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sinistra

Una dissidenza dissennata dissipa il dissenso

di Luca Busca

blu ericailcane octopus mural 0La batosta elettorale “balneare” del 25 settembre scorso non ha insegnato nulla alle forze antisistema. Invece di approfittare dell’assenza di impegni istituzionali, causata dalla mancata elezione di anche un singolo rappresentante, per lavorare sui propri errori ed elaborare una proposta politica strutturata realmente antagonista, l’Intellighenzia dell’unica opposizione al neoliberismo ha perseverato nel tentativo di suicidio. I risultati di questo tenace lavoro sono stati resi ancor più palesi dalla tornata “sanremese”, che ha fatto registrare il record storico di astensione dal voto per le regionali. Primato, questo, che l’astensionismo ha condiviso con il festival della canzone italiana e con il Centrodestra, entrambi protagonisti di memorabili performance di ascolto, il primo in televisione il secondo alle urne. Peccato, però, che gli ultimi due abbiano registrato un miglioramento solo per quanto riguarda lo share ma non per il numero reale di partecipanti, televisivi e votanti.

L’impegno autolesionista profuso dalla dissidenza risulta ancor più evidente dai risultati ottenuti nelle principali battaglie promosse. A un anno dal suo inizio, la guerra con i suoi crimini e con le sue morti prospera come non mai, non si parla più di pace ma solo di vittoria.

Il Covid-19 è scomparso dalla scena non appena è stata interrotta “l’infodemia” mainstream lasciando solo una minoranza di complottisti terrorizzati dell’ultima ora nella convinzione che “tanto non ci dicono tutto, ma è ancora pieno di casi di Covid!”. Nel frattempo le reazioni avverse e le morti improvvise aumentano a dismisura, senza che nessuno si prenda la briga di curare, indagare, rimediare o anche più semplicemente chiedere scusa. Al contrario, con l’arroganza tipica del potere, gli errori, le discriminazioni, le coercizioni sono stati dichiarati legittimi, costituzionali e pronti ad essere reiterati alla prossima occasione.

L’Agenda Draghi con le sue privatizzazioni e con la devastazione della Sanità e della Scuola è più viva che mai anche con la Meloni alla Presidenza del Consiglio, sempre più atlantista ed europeista. Il governo, infatti, in ottemperanza ai dettami del precedente Messia di Palazzo Chigi e dei suoi Padri internazionali, ha continuato a spendere miliardi per finanziare una guerra insulsa e le conseguenze di sanzioni autolesioniste sottraendo fondi al reddito di cittadinanza, al 110%, alla Sanità e all’Istruzione.

In questo quadro desolante la vasta area di dissidenza, nata in contrapposizione alla gestione delirante della pandemia e all’entrata in guerra contro la Russia, ha deciso di perdere definitivamente il senno inseguendo immaginari complotti. Così, invece di lavorare ad una proposta politica antagonista e a un programma di lotta organizzata, questa opposizione ha preferito stilare un decalogo comportamentale facilmente rintracciabile sui social, da Telegram al famigerato regno della censura: Facebook. Il programma del dissidente moderno si articola in sette punti fondamentali:

  1. Non mangio insetti
  2. Non compro auto elettriche
  3. Non mi vaccino
  4. Non uso la carta di credito
  5. Esistono solo il maschio e la femmina
  6. Basta con la guerra
  7. Non guardo Sanremo

A parte gli ultimi due punti facilmente condivisibili, il resto è un’evidente conseguenza della perdita di coscienza politica. Fattore che favorisce il regime e dissipa il dissenso.

 

1. Non mangiare insetti, se frutto di una particolare patologia o allergia, è più che giustificato, farne un punto di un programma politico non ha senso. L’uomo mangia insetti da sempre e alcuni di essi costituiscono un ingrediente di ricette prelibate. I Gasteropodi, terrestri e marini, siano essi mangiati come escargot, lumache di mare o patelle, sono prelibati così come i molluschi bivalva, cozze, vongole e telline, le temibili cavallette in mare prendono le sembianze di gambero, scampo, mentre i ragni diventano granchi, aragoste e astici.

Tornando sulla terra, rifiutare l’offerta di un grillo fritto in Messico comporta una bruttissima figura con il proprio ospite, in quanto questa rappresenta un segno di amicizia. Declinare invece quella di formiche, sempre fritte, in Madagascar non implica gravi conseguenze se non quella di passare da stupidi per aver banalmente rifiutato del cibo. Non mangiare insetti, raccolti in terra o pescati in mare, sicuramente non apporta alcun beneficio alla lotta contro l’industrializzazione del cibo. Inoltre, la salute personale e l’ambiente vengono danneggiati maggiormente dall’assunzione di pollo da allevamento intensivo carico di ormoni piuttosto che da un piatto di escargot raccolte al parco dopo una giornata primaverile di pioggia.

2. Non comprare auto elettriche può essere una scelta personale ma, se avete la possibilità di installare un paio di pannelli solari, rinunciare a una forma di risparmio notevole, non fa del sacrificio un atto eroico né geniale. Se invece si predilige la bicicletta “muscolare” ci si guadagna in salute e l’auto diventa inutile. L’avversione alla mobilità elettrica sta sostituendo, nell’immaginario dissidente, il grande complotto delle scie chimiche, che aveva alimentato, nonostante lo contraddicesse implicitamente, il negazionismo dell’origine antropica dei cambiamenti climatici. Come se l’Antropocene fosse determinato esclusivamente dalla presenza della CO2 nell’atmosfera e non dal depauperamento delle risorse naturali, dalla devastazione dei territori, dall’inquinamento dei mari, dall’industrializzazione delle attività agricole, etc. etc. etc.

3. Anche il non vaccinarsi è una scelta individuale da stimare, non è però un’espressione di dissenso. Non vaccinarsi per preconcetto in nome di un aprioristico rifiuto dottrinale costituisce un atto dogmatico pari a quello dell’obbligo vaccinale. Quella che va salvaguardata è la libertà di scelta della cura e non l’imposizione della propria soluzione. In secondo luogo è necessario, per chi dissente, un livello alto di coscienza in merito alle conseguenze che le politiche sanitarie sbagliate possono determinare. Il dissenso non può limitarsi a contrastare la vaccinazione compulsiva senza comprendere cause ed effetti di tale scelta. Nello specifico va osservato che il Covid-19 ha causato circa 187 mila decessi in tre anni. Nello stesso periodo sono circa 550 mila le persone morte di tumore. Il dato è approssimativo e sicuramente il divario di mortalità tra le due patologie è ancora maggiore in virtù del fatto che, come ha riconosciuto il sicuramente non Novax Prof. Andrea Crisanti, al Covid-19 sono stati attribuiti molti decessi di persone già ricoverete per altre patologie, tra cui sicuramente alcuni malati oncologici terminali.

A causa della pessima gestione della pandemia la diagnostica ha subito ritardi mostruosi e, nelle neoplasie un mese può fare la differenza tra la vita e la morte. In questi tre anni tutte le risorse finanziarie sono state destinate alla ricerca di un vaccino che si è rivelato inefficace e dannoso. L’acquisto sconsiderato di quantitativi massicci di esso ha determinato la perdita, solo in Italia, di due miliardi di euro per dosi che risultano ormai scadute e tre per ottemperare ai contratti preventivi stipulati in Europa per la fornitura futura di vaccini. Nel frattempo la sanità pubblica è stata ulteriormente penalizzata con minori finanziamenti, riduzioni di personale, esternalizzazione dei servizi, sospensione e demansionamento del personale non vaccinato, anche nel caso di esenzione dall’inoculo.

I tumori, però, non si possono curare con farmaci omeopatici, fitoterapici e sciamanici, sicuramente molto efficaci nei confronti di tante altre patologie. Molte neoplasie hanno origine da mutazioni genetiche che necessitano di lunghe, impegnative e costose ricerche per l’elaborazione di farmaci particolari in grado di ridurre i devastanti effetti avversi delle classiche chemioterapie. Il pensare di affrontare questa battaglia armati di “tachipirina e vigile attesa” in un caso o di “mio cugino è guarito dal tumore con i fiori di bach”, nell’altro, è semplicemente demenziale. Quello che è successo con il Covid-19 è stato l’ennesimo passo in avanti nella privatizzazione della Sanità e, soprattutto, delle cure. Una terapia oncologica biologica costa dai tre ai dodicimila euro al mese, una tac total body dai quattro agli ottocento euro. Continuando così la differenza tra la vita e la morte sarà data dal reddito a disposizione del malato.

La questione, quindi, non è se vaccinarsi o meno, che deve restare una libera scelta del singolo, ma riconquistare una istituzione sanitaria, una ricerca scientifica e una gestione della cura che siano pubbliche, trasparenti, condivise e accessibili a tutti. Possibilmente pagate da una tassazione realmente progressiva.

4. Non usare la carta di credito è un’altra scelta privata da rispettare in quanto tale ma di scarsa utilità. Il consumatore ha anche il vantaggio di posticipare il pagamento reale, mentre il negoziante lo svantaggio di pagare le commissioni. L’uso del contante comporta dei rischi quali la perdita e il furto dello stesso, e non cambia nulla per ciò che riguarda l’evasione fiscale, che si svolge su canali diversi con fatturazioni alquanto discutibili, spostamenti di sede, elusione, finanziarizzazione dell’economia reale, etc.

D’altro canto utilizzare banconote non restituisce nulla in merito al tracciamento delle operazioni e alla riappropriazione della moneta. Nel primo caso, qualsiasi sia la provenienza del contante ormai questa ha un’origine digitale (bancomat o prelievo) e quindi rintracciabile. Le transazioni secondarie sono irrilevanti da un punto di vista quantitativo, a meno che non abbiate un conto in un paradiso fiscale, caso che risolve però anche il problema dell’utilizzo del contante mediante le “fatturazioni discutibili” di cui sopra. Riappropriarsi della moneta è invece un discorso completamente diverso e presuppone un controllo diretto sull’emissione della stessa sia essa cartacea, elettronica o frutto di una certificazione di debito.

5. Il bisogno di ritrovare punti di riferimento stabili ha provocato nell’area del dissenso una voglia di ritorno al passato, alle certezze che solo l’illusione del tempo rende apparentemente salde. L’incertezza del presente e la paura del futuro rendono plausibili le falsità del passato. Così le religioni, con le loro chiese e i loro peccati tutt’altro che veniali, acquisiscono una nuova credibilità. A farne le spese sono quelle minoranze che, solo per il fatto di essere difese dalle nuove maggioranze, finiscono per essere identificate con l’ennesimo complotto.

Così il tema ricorrente è: “Dio ha creato l’uomo e la donna, solo due generi, nient’altro. Questo è un dato di fatto.” Quando la dissidenza si infarcisce di “fede”, di “credenze”, di “dogmi” inclusi quelli scientifici, diventa difficile rendere palese il fatto che dio, anche a condizione di sapere quale, non ha creato nulla. Da un paio di secoli, infatti, si può dare per accertato che l’uomo è frutto di un lento processo evolutivo in cui l’omosessualità, e con essa la “confusione” sessuale, è presente da ancor prima che l’homo pretendesse di essere sapiens.

Scimmie, lupi, cani, e generalmente tutti quei mammiferi che vivono in branco, comprendono soggetti omosessuali all’interno della propria comunità. Soggetti dal “sesso confuso” che svolgono una precisa funzione all’interno del gruppo. L’uomo fa parte di questa categoria di mammiferi ma in tempi recenti, appena quattromila anni sugli oltre centomila di esistenza del Sapiens, ha deciso di perseguitare questi individui e la loro sessualità non binaria. Ora con la parziale (e sì in alcuni paesi l’omosessualità è ancora un reato) riduzione della discriminazione, i soggetti dal “sesso confuso” emergono dall’ombra in cui erano stati schiacciati per millenni. Trattasi non di un complotto bensì di un’occasione concreta perché vengano riconosciuti finalmente alcuni diritti civili. Negarli autorizza implicitamente il regime vigente ad adottare persecuzioni nei confronti di altre minoranze, come accaduto con i No green pass, No vax, la cultura russa, i lavoratori non vaccinati e i sindacalisti che hanno osato difenderli.

6. Dire no alla guerra è sacrosanto ma ad una sola condizione: il no deve riguardare ogni forma di guerra. Essere contro la Nato ma a favore di Putin, o viceversa, non significa essere contrari alla guerra ma semplicemente scegliere una parte e favorire così il conflitto bellico. Optare per quello che viene considerato il male minore non risolve il problema, allunga solo i tempi che è proprio ciò che vuole chi gestisce la guerra. Tolstoj disse “come non si può spegnere il fuoco con il fuoco, né asciugare l’acqua con l’acqua, così non si può eliminare la violenza con la violenza.” Alla guerra ci si può opporre solo con la Pace. Tolstoj era russo.

7. Non guardare Sanremo, soprattutto ma non solo, quando diventa spettacolarizzazione della guerra è un atto dovuto. Trovare tutta la musica giovanile indegna e inascoltabile è invece solo un misero segno di vecchiaia. Ci siamo passati tutti, difficile che ai genitori piacesse la musica dei figli per il semplice fatto che, come tutte le espressioni artistiche è figlia del proprio tempo, brutto o bello che sia il periodo e di conseguenza la musica. In genere una sinfonia, una melodia, un brano assurgono ad arte universale solo dopo qualche tempo dalla morte dell’artista, proprio perché il concetto di universalità necessita dell’astrazione dal contesto storico. Fattore questo che da un lato rende “sublime” l’espressione artistica, dall’altro poco attraente agli occhi giovanili di chi è ancora attore del momento storico.

 

Recuperare il senno della dissidenza per aggregare il dissenso

La perdita di senno della dissidenza è resa palese dalla difficoltà a ricondurre a una stessa causa tutti e sette i punti poco programmatici della lotta antisistema. Questi, infatti, non sono originati da chi sa quali complotti orditi da lobby massoniche occulte, ma hanno un solo e palese scopo: l’autoconservazione dello status quo. Attualmente l’1% della popolazione mondiale ha in mano una ricchezza equivalente al 99% degli individui rimanenti e con essa il 100% del potere politico e il controllo dei media mainstream. Ogni provvedimento politico, ogni campagna mediatica, ogni promozione culturale hanno come fine ultimo la conservazione di questa concentrazione di poteri, non la creazione di un complotto a danno dei “consumatori”.

  1. L’approvazione europea delle farine di insetti ha come meta l’ampliamento dell’industrializzazione del settore alimentare. Un po’ come avvenuto con la codifica dei prodotti biologici, nei quali la chimica di sintesi non può entrare nella coltivazione ma è consentita nell’elaborazione. Il nemico non è quindi il “prodotto”, cioè la scelta dell’insetto, ma il “modo di produzione”, cioè l’industrializzazione dell’alimentazione necessaria alla concentrazione del profitto che ne deriva.
  2. Stesso discorso per l’auto elettrica e le scie chimiche, la mobilità elettrica è un’ottima soluzione per ridurre l’inquinamento da gas di scarico, ma se il “modo di produzione” resta lo stesso di quello a combustibili fossili, non cambia nulla. Se ognuno continua a viaggiare individualmente su pneumatici e con freni che producono polveri sottili, se le auto consumano corrente prodotta con combustibili fossili e soprattutto se, per essere sostenibile economicamente, le aziende devono continuare a vendere due milioni di “pezzi” all’anno solo in Italia, traffico e inquinamento non faranno che peggiorare.
  3. Anche la delirante gestione della pandemia risponde ai requisiti richiesti dall’economia di mercato. I vaccini in genere non vantano caratteristiche così disastrose come quelle evidenziate dagli esperimenti mRna. Un vaccino sperimentato nella maniera dovuta, che non produce reazioni avverse e immunizza realmente dalla patologia, è una risorsa importante nella prevenzione di specifiche malattie. Se invece questo diventa un “prodotto” da vendere per aumentare il fatturato delle case farmaceutiche, scatena conseguenze drammatiche. L’obbligo vaccinale, come tutte le imposizioni, genera conflitti sociali. La mancata sperimentazione causa gravi reazioni avverse e la negazione delle stesse per non inficiare la “vendita” del “prodotto”. Per battere la concorrenza commerciale di altre tipologie di cure la “scienza” viene ridotta a dogma atto a privilegiare l’interesse privato delle aziende a discapito di quello comune della salute pubblica.
  4. La lotta al contante e la carta di credito, invece, sono solo armi di distrazione di massa. Quello che interessa è unicamente il guadagno che le banche ottengono dalle commissioni su ogni transazione di denaro. Il sistema bancario, perennemente sull’orlo del baratro, si regge su questa forma di furto. Per riappropriarsi della moneta l’unica via possibile è quella di riconquistare la sovranità popolare, come previsto dall’Art. 1 della Costituzione, e attraverso di essa controllare l’emissione. L’establishment economico e politico non aggredisce né controlla il consumatore per chissà quale fine occulto, svolge queste funzioni nei confronti della moneta al fine di perpetrare l’accumulazione infinita di capitale.
  5. La promozione della cultura transgender è solo una delle tante forme di pubblicità per istigare al consumismo. Un single, ancor meglio se bisognoso di interventi di chirurgia plastica, cure estetiche, e abbigliamento costoso e appariscente, spende in inutili beni di consumo molto più di una famiglia con figli. Un single LGBTQ+ tende a non avere figli e, quando decide di avventurarsi nella battaglia necessaria per ottenerlo, può farlo solo a condizione di avere un ingente patrimonio. Questo rende la categoria molto meno bisognosa di quei servizi pubblici, come la scuola e la salute pediatrica, difficili da privatizzare e che tante risorse tolgono al sostegno delle grandi aziende. Risulta evidente quindi che la cultura transgender non ha come scopo il “transumanesimo” finalizzato ad uno oscuro complotto massonico. È solo un’arma di distrazione di massa per convogliare il consenso elettorale nei due finti schieramenti politici posti a difesa dello status quo. Da un lato si difendono i diritti civili della minoranza di turno, salvo poi esercitare forme di coercizione inaudite nei confronti di quelle novax e russe. Dall’altro si preservano gli ideali di “Dio, Patria e Famiglia”, ovviamente a condizione che il dio e la famiglia rientrino nei confini della patria e, inoltre, che la forma della famiglia rientri nella ristretta cerchia delle “creature” del dio prescelto dalla maggioranza residente nella patria. Quindi la minoranza dei migranti può affogare tranquillamente nel Mediterraneo e la comunità LGBTQ+ deve farsi curare, preferibilmente da un’abile esorcista.
  6. Le guerre, è ormai inutile ripeterlo, “sono fatte da persone che si uccidono senza conoscersi, per gli interessi di persone che si conoscono ma non si uccidono.”* Senza questi interessi “privati” le ragioni dei conflitti verrebbero meno in quanto ogni guerra lede l’interesse comune per mezzo della morte e della distruzione del patrimonio collettivo. Solo i produttori e i venditori di armi traggono vantaggio immediato dalle operazioni belliche e solo quei pochi, tra i vincitori, che potranno appropriarsi delle risorse altrui otterranno benefici alla fine dello scontro.
  7. Il festival di Sanremo nasce nel 1951 con lo scopo preciso di promuovere la canzonetta italiana, in modo da non disturbare la produzione e la distribuzione dei prodotti americani ed inglesi gestiti dalla major discografiche. Valga per tutte le edizioni precedenti e seguenti l’esempio di Vasco Rossi che, con “Vita spericolata”, arrivò penultimo all’edizione del Festival del 1983. La canzone divenne poi un successo enorme e vendette molto più di tutte le altre presenti nella stessa edizione. Ma il “Blasco” faceva rock e all’epoca questo costituiva una pericolosa concorrenza ai prodotti internazionali. Il “modo di produzione” sanremese era strutturato in maniera da non intralciare il flusso del mercato. Ora che il settore discografico è defunto, piuttosto che liberare la creatività musicale italiana, peraltro molto viva e spumeggiante, il modo di produzione sanremese impone invece un modello culturale più idoneo ad assopire la coscienza popolare.

Se tutti e sette i punti programmatici della dissidenza attuale hanno un’unica causa è evidente che esiste un solo nemico. La perdita di coscienza politica, ovvero di senno, porta alla cecità nei confronti della struttura, della conformazione dei mezzi e dei modi di produzione, degli scopi, degli obiettivi che questo nemico si prefigge al fine di conservare se stesso e il proprio potere.

La separazione del lavoro, la specializzazione sempre più esasperata, le competenze sempre più specifiche, producono quella “ignoranza” generalizzata che incombe su tutte le categorie sociali a prescindere dal livello di istruzione. La mancanza della visione d’insieme, che coinvolge anche gli iper- specializzati ultra laureati, stimola la predisposizione alla delega del “savoir faire” ai singoli esperti dei diversi settori. La delega, inclusa quella politica, produce quelle tecnocrazie che attualmente governano i molti aspetti della vita sia sociale sia privata, togliendo alla cittadinanza la propria sovranità.

La pandemia ha rappresentato un esempio eclatante di questo costante ricorso alla delega anche da parte delle maggiori autorità istituzionali del paese. Quindici giudici della Corte Costituzionale, cioè la massima competenza disponibile in materia di diritto, hanno delegato alla scienza dogmatica la responsabilità della decisione, tutta politica, di legittimare l’obbligo di un vaccino che non immunizza. Anche l’invio di armi in Ucraina, nonostante il parere contrario della maggior parte degli italiani testimonia come la tecnocrazia della delega sia perfettamente in grado di privare il popolo della propria legittima sovranità.

Questo sistema tecnocratico, tra specializzazione, creazione delle competenze, condizionamento delle masse, orientamento delle deleghe, controllo dell’informazione, della ricerca e della cultura ha costi mostruosi che possono essere sostenuti solo da grandi capitali. Risorse detenute da meno dell’uno per cento della popolazione mondiale a discapito del restante novantanove. Ragion per cui questo sistema per sopravvivere ha bisogno di accentrare nelle mani di pochi capitali sempre maggiori. Il processo innesca contemporaneamente anche quello di concentrazione del potere politico.

Risulta chiaro che, se tutte le incongruenze, o meglio gli antagonismi al benessere comune, dipendono dall’attuale sistema economico, il nemico contro cui scagliarsi non sono certo gli insetti, le auto elettriche, il vaccino, la carta di credito, la comunità LGBTQ+ o il Festival di Sanremo, ma il Mercatismo o Neoliberismo che dir si voglia. La controparte con cui confrontarsi è quell’1% che gestisce questo sistema e attraverso il potere economico controlla facilmente quello politico delle post­democrazie e degli stati totalitari.

Per combattere contro una forza di tali proporzioni non servono inutili complottismi e superflui negazionismi indotti dallo stesso potere per frammentare il dissenso, occorre costruire un’alternativa al sistema vigente fondato sulla rimozione della sovranità popolare. Le tecnocrazie controllate dal capitale, pur nascendo come fenomeno economico, sono essenzialmente un problema politico, risolvibile con la riappropriazione popolare della propria sovranità.

 

Utilizzare il senno della dissidenza per strutturare il dissenso

La democrazia rappresentativa ha palesemente fallito il compito di onorare l’art. 1 della Costituzione, anzi si è dimostrata lo strumento più efficiente per la gestione delle tecnocrazie. La manipolazione culturale esercitata per mezzo della specializzazione e delle competenze specifiche è, infatti, riuscita a silenziare ogni forma di dissenso mediante la creazione di una vasta area di consenso, supino e moderato grazie alla paura instillata da eventi creati o gonfiati all’uopo. Sacche di dissenso dissennato si costituiscono solo di fronte a evidenti circostanze di coercizione e discriminazione, come nel caso del green pass. Dissenso che muore non appena la coercizione viene rimossa, per la totale mancanza di coscienza politica in merito alla genesi e allo scopo di quella coercizione. Assenza questa che dà luogo alle improvvisazioni politiche contro la commestibilità degli insetti, la mobilità elettrica, qualsiasi tipo di vaccinazione, la carta di credito e la “confusione” sessuale.

Di contro, un governo totalitario tende ad utilizzare la coercizione per limitare le libertà, personali e collettive, e per cancellare la sovranità popolare. Questo modo di agire causa una separazione più netta tra chi beneficia dell’interesse particolare promosso dall’oligarchia al potere e chi, invece, ne subisce le conseguenze. Negli oppressi si viene così a costituire un dissenso più strutturato da un punto di vista politico, spesso utilizzato dall’Occidente libero e democratico per rovesciare i governi di paesi sovrani non graditi ai propri oligarchi “democratici”. Quando le rivolte arcobaleno, i golpe o le missioni di “pace” organizzate allo scopo, hanno successo, il nuovo stato viene generalmente indirizzato verso il sistema rappresentativo della post-democrazia. Il popolo, così, può passare dalla coercizione in padella a quella alla brace!

Spesso questi esperimenti di ingegneria sociale falliscono miseramente per via delle manifeste differenze culturali, come nel caso della Libia, dell’Afghanistan, dell’Iraq, del Vietnam, etc. La cura quindi non può essere, in qualsiasi paese, regione o comunità del mondo, la sostituzione di un regime con un altro ugualmente asservito al Mercatismo. La soluzione risiede nella strutturazione di una proposta politica antagonista che tenga conto del contesto culturale in cui pretende di essere applicata. Tema questo che dovrebbe divenire centrale nel dibattito di una dissidenza assennata, se questa ha l’ambizione di sopravvivere oltre la durata della singola forma di coercizione, esercitata dal regime vigente, che innesca il dissenso.

Se il totalitarismo e la democrazia rappresentativa hanno fallito ed entrambi i sistemi hanno finito per generare oligarchie economiche e politiche sempre più ristrette, le alternative percorribili diventano davvero esigue. Defenestrare l’attuale un per cento che detiene il potere reale e sostituirlo con un altro un per cento, anche se diverso, non cambierebbe la sostanza delle cose. Si passerebbe solo da un interesse particolare a un altro. La nuova oligarchia tenderebbe a ripetere le mosse di quella precedente, peraltro dimostratasi molto efficiente, per promuovere il processo di concentrazione del capitale e del conseguente potere politico ad essa necessari per sopravvivere.

L’unico modo per restituire la sovranità al popolo diventa quindi la democrazia diretta delle municipalità, abbinata a quella indiretta, sotto stretto vincolo di mandato, per i consigli confederati regionali, nazionali e internazionali. Ovviamente non si parla delle favolette del M5S o altri perditempo, gli esempi concreti non mancano di certo: il Municipalismo di Murray Bookchin, realizzato dalle comunità Curde del Rojava con il loro confederalismo democratico; l’organizzazione del Movimento Zapatista; quella dei Social Forum di inizio millennio; l’inversione di potere.

Ma da sola la democrazia diretta non basta. Per formulare una proposta politica strutturata antagonista al Mercatismo, serve anche un sistema economico in grado di provvedere al sostentamento dell’umanità, senza compromettere l’equilibrio naturale dell’unico pianeta attualmente a disposizione. Anche in questo caso l’attuale organizzazione, capitalista, neoliberista o mercatista che dir si voglia, ha dimostrato di essere fallimentare in virtù dell’incompatibilità tra la crescita economica infinita e la finitezza delle risorse a disposizione. Imparando dagli errori del passato, senza perdere di vista il processo evolutivo, è facile trovare delle soluzioni.

Molte forme di ambientalismo, anche non funzionali al sistema, propendono spesso per una regressione, una “decrescita”, che riconduca l’uomo a precedenti modi di produzione caratterizzati da un minore impatto ambientale e un più contenuto utilizzo di risorse. Una proposta politica di questo genere non ha alcuna possibilità di attecchire in nessuna zona del mondo e in nessuna classe sociale, perché tende a togliere a molti i benefici acquisiti senza redistribuire alcunché ai più disagiati. In secondo luogo un ritorno al passato difficilmente consentirebbe il risanamento dei danni causati dal Capitalismo prima e dal Mercatismo dopo.

Il problema principale è costituito dal fatto che per progredire in maniera egualitaria, in considerazione della crescita demografica, sono necessari quantitativi enormi di energia. Dovendo abbandonare le risorse fossili, per le conseguenze dannose e l’esauribilità delle stesse, e ancor di più il nucleare a causa della durata illimitata della radioattività delle scorie, bisogna rivolgere l’attenzione a tutte quelle fonti che, in quanto “rinnovabili”, risultano pressoché infinite. Questo fattore è ad oggi l’unico in grado di sviluppare modelli di produzione compatibili con la tutela ambientale. Progredire significa muoversi in tal senso rendendo più efficienti i sistemi conosciuti e realizzandone di nuovi.

Questo modello di progresso è però impossibile da applicare, allo stato attuale, in quanto l’unico modo di produzione adottabile è quello mercatista fondato sulla logica del profitto. In quest’ottica qualsiasi cosa venga prodotta e qualsiasi servizio venga erogato deve generare profitto, per creare nuovo capitale da utilizzare per gli investimenti necessari al miglioramento dei prodotti e dei servizi. Favola questa molto spesso raccontata insieme a quella che vede nel profitto il creatore di quella ricchezza che, per mezzo di misteriose mani invisibili, di improbabili provvidenze e mai visti “trickle-down”, si redistribuisce automaticamente dall’alto verso il basso.

Il nuovo sistema economico deve innanzitutto eliminare il profitto (Marx lo chiamava plus valore) e con esso il consumismo, vero motore della crescita economica dalla quale scaturiscono l’accumulazione infinita di capitale, la sua concentrazione e il conseguente accentramento del potere politico. Quindi, il modo di produzione dovrebbe indirizzarsi verso alcune delle otto R della “Decrescita”, come il Riciclaggio e il Riutilizzo, e Risparmiando sui materiali da utilizzare. Puntare sulla manutenzione dei beni, sui servizi collettivi invece che sull’utilizzo privato. Investire sulla produzione dematerializzata, sulla cultura, sulla ricerca per migliorare la “tecnae” che, scevra dal profitto, non potrebbe sfociare in tecnocrazia. Questo tipo di produzione deve essere necessariamente decentrato e autogestito, deve anche essere posto sotto l’egida della comunità locale affinché l’interesse perseguito resti quello comune, senza deviazioni particolari e private. Saranno poi le municipalità confederate ad organizzarsi per la condivisione dei progetti di ricerca, di produzione e di fornitura dei servizi di comune utilizzo. Il tutto senza che nessuno guadagni nient’altro oltre il proprio lavoro.

Le varie forme di sistema economico di questo tipo congetturate negli ultimi due secoli sono state e vengono considerate utopiche in quanto mai realizzate. L’esempio sovietico e quello cinese sicuramente non aiutano in quanto si sono rivelati un completo fallimento. Entrambi hanno dato vita a sistemi oligarchici sfociati poi secondo modalità diverse in economie di mercato. Nessuno dei due era però un sistema distribuito, figli entrambi di rivoluzioni violente che, per imporsi, hanno dovuto privilegiare un interesse diverso dal precedente. Non importa se il nuovo interesse sia migliore o peggiore di quello passato poiché, se viene reso obbligatorio, sarà necessariamente particolare e non comune.

Il modo per realizzare un interesse davvero comune, citando Halloway, è quello di “cambiare il mondo senza prendere il potere”. Tradotto in termini più concreti, è attraverso un sistema fiscale di nuova concezione che passa la riappropriazione dei beni comuni e il passaggio da un’economia di mercato ad una nuova versione dell’economia del dono. L’economista francese Thomas Picketty ha concepito un sistema fiscale in grado di introdurre il concetto di proprietà temporanea invece della vecchia abolizione della proprietà privata. Il sistema si fonda su una tassazione realmente progressiva del reddito personale, imposizione che, secondo Piketty aggredirebbe pesantemente i grandi patrimoni. L’istituzione di una patrimoniale sugli stessi contribuirebbe ulteriormente e, infine, una gravosa imposta di successione impedirebbe l’ereditarietà dei patrimoni e della loro rendita.

Il limite di Piketty è nel non voler rinunciare alle “cause della ricchezza delle nazioni”. Cause che possono essere individuate nel modo di produzione neoliberista, celato dietro la mitologica crescita infinita. Come si è visto però sono proprio questi modi di produzione che generano sì ricchezza ma a condizione che i capitali siano sempre più concentrati nelle mani di pochi, e con essi anche il potere politico. Il centro operativo di questo sistema neoliberista è costituito, non dai grandi patrimoni personali, ma da quelli celati dietro le grandi aziende e tra le maglie dell’economia finanziaria. A dispetto del principio della libera e leale concorrenza, le corporation e i grandi fondi di investimento, nel corso degli anni hanno assorbito e cancellato la maggior parte delle piccole e medie imprese, favorendo la concentrazione sempre più ristretta dei capitali.

Se si vuole sconfiggere la “logica del profitto”, quindi, la tassazione deve aggredire anche la “causa” principale dell’accumulazione infinita di capitale. Al fine di disincentivare la concentrazione di capitale ogni transazione finanziaria dovrebbe essere tassata come fosse uno scambio commerciale. Il Capital Gain così come la distribuzione degli utili dovrebbe essere considerato reddito e assoggettato alla progressività della tassazione relativa. Le Aziende, qualsiasi sia la forma giuridica, dovrebbero essere vincolate a imposte patrimoniali e sugli utili, senza per questo essere esentate dalla doppia tassazione come reddito personale qualora vengano distribuiti agli azionisti. Le uniche deroghe riguarderebbero le imprese no Profit (Cooperative, associazioni, ONG, etc.) a condizione di essere assoggettate alla redazione concordata dei bilanci. In questo caso le restrizioni riguarderebbero un limite alle differenze di reddito interne, la possibilità di partecipare a più strutture e quindi alla percezione di più emolumenti, l’impiego degli eventuali utili di impresa.

Ovviamente il tema è complesso e andrebbe analizzato in una sede più ampia di questa. Il concetto generale è però semplice: il profitto va disincentivato attraverso forme di tassazioni sempre più rigide; di contro va incentivato e detassato il “lavoro” privilegiando il “valore d’uso” dei beni al posto del “valore di scambio”. Sistemi economici e fiscali di questo tipo possono svilupparsi solo ed esclusivamente in organizzazioni sociali altrettanto distribuite.

Per “cambiare il mondo senza prendere il potere” occorre un livello di coscienza politica profondo e diffuso, per arrivare al quale è necessario strutturare una vera e propria “controcultura” radicata nei territori e partecipata. In tal senso va chiarito che il mondo digitale è un “mezzo di produzione” ma non è un “territorio”, solo la partecipazione fisica è in grado di creare una cultura antagonista alla “logica del profitto”, condivisa e condivisibile. Uno strumento fondamentale, in tal senso è la controinformazione, preferibilmente indirizzata a sviscerare le contraddizioni del regime vigente, le sue menzogne e a impedire di cadere nelle trappole complottiste e negazioniste predisposte per screditare il pensiero critico della dissidenza.

L’informazione dissidente non può quindi perdere tempo e credibilità discutendo di insetti, scie chimiche, mobilità elettrica, complotti vaccinali, carte di credito e cancellazione dei diritti delle persone dal “sesso confuso”. Deve avere la capacità di passare dalla fase “destruens” a quella “costruens”, senza la quale la coscienza popolare non si può formare. Passare in sostanza dalla lotta agli insetti a quella all’alimentazione industriale, poco salutare e creatrice di accumulazione infinita di capitale. Invece di correre dietro a scie chimiche e macchine elettriche, è il tempo di costruire modi di produzione alternativi fondati sul riciclaggio e sul consumo del bene antitetico al consumismo del cliente.

Spostare l’attenzione dalla lotta al vaccino verso quella necessaria a ottenere una sanità e una ricerca scientifica non asservita all’interesse particolare ma a quello comune, per mezzo di istituzioni pubbliche (confederate tra municipalità), trasparenti e condivise. Occorre comprendere che sopprimere i diritti di una minoranza per qualsiasi motivazione, rende valida la soppressione dei propri diritti da parte di una maggioranza diversa per mezzo di una motivazione differente. Capire, quindi, che l’obbligo di genere e quello di vaccinazione hanno la stessa origine. Invece di urlare ai quattro venti il proprio amore per il contante, scomodo e pericoloso, bisogna perorare la riappropriazione della moneta, attuabile solo mediante una riconquista della sovranità popolare, euro o lira che sia la moneta scelta.

Tutto ciò non può diventare e non pretende di costituire l’ennesima verità assoluta da propinare al popolo, ma solo uno spunto di discussione per la creazione di una proposta politica antagonista, strutturata, condivisa e, soprattutto, gestita dalla base e infine priva di qualsiasi forma di vertice.


*Pablo Neruda

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faber
Wednesday, 15 March 2023 08:23
Ruolo della classe operaia tipico della critica del valore?
Tony Negri e Michael Hardt sarebbero marxiani essoterici ma non marxisti?
Non capisco.
La critica del valore nega un ruolo antisistema della “classe operaia” che io sappia. Dice addirittura che la classe operaia, quando esisteva, aveva un ruolo fondamentale per sostenere il sistema capitalista. Né vede Negri ed Hardt esterni al marxismo classico, mentre inventano una classe operaia che non c’è più, proprio per continuare ad esserlo.
Forse sono troppo anti sistema. Però mi sento neo zapatista. Anche il sub comandante Marcos ha fatto molta fatica ad abbandonare il marxismo. Per me è stato più facile cambiare paradigma perché non sono mai stato marxista. Perciò oggi ammiro il Marx cosiddetto esoterico. Quello che annuncia la sua più grande scoperta nella prime righe del capitale, mai capite dai marxisti come Negri.
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Luca Busca
Wednesday, 15 March 2023 17:52
Non ho detto che Negri e Hardt sono marxiani esoterici, ho detto che il loro concetto di moltitudine è stato accusato di anarchismo da marxisti ortodossi. Le mie radici, invece, sono anarchiche e quindi, più che fare affidamento sulla classe operaia, tendo a individuare la forza antagonista al neoliberismo, o mercatismo che dir si voglia, nella più vasta categoria degli oppressi.
I fenomeni della globalizzazione, della deindustrializzazione e del neocolonialismo hanno modificato sostanzialmente questa immensa comunità, che conta almeno i 2/3 dell'intera umanità. A mio parere però questa massa è ancora troppo informe e incosciente per divenire forza insurrezionale. Subisce prevaricazioni culturali, economiche e ambientali senza comprendere pienamente da chi sono ordite. Questo succede anche in Italia dove sei milioni di individui vivono sotto la soglia di povertà assoluta senza avere la più pallida idea di chi siano i responsabili della loro condizione.
Diventa quindi, sempre a mio parere, lavorare sulla coscienza, che non sarà più di classe ma degli oppressi.
ciao
Luca
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faber
Tuesday, 14 March 2023 07:08
critica giusta ma troppo superficiale
la radice è nel paradigma feticista colto un secolo e mezzo fa da Marx ne IL CAPITALE a mai colto dai marxisti tradizionali
bisogna studiare la abspaltungwertkritik sapendo distinguere tra marxismo e pensiero marxiano cosiddetto esoterico
buono il riferimento al neozapatismo ma bisogna studiare anche quello
inutile discutere (annaspare) dentro il paradigma capitalista marxista: non se ne esce
essere anti sistema è uscire dal paradigma moderno altrimenti è tautologia onanista
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Luca Busca
Tuesday, 14 March 2023 17:05
Grazie Faber,
non era mia intenzione annaspare dentro il paradigma capitalista marxista. Più che altro il mio era un tentativo di trovare una via d'uscita dalla melma sperimentando nuove forme di Municipalismo alla Murray Bookchin, che personalmente trovo sufficientemente antisistema. La mia estrazione anarchica mi porta ad analizzare i cambiamenti sociali degli ultimi anni in chiave diversa rispetto alla critica del valore e della funzione della classe operaia tipica della "abspaltung wertkritik". Diciamo che in seno al pensiero marxiano, anche se assolutamente non esoterico, sarei più vicino alla definizione di classe come "Moltitudine" data da Tony Negri e Michael Hardt.
L'intento principale comunque era quello di discuterne e la tua critica è sana in tal senso.
A presto
Luca
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