta. Si rinvia per tutti, per una visione generale e aggiornata, alla scheda Treccani consultabile online dedicata alla questione: https://www.treccani.it/magazine/atlante/geopolitica/Guerre_climatiche.html
  5. Molto lucido l’intervento di Josep Borell pubblicato in italiano su LeGrandContinent. Borrell risponde, tra le altre cose, all’accusa mossa contro l’UE di trattare con due pesi e due misure i conflitti in corso in Ucraina e a Gaza. https://legrandcontinent.eu/it/2023/11/15/cosa-difende-lunione-europea-a-gaza-e-nel-conflitto-israelo-palestinese/
  6. Il riferimento è al discorso del Presidente von der Leyen, consultabile al seguente link: https://it.euronews.com/my-europe/2024/02/20/lue-prepara-una-strategia-comune-per-lindustria-della-difesa
  7. Le cifre sono tratte, tra le altre fonti, dal comunicato della European Defense agency, consultabile al seguente link: https://eda.europa.eu/news-and-events/news/2023/11/30/record-high-european-defence-spending-boosted-by-procurement-of-new-equipment
  8. Sui finanziamenti legati alla strategia di difesa comune e al riarmo si rinvia nuovamente al seguente link: https://it.euronews.com/my-europe/2024/02/20/lue-prepara-una-strategia-comune-per-lindustria-della-difesa
  9. Per un generale e preliminare approfondimento sul tema si rinvia alla voce Environmental Ethics pubblicata su Stanford Encyclopedia of Philosophy, consultabile al link: https://plato.stanford.edu/entries/ethics-environmental/
  10. Il riferimento è a H. Brunkhorst, Il doppio volto dell’Europa. Tra capitalismo e democrazia, Mimesis 2016.
  11. Sulla scorta di altra precedente letteratura, il recente studio a cui ci si riferisce (il cui processo di peer review è in fase di completamento), è sicuramente emblematico: Vd. Neimark, Benjamin and Bigger, Patrick and Otu-Larbi, Frederick and Larbi, Reuben, A Multitemporal Snapshot of Greenhouse Gas Emissions from the Israel-Gaza Conflict, January 5, 2024). Available at SSRN: https://ssrn.com/abstract=4684768 or http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.4684768. Riprende il tema anche The Guardian in due differenti articoli: Emissions from Israel’s war in Gaza have ‘immense’ effect on climate catastrophe, https://www-theguardian-com.translate.goog/world/2024/jan/09/emissions-gaza-israel-hamas-war-climate-change?_x_tr_sl=auto&_x_tr_tl=it&_x_tr_hl=it&_x_tr_pto=wapp; The climate costs of war and militaries can no longer be ignored https://www.theguardian.com/commentisfree/2024/jan/09/emission-from-war-military-gaza-ukraine-climate-change
  12. Il riferimento è tratto dal report: Under the Radar. The carbon footprint of Europe’s military sectors, realizzato dal Conflict and Environment Observatory e dal gurppo Scientists for Global Responsibility (SGR).
  13. Si veda sul punto: Louise van Schaik and Akash Ramnath, Mission Probable: the EU’s efforts to green security and defence, Clingendael Institute, 2021; Tavares Da Costa, R., Krausmann, E. and Hadjisavvas, C., Impacts of climate change on defence-related critical energy infrastructure, Publications Office of the European Union, Luxembourg, 2023.
  14. Il riferimento è a L. Wittgenstein, Ricerche Filosofiche, Einaudi, 2009, par. 55.
  15. In questi termini si è espressa la von der Leyen “The threat of war may not be imminent, but it is not impossible”. Si rimanda a https://neighbourhood-enlargement.ec.europa.eu/news/speech-president-von-der-leyen-european-parliament-plenary-strengthening-european-defence-volatile-2024-02-28_en
  16. “One of the central aims of the Strategy, and the European Defence Investment Programme that will come with it, will be to prioritise defence joint procurement. Just as we did it very successfully with the vaccines or for example with natural gas”. Si rinvia ancora a: https://neighbourhood-enlargement.ec.europa.eu/news/speech-president-von-der-leyen-european-parliament-plenary-strengthening-european-defence-volatile-2024-02-28_en
  17. Riprende in questi termini la questione il rapporto pubblicato da GreenPeace, consultabile al link: https://cisp.unipi.it/wp-content/uploads/2023/11/e4e2e934-arming-europe_it.pdf
  18. S. Freud, A. Einstein, Perché la guerra? Bollati Boringhieri, 1975 e 2022, p. 8.

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Adalberto
Sunday, 17 March 2024 21:14
Mamma mia che illeggibile dotta sbrodolata! Che fatica analizzare le cose se non si colgono i fatti essenziali. L'UE è ormai da tempo una realtà eterodiretta che come tale non fa gli interessi dei popoli e delle nazioni europee ma quelle delle oligarchie anglosassoni. Punto. Buona parte del ragionamento si basa sull'assioma dell' "aggressione della Russia". Ma quale aggressione, dispiace leggere su questo sito l'ennesima declinazione del mantra mainstream. Anche uno studente delle medie capisce che si tratta della risposta a un decennio di aggressioni Nato secondo una strategia che nulla ha a che vedere con gli sbandierati valori europei. Se non si parte da questo, tutte le riflessioni si rivelano verbosi bizantinismi atti a nascondere la realtà. I popoli europei sono stati forse consultati sulla deriva bellicista dell'Unione? E sulla cosiddetta rivoluzione green con tanto di attacco alle proprietà e ai risparmi degli europei? Ovvio che se non si parte dsll'essenziale non rimane che discuisire sulle contraddizioni, senza mai riuscire a spiegarle.
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