Print Friendly, PDF & Email
Print Friendly, PDF & Email

businnesinside

Per combattere le disuguaglianze bisogna abbandonare subito le idee di Milton Friedman

Richard Feloni intervista il Nobel Joseph Stiglitz

  • Joseph Stiglitz ritiene che la popolarità dell’ideologia del compianto Milton Friedman, vincitore come lui del premio Nobel per l’Economia, sia un fattore significativo alla base della forte disuguaglianza e della crescita modesta che caratterizzano attualmente gli Stati Uniti
  • Friedman diceva che in un libero mercato, una società quotata in borsa esiste soltanto per servire i propri azionisti
  • Per Stiglitz esistono abbondanti prove del fatto che queste condizioni che caratterizzano il libero mercato non possano essere soddisfatte
  • Questo dibattito è in corso dagli anni Trenta del secolo scorso, ma sembra che il vento stia cambiando a favore di chi sostiene che si debba dare la priorità alla creazione di valore a lungo termine, togliendo importanza ai risultati a breve termine

5aa2bded7dafe127008b457b 960 720All’incontro annuale del World Economic Forum, che si è tenuto a Davos (Svizzera) a gennaio, il Ceo di Business Insider Henry Blodget ha spiegato i motivi per cui è arrivato il momento di un “capitalismo migliore (in inglese better capitalism, come il nome di questa rubrica).

L’attuale disuguaglianza che regna negli Stati Uniti, ha spiegato, è perlopiù legata a una reazione al ristagno iniziato negli anni Settanta del secolo scorso e durato troppo a lungo – una fase in cui la caccia ai profitti trimestrali ha dato luogo al cosiddetto short-termism, cioè l’ossessione tossica per i risultati a breve termine.

Quando Blodget ha avviato la discussione del panel che aveva organizzato, Joseph Stiglitz della Columbia University ha detto, riferendosi alle persone che a suo parere sono responsabili di quest’ideologia prevalente: “Voglio sottolineare che, in questo periodo, non è stato solo un gruppo di azionisti attivisti ma si è trattato anche di Milton Friedman”, il compianto economista e vincitore del premio Nobel (come Stiglitz). “E Friedman aveva torto.”

Nella sua influente raccolta di saggi del 1962, Capitalismo e libertà, Friedman proclamò che in un’economia libera “un’impresa ha una, e solo una, responsabilità sociale: usare le proprie risorse e condurre attività studiate per incrementare i suoi profitti, fintantoché rispetti le regole del gioco, vale a dire fintantoché pratichi una concorrenza libera e aperta, senza inganni o frodi”.

Print Friendly, PDF & Email

la citta futura

Marx e la teoria neo-hobbesiana dell’organizzazione dell’impresa capitalistica

di Marco Beccari e Domenico Laise

Marx e gli autori neo-hobbesiani concordano sulla necessità di una “autorità” nella fabbrica capitalistica, ma dissentono sulle finalità ad essa attribuite. L’articolo trae spunto dal seminario “L’organizzazione del lavoro nella fabbrica capitalistica” tenuto da Domenico Laise per l’Università Popolare A. Gramsci nell’anno accademico 2018-2019 [1]

0b63f0be0dd8e55c65245e23ba37762c XLIn un precedente articolo abbiamo sostenuto che Marx è l'unico economista che spiega la natura autocratica dell'impresa capitalistica, vale a dire è l'unico autore che spiega, con rigore scientifico, l’esistenza della "dittatura del capitalista" all'interno dei cancelli fabbrica, nella quale il capitale formula come privato legislatore e arbitrariamente la sua autocrazia [2].

L'autocrazia esiste, per Marx, perché è la condizione necessaria per l'esistenza del plusvalore (pluslavoro capitalistico) e, quindi, del profitto. Se non ci fosse l'autocrazia, cioè se i lavoratori potessero formulare la strategia e avessero il controllo strategico e operativo del processo produttivo, allora potrebbero decidere di erogare una quantità di lavoro pari alla quantità di lavoro necessaria, contenuta nei mezzi di sussistenza. In tal caso non sarebbero garantite le condizioni per l’esistenza del plusvalore e per la riproduzione della classe dei capitalisti, che vive sul lavoro dei salariati. La divisione della società in classi conflittuali è, in ultima analisi, la condizione necessaria per l'esistenza dell'autocrazia capitalistica.

Poiché la fabbrica capitalistica, e in senso lato l’impresa capitalistica, è finalizzata al profitto e, quindi, all’estrazione coatta di plusvalore, essa implica necessariamente la coercizione del lavoratore al pluslavoro. Il lavoratore di conseguenza non è mai libero delle proprie azioni, ma è costretto ad accettare e eseguire gli ordini del capitalista, rivolti, in definitiva, alla produzione del plusvalore. Nella fabbrica, come sostiene Engels, “il legislatore assoluto è il fabbricante. Egli emana i regolamenti di fabbrica a suo beneplacito” [3].

Si potrebbe pensare che, se riferite alla fabbrica moderna, le tesi di Marx ed Engels siano obsolete. Si potrebbe, ad esempio, sostenere che oggi alla Toyota esista la "democrazia industriale”, poiché l'operaio è coinvolto in processi decisionali cruciali. Ad esempio, l’operaio è libero di arrestare la catena di montaggio quando lo ritiene opportuno. Ma non è così. L'operaio non è libero di scegliere il suo comportamento. Si tratta, in realtà di una falsa e fittizia libertà. Egli, infatti, può bloccare la catena di montaggio solo quando i pezzi prodotti risultano difettosi.

Print Friendly, PDF & Email

jacobin

Gli Student Hotel e la creatività del capitale

di Carlotta Caciagli*

Mentre il diritto allo studio viene attaccato trasformandolo in «debito d'onore», in diverse città d'Europa nascono studentati privati di lusso. Sono l'ennesimo tentativo di far diventare qualsiasi esperienza di vita un'esperienza di consumo

student hotel jacobin italia 990x361Amsterdam, Dresda, Berlino, Firenze, Parigi. In alcune città gli Student Hotel sono già sbarcati, in molte altre arriveranno presto, come a Lisbona, Barcellona, Tolosa. In Italia si conta di aprirne almeno altri cinque nei prossimi due anni. Ma cosa sono gli Student Hotel? Stando al nome sembrerebbero dei semplici alloggi per studenti, ma a ben guardare sono molto altro: luoghi che riproducono un preciso modello di città e una precisa concezione di istruzione.

The Student Hotel (Tsh) è uno studentato e al tempo stesso un hotel di lusso, ci si può stare una notte come un anno intero. Al suo interno è composto di camere e spazi comuni: cucine, salotti, aule studio, aule conferenze, biliardi, terrazze con piscina, in alcuni casi saune e idromassaggi. Un design progettato – quando possibile dalla archistars di casa, poiché la visibilità è garantita – per essere casa, ufficio e luogo di ricreazione al tempo stesso. Uno spazio pensato per rendere accettabile che fra lavoro e tempo libero non ci siano confini. Perché se essere perennemente presi nella morsa del processo produttivo significa una camera vista mare, be’, allora non è poi così male. Salvo per i prezzi, che allo studentato si avvicinano proprio poco dato che una camera può costare anche 100 euro a notte. Viene quasi da chiedersi chi siano le persone che possono permettersi una stanza qua. Ce lo spiega il gruppo possessore: Tsh è per giovani creativi, studenti, intellettuali, professionisti e startuppers. Insomma per tutte quelle figure professionali che lavorano sempre pur sembrando non lavorare mai. In fondo, ci dice sempre il gruppo Tsh, si tratta di un’idea semplice, ovvero riunire imprenditori, studenti e viaggiatori sotto un unico tetto, alle parole d’ordine di mescolanza, multiculturalismo e condivisione.

Parole a cui è difficile contrapporsi, perché rimandano le menti a giovani aperti, che conoscono il mondo, che apprendono lingue nuove, a italiani che imparano a cucinare cous-cous, a inglesi che mangiano pasta e pizza, a film in lingua originale, a serate a tema in cui conoscere i costumi degli altri. La «mission» di Tsh è quella che abbiamo assunto essere dell’Erasmus, ovvero creare un contesto stimolante per tutti, in cui si beneficia del contatto con il diverso.

Print Friendly, PDF & Email

palermograd

Non c'è tempo da perdere

Come industria 4.0 cambierà il modo di produrre

di Matteo Gaddi e Nadia Garbellini

società 4.0 1068x611Delocalizzazioni e Industria 4.0 sono due fenomeni molto dibattuti, ma raramente presi in considerazione congiuntamente. Eppure, come vedremo, entrambi concorrono all’evoluzione della geografia del Capitale, alimentandosi a vicenda.

Le imprese delocalizzano, ci viene detto, perché in Italia non trovano un clima favorevole al business. Le ragioni sono le più disparate: instabilità politica, eccessiva rigidità del mercato del lavoro, carenze infrastrutturali, quadro normativo eccessivamente articolato, tassazione troppo elevata, e così via.

La realtà, non è difficile capirlo, si presenta ben diversa: l’UE è una grande area di libero scambio, all’interno della quale si sono aboliti i confini alla circolazione di merci e capitali – e persone, limitatamente ai cittadini dell’area – in presenza di enormi disparità per quanto riguarda normative, standard sociali e ambientali, salari, regimi fiscali.

Ciò genera enormi possibilità di arbitraggio per le grandi imprese, che possono decidere di collocare sede fiscale, casa madre, impianti produttivi e uffici amministrativi in paesi diversi, a seconda della convenienza. Quindi, la strategia ottimale per ciascun paese è quella di specializzarsi in una determinata funzione, offrendo al Capitale tutte le condizioni ottimali per una allocazione geografica efficiente delle fasi produttive.

Naturalmente, gestire queste catene produttive lunghe è molto complesso, poiché implica il coordinamento di una lunga serie di fasi differenti, collocate in aree geografiche distinte – e soggette a normative diverse. L’attività di ricerca è stata pienamente organica a questa strategia, ed è stata indirizzata verso lo sviluppo di nuove tecnologie in grado di facilitare il processo di centralizzazione senza concentrazione.

“Lo sviluppo della tecnologia avviene interamente all’interno [del] processo capitalistico. [...] Lo sviluppo capitalistico della tecnologia comporta, attraverso le diverse fasi della razionalizzazione e di forme sempre più raffinate di integrazione, un aumento crescente del controllo capitalistico.” (Panzieri, 1961)

Print Friendly, PDF & Email

ist onoratodamen

Carola Rackete, migranti, spoliazione e l'illusione dei muri

di Carlo Lozito

image 1446310 860 poster 16x9 wqhx 1446310Quella capitalistica è la società dell'apparenza in cui la realtà si presenta sempre trasfigurata. Per la questione dei migranti, non si tratta del capovolgimento mistificante dei rapporti tra gli uomini trasformati in rapporti tra cose, insito nei rapporti di produzione borghesi, ma di un atto ideologico col quale dissimulare la realtà, fatto di affermazioni, azioni e leggi che violano addirittura le stesse norme nazionali e internazionali borghesi. Il ministro dell'interno Salvini ha inaugurato, e quotidianamente rafforza, la stagione della calunnia, della piegatura dei fatti al mero scopo propagandistico, dell'uso della forza pubblica a proprio uso, dell'uso spregiudicato dei media per il proprio interesse.

Poco importa che tanto spiegamento di forze vada a colpire solo i deboli, quelli che nulla o poco possono fare per difendersi e lascino indisturbati i criminali veri, quelli dai poteri forti, quelli che scorrazzano quotidianamente nelle città e campagne italiane liberi di commettere qualsiasi illecito, difesi da mille cavilli giuridici spesi ad arte da un esercito di avvocati quando non totalmente impuniti. Così, Carola Rackete, comandante della nave impiegata nel soccorso ai migranti in mare, è stata arrestata, accusata dai più alti rappresentanti del governo italiano, ma non solo, di essere una criminale.

Una piega di vita, quella in corso, che riduce la politica a beceri insulti e volgari argomentazioni estranee a qualsiasi obiettività che mirano a solleticare e a far presa sugli istinti più beceri dell'essere umano, istinti mai sopiti e pronti a rigurgitare, rinvigoriti dall'incancrenirsi di una situazione economica che produce insicurezza e incertezza, precarietà, rabbia, risentimento che, per la mancanza di idee altre e più proprie alla necessità di liberazione e solidarietà umane, possono essere facilmente depistati contro il diverso e il debole, il migrante appunto. La volgarità e l'ipocrisia in questo regnano sovrani: si brandisce il manganello con una mano, appunto contro gli indifesi, mentre con l'altra si agita il crocefisso per dire che lo si fa in nome della santità.

Print Friendly, PDF & Email

sbilanciamoci

Il diritto al futuro contro il capitalismo della sorveglianza

di Roberto Ciccarelli

Il plusvalore estratto dalla forza lavoro nel capitalismo delle piattaforme ha meccanismi che arrivano a condizionare l’identità personale. Analisi critica del libro, ancora non tradotto, di Shoshana Zuboff: “The Age of Surveillance Capitalism. The fight for a human future at the new frontier of power”.

GettyImages 685007305 surveillance capitalism 1548712972Shoshana Zuboff ha scritto un libro importante di filosofia politica e critica dell’economia politica digitale: The Age of Surveillance Capitalism. The fight for a human future at the new frontier of power (Profile Books. pp. 691; L’epoca del capitalismo di sorveglianza: la lotta per un futuro umano sulla nuova frontiera del potere). È un libro necessario che racconta la storia terribile e urgente di cui siamo protagonisti e offre strumenti contro il nuovo potere. Considerato il fatto che non è stato ancora tradotto in italiano, propongo una guida al libro e una lettura critica delle cinque tesi principali.

 

0. Che cos’è il capitalismo della sorveglianza

1. Un nuovo ordine economico che configura l’esperienza umana come una materia prima gratuita per pratiche commerciali nascoste di estrazione, predizione e vendita;

2. una logica economica parassita nella quale la produzione delle merci e dei servizi è subordinata a una nuova architettura globale della trasformazione comportamentale degli individui e delle masse;

3. una minaccia significativa alla natura umana nel XXI secolo così come il capitalismo industriale è stato per il mondo naturale nel XIX e XX secolo;

4. una violenta mutazione del capitalismo caratterizzata da una concentrazione della ricchezza, conoscenza e potere senza precedenti nella storia umana; (…);

5. l’origine di un nuovo potere strumentale che afferma il dominio sulla società e presenta una sfida impegnativa alla democrazia di mercato (corsivo mio); (…)”. (p.1).

 

1. Il capitalismo della sorveglianza è un nuovo ordine economico che configura l’esperienza umana come una materia prima gratuita per pratiche commerciali nascoste di estrazione, predizione e vendita.

Il capitalismo di sorveglianza trasforma l’esperienza in “materiale grezzo gratuito”. Tale materiale è estratto da un corpo, descritto come una “carcassa”, è raffinato, reso intelligente e trasformato in dati comportamentali.

Print Friendly, PDF & Email

blackblog

Economia per l'estate

di Michael Roberts

aleiaLa scorsa settimana, Martin Wolf, il giornalista di economia del Financial Time, ha fatto l'elenco dei nuovi libri di economia da lui raccomandati per lettura estiva. Ha cominciato con "Austerità. Quando funziona e quando no", di Francesco Giavazzi, Alberto Alesina e Carlo Favero (Rizzoli). Wolf lo ha commentato dicendo che «questo un libro estremamente importante. Il libro fa uso di prove empiriche che permettono di valutare gli effetti dell'austerità fiscale messa in atto attraverso i tagli alla spesa in contrapposizione all'aumento delle tasse. Conclude dicendo che gli effetti negativi dei tagli alla spesa sono inferiori rispetto a quelli causati dall'aumento delle tasse. Inoltre, i programmi basati sulla spesa sono più efficaci ai fini della riduzione della crescita del debito di quanto lo sia l'aumento delle tasse. Tuttavia, va notato che i costi vengono valutati solo in termini di produzione cumulativa, e viene pertanto ignorato quello che è l'impatto distributivo del taglio alla spesa rispetto all'aumento delle tasse». Alesina e gli altri sono stati a capo dei sostenitori dell'impatto positivo che l'«austerità» avrebbe sulla crescita economica, in contrasto con la montagna di prove provenienti dal FMI e dalle altre fonti che sostengono che le politiche di austerità non hanno aiutato (piuttosto ostacolato) la ripresa economica in nessuna delle maggiori economie capitaliste.

Quando Alesina e gli altri hanno pubblicato per la prima volta un documento a tal proposito, hanno calcolato che «gli aggiustamenti fiscali basati sui tagli alla spesa erano stati assi meno costosi, in termini di perdita di produzione, di quelli basi sull'aumento delle tasse. [...] gli aggiustamenti basati sulla spesa generavano recessioni assai piccole, con un impatto sulla crescita del prodotto non significativamente diversa da zero.» E «Le nostre conclusioni sembrano pertinenti a degli aggiustamenti fiscali sia prima che dopo la crisi finanziaria. Non possiamo respingere l'ipotesi secondo la quale gli effetti degli aggiustamenti fiscali, soprattutto in Europa nel 2009-13, siano stati indistinguibili da quelli precedenti».

Print Friendly, PDF & Email

contropiano2

“Il neoliberismo mina la riproduzione sociale”

Intervista a Nancy Fraser

Nancy Fraser è una filosofa e teorica femminista statunitense. Si è occupata di filosofia politica ed etica normativa. Insegna scienze politiche e sociali a New York. Ha scritto insieme a Axel Honneth “Redistribuzione o riconoscimento?” un importante testo di filosofia politica contemporanea. Di recente ha pubblicato insieme a Cinzia Arruzza e Tithi Bhattacharya Femminismo per il 99%. Un Manifesto (Laterza)

bhcklmyfygwbehjfkmvòega 480x300Innanzitutto grazie di essere con noi.

Grazie a voi.

 

Per iniziare, potresti dirci qualcosa riguardo al tuo percorso politico e intellettuale? Quali sono state le tue esperienze formative?

Certo. Sono una sessantottina, cresciuta a Baltimora, nel Maryland, che è una città in cui vigevano le leggi Jim Crow, leggi di segregazione razziale. L’esperienza politica formativa della mia gioventù è stata la battaglia per la desegregazione – che è un classico percorso della new left. Ho fatto parte del movimento per i diritti civili durante le scuole medie e superiori. All’università, bhe anche prima di iniziarla, ho partecipato al movimento contro la guerra in Vietnam, nell’ala di sinistra, anti imperialista, poi agli Studenti per una Società Democratica (SDS) ed infine il femminismo e così via. Durante questo percorso sono diventata una marxista non ortodossa e ho fatto attività politica per un po’ dopo aver terminato l’università. Poi ho deciso di tornare all’università per un dottorato in filosofia, ma ho portato con me la mia nuova visione di sinistra e devo dire che non penso che il mio impegno e i miei valori fondamentali siano cambiati dagli anni ‘60 ad oggi. Poi ho iniziato a lavorare sulla democrazia, i diritti sociali, il multiculturalismo, la redistribuzione, il riconoscimento, la critica al capitalismo, la teoria femminista, ecc.

 

Oggi sei a Bologna per presentare ‘Femminismo per il 99%: un manifesto’. Qual è lo scopo del manifesto e a chi è rivolto?

Penso che sia rivolto a un pubblico eterogeneo. Il caso più ovvio è rappresentato da chi è già coinvolto o interessato al femminismo e a quanti si stiano proponendo un cambio di direzione, una rottura con il femminismo liberale mainstream e una svolta verso un femminismo che sia davvero anticapitalista e di sinistra.

Print Friendly, PDF & Email

blackblog

Dalla fine del socialismo di Stato nel 1989 alla crisi del capitale mondiale nel 2009

di Robert Kurz

Introduzione alla nuova edizione del 2009 di Il Libro Nero del Capitalismo

bretonLa celebrazione di anniversari di eventi famosi è uno dei più noiosi obblighi della scena culturale borghese. Tuttavia, se l'anniversario fa riferimento ad argomenti e contesti controversi, dove c'è ben poco da celebrare, allora si preferisce ignorarlo. Quando venne pubblicato per la prima volta questo libro, nel 1999, allora, nel mondo ufficiale, si presumeva che avrebbe dovuto esserci qualcosa da festeggiare: il crollo del socialismo di Stato avveniva esattamente dieci anni prima. L'euforia per la vittoria, da parte dei guerrieri occidentali della Guerra Fredda, non si era ancora dissolta. La filosofia accademica aveva proclamato la «fine delle utopie», e lo scienziato politico americano, Francis Fukuyama, aveva proclamato la «fine della storia»; lo sviluppo dell'umanità avrebbe raggiunto il suo obiettivo, in quella che era l'eterna forma sociale dell'«economia di mercato e della democrazia». Da allora, il professorale marxismo residuale e la sinistra politica non avevano più smesso di abiurare; riconoscere il realismo compatibile con il Mercato era diventato una sorta di rituale. E la «rivoluzione neoliberista» sembrava imporre inarrestabilmente la nuova immagine umana che coincideva col personaggio del radicale del mercato. A quel tempo, l'economia capitalista globale si trovava al culmine di un vertice senza precedenti raggiunto in Borsa. I guru del management e gli analisti finanziari proclamavano una New Economy che si presumeva avrebbe superato tutte le precedenti teorie della scienza economica. In una situazione del genere, esisteva solo un modo di nuotare controcorrente rispetto a quello che era lo Spirito del Tempo: la coscienza dominante doveva essere messa di fronte alla sua completa cecità storica. Il mercato totalitario non conosce la storia, ma solamente l'eterno ritorno ciclico dello stesso. Quanto più il pensiero riesce ad immergersi nell'orizzonte temporale della logica di mercato, tanto più esso deve diventare incoerente.

Print Friendly, PDF & Email

economiaepolitica

Post-democrazia e fabbrica tecno-capitalista

di Lelio Demichelis

La crisi della democrazia è legata all’egemonia della tecnica nel capitalismo moderno. Solo ri-democratizzando l’impresa e la tecnica sarà possibile uscire dalla crisi politica dei nostri giorni

tecnocapitalismoLa democrazia politica è in crisi. Scriverlo è scrivere niente di nuovo. Ma la relazione di causa-effetto tra capitalismo e crisi della politica e della democrazia nasce non solo dal 2008 o dagli anni ‘70, ma dall’egemonia della tecnica come apparato/sistema tecnico integrato al capitalismo; dall’immaginario collettivo che questo tecno-capitalismo sa produrre; ma soprattutto dal fatto che la forma/norma tecnica (Anders[i]), è in sé e per sé a-democratica/antidemocratica ma tende a divenire forma/norma sociale e oggi anche politica.

Ovvero, il tecno-capitalismo confligge in premessa con la democrazia[ii]. E produce antidemocrazia.

 

Il populismo e la disruption tecno-capitalista della democrazia

Perché i populismi, fomentando la rabbia popolare contro caste ed élite (ma non contro le vere nuove caste/élite globali, quelle della Silicon Valley[iii]) in realtà sono il proseguimento dell’egemonia tecno-capitalista con altri mezzi, perché tutti i populismi al potere oggi sono neoliberali e insieme tecnici, nel sostenere questo modello di crescita. Perché se non deve esistere la società – obiettivo del neoliberalismo, ormai pienamente raggiunto – può essere invece utile al sistema creare il popolo: molto più attivabile e plasmabile, molto più bisognoso di un pastore o di un Capitano, molto meno riflessivo/responsabile, ma soprattutto funzionale a sostenere l’incessante disruption (il populismo incarnando esso stesso la disruption del demos) richiesta dal sistema.

Uno degli elementi del populismo, uno dei suoi usi politici infatti, è anche quello di ottenere la modernizzazione e di proseguire nella rivoluzione industriale mediante il ricorso alle figure della tradizione e dell’identità[iv], cioè a meccanismi/dispositivi di compensazione emotiva/identitaria utili a ristabilire (in apparenza) un certo equilibrio psichico individuale e sociale.

Print Friendly, PDF & Email

resistenze1

Economia della miseria

di Piero De Sanctis

658c7961f69fb5642a121b7f8e47a62f XLSulla rivista mensile de Le Scienze del febbraio scorso, il premio Nobel per l'economia del 2001, Joseph Stiglitz sostiene - nel suo lungo articolo Un'economia truccata - che negli ultimi 30-40 anni, nei paesi occidentali più sviluppati, si è raggiunto il più alto livello di diseguaglianza mai visto prima, non certo per «leggi di natura», ma per leggi economiche. «I mercati non esistono nel vuoto -afferma- ma sono plasmati da norme e regolamenti che possono essere progettati per favorire un gruppo a discapito di un altro. Il sistema economico è truccato dal predominio dell'alta finanza e dalle multinazionali ereditarie di cui lo stesso Trump fa parte… Nella maggior parte dei paesi avanzati - seguita Stiglitz - la diseguaglianza è cresciuta per fattori come la globalizzazione, il cambiamento tecnologico e il passaggio a un'economia di servizi, ma il suo aumento negli Stati Uniti è stato il più rapido, secondo il World Inequality Database. Questo perché sono state riscritte le regole per renderle più favorevoli ai ricchi e svantaggiose agli altri. Alle grandi aziende è stato permesso di esercitare maggiore potere sul mercato, ma l'influenza dei lavoratori è diminuita. Tassazione e altre scelte politiche hanno favorito i ricchi».

«I difensori della diseguaglianza hanno una spiegazione pronta: fanno riferimento al funzionamento di un mercato competitivo in cui le leggi di domanda e offerta determinano salari, prezzi e persino i tassi di interesse. Forse questa storiella alleviava i sensi di colpa di chi era al vertice e convinceva gli altri ad accettare la situazione. Ma il momento cruciale cha ha rivelato questa menzogna è stata la crisi del 2008, in cui gli stessi banchieri che hanno portato l'economia globale sull'orlo del baratro con prestiti predatori, manipolazione dei mercati e altre pratiche antisociali, ne sono riusciti con bonus milionari, mentre milioni di statunitensi perdevano lavoro e casa,e decine milioni di persone in tutto il mondo capitalistico soffrivano per causa loro. Nessuno di questi banchieri ha dovuto rendere conto delle sue malefatte».

Print Friendly, PDF & Email

sinistra

Impero

di Salvatore Bravo

51lGMeaLFEL. SX346 BO1204203200 In Impero di Toni Negri vi è l’analisi della condizione presente del capitalismo assoluto; la “rete capitale” è un’invisibile gabbia d’acciaio, il suddito vive la sussunzione formale e materiale, in media, senza percepirne l’onnipresenza. La rete del capitale produce ininterrottamente merci, astrae materie prime, ma il potere è creatura prometeica e demiurgica, nello stesso tempo produce, con lo stesso ritmo, merci e coscienze. Il potere è biopotere che predetermina la vita, la gabbia d’acciaio è il trascendentale, il potere censura linguaggi, stabilisce gerarchie, attraverso le sue maglie filtra un modo di essere e di esserci prestabilito, il tempo presente con i suoi stili di vita è così eternizzato. La guerra è il mezzo attraverso cui l’impero risolve le contraddizioni, essa diviene la condizione quotidiana in cui ogni contradizione ed alterità è assimilata al male “reductio ad Hitlerum” è la legge che prepara l’eliminazione/assimilazione in nome delle libertà, dei diritti civili. Si combatte il male in nome del bene, dei diritti umani, pertanto i bombardamenti umanitari sono necessari perché il bene trionfi, la crisi è la normalità dell’impero, una tattica di governo per rafforzare l’impero, per tenere in tensione i sudditi, per farli sentire, senza capire, che abitano nella parte giusta, che sono l’impero del bene in perenne lotta contro il male1 :

C’è qualcosa di inquietante in questa rinnovata attenzione per il concetto per il concetto di justum bellum che la modernità o meglio, la moderna secolarizzazione ha ostinatamente cercato di sradicare dalla tradizione medioevale. Il concetto tradizionale di guerra giusta comporta la banalizzazione della guerra e la sua valorizzazione come strumento etico: due assunti risolutamente respinti dal pensiero politico moderno e dalla comunità degli stati-nazione. Queste tradizionali caratteristiche sono invece riapparse nel nostro mondo postmoderno: da un lato, la guerra viene ridotta ad un intervento di polizia internazionale e, dall’altro, viene sacralizzato il nuovo tipo di potere che può legittimamente esercitare funzioni etiche mediante la guerra. (…) La guerra è divenuta un atto che si giustifica da sé.

Print Friendly, PDF & Email

Coordinamenta2

Il corpo: innatismo e materialismo

di Elisabetta Teghil

due bis“E’ maschio o femmina? lo deciderà lo Stato!”
(dal film Louise Michel- Francia 2009)

Che la lettura di classe, da sola, non sia sufficiente a leggere la società e, in particolare, la specificità delle questioni di genere, la cui caratteristica precipua è la trasversalità, non solo è condivisibile, ma è patrimonio del movimento femminista.

Ma è importante partire da questo dato perché, intorno al tema, c’è molta confusione e sottovalutandolo, non solo ci neghiamo una chiave di lettura, ma, anche e soprattutto è imprescindibile nell’odierna agenda politica delle nostre lotte.

L’uso dell’emancipazione come fine e non come mezzo, nella visione femminista socialdemocratica, ha annullato l’orizzonte della libertà, la strumentalizzazione delle diversità è stata uno dei veicoli attraverso i quali sono state promosse le guerre umanitarie, la tutela delle differenze sessuali, con una lettura asimmetrica, viene “scoperta” solo in paesi non allineati all’occidente, per cui si è arrivati al paradosso tragico, che se circola in rete il blog di una lesbica di un certo paese che denuncia persecuzione, siamo sicure che quel paese è nell’elenco dei paesi da invadere.

La generalizzazione del principio della cooptazione di persone provenienti da ceti, etnie, ambienti oppressi che, in cambio della loro personale promozione sociale, contribuiscono all’oppressione dei gruppi di provenienza e degli oppressi/e tutti/e, ha avuto la sua manifestazione più eclatante nella nomina di un presidente nero negli Stati Uniti, tra l’altro già decisa a tavolino nel 2002, mentre i neri/e d’America che sono il 12% degli americani tutti, in carcere rappresentano il 50% dei detenuti/e.

In questo quadro il pinkwashing è l’emblema delle democrazie sessuali occidentali.

Print Friendly, PDF & Email

effimera

Il capitalismo di sorveglianza

di Géraldine Delacroix

capitalismo della sorveglianza 0Una recensione-conversazione a cura di Géraldine Delacroix con l’economista Shoshana Zuboff sul suo nuovo libro The age of surveillance capitalisme. The Fight For a Human Future at the New Frontier of Power (Profile Books Ltd, 2019). È stata pubblicata il 2 marzo 2019 su Médiapart. La traduzione in italiano è di Salvatore Palidda.

Il capitalismo di sorveglianza è il fondamento di un nuovo ordine economico. Le imprese del capitalismo di sorveglianza competono nella produzione di “prodotti di predizione”, scambiati in lucrosi nuovi mercati di “comportamenti futuri”. Le architetture digitali del capitalismo di sorveglianza – quelle che Shoshana Zuboff chiama “Big Other” – sono progettate per catturare e controllare il comportamento umano per un vantaggio competitivo in questi nuovi mercati, poiché la produzione di beni e servizi è subordinata a un nuovo “mezzo di modifica dei comportamenti” che favorisce i risultati del mercato privato, svincolato da ogni supervisione o controllo democratico. Per chi fosse interessato ad approfondire, Shoshana Zuboff, professoressa di Harvard Business School, parla qui, in una recente conferenza, del suo nuovo libro.

* * * *

Per l’economista Shoshana Zuboff, il cui libro The Age of Capitalism of Surveillance è appena apparso negli Stati Uniti, il pericolo rappresentato dai giganti del web è molto maggiore di quanto generalmente si pensi. Intercettando i dati personali per modificare a loro insaputa il comportamento dei loro utenti, minacciano la democrazia stessa. Appropriatisi dei nostri dati personali, gli imprenditori del “capitalismo di sorveglianza” mettono in pericolo niente meno che la democrazia manipolando il nostro libero arbitrio. Tale è la tesi difesa da Shoshana Zuboff in questo ampio volume appena pubblicato.

Il capitalismo è entrato in una nuova era, spiega l’autrice e, per capirlo e combatterlo, dovremo indossare nuovi occhiali, perché i vecchi non operano più di fronte a un cambiamento così radicale e così veloce – una rivoluzione avvenuta in meno di venti anni. Un “nuovo pianeta”, una situazione “senza precedenti” che si sarebbe sbagliato pensare sia una semplice continuazione del passato.

Print Friendly, PDF & Email

sollevazione2

Blockchain: un'arma del sistema neoliberale

L'agenda digitale, ossia il panopticon neoliberale

di Bazaar

Bazaar scrive: «La tecnica non è neutrale: nasce sociopoliticamente orientata per raggiungere gli obiettivi di chi ne finanzia lo sviluppo e la diffusione». A partire da questo enunciato il nostro spiega cosa sia davvero la blockchain ed a quali interessi sia funzionale, quindi la visione del mondo che ci sia dietro. Un’indagine preziosa, costata tanta fatica e che dunque merita venga letta e diffusa

1 4MMvdfevfBa3r V4BYd4Q«La Camera dei deputati del Parlamento italiano ha approvato il cosiddetto “decreto semplificazioni” che contiene le definizioni legali di blockchain, o meglio, “tecnologie basate su registri distribuiti” (DLT) e degli smart contract, con le relative linee guida.» cryptonomist.ch

1. L’agenda digitale presenta sé stessa, come ogni programma di riforme sociostrutturali neoliberiste, come una forma di progresso tecnologico che semplificherà la vita dei cittadini, pardon: utenti.

Questa “agenda” è un documento programmatico che va ideologicamente inquadrato in quell’ambito di provvedimenti volti alla privatizzazione dello Stato e al controllo totalitario del lavoro e di tutte le attività e funzioni in cui l’individuo sviluppa la propria personalità; ovvero, l’agenda digitale è un’agenda politica.

Inquadriamo innanzitutto il fenomeno della digitalizzazione nell’ambito privato.

La secolare propaganda del progressismo liberale – trita e ritrita – si presenta sempre con i medesimi ideologemi:

a) Il progresso scientifico permette a tutti di vivere da borghesi benestanti (e se voi invece no – ça va sans dire – è perché non meritate).

Chi riceve il messaggio dà così per scontato che il consumo di massa non abbia a che fare con particolari scelte politiche e che, a loro volta, queste scelte abbiano a che fare con lotte tra classi o durissime dialettiche tra sezioni del medesimo ceto, tra gruppi d’interesse.

I consumi di massa possono essere ottenuti e mantenuti in almeno due modi che possono avere risvolti politici e sociali contrapposti:

(I) vengono aumentati i salari in modo che la domanda aggregata cresca (tutti i lavoratori diventano mediamente più ricchi e possono comprare beni volti a migliorare la qualità della loro vita).