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Il Titanic Europa e le illusioni di Fassina

di Guido Iodice

upload02-titanic-eu-01Da alcuni mesi l'ex viceministro dell'economia si è unito al coro degli antieuro, auspicando un “superamento cooperativo” della moneta unica. Ma la vaghezza regna sovrana nella sinistra Pd e la sua analisi rischia di non reggere il confronto con la realtà, mentre rimangono fumosi i contorni della proposta politica.

 

Un repentino cambio di fronte

Le critiche di Stefano Fassina all'Europa si sono spinte negli ultimi mesi fino alla messa in discussione della moneta unica. Secondo l'ex viceministro, la situazione dell'eurozona sarebbe insostenibile. Ciò implicherebbe la necessità, da parte del nostro paese, e in particolare da parte della sinistra, di promuovere un “superamento cooperativo” dell'euro. Continuare sulla strada attuale sarebbe iniquo perché “se non si può svalutare la moneta, si svaluta il salario”.

Un concetto (che abbiamo già criticato su Micromega online) ripetuto anche nella direzione Pd alla vigilia del Jobs act. In quella sede, l'ex viceministro aveva spiegato che la cancellazione dell'articolo 18 era un diktat imposto dall'Europa e accettato da Renzi al fine di riequilibrare i differenziali di competitività nella zona euro.

In una intervista doppia a confronto con il responsabile economico del Pd Filippo Taddei, Fassina spiegava infatti che “la cancellazione della possibilità di reintegro per licenziamenti ingiusti vuol dire indebolire ulteriormente la capacità negoziale delle persone che lavorano, abbassare le retribuzioni per continuare una impossibile competizione di costo. È la ricetta del mercantilismo liberista portata avanti dalla Commissione europea con il sostegno della Germania. Si punta a svalutare il lavoro data l’impossibilità di svalutare la moneta. Oltre a essere una ricetta iniqua, come è oramai evidente non funziona perché deprime la domanda interna.”.

Parole forti, quelle di Fassina, contro la politica del premier espresso dal Pd. Eppure si tratta dello stesso Stefano Fassina che, quando alla vigilia delle elezioni ambiva al posto di ministro dell'economia di un ipotetico governo Bersani, spiegava al Financial Times che occorreva tenere fermi i salari per favorire gli investimenti: “Cercheremo un accordo con i sindacati e le imprese per congelare gli adeguamenti di stipendio in cambio di investimenti.”. Nella stessa intervista Fassina si spingeva ancora più avanti nella sua professione di fede europeista: “Non rinegozieremo il fiscal compact o l’obbligo di pareggio di bilancio in Costituzione. Se agissimo unilateralmente, danneggeremmo il progetto europeo. Vogliamo avere spazio per politiche fiscali anti-cicliche, ma a livello europeo”.

Solo pochi mesi prima sempre Fassina elogiava Draghi e la proposta tedesca di cessione di sovranità: “[Fa] Bene Draghi a rilanciare il dibattito sulla proposta tedesca per il super commissario per le politiche di bilancio e a ricordare la perdita di sovranità degli Stati nazionali. Il potere di intervento da parte della Commissione europea sui bilanci nazionali di tutti i paesi euro è caratteristica fondamentale della fiscal union, tappa decisiva e urgente dell'integrazione politica della zona euro”. Una posizione coerente con quanto sostenuto da Fassina nel libro Il lavoro prima di tutto, quando ad esempio afferma che “il punto fondamentale è la cessione della residua e formale sovranità sulle politiche economiche ad una sede federale dell'area euro”, poiché la sovranità nazionale sarebbe ormai un feticcio “perduto nel mare dell'economia globale” e quindi occorrerebbe “convincere l'opinione pubblica interna che l'interesse nazionale si può perseguire, in mercati aperti, soltanto condividendo la sovranità e non sbandierando vessilli nazionali sempre più sbiaditi”.

Ovviamente si può legittimamente cambiare opinione. Si può passare dal sostenere che gli stati e le monete nazionali non servono più a nulla nel XXI secolo globalizzato al proporre il ritorno alla sovranità monetaria degli ottocenteschi stati nazionali. Si può anche cambiare opinione sull'efficacia della deflazione salariale al fine di promuovere l'investimento, la crescita e l'occupazione. Il problema è però sulla base di quali fatti si cambia opinione. Perché se i fatti non sono ben compresi, si rischia di finire in un vicolo cieco.

 

La metafora del Titanic

Fassina ha spesso ripetuto negli ultimi mesi che “la rotta dell'eurozona è insostenibile” e che proseguendo su questa rotta “rischia di sbattere”, utilizzando per l'unione monetaria la metafora del Titanic, introdotta da Vladimiro Giacché con un suo fortunato libro sulla crisi dell'eurozona. I fatti però sono alquanto diversi e forse più gravi. Perché in realtà il Titanic Europa ha già colpito da tempo l'iceberg: è successo nel 2010, con lo scoppio della crisi dei debiti sovrani e la lo squarcio nello scafo ha rischiato di far affondare l'eurozona nel 2011: in condizioni normali una crisi da bilancia dei pagamenti, con un repentino blocco (e inversione) dei flussi di capitali, come accaduto nell'eurozona quell'anno, porta generalmente alla rottura dell'area stessa, e alla svalutazione delle monete dei paesi in deficit con l'estero.

Occorre quindi chiedersi perché l'eurozona non sia affondata già allora. Per fortuna gli economisti per una volta hanno una risposta e in questo caso rimanda al nome di Mario Draghi. Nel luglio 2012, come è noto, il presidente della Bce ha messo la mordacchia alla speculazione sui debiti dei paesi in crisi annunciando il programma OMT, che consiste nell'acquisto di titoli pubblici e quindi nel controllo dello spread. In realtà quel programma non è mai stato attivato. Non deve tuttavia stupire che esso sia stato ugualmente efficace: da allora la Bce è stata percepita come un prestatore di ultima istanza, per quanto non “onnipotente” come le banche centrali sorelle di Stati Uniti, Giappone e Gran Bretagna. Ma non è solo Mario Draghi ad aver salvato l'euro.

A evitare l'esplosione ha contribuito la stessa architettura istituzionale dell'eurozona. L'eurosistema, cioè l'insieme della Bce e delle banche centrali nazionali, possiede un sistema di pagamenti noto come Target 2. Quando le banche del “centro” hanno smesso di finanziare i deficit dei paesi della “periferia” dell'area euro, il sistema ha comunque permesso l'indebitamento, attraverso l'automatismo del T2. Ecco quindi che l'analisi di Fassina mostra la corda: non è affatto detto che l'Europa vada a sbattere, perché ha già sbattuto, ed oggi è tenuta a galla dalla (pur imperfetta) credibilità della Bce. Finché essa dura, puntellata dal Quantitative Easing che partirà a gennaio e che coinvolgerà anche i titoli di stato, la situazione può rimanere in un limbo il cui effetto finale rischia di essere la definitiva “mezzogiornificazione” dei paesi periferici. Non si tratta, sia chiaro, di un esito scontato. L'eurozona può comunque andare incontro ad una rottura a seguito di una nuova crisi bancaria, indotta dalla deflazione, se la Bce non sarà (messa) in grado di agire. E tuttavia una sinistra che si proponesse di evitare un iceberg che è già stato colpito, avrebbe ben poche soluzioni da offrire alle classi che intende rappresentare.

 

Il fumoso “superamento cooperativo”

Rispondendo ad Antonio Polito sul Corriere della Sera, Fassina ha coniato un'espressione sintetica per descrivere la sua proposta sulla moneta unica: "Oggi non vi sono le condizioni politiche per correggere la rotta del Titanic Europa; di fronte a tale quadro il superamento cooperativo dell'euro non indica l'uscita dall'euro. Quest'ultima è un espressione che non ho mai usato perché la nostra uscita unilaterale equivarrebbe al collasso dell'unione monetaria" (enfasi nostra). Il superamento cooperativo è “il tentativo di salvare, attraverso il negoziato multilaterale, l'Europa possibile ed evitare che le destre nazionaliste e xenofobe cavalchino le sofferenze economiche e sociali […] Nello status quo, l'alternativa non è il doloroso e lento miglioramento, ma il naufragio". Anche qui ritorna la già analizzata metafora del Titanic.

Su una cosa Fassina ha sicuramente ragione: l'uscita dell'Italia dall'unione monetaria comporterebbe la fine traumatica della moneta unica, sulle cui conseguenze gli stessi economisti no-euro (quelli più avveduti) mettono in guardia. Eppure, così come fu per il mai ben specificato “piano B” ipotizzato da Fassina un anno fa, anche questo “superamento cooperativo” pare avere contorni a dir poco fumosi. La “cooperazione” necessaria a “superare” l'euro (in realtà a tornare indietro alle monete nazionali) richiederebbe accordi persino più impegnativi e gravosi di una riforma in senso federale dell'Unione europea. In un'Europa in cui dalla Germania si sollevano voci ostili finanche al minimo sindacale di una banca centrale che possa acquistare illimitatamente titoli di stato, è davvero difficile immaginare di poter “cooperare” per abbandonare l'euro.

Questo errore di valutazione dipende forse dal fatto che il Fassina di oggi, come quello che voleva imitare la Germania contenendo i salari, vede l'Europa come una nave che sta per colpire la montagna di ghiaccio. Ma non siamo “tutti sulla stessa barca”: il centro e la periferia dell'eurozona hanno interessi contrapposti. Il “centro” sta infatti traendo vantaggio dall'attuale deterioramento delle economie periferiche, il quale favorisce acquisizioni di imprese che conducono il processo di formazione di un nuovo capitale di dimensioni europee.

Se non si vuole che tale processo si compia sulle spalle delle classi sociali subalterne, ha più senso il ragionamento di chi sostiene la necessità di un conflitto, non di una cooperazione. Un conflitto tra “periferia” e “centro” che parta dalla disubbidienza ai Trattati e arrivi a delineare un'esplicita alternativa all'attuale assetto istituzionale dell'unione monetaria. E solo se questa alternativa sarà esplicitata e sostenuta politicamente da più paesi, si potrà sperare di costringere la Germania a “cooperare”. In caso contrario, l'arma della minaccia dell'uscita dall'euro sarebbe spuntata, mentre la richiesta di “cooperazione” lascerebbe tutto così com'è.

La sinistra Pd tuttavia non pare avere molto da dire su questo, mentre invece nel resto dei paesi periferici avanzano le forze della sinistra radicale: Syriza in Grecia, Podemos in Spagna e ora lo Sinn Fein in Irlanda. Partiti che hanno percorso la strada opposta a quella di Fassina, mettendo a tacere le voci interne contrarie all'euro proprio nel momento in cui si sono candidate ad alternativa di governo. Se la sinistra vuole ripetere in Italia quanto sta accadendo nel resto dei “Piigs”, sarà allora il caso di “superare” Fassina. In modo cooperativo, si intende.

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