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effimera

Il furore di sfruttare e di accumulare

di Gianni Giovannelli e Turi Palidda

131202 salgado coffee02 pmpxun 1200x878Il diavolo è un ottimista
se crede di poter peggiorare
gli uomini
Karl Kraus

Solo chi è prigioniero dell’ideologia dominante può accettare con felice soddisfazione l’odierna struttura dell’economia e dei rapporti sociali. Il sistema di comunicazione costruito dal liberismo contemporaneo ha trasformato la rappresentazione in realtà e il mondo sembra, nonostante tutto (come sussurrano prudentemente i più critici), un porto felice, o, quanto meno, l’unica vita possibile nel terzo millennio. La servitù volontaria, nata per contrastare il timore dell’esclusione e della miseria, rende ciechi, impedisce di vedere gli effetti di una quotidiana violenta prevaricazione che caratterizza il meccanismo di estrazione del valore. L’esame, nudo e crudo, dell’esistenza di gran parte delle persone che ci circondano dovrebbe invece rendere palese la verità: quella di un oggettivo accanimento, di uno sfruttamento crudele e senza freni inibitori, a volte perfino inspiegabile nella sua sostanziale irragionevolezza. Non a caso viene evocato il concetto di neoschiavitù per descrivere le insostenibili condizioni in cui si trovano i soggetti soggiogati dai funzionari del capitalismo ultraliberista.

Era prevedibile questo scenario, a ben pensarci. La concezione liberista della società tende ad esasperare ogni cosa, perfino le modalità dello sviluppo e l’idea del cosidetto progresso. L’esasperazione travolge davvero tutto: il libero arbitrio dell’imprenditore, del padrone e del sottopadrone, del caporale, e ancora omologa i comportamenti dei gendarmi, dei lobbisti, dei politici e delle banche.

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jacobin

Rompere lo specchio neoliberista

Bjarke Skærlund Risager intervista David Harvey

neoliberismo jacobin italia 990x361Nel 2005 usciva Breve storia del neoliberismo di David Harvey, saggio ancora oggi tra i più citati sull’argomento. Da allora sono esplose diverse crisi economiche e finanziarie, ma anche nuove ondate di resistenza che spesso hanno fatto proprio del neoliberismo il loro bersaglio critico.

Ma di cosa parliamo esattamente quando parliamo di neoliberismo? Si tratta di un concetto utile per la sinistra? E come si è evoluto dal momento della sua genesi alla fine del ventesimo secolo? Bjarke Skærlund Risager ha affrontato questi temi con David Harvey.

* * * *

Neoliberismo è un termine molto in voga, ma spesso non è chiaro a cosa faccia riferimento esattamente. Cercando di darne una definizione più sistematica potremmo dire che si riferisce a una teoria, a un insieme di idee, a una strategia politica oppure a un periodo storico. Potresti spiegarci, per cominciare, cosa intendi per neoliberismo?

Ho sempre concepito il neoliberismo come quel progetto politico portato avanti tra la fine degli anni Sessanta e tutti gli anni Settanta da una classe capitalista che si sentiva messa all’angolo sia dal punto di vista politico che economico e ha operato un tentativo disperato di fermare l’ascesa della classe lavoratrice al potere.

Si è trattato quindi di un progetto controrivoluzionario sotto molti aspetti, che servito a stroncare sul nascere i movimenti rivoluzionari dei paesi in via di sviluppo dell’epoca (Mozambico, Angola, Cina, ecc.) ma anche a contrastare la crescita del consenso per i movimenti comunisti in paesi come l’Italia, la Francia e, in misura minore, la Spagna.

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micromega

Il capitalismo secondo Nancy Fraser

di Carlo Formenti

visioni eretiche fraser capitalismoBasterebbero i titoli dei quattro capitoli – Concettualizzare il capitalismo, Storicizzare il capitalismo, Criticare il Capitalismo, Contestare il capitalismo – per dare un’idea dell’ambizione teorica che ispira un libro come Capitalism (da poco pubblicato in edizione italiana dall’editore Meltemi nella collana Visioni eretiche, diretta da chi scrive). Il volume porta come sottotitolo “Una conversazione con Rahel Jaeggi”, ma il lettore capisce presto che siamo lontani dalla mera registrazione di un dialogo (infatti le autrici spiegano che il libro è stato “costruito” a posteriori, usando le conversazioni come una semplice traccia): ci troviamo, piuttosto, di fronte a due discorsi che scorrono paralleli e quasi indipendenti l’uno dall’altro. Quanto all’artificio retorico dell’alternanza fra domande (perlopiù della Jaeggi) e risposte (perlopiù della Fraser) si intuisce che maschera a stento le divergenze fra le autrici, che vengono attutite dall’atteggiamento amichevole di due donne che si stimano, rispettano e apprezzano reciprocamente, ma anche (sia detto senza ironia) da un certo bon ton accademico.

Del resto non potrebbe essere altrimenti, dal momento che le rispettive visioni filosofiche ed epistemologiche coincidono solo marginalmente: pur conservando entrambe un forte ancoraggio al pensiero di Marx, le due autrici si propongono infatti di oltrepassarne i limiti attraverso percorsi diversi: la Fraser tenta di superare la classica contrapposizione fra struttura e sovrastruttura “contaminando” Marx con Polanyi, attingendo al contributo di autori come Harvey, Arrighi e Wallerstein (mentre Gramsci, pur restando sullo sfondo, pesa in misura tutt’altro che marginale) e aggiungendovi molto del suo; Jaeggi si pone lo stesso obiettivo partendo invece dalla rivisitazione critica di maestri tardo francofortesi come Habermas e Honneth, “annaffiati” da robuste dosi di Foucault.

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sinistra 

Il neoliberismo non è una teoria economica

Prima parte*

di Luca Benedini

Una rigorosa disamina delle contraddizioni interne del neoliberismo, dal culto del mercato al “trickle down”, dai piani di austerità alla gestione dell’euro, dal modo di rapportarsi con le “esternalità” alle prospettive generali dell’economia

brevestoriadelneoliberismo 350x541Non lavorerò più nella fattoria di Maggie
[...]
Non lavorerò più per il fratello di Maggie
Lui ti dà 5 centesimi
Ti dà un decino
Ti chiede con un sogghigno
Se ti stai divertendo
E poi ti multa
Ogni volta che sbatti la porta
[...]
Non lavorerò più nella fattoria di Maggie
– Bob Dylan dalla canzone Maggie’s farm, incisa nell’album Bringing It All Back Home (1965)

Tutti sanno che i buoni hanno perso
Tutti sanno che lo scontro è stato risolto I
poveri restano poveri, i ricchi si arricchiscono
È così che le cose vanno
Tutti lo sanno
– Leonard Cohen e Sharon Robinson dalla canzone Everybody knows,
incisa nell’album di Leonard Cohen I’m Your Man (1988)

Quando – quasi vent’anni fa – da fonti interne al Fondo monetario internazionale (Fmi) e alla Banca mondiale sono emersi documenti riservati che dimostravano che queste istituzioni intergovernative operavano imponendo nel Terzo mondo non solo ingiustificate ricette liberiste fortemente antipopolari (come i famigerati “piani di aggiustamento strutturale”) ma anche azioni sottobanco incentrate su pesanti forme di corruzione e di attacco alla democrazia, non scoppiò alcuno scandalo nella “grande politica” internazionale, né si iniziò alcuna azione giudiziaria nemmeno per le più gravi di queste illegalità, né da allora si è avviato alcun sostanziale mutamento di direzione in questi organismi [1].

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conness precarie

Il risentimento bianco cresciuto dentro il declino neoliberista

di Paola Rudan

0004F36A copertina marco corona«Macerie del neoliberalismo»: così, nel suo ultimo libro (In the Ruins of Neoliberalism. The Rise of Antidemocratic Politics in the West, Columbia University Press, 2019), Wendy Brown definisce l’emergenza delle politiche antidemocratiche in Occidente, l’ascesa di movimenti e partiti di estrema destra e ultranazionalisti negli Stati Uniti e in Europa, la violenta politicizzazione dei valori della tradizione giudaico-cristiana che sostiene la guerra aperta contro le donne, le minoranze sessuali, i migranti. Per muoversi tra le macerie del neoliberalismo bisogna afferrare il senso del genitivo: la politica «sregolata, populista e brutta» della «destra dura» [hard-right] non è il residuo di un ordine politico e sociale andato in rovina, ma l’effetto di un discorso che radica la libertà del mercato in un sistema morale ostile a ogni pretesa di uguaglianza. È un effetto imprevisto almeno se, come fa Brown, si mettono a confronto la teoria neoliberale e il «neoliberalismo reale». È un effetto Frankenstein – la creatura che si ribella al suo creatore – del quale lei cerca di ricostruire la «razionalità» facendo un passo avanti rispetto al suo lavoro del 2015, Undoing the Demos. Non è più sufficiente considerare come il neoliberalismo «disfa il popolo» universalizzando la figura dell’homo oeconomicus e cancellando dalla scena l’homo politicus, il cittadino democratico. Bisogna dare conto, secondo Brown, del modo in cui esso ha alimentato la «cultura antidemocratica dal basso» che ha legittimato «forme antidemocratiche di potere statale dall’alto». Bisogna ricercare, all’interno dei termini del discorso neoliberale, il processo di «produzione di soggettività» che permette di spiegare la traumatica e insopportabile elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti d’America.

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euronomade

Su "Capital et idéologie" di Thomas Piketty

di Marco Codebò

838 revolution francaiseIn Capital et idéologie (Paris: Seuil, 2019) Thomas Piketty riprende l’analisi del capitalismo contemporaneo là dove l’aveva lasciata alla conclusione di Le Capital au XXI siècle (2013), quando constatava come le società del XXI secolo, sia nei paesi ricchi dell’OECD sia nel resto del pianeta, fossero caratterizzate da un’irrimediabile, crescente disuguaglianza di reddito e patrimonio. Questa volta, però, Piketty vuole spingersi più in là della lettura dei dati statistici. Il suo obiettivo è trovare una via d’uscita dalle lacerazioni create dalla disparità economica; lo fa nell’unico modo che considera possibile, attraverso una proposta di superamento del sistema che ha condotto alla presente situazione, il capitalismo. Superamento tuttavia non significa abbattimento, obiettivo che porterebbe all’atteggiamento millenaristico nel quale si sono consumate le energie di generazioni di militanti anarchici, socialisti e comunisti. Superare il capitalismo significa mantenerne in funzione l’istituzione per eccellenza, la proprietà privata, indirizzandola però non più all’arricchimento individuale ma alla crescita del bene di tutti. Si creerebbe così un sistema nuovo, in grado di sorpassare (dépasser) il capitalismo, di andare insomma più veloce, perché più efficiente nel creare ricchezza sociale.

La disparità sociale non l’ha, com’è ovvio, inventata il nostro tempo, anzi. Quello che però rende il presente diverso da altre epoche della storia è la maniera di giustificare la forbice della ricchezza, in altre parole la sua ideologia della disuguaglianza. Di ideologie, dei racconti con cui una società legittima le distanze di reddito e patrimonio, vuole appunto discutere Piketty. Lo fa partendo da un giudizio positivo sulle ideologie, che non sono menzogne fabbricate per nascondere la realtà ai subalterni, ma spiegazioni del mondo, narrazioni al cui interno le disuguaglianze trovano senso. Proprio perché storicamente le disuguaglianze non sono mai state semplicemente imposte, ma sempre giustificate, per chi voglia superare quelle del presente è utile tornare indietro nel tempo e studiare come le società del passato abbiano spiegato le loro.

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ilpedante

Liberalismo dell'obbligo

di Il Pedante

3tvI tempi di crisi sono tempi di contraddizioni. Non fa eccezione il tempo presente, incatenato a un modello antropologico proiettato verso l'inesistente - il «progresso», il futuro - e perciò condannato a fissare sempre più in alto l'asticella delle sue promesse per giustificare la distruzione che semina nell'esistente. La contraddizione più macroscopica, quella logica, è nello scarto ormai osceno tra gli scopi dichiarati e gli esiti conseguenti. Lì si annida l'arsenale apologetico della colpevolizzazione delle vittime, della coazione a ripetere, dello scadimento di parola e pensiero nel bar-bar degli slogan, delle emozioni a comando, degli appelli all'irrazionalismo onirico delle «visioni» e dei «sogni» e di altri numeri già descritti altrove.

Chi viola la logica viola la realtà. Il principio di non contraddizione non si dimostra né si contesta perché il suo postulato è il dato - ciò che è dato, non ciò che è prodotto o interpretato - dell'esperienza di tutti (sensus communis). E chi viola la realtà, violando tutto ciò che è reale, non può che trovare asilo in un'immaginazione malata perché inconsapevole, nella credenza che le cose, come nella cosmogonia biblica, si creino e si avverino perché ripetute dai giornali, dai manifestanti, dagli hashtag, dai pappagalli dell'accademia e delle istituzioni.

Se il risultato è alienato e contraddittorio, non può non esserlo la teoria a monte, quella in cui si celebra la «libertà» dei tempi moderni e venturi già nell'etimo dei suoi miti corollari: il liberalismo politico, il liberismo economico, le liberalizzazioni dei servizi, la libera circolazione di merci, capitali e persone, la libertà dei costumi e del sesso che deve scardinare ogni cosa, anche i vincoli della biologia, l'Occidente libero, la crociata contro un passato corrotto, provinciale e bigotto dai cui pesi bisogna liberarsi. Per realizzare tutto ciò, detta teoria si traduce nella prassi palingenetica e spavalda delle «riforme» i cui frutti ricadono tutti e senza margini di deroga nel novero... delle limitazioni delle libertà, in ogni variante possibile.

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micromega

In memoria di Luciano Gallino

Il finanzcapitalismo, l’euro e la moneta come bene pubblico

di Enrico Grazzini

finanzLa quasi totalità degli intellettuali italiani ha sepolto nel silenzio la formidabile eredità scientifica, politica e morale di Luciano Gallino, scomparso l’otto novembre di quattro anni fa. Gallino è stato senza alcun dubbio lo scienziato sociale più profondo, coerente e critico della sinistra italiana: ma è rimasto inascoltato – anche presso la stessa sinistra politica (che non a caso in Italia è praticamente scomparsa) e sindacale (che non a caso è in gravissima e crescente difficoltà).

Il problema è che i suoi messaggi, specialmente nell’ultimo periodo della sua vita, erano troppo intellettualmente e politicamente chiari e radicali per la cultura confusa, ambigua, sempre disponibile al compromesso che domina oggi in Italia in (quasi) tutti gli ambiti e in tutte le parti politiche. Le sue proposte sulla moneta, sull’euro, sull’eurozona e l’Unione Europea, sulle riforme monetarie e bancarie necessarie per uscire dalla crisi provocata dal finanzcapitalismo, erano e sono considerate troppo anticonvenzionali e innovative per essere accettate (o almeno discusse) dai timidi e paurosi intellettuali e politici italiani. Ho collaborato con lui e nell’ultimo periodo della sua vita: e posso dire che, nonostante la sua indiscussa autorevolezza, il maggiore studioso della sinistra era rimasto praticamente isolato.

Gallino non si è limitato a studiare come sociologo l’organizzazione industriale del lavoro, il lavoro della conoscenza, gli impatti dell’informatica sul lavoro, le crescenti diseguaglianze, le istituzioni sociali e politiche. L’autore del bellissimo libro su “La scomparsa dell’Italia industriale” negli ultimi anni della sua vita ha analizzato in maniera approfondita la crisi finanziaria, il finanzcapitalismo, la moneta, l’euro ed era arrivato alla conclusione – scandalosa per i paurosi e inconcludenti intellettuali della sinistra italiana – che, per vincere il finanzcapitalismo e superare la grave e crescente crisi nazionale, bisognava riformare alla radice il sistema monetario e trovare tutte le vie possibili per superare i vincoli dell’euro, eventualmente anche a costo di preparare l’uscita da una eurozona perennemente in crisi.

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effimera

Le Tigri di carta del capitalismo e le raffiche di vento delle rivolte

di Giorgio Griziotti

Volentieri condividiamo la recensione di Giorgio Griziotti del libro di Maurizio Lazzarato recentemente uscito in italiano per DeriveApprodi: “Il capitalismo odia tutti. Fascismo o rivoluzione”, 2019

th 2d9241a8af2b929a384863a3c4944bbd 1570712099immpostlazzarato2“Il capitale odia tutti [1], fascismo o rivoluzione” di Maurizio Lazzarato fa parte del gruppo ristretto dei libri che segnano una svolta nella riflessione sugli attuali “tempi apocalittici” a cui si accenna nell’introduzione.

Il sentimento di trovarsi davanti a un libro “importante” emerge man mano che, percorrendo le pagine, si delineano il vasto scenario e le cause della sconfitta storica del post ’68. Situazione che si aggrava man mano che entriamo nell’era del “crollo” senza che sinora siano apparse diagnosi credibili proprio perché alla sconfitta politica corrisponde quella teorica che coinvolge tutto il pensiero dell’epoca, da Foucault e Deleuze a Negri ed Agamben per restare in un registro italo-francese che corrisponde alle due patrie dell’autore.

Per farci comprendere che il problema è essenzialmente politico Lazzarato ci ricorda come nel secolo scorso masse di quasi analfabeti siano riuscite a compiere rivoluzioni in paesi poveri e colonizzati, che nel caso di Cina e Russia si trasformano in durature potenze mondiali, mentre oggi il tanto da noi celebrato General Intellect, all’origine dei nuovi paradigmi tecnologici (p. es. il free software), subisca nell’impotenza d’ascesa del fascismo 2.0. Cherchez l’erreur!

Lazzarato rimprovera al pensiero postsessantottino di aver accreditato una visione in qualche modo “positiva” del binomio produzione e innovazione del capitalismo, dove il lavoro creerebbe e riprodurrebbe le condizioni della vita. Se questo è stato in parte valido nei “trenta gloriosi” del dopoguerra con l’avvento del neoliberismo alla fine degli anni ’70, produzione e lavoro capitalisti creano condizioni di distruzione (della biosfera per esempio) e morte. Il fatto è che dal ’68 in poi sono stati usati gli strumenti politici e teorici del XIX secolo per trattare i problemi del XXI.

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Coordinamenta2

“2020?”

di Elisabetta Teghil

Immagine2020Qua e là per il mondo continuamente e in maniera sempre più serrata si susseguono rivolte e sollevazioni, apparentemente per le ragioni più svariate e difficilmente confrontabili.

Il neoliberismo in questi anni ha lavorato con pervicacia, sistematicità, coerenza e chiarezza ideologica su fini, obiettivi e strumenti. L’iper borghesia ha vinto. Le borghesie nazionali sono alla frutta, oscillano tra sacche di resistenza e asservimento al vincitore consce di aver perso definitivamente il loro ruolo.

Le politiche neoliberiste hanno decretato l’impoverimento generalizzato e profondo delle popolazioni occidentali sul fronte interno e lo sfruttamento violento e la destabilizzazione di intere aree sul fronte esterno con il neocolonialismo portato avanti con le così dette “guerre umanitarie”, con la strumentalizzazione dei diritti umani, della violenza sulle donne, dell’antirazzismo, con le mire di sfruttamento e soggezione mascherate dalla pretesa dell’esportazione della “democrazia” occidentale come modello unico ed universale.

Il Cile in particolare è stato terreno di sperimentazione dei principi neoliberisti già con il colpo di Stato di Pinochet nel 1973 fomentato e foraggiato dagli USA, e stiamo parlando di quasi cinquant’anni fa. Tutte le elaborazioni del neoliberismo che fino a quel momento erano solo teoria sono state applicate in quello sfortunato paese a cominciare dal mondo dell’istruzione, dalla privatizzazione della scuola e dell’università in sintonia con il credo neoliberista per cui “l’istruzione è merce” insieme alle altre merci. Non è un caso che gli studenti siano in prima fila ora nelle mobilitazioni e nella rivolta generalizzata che è dilagata per il paese e che siano stati i primi a innescare la lotta saltando i tornelli della metropolitana.

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militant

Oltre l’illusione della green economy. Alcune riflessioni

di Militant

green economy“E’ più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo”
(Fredric Jameson)

 

Prima (ovvia) premessa

Interrogato su quali leggi scientifiche avrebbero superato indenni il test del tempo senza essere rigettate o radicalmente riformulate dalle future generazioni di scienziati, Albert Einstein indicò la prima e la seconda legge della termodinamica. “E’ la sola teoria fisica di contenuto universale di cui sono convinto che nell’ambito di applicabilità dei suoi concetti di base non verrà mai superata.” Semplificando, le due leggi affermano che l’energia totale dell’universo è costante, non può essere né creata né distrutta, ma che essa cambia continuamente forma, anche se in una sola direzione, da disponibile ad indisponibile, e che il “grado di disordine” del sistema, l’entropia, è in continuo aumento. La terra rispetto al sistema solare rappresenta un sistema termodinamicamente chiuso, ciò significa che assorbe energia dal sole, ma non riceve materia dall’universo circostante. Ora, se alle reminiscenze di fisica aggiungiamo frettolosamente anche quelle di chimica, rispolverando la legge di conservazione della massa di Lavoisier, secondo la quale all’interno di un sistema chiuso la massa dei reagenti è esattamente uguale alla massa dei prodotti (nulla si crea, nulla si distrugge…), appare evidente, come vanno ormai sostenendo praticamente tutti, che il pianeta su cui viviamo è “finito”. Intendendo con questo che lo stock di materie prime su cui possiamo e potremo contare è destinato prima o poi ad esaurirsi, ponendoci di fronte ad un problema di scarsità.

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jacobin

Fuga dal realismo capitalista

di Daniele Garritano

Mark Fisher è stato più volte accusato di nichilismo distopico. Al contrario, il motore della metodologia innovativa, aperta all’analisi di linguaggi estetici come la musica elettronica, il punk e l’hip hop e il cinema è il future shock

fisher1 jacobin italia 990x361La categoria di «impotenza riflessiva» è stata coniata da Mark Fisher nel saggio Realismo capitalista. Uscito nel 2009, nel momento in cui il crack dei mercati finanziari trascinava il mondo occidentale in una spirale di ansia, disoccupazione e impoverimento di senso del futuro e poi diventato nel corso di dieci anni un testo di riferimento per la comprensione degli effetti socio-culturali e psico-cognitivi del capitalismo postfordista, Realismo capitalista pone la questione del rapporto tra immaginazione e principio di realtà nella «logica culturale del tardo capitalismo».

Il riferimento al testo di Fredric Jameson sul postmodernismo, che risale nella prima stesura al 1984, richiama un’insieme di intenzioni assunte coscientemente nell’impianto teorico di Fisher: la coscienza di riprendere una discussione teorica sull’esaurimento del processo di modernizzazione e sulle sue conseguenze nella vita quotidiana delle società occidentali, l’interesse sintomatologico per i consumi culturali mainstream (film, musica, pubblicità) come indicatori di modi di vivere e strutture di pensiero, l’interrogazione sul sistema delle macchine e su quella che Jameson definiva la «produzione di persone […] capaci di adattarsi ad un preciso e peculiare mondo socioeconomico». Rispetto alla lettura jamesoniana del postmodernismo, il teorico inglese accoglie la questione del «fallimento del futuro», il ruolo dell’utopia come categoria necessaria del pensiero politico, e soprattutto la necessità di interpretare la «logica culturale» del capitalismo sul piano dello stile e dei modi di vivere per decifrarne il senso comune.

Il richiamo all’autorità di Postmodernism di Jameson si basa anche su motivi generazionali: al momento dell’uscita del saggio a partire da cui si svilupperà il progetto jamesoniano (1984), Fisher aveva appena sedici anni e il socialismo sovietico – che si definiva «reale» – si apprestava a vivere il suo ultimo lustro di storia.

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ragionipolitiche

Seduzioni e delusioni del neoliberismo

di Carlo Galli

ph 336Sotto l’apparenza di essere uno sviluppo del razionalismo moderno – dell’utilitarismo, dello strumentalismo, dell’individualismo –, il neoliberismo attinge la propria energia e la propria legittimità da fonti irrazionali, dalla mobilitazione del sentimento e del desiderio, da una volontà di potenza latente nelle soggettività moderne, emotivamente eccitata e governata dalle agenzie di senso (alte e basse, mediatiche e teoretiche) che nel radicarsi del neoliberismo hanno avuto un’importanza decisiva.

Il neoliberismo è la dottrina, di derivazione marginalistica (Mises e Hayek), che si pone l’obiettivo di distruggere la teoria classico-marxiana del valore-lavoro, e di spostare il baricentro del pensiero economico dalla produzione, e dalle sue contraddizioni, al rapporto domanda-offerta, e ai suoi equilibri (il kosmos, l’ordine spontaneo). Svincolata da ogni patetico umanesimo, da ogni fondazionismo personalistico, l’economia è un insieme di diagrammi che descrivono e misurano le scelte compiute dal consumatore individuale razionale perfettamente informato, all’interno di un mercato perfettamente concorrenziale. La libertà dei moderni è libertà individuale di scelta e libertà di intrapresa, del consumatore  e dell’offerente. I problemi che possono insorgere e che discostano la pratica dalla teoria non sono contraddizioni strutturali ma solo ostacoli che devono essere rimossi, con la politica: le “riforme”, che fluidificano il mercato eliminando rigidità e rendite di posizione. Solo a realizzare riforme serve la politica: la dimensione pubblica è legittimata dal fatto che serve a rendere possibile lo sviluppo della dimensione privata: nessuna taxis artificiale deve frapporsi alla formazione automatica del kosmos. E la società, peraltro, non esiste (secondo la geniale signora Thatcher), sostituita – con le sue masse, i suoi ceti, le sue classi, i suoi gruppi di interesse, le sue dinamiche collettive – dalla pulviscolare moltitudine degli individui utilitaristici.

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economiaepolitica

Ordo-liberalismo e ordo-macchinismo

L’eclissi della democrazia e della giustizia sociale 

di Lelio Demichelis

democracy 640x333La democrazia è in crisi. Nuovamente e pesantemente.

Se per Gramsci le forze che avevano sconfitto la classe operaia erano state il fascismo e l’americanismo – «due volti, in sostanza, del capitalismo»[i] – oggi la sconfitta (di nuovo) della classe operaia, del concetto di giustizia sociale e della democrazia politica e sociale/economica è effetto diretto – questa la tesi che qui riprendiamo e approfondiamo – della filosofia neoliberale e delle tecnologie di rete[ii] (a loro volta ultima forma della tecnica come sistema), ma ambedue (tecnica e neoliberalismo) sempre le due facce, ma non del solo capitalismo bensì del tecno-capitalismo. La seconda metà del ‘900 è stato il tempo, da una parte di una crescente anche se timida e faticosa ricerca di una democrazia economica e sociale che integrasse e rendesse effettiva (essendo i diritti sociali la premessa per i diritti politici e civili) quella politica; e, dall’altro di una democratizzazione dell’impresa capitalistica (e quest’anno celebriamo i 50 anni dell’Autunno caldo, il prossimo sarà mezzo secolo dallo Statuto dei lavoratori, massima realizzazione e formalizzazione giuridica in Italia della democrazia oltre i cancelli delle fabbriche). Ma il neoliberalismo e le tecnologie di rete degli ultimi trent’anni hanno smantellato progressivamente quei concetti e quelle buone pratiche.

Il neoliberalismo (inteso qui come sommatoria di neoliberismo austro-statunitense e ordoliberalismo tedesco) si proponeva infatti di liberare l’impresa dai lacci e lacciuoli (diceva Guido Carli) della democrazia, del politico e del sociale; di potenziare l’individuo alla sua massima prestazione/produttività/egoismo-egotismo-narcisismo isolandolo dagli altri; e di annullare il vecchio contratto sociale moderno de-strutturando/suddividendo la società (soprattutto la società civile, i corpi intermedi, i sindacati) per sostituirla con mercato e competizione tra uomini.

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Coordinamenta2

“Il tempo delle cavallette”

di Elisabetta Teghil

langostasLe telefonate sono tutte registrate, questo indipendentemente dal fatto che ci sia un’indagine in corso e sono archiviate e vengono tirate fuori quando servono. E’ un dato che caratterizza la nostra società. Le telecamere di sorveglianza sono invasive oltre ogni misura, le motivazioni sono sempre nobili e passano attraverso gli utili idioti che dicono che tanto se non c’è niente da nascondere non si ha nulla da temere. Le prossime mosse saranno l’installazione in tutti gli ambienti pubblici e perché no anche nei condomini e perché no perfino nelle case. L’alibi sarà che la maggior parte delle violenze avvengono in famiglia. Come del resto l’invasivo controllo della velocità su strade e autostrade che serve a far fare cassa ai Comuni ma la motivazione nobile è la nostra sicurezza.

Viviamo, e lo sarà sempre di più, in un controllo serrato ventiquattro ore su ventiquattro in ogni momento della nostra vita. Le cimici ambientali sono diffuse e non solo e non soltanto per un’indagine magari con l’autorizzazione della magistratura ma anche negli spazi e nei locali pubblici. E il motivo vero è sempre e soprattutto il controllo dell’antagonismo e del dissenso in una situazione in cui le forze di polizia in tutte le loro articolazioni si sono affrancate dalla direzione politica e conducono una vita propria e si muovono a tutela delle corporazioni di cui fanno parte.

Indipendenza delle istituzioni poliziesche che non sono più in rapporto gerarchico con quelle politiche e che, ferma restando l’autonomia della gestione degli affari di propria competenza, continuano a lavorare in maniera subalterna agli Stati Uniti e, fatto nuovo, anche a Israele. I poteri forti utilizzano e strumentalizzano ogni possibile manifestazione di dissenso a partire dalla forma più compiuta di lotta di classe che c’è stata in Italia negli anni ’70 e ’80 cioè il fenomeno della lotta armata che non viene raccontata per quello che è ma viene attribuita ai servizi stranieri.