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sotto le bandiere

La Germania metterà in crisi la Nato?

di Michele Basso

Oggi, per chi non ha gli occhi ottenebrati dal nazionalismo, spesso inconsapevole, presente anche nell’estrema sinistra,  è possibile avere un quadro più chiaro degli sviluppi storici della nostra epoca. La crisi economica ha fatto crollare molti miti, ma dobbiamo vigilare perché ne possono subentrare altri. E’ svanita l’illusione che le borghesie dei diversi paesi possano superare i contrasti e dare vita a un lungo periodo di pace autentica, che non sia una tregua armata tra le guerre. Per la natura stessa del capitalismo la borghesia è costretta a rivoluzionare continuamente la produzione e la società, a cambiare i rapporti di forza, sia all’interno del paese, sia tra i diversi stati.

A sinistra, si reagisce  spesso a questi cambiamenti senza un’adeguata riflessione: militanti, che una volta bruciavano le bandiere americane, ora si scagliano, non solo contro la Merkel, di cui c’importa poco, ma in generale contro il popolo tedesco, senza distinguere tra lavoratori e borghesi.  Il nazionalismo scaccia l’internazionalismo proletario. Oggi, che gli interessi economici tedeschi confliggono con quelli dell’Italia, Grecia, Spagna, e, in maniera meno clamorosa, con la Francia, ritorna in voga tutta la retorica antitedesca, e si dimentica persino che, salvo qualche novantenne, la stragrande maggioranza dei tedeschi, se non altro per motivi cronologici, non ha mai avuto nessuna  funzione in epoca nazista.

Chiusi nell’orticello europeo, inoltre, finiamo col trascurare le gigantesche  trasformazioni che avvengono nel mondo, che hanno come primo attore ancora gli USA, e in cui la Germania ha un ruolo estremamente diverso da quello che le attribuiscono i luoghi comuni. Chi grida al lupo tedesco finisce col non capire la terribile guerra globale che la tigre americana sta combattendo.


La politica USA è caratterizzata da un  virulento attivismo bellico, che cerca d’impedire l’ascesa di nuove potenze concorrenti con una serie di guerre preventive, avvertimenti mafiosi, blocchi e sanzioni commerciali, infischiandosi delle prediche di anime belle in nome del diritto, della morale, della religione, e persino del buon senso. Spesso, si bombardano nuore (Libia, Siria) perché suocere (Russia e Cina) intendano.  Con Obama, e con Pandora–Clinton, l’area di intervento spionistico, diplomatico, paramilitare, militare si è ancora accresciuta rispetto a quella dell’amministrazione Cheney–Bush. Basti pensare all’Africa.

L’aggressione USA, quasi una guerra mondiale condotta con ogni mezzo, dai missili all’informatica, si svolge su molti piani diversi collegati fra loro: il piano militare vero e proprio, come in Afghanistan, o in Iraq, dove mercenari sostituiscono sempre più le truppe regolari. In Yemen e in Pakistan,  dove  droni assassini  non distinguono se stanno colpendo guerriglieri, terroristi, o gruppi di amici e conoscenti che festeggiano un matrimonio. In questi paesi, la violazione più impressionante dell’indipendenza nazionale è sotto gli occhi di tutti. Quanto al fatto più clamoroso, il presunto assassinio di Bin Laden, difficilmente sapremo qualcosa, anche perché – strana coincidenza – non molto tempo dopo, tutti (meno uno) i membri del team sono precipitati con un elicottero in Afghanistan.(1) Viene in mente l’Isola del tesoro, dove il Capitano Flint, sepolto il tesoro,  torna solo, eliminati gli uomini che conoscevano l’ubicazione del bottino.

C’è una penetrazione ‘pacifica’ in Africa, in funzione anticinese, con l’addestramento di truppe, da utilizzare in operazioni cosiddette antiguerriglia, che invariabilmente tendono a instaurare la supremazia americana. I marines dallo Special Purpose Marine Air Ground Task Force 12 (SPMAGTF-12) addestrano i soldati ugandesi e del Burundi, che forniscono il grosso delle truppe alla missione dell’Unione Africana in Somalia. Addestratori a Gibuti (dov’è  la base a Campo Lemonier), e in Liberia,  insegnano tecniche di controllo delle insurrezioni all’esercito. Programmi simili anche in  Algeria, Burkina Faso, Ciad, Mauritania, Niger e Tunisia. L’Africom (Commando USA-Africa) ha progettato 14 piani per l’addestramento congiunto per il 2012, nonché operazioni in Marocco, Cameroon, Gabon, Botswana, South Africa, Lesotho, Senegal  e la Nigeria, che -  annota Nick Turse -   potrebbe diventare il Pakistan dell’Africa.(2) L’addestramento militare, come c’insegna la dolorosa esperienza dell’America latina, è in funzione del controllo politico. Si preparano truppe per “salvare l’ordine” in paesi “canaglia” o per colpi di stato in patria.

Guerre, condotte con altri mezzi, sono le sanzioni e i blocchi commerciali: quello storico contro Cuba, con giustificazioni sempre più capziose, e quello verso l’Iran, che colpisce indirettamente i paesi consumatori di petrolio e gas, dalla gigantesca Cina alla piccola Grecia, e all’Italia, già danneggiata  nel rifornimento energetico dalla vicenda libica.

C’è la guerra finanziaria all’Europa, condotta soprattutto da agenzie di aggiotaggio americane, comunemente dette di Rating, accompagnate dalle ipocrite “preoccupazioni” di Obama per l’economia europea. Il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, versioni su vasta scala dell’Anonima Usurai, infieriscono sui lavoratori e sui ceti medi dei paesi colpiti. Soprattutto queste ultime forme di intervento americano rischiano di trasformarsi in  boomerang.

L’economia deciderà se l’immenso sforzo dell’America per conquistare gran parte del globo riuscirà o no. Il crollo del dollaro potrebbe costringere a più miti consigli.

La fragilità dell’Europa è dovuta soprattutto ai contrasti tra le borghesie nazionali, anche se la retorica europeista e mondialista pretende che siano concordi nel combattere la crisi. L’unione politica è sempre più improbabile, anche perché, l’unico stato che avrebbe la forza economica per guidarla, la Germania - ammesso e non concesso che gli Stati Uniti possano accettare la nascita di un altro gigante concorrente - comincia a guardare altrove.

Il Corriere scrive: “Nel novembre del 1989, non è nata soltanto una Germania più grande. È nata (o meglio, rinata) una Mitteleuropa che sulle ceneri dei regimi comunisti è entrata stabilmente nella sfera d' influenza economica della Germania. Le imprese si sono installate nelle regioni dell' Est tedesco, in Repubblica Ceca, Polonia, Ungheria, Romania, Ucraina e sono prosperate, grazie anche al differenziale di prezzi e salari. Un esempio, la Skoda-Volkswagen. I rapporti economici con i Paesi baltici si sono intensificati. La Russia post sovietica è diventata il grande mercato delle merci tedesche e il polmone energetico... È vero che Francia, Italia, Spagna sono ancora i primi partner commerciali della Germania, ma è anche vero che le vendite di automobili e merci tedesche in Cina registrano aumenti annuali a doppia cifre. Fra vecchia Europa impoverita e nuovo Eldorado, la Germania da che parte guarderà? Intanto, la locomotiva è tentata di sganciare i vagoni di coda.”(3)

L’Unione Europea è l’altra faccia della medaglia del Patto Atlantico, e la crisi della prima non può non influire sul secondo.

La Nato aveva lo scopo, come chiarì  Lord Ismay, primo segretario generale dell’Alleanza, di «tenere i russi fuori, l’America dentro, e la Germania sotto». Soprattutto all’inizio, oltre che una conventio ad excludendum nei confronti della Russia, era anche un accordo per la sottomissione della Germania. Per questo, una politica tedesca veramente indipendente potrebbe portare al crollo dell’alleanza.

Il progetto iniziale subì forti correzioni a causa della guerra fredda, ma il problema rimase, e nessuno voleva favorire la riunificazione tedesca, anche di fronte all’eccezionale ripresa economica del paese, che rapidamente surclassò Francia e Gran Bretagna. Il federalismo europeo costituì un involucro entro il quale l’economia tedesca poteva svilupparsi, sotto il controllo occhiuto degli alleati.

Bordiga, nel 1950, quando i progetti erano ancora in nuce, scrisse che il federalismo europeo era la maschera “della realtà di un’organizzazione di guerra a comando extraeuropeo” che rispondeva “al miglior consolidamento della dittatura del Capitale americano sulle varie regioni europee, e al tempo stesso dell’interna dominazione sul proletariato americano...”(4)

Fin dai tempi dell’antica Atene, si capì che una potenza poteva controllare meglio i paesi più deboli mantenendoli all’interno di un organismo politico (una lega, un’alleanza, una federazione).

Finché ci fu la guerra fredda, la Germania rimase nei ranghi dell’europeismo e dell’atlantismo con disciplina teutonica, ma il suo sviluppo economico, sommato a quello del Giappone, sconvolse l’ordine di Bretton Woods e costrinse Nixon ad abolire la convertibilità del dollaro in oro. La penetrazione di capitali tedeschi nell’Europa dell’est fu uno dei fattori che sconvolsero l’intero assetto di Yalta. Non a caso questi mercati furono strappati alla Russia proprio dalla Germania.

Neppure all’estrema sinistra si  traggono oggi tutte le conclusioni dal conflitto d’interessi che oppone alcuni paesi europei e gli Stati Uniti  alla Germania. Si capisce che può far saltare  la UE, ma non si estende l’analisi  alla Nato. I due organismi sono legati a filo doppio.  Se la Germania rompe la camicia di forza che gli alleati le hanno cucito addosso alla fine della guerra, sia pur con periodici adattamenti dettati dalle circostanze, la Nato è finita.

Non c’è potenza esterna, né Russia né Cina, che possa competere realmente col Patto Atlantico sul piano militare, solo un forte contrasto interno può farlo entrare in crisi. Non si tratta di tifare per la Germania – i lavoratori non si devono legare ad alcuna borghesia nazionale, soprattutto se imperialista –  si devono, invece, registrare con estrema attenzione le scosse che preannunciano il terremoto politico che romperà il fronte unito di tutte le borghesie d’occidente, dando così al movimento operaio rivoluzionario l’occasione per riorganizzarsi e riprendere le lotte su scala internazionale.

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Note

1) “I Seals abbattuti non potranno più parlare. Trentuno soldati statunitensi sono rimasti uccisi quando l’elicottero, un Boeing Chinook, su cui stavano volando è precipitato in Afghanistan. Dei trentuno deceduti, venti erano membri del SEAL Team 6. DI Julius Sequerra Beforeitnews.com.” “... si tratta delle stesse persone che si ritiene abbiano ucciso di recente Osama bin Laden a Abbottabad... La storia ufficiale narra che i talebani hanno abbattuto l’elicottero. Ho i miei dubbi... [Ricordatevi di Pat Tillman, la stella del football che sciolse un contratto ricchissimo e andò volontario in Afghanistan sulla scia dell’impeto patriottico post-11 settembre? La storia ufficiale è che Tillman stia stato ucciso dal fuoco amico. Secondo le informazioni provenienti da molti soldati statunitensi (alcuni li conosco personalmente), Pat Tillman è stato assassinato dal suo governo. Si dice che Tillman, il perfetto simbolo per il reclutamento militare, si stava risvegliando dalle bugie dell’11 settembre e aveva iniziato a parlare un po’ troppo. Le parole hanno risalito velocemente la catena di comando. È stato ucciso da tre proiettili alla testa sparati da distanza ravvicinata. Davvero un fuoco amico.]”

2) Da “Il piano di Obama in sei punti per la guerra  globale”, di Nick Turse,  asiatimes.com , 28 luglio  2012. Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Maria Mercone. South Africa, Lesotho, Senegal, e quello che potrebbe diventare il Pakistan dell’Africa, la Nigeria.”

3) “La nuova Germania guarda a Est Il Sud Europa non interessa più”, di Massimo Nava Corriere della Sera, 27 luglio 2012.

4) Amadeo Bordiga: “United States of Europa”, Prometeo, gennaio, febbraio 1950.

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