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marx xxi

Sulla condizione dei comunisti in Italia: che fare?

Note per una discussione aperta

di Salvatore Tinè

121813582 85a375af fe85 418b 8de9 26996bfaff32.jpgL’intervento del compagno Sorini sulla crisi drammatica del movimento comunista italiano e sulle prospettive di una sua possibile ripresa ha già sollecitato una discussione importante tra comunisti sparsi in varie associazioni o piccole formazioni politiche e impegnati nell’opera di ricostruzione di una loro soggettività politica organizzata, intorno ad alcuni temi fondamentali riguardanti sia l’analisi delle cause profonde del fallimento di Rifondazione comunista nella fase storica successiva al crollo dell’Urss, sia le prospettive di ripresa del nostro movimento in Italia come a scala mondiale posto di fronte all’odierna crisi del sistema capitalismo mondiale e alla conseguente politica di guerra dell’imperialismo che segna il passaggio di fase ancora in atto. Appare evidente, nel contesto di questa crisi, certo la più grave dalla fine della guerra fredda, per molti aspetti analoga a quella degli anni ’30 che avrebbe trascinato l’umanità nella seconda guerra mondiale, l’assenza drammatica, particolarmente in Italia, di un movimento comunista in grado di elaborare su una base analitica sia un orientamento politico strategico che una linea di massa sul terreno della lotta sociale e di classe e su quello, oggi più che mai cruciale e decisivo, della lotta contro il pericolo di guerra e per la pace. E’ in primo luogo tale assenza a spiegare l’estrema difficoltà delle lotte sociali pure importanti e significative che periodicamente scandiscono le dinamiche della crisi capitalistica, a partire da quelle perfino imponenti dei lavoratori francesi contro la controriforma sulle pensioni di Macron, a trovare un adeguato sbocco politico, ad incidere concretamente nelle dinamiche generali della crisi, imprimendo a esse una direzione politica, spostando nel loro complesso i rapporti di forza tra le classi.

Non è mai apparso così evidente come non possa esistere una sinistra intesa come movimento operaio senza i comunisti, senza una loro presenza e un loro radicamento non solo nel mondo del lavoro salariato ma anche in tutte gli ambiti in cui l’antagonismo sociale nella produzione immediata come nella riproduzione sociale complessiva assume forme più o meno organizzate e consapevoli. Storicamente tale presenza e tale radicamento hanno sempre costituito la base sociale e materiale oggettiva per la costituzione dei comunisti in partito.

La costituzione e la costruzione del partito comunista come, gramscianamente, “parte” e non solo avanguardia esterna della classe operaia e delle masse popolari presuppongono infatti un più o meno lungo periodo non solo di accumulazione delle forze ma anche di selezione e formazione dei quadri sui più vari terreni dello scontro di classe da quello immediatamente economico-sociale a quello politico-ideologico o culturale. La concreta unificazione sul piano soggettivo dell’iniziativa politica su questi diversi terreni oggettivamente legati tra loro è il compito principale delle avanguardie comuniste. Una elaborazione strategica non può prescindere da un lavoro politico certo lungo e difficile che miri a ricomporre dentro una prospettiva generale l’iniziativa politica su terreni concreti di lotta. La crisi del movimento comunista seguita al crollo dell’Unione Sovietica ha trascinato con sé un drammatico arretramento del movimento operaio in tutti i paesi dell’Europea a partire da quelli più avanzati e da una perdita della sua stessa centralità e capacità di incidenza nella dialettica sociale e politica del mondo capitalistico occidentale nel suo complesso. Ciò che rende insieme più difficile e più urgente la ricostruzione di una soggettività comunista, radicata nella classe operaia e nelle masse lavoratrici come elemento fondamentale della loro stessa riunificazione sul terreno sociale come su quello politico.

Tale ricostruzione non può eludere una ricerca e una riflessione sulle enormi difficoltà che, sia pure con importanti eccezioni, hanno caratterizzato i tentativi di ripresa e di riorganizzazione dei partiti comunisti particolarmente in alcuni paesi europei nel già lungo periodo successivo alla fine dell’Urss e del campo socialista nel nostro continente. Il caso italiano segnato dall’esito negativo del pur importante tentativo di ricostruzione di un partito comunista in Italia seguito allo scioglimento del PCI e alla nascita di Rifondazione comunista costituisce in questo più generale contesto europeo quello più drammatico. L’idea che la ricostruzione presupponesse anche la “rifondazione” è finita a un certo punto per sfociare o nella rimozione del complesso dell’esperienza sovietica e del movimento comunista mondiale del ‘900 nel suo complesso o talvolta nel suo stesso rifiuto, favorendo l’appiattimento sul piano meramente empirico della politica quotidiana, quando non del più bieco elettoralismo e parlamentarismo. Un appiattimento favorito anche da una analisi sbagliata della più profonda natura dei processi di “globalizzazione” ovvero di unificazione capitalistica mondiale di cui non si coglieva adeguatamente la natura pur sempre antagonistica e imperialistica, contestuale a una crisi del sistema capitalistico mondiale tutt’altro che interrotta dalla pure colossale sconfitta del proletariato internazionale consumatasi con lo scioglimento dell’Urss e la vittoria degli USA nella “guerra fredda”. Proprio gli attuali sviluppi di questa crisi rivelano quanto errata fosse quella analisi dei processi di globalizzazione destinata a condurre la maggioranza “bertinottiana” del partito all’idea dello scioglimento di fatto di quest’ultimo nel cosiddetto movimento “no-global”. La feroce e brutale realtà dell’imperialismo e della sua catastrofica politica di guerra, che vede nell’orrore del genocidio in atto del popolo palestinese una delle sue manifestazioni più sconvolgenti, come quella dei processi di fascistizzazione in atto in alcuni paesi dell’ex-campo socialista e oggi membri dell’Unione Europea, apertamente promossi dagli Stati Uniti d’America, dimostrano tutta l’erroneità delle teorie di “sinistra” della globalizzazione come di quelle di un nuovo “europeismo”. Un europeismo in cui ci si illudeva di ritrovare un nuovo quadro internazionale, addirittura un nuovo internazionalismo, diverso da quello segnato dall’esistenza dell’Urss e del campo socialista, in cui riproporre sostanzialmente la concezione togliattiana della “via democratica al socialismo” come se essa avesse senso fuori dal contesto mondiale in cui era maturata la sua elaborazione, fuori cioè dalla coesistenza pacifica e dalla competizione economica, politica, ideologica un campo socialista in espansione e il campo imperialista. Si trattava di un ulteriore sviluppo in senso revisionista di quella idea berlingueriana di un comunismo “europeo” che negli anni ’70 sembrò l’approdo coerente della teoria del “comunismo italiano” intesa come cultura politica originale, quindi di fatto già altra e diversa da quella marxista-leninista che accomunava quasi tutti gli altri partiti comunisti del mondo. Crediamo che la persistenza di questa in fondo chiusa e provinciale idea del comunismo italiano anche in una parte delle stesse componenti di orientamento apparentemente marxista-leninista dentro il Partito della Rifondazione comunista abbia rappresentato una delle cause della crisi di quest’ultimo.

Tutto ciò rimette oggettivamente al centro la “questione comunista” in Italia e in Europa ma pone nello stesso tempo il problema dei modi e delle forme, sociali, politiche, ideologiche in cui affrontarla sul piano delle condizioni soggettive. Non sono certo ancora mature tali condizioni per la costituzione di una avanguardia comunista nella forma classica del partito ma appare evidente che la crisi non solo rende tanto più necessario il ruolo dirigente e di orientamento politico di massa dei comunisti ma apre loro nuovi spazi e possibilità di intervento e di iniziativa. Tuttavia, il centro, potenzialmente dirigente del movimento progressista e rivoluzionario mondiale si è nettamente spostato dall’Occidente e dall’Europa verso l’Oriente asiatico e il suo cuore, la Cina popolare governata da un solidissimo e fortissimo partito comunista. L’europeismo comunista della fine degli anni ’70 appare nettamente superato dalla nuova struttura del mondo che viene sempre più nettamente delineandosi con la crisi irreversibile dell’imperialismo USA, ormai puro dominio militare e finanziario senza alcuna potenzialità egemonica o prospettiva espansiva e l’ormai evidente declino di ogni prospettiva “europeista” che non sia puramente e semplicemente l’espressione del potere economico e politico dei grandi monopoli industriali e finanziari volto alla deindustrializzazione e allo sfruttamento delle regioni europee economicamente più arretrate. I flussi migratori verso l’Europa, inoltre, modificano, la composizione della classe operaia, facendo del proletariato immigrato una sezione fondamentale del processo di ricomposizione politica dell’intera forza-lavoro sfruttata dal capitale monopolistico. La contraddizione tra Nord e Sud del mondo si riverbera quindi anche all’interno della composizione di classe del proletariato europeo come hanno mostrato le imponenti lotte dei lavoratori francesi, rendendo sempre più repressiva e autoritaria nei maggiori paesi europei la macchina dello stato capitalistico. Le lotte di classe in Francia hanno dimostrato la totale incapacità di mediazione sul terreno del compromesso sociale dello stato francese, mentre la crisi del suo modello semi-presidenzialista e gollista rivela tratti apertamente reazionari e perfino fascistizzanti.

E’ in questo contesto che lentamente ma progressivamente viene delineandosi, proprio di fronte ai pericoli sempre più angosciosi, di una ulteriore acutizzazione della crisi internazionale e quindi di una terza guerra mondiale, un fronte mondiale, multipolare, della pace che vede nella Cina popolare il suo principale, decisivo, riferimento internazionale. La ricostruzione di un movimento comunista internazionale è un processo che può ripartire proprio nel contesto e simultaneamente di questo più largo e disomogeneo processo di unificazione mondiale delle forze di progresso e di pace segnato dal protagonismo non solo degli stati ma anche dei popoli delle ex-periferie coloniali dell’imperialismo. Un processo che si dispiegherà probabilmente in forme nuove, diverse da quelle segnate da una rigida centralizzazione politica e organizzativa attorno al ruolo guida del partito e dello stato sovietici, che hanno caratterizzato la storia grandiosa del movimento comunista mondiale del secolo passato, ma che tuttavia non potrà prescindere dal ruolo sempre più decisivo per gli stessi destini del mondo della Cina popolare e del partito comunista che la governa. Se una terza mondiale non porterà prima il mondo verso un esito apocalittico dell’attuale crisi internazionale è molto probabile che assisteremo al graduale delinearsi di schieramenti o “fronti” mondiali tra loro insieme in competizione e in contrapposizione sebbene al loro interno meno omogenei sul piano ideologico e politico e meno “militarizzati” dei “campi” che spaccarono in due il mondo nella guerra fredda. E’ nel quadro di questa più complessa e diversificata struttura del mondo che si combatterà la lotta di classe sul piano internazionale nella fase che attende i comunisti.

Ma proprio perciò, di nuovo, come negli anni ’30, la costruzione dei partiti comunisti, il graduale imporsi della loro capacità di direzione politica anche su un terreno di massa, passa attraverso la costruzione di più larghi fronti “popolari”, sul piano nazionale come su quello internazionale, in grado di spingere gradualmente ma permanentemente in avanti i rapporti di forza tra le classi e tra gli Stati. In modo diverso che negli anni ‘30 tuttavia in questa fase si articola il nesso tra costruzione del partito e sua presenza e capacità di orientamento e di incidenza politica nell’ambito di più ampi schieramenti e fronti di lotta sul terreno della lotta economica e sociale dei lavoratori contro le conseguenze della crisi come su quello della lotta contro la guerra e per la pace. Se, allora, infatti, i partiti comunisti si erano già costituiti come organizzazioni di massa a partire da una struttura di quadri già consolidati e omogeneizzati, oggi i due momenti dialetticamente connessi e tuttavia distinti di questo processo, ovvero la formazione e il collegamento tra loro di nuclei dirigenti coesi politicamente e ideologicamente da un lato e la costruzione di più ampi fronti di lotta su terreni di massa intorno ad alcuni temi e obiettivi concreti sia sociali che politici ma di cruciale rilevanza strategica, dall’altro, non potranno che determinarsi simultaneamente e fuori da ogni logica elettoralistica, come da ogni precipitazione organizzativistica. La risposta all’ineludibile questione leninista del “che fare?” passa, dunque, oggi di nuovo, attraverso una riarticolazione del nesso classico tra “programma minimo” e programma massimo” in grado di invertire l’apparentemente inarrestabile tendenza al declino dei comunisti in Europa riconnettendo la loro elaborazione strategica più strettamente legata all’obiettivo della ricostruzione del partito alla definizione di una linea di massa corrispondente ai loro compiti urgenti sul terreno immediato della lotta di classe e su quello strategicamente decisivo della lotta contro la guerra imperialista e per la pace.

Comments

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0
d
Tuesday, 26 December 2023 19:27
ehm... non ci siamo accorti di cosa è successo dal 2020 al 2022? solo una pandemia, davvero?
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