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Un virus scaccia l'altro. Trojan e dintorni

di Sebastiano Isaia

trojan 2Tutti occupati e preoccupati dal famigerato Covid-19, probabilmente abbiamo sottovalutato l’importanza del regalo virale che lo Stato, bontà sua, si appresta a somministrarci per irrobustire il sistema immunitario della società civile, troppo spesso incline a certe affezioni eticamente e legalmente riprovevoli. Naturalmente sto parlando del “virus informatico” chiamato Trojan (1). Per Marco Travaglio, forse il “teorico” più significativo dell’italico giustizialismo, il Trojan è un «raro caso di virus benefico», e già questa semplice affermazione la dice lunga sul concetto di “bene” che hanno in testa gli ultrareazionari – di “destra” e di “sinistra”. Personalmente temo più il Trojan inoculato dallo Stato nel corpo sociale, che il Coronavirus che sta mettendo a dura prova il sistema immunitario di alcune persone – e l’intelligenza di molte altre.

Una campana di “destra”: «Mentre non si esaurisce la polemica sulla abolizione della prescrizione (2), che è un regalo all’ingiustizia, il Parlamento dà il via libera al cosiddetto Trojan, una diavoleria tecnologica applicando la quale è possibile spiare chiunque sia dotato di un cellulare. Ignoro come esattamente funzioni, ma dicono che nelle mani degli investigatori si trasformi in un’arma letale idonea a ridurre la privacy in una polpetta retorica. Prepariamoci al peggio, che è già cominciato. […] La lotta tra chi le vuole eliminare e chi incrementare vede prevalere immancabilmente la categoria opportunamente definita dei manettari. Di costoro ora assistiamo al trionfo propiziato dagli esultanti figli di Trojan. In sostanza si consegna ai pm un ennesimo mezzo per inchiodare, magari a casaccio, i cittadini. Anziché puntare a ottenere una giustizia più umana e depenalizzare i reati bagattellari, punendoli con un calcio nel sedere e non con una coltellata alla gola, si forniscono ai magistrati altri strumenti per esercitare il loro strapotere» (V. Feltri, Libero).

Una campana di “sinistra”: «La riforma Orlando, diventata indispensabile dopo una sentenza della Cassazione che aveva spalancato la porta ai trojan, ma subito sospesa dal governo gialloverde, ha introdotto due eccezioni alla regola generale della inviolabilità delle mura domestiche. Quando si procede per mafia o terrorismo si può utilizzare il captatore informatico anche all’interno delle “private dimore”, vi sia o non vi sia il sospetto di crimini in corso. E l’ascolto può essere libero: per i sospetti terroristi o mafiosi non è necessario, come in tutti gli altri casi, che il giudice indichi i tempi e i luoghi di attivazione del microfono. Può restare sempre aperto. La legge “spazzacorrotti” ha esteso queste possibilità estreme anche ai “delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione”, assimilando la corruzione alla mafia e al terrorismo» (A. Fabozzi, Il Manifesto). È il populismo penale, bellezza! E naturalmente niente impedisce, un domani, al legislatore di trovare altri reati di «particolare allarme sociale» da assimilare a loro volta alla mafia e al terrorismo. «Il legislatore, quando ha esteso l’uso di questi strumenti alle indagini per corruzione, come se l’allarme sociale di essi fosse equiparabile ai fenomeni terroristici e di criminalità organizzata, ha dimostrato la propria tendenza a far diventare regola quello che dovrebbe essere emergenza» (A. Chirico, Il Foglio). Com’è noto, soprattutto in Italia il passaggio dall’eccezione alla regola è un fenomeno tutt’altro che… eccezionale.

Detto en passant, la mafia normalmente comunica al suo interno utilizzando tecnologie vecchie e vecchissime (come i mitici “pizzini”) che difficilmente possono venir intercettate dai nuovi dispositivi cari ai patibolari del XXI secolo. A finire nelle strettissime maglie della Legge saranno perlopiù i soliti pesci piccoli e piccolissimi. Ma l’insicurezza “percepita” dalla gente è un problema che non può lasciare indifferente i decisori politici, tanto più in epoca di dilagante populismo. (Un dubbio a questo punto mi assale: ai tempi di “Mani Pulite” cosa dilagava? Ma è ovvio: il populismo penale! In Italia i manettari, di “destra” e di “sinistra”, sono stati sempre popolari: «In galera! In galera!»). Se poi si può sbattere in galera qualche esponente dei “poteri forti” è tutto oro elettorale che cola, perché l’invidia sociale, l’impotenza sociale, il disagio sociale e quant’altro opprime e corrode la vita e lo spirito del “popolo” non sempre, anzi abbastanza raramente, generano il seme della coscienza critica, la quale non si appaga di ciò che i funzionari del Dominio sociale danno in pasto alle viscere perennemente affamate del “popolo”.

Inutile dire che chi è contro il vigente regime sociale è l’oggetto perfetto del Controllo Sociale Intelligente del XXI secolo, al cui perfezionamento la Cina con caratteristiche orwelliane sta dando un cospicuo contributo. Ricordiamoci che in Italia negli anni Settanta/inizio anni Ottanta l’intera opposizione sociale, politica e sindacale, venne trattata dal “regime partitocratico” d’allora come una potenziale fonte di terrorismo, e tratta come tale – in questa escrementizia opera di criminalizzazione si distinsero, com’è noto, il PCI di Enrico Berlinguer e la CGIL di Luciano Lama. Questo solo per dire che all’occorrenza lo Stato, concepito nelle sue diverse articolazioni politico-istituzionali, fa prestissimo ad estendere la legislazione repressiva pensata per colpire determinati reati ad altre condotte giudicate socialmente pericolose. Se lo strumento repressivo si dimostra efficace per determinate fattispecie di reato, esso presto o tardi verrà generalizzato, come dimostra la legislazione sui “pentiti”.

Scrive l’avvocato Gian Domenico Caiazza: «Occorre ricordare che l’intercettazione ambientale perpetua, che mette gli investigatori nelle condizioni di seguire ed ascoltare l’indagato in ogni sua azione quotidiana, in ogni sua parola o pensiero o gemito, fino alla sua più inviolabile intimità, è stato in questi ultimi anni l’autentico cavallo di battaglia del giustizialismo più cupo e fanatico. La Magistratura stessa ha reclamato a gran voce il semaforo verde per l’infernale marchingegno, e quella luce verde se l’è data senza remore a sezioni unite. Per i reati di maggiore allarme sociale, si è detto, e figurati: non vorrete opporre garantismi pelosi alle indagini su mafiosi e camorristi? Poi accade che il catalogo dei reati allarmanti si allarga tumultuoso, ed eccoci alla Spazzacorrotti, che estende a tutti i reati contro la pubblica amministrazione quel semaforo verde. L’eccezione, si sa, diventa inesorabilmente la regola».

Il cittadino modello a questo punto dirà: «Male non fare, paura non avere». Che servilismo! E soprattutto che miserabile illusione: «Chiunque di noi vive la propria quotidianità e la propria inviolabile intimità senza alcun freno inibitore. Ci sentiamo – e siamo! – [ma lo siamo poi davvero?] liberi di raccontare verità o millanterie, di dire bugie innocenti o maliziose, di esprimere giudizi i più feroci, sprezzanti ed ingiusti, su persone, cose, istituzioni, simboli religiosi, familiari, amici, nella più assoluta e legittima sensazione di incensurabilità. Le ragioni per le quali esprimiamo pensieri e giudizi nei quali indifferentemente crediamo e non crediamo, o raccontiamo ad altri vicende e fatti non necessariamente accadute, o non accadute in quei termini, possono essere le più varie: assicuriamo di aver fatto una cosa che non abbiamo fatto per toglierci dall’imbarazzo, per non apparire in torto, per prendere tempo, perché ricordiamo male, e per un milione di altre ragioni. Questa pretesa barbarica di trasformare il libero ed imprevedibile fluire della vita di ciascuno di noi in una sorta di documentazione notarile della verità non saprei dire se è più violenta o più stupida. […] Più in generale, come si distingue una millanteria nel fluire di una conversazione? E come una bugia detta per liberarmi di insistenti pressioni? […] Un microfono acceso ad ascoltare la vita di una persona, lungi da consentire la massima ricostruzione della verità, restituisce all’investigatore un magma ribollente, indecifrabile, pericolosamente indistinguibile, un bolo fetido e velenoso» (G. D. Caiazza). E se il cittadino onesto, quello che paga regolarmente le tasse e si commuove davanti ai Santi ritratti di Papa Francesco e del Presidente Mattarella, finisci per mera sfiga nelle grinfie della Giustizia, egli può rimanere dentro il kafkiano processo per decenni (gli avvocati parlano, a ragione, di «ergastolo processuale»), e non sempre l’esito fausto è assicurato, tutt’altro! Il concetto che ultimamente sembra essersi fatto strada presso la Giustizia del Belpaese è che dev’essere l’”attenzionato” (cioè lo sfigato) a dover dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio di non aver commesso il fatto-reato: egli è di fatto (il diritto formale seguirà) un colpevole fino a prova contraria. Meglio munirsi di alibi inattaccabili ogni santo giorno, «non si sa mai quello che al mondo ci può capitar».

Non poche persone in passato (anche recente) hanno fatto anni di carcere a causa di una trascrizione sbagliata fatta da un tecnico addetto all’ascolto nell’ambito di una certa inchiesta giudiziaria, oppure per un’errata interpretazione di un concetto espresso in dialetto nel corso di una discussione tra due persone. In un caso, il trasporto di oggetti comunicato via telefonino in dialetto da un marito alla moglie è stato interpretato dai tutori dell’ordine come un trasporto di cadavere. Dopo anni di “ingiusta detenzione” (3) il Tribunale ha ammesso il “disdicevole equivoco”. Nel frattempo ci si ammala, una famiglia va a pezzi, tante persone soffrono. Solo chi non ha – ancora – avuto la sfortuna di finire, a causa di un destino “cinico e baro”, nelle grinfie della Giustizia può cullare l’illusione che chi è “onesto” non ha nulla da temere dal sistema preposto al controllo e alla repressione delle “condotte illecite”.

A proposito di populismo penale/giustizialista! Un piccolo, quanto micidiale, esempio: «”Ho predisposto una norma per superare l’attuale disposizione dell’art. 73 comma cinque che non prevede l’arresto immediato per i casi di spaccio di droga”. È l’ultima idea del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese. “È stato rilevato il fatto che arrestare, senza custodia in carcere, e il giorno dopo vedere nello stesso angolo di strada lo spacciatore preso il giorno prima, incide anche sulla demotivazione del personale di polizia che tanto si impegna su questo versante e vede la propria attività essere posta nel nulla quando il giorno dopo li ritroviamo nello stesso posto» (La Stampa). È fin troppo facile prevedere un’ondata di arresti di piccoli spacciatori, la maggior parte dei quali è composta da consumatori di droghe che si procurano i soldi per acquistare le “sostanze droganti” diventando a loro volta spacciatori. «Manco Salvini e il governo Conte uno erano arrivati a proporre una cosa così. Quanto invece alla necessità di aggravare le pene contro il ‘micro-spaccio’, che sembra essere la giustificazione di questa operazione politico-pubblicitaria, decenni di applicazione di una legge sulla Droga iper-proibizionista dimostrano che la possibilità di fronteggiare la diffusione delle droghe, mandando in galera migliaia di persone in più, rende più insicure le carceri, ma non rende più sicure le strade» (R. Bernardini, Il Dubbio).

L’illusione autoritaria dei proibizionisti (4) non solo non risolve il problema che essi affermano di voler risolvere, ma piuttosto ne crea di nuovi (ad esempio, carcere per i tossicodipendenti che delinquono per procurarsi il denaro con cui acquistare la merce-droga, danni per chi subisce le incoercibili necessità di chi deve procurarsi la sostanza, droghe “tagliate” con robaccia, ecc.), mentre trasforma in oro, letteralmente, sostanze naturali o artificiali che se vendute sul mercato “legale” costerebbero pochissimo. L’alchimista di vecchio conio impallidisce e le “mafie” di tutto il mondo ringraziano! I profitti che derivano dal mercato della droga sono così alti, che i “trafficanti di morte” accettano di buon grado il rischio di finire in galera o di crepare per mano di un qualche concorrente: il profitto vale il rischio, eccome! E poi è la bassa manovalanza quella che corre i rischi di gran lunga peggiori. Ma questo lo sanno benissimo anche i decisori politici comunque orientati in materia di droghe; per loro si tratta più che altro di placare le angosce dell’opinione pubblica, di venderle illusorie risposte, di negare sempre di nuovo il completo fallimento di questa miserabile società. Bisogna ammettere che finora ci sono riusciti benissimo.


Note
(1) «Il Trojan horse – il “cavallo di troia” di epica memoria – è tecnicamente un “captatore informatico”, una sorta di virus che contagia gli apparecchi elettronici attraverso l’apertura di un sms o di una mail e che li rende, di fatto, dei trasmettitori di informazioni agli inquirenti. Tutto ciò che vede la fotocamera, tutto ciò che ascolta il microfono e tutti i contenuti del cellulare entrano immediatamente nella disponibilità di chi ascolta» (Il Dubbio).
(2) «Con la ormai probabile abolizione della prescrizione nei processi penali siamo al punto di arrivo: dopo una pluridecennale attività che, provvedimento dopo provvedimento, ha dilatato sempre più la sfera di applicazione del diritto penale, siamo ora giunti alla «penalizzazione integrale» della vita sociale, pubblica e privata, italiana. Chi volesse saperne di più su quanto è accaduto negli ultimi anni dovrebbe consultare Filippo Sgubbi, Il diritto penale totale (edito da Il Mulino) deliberatamente scritto per essere di facile lettura e comprensione anche da parte dei non addetti ai lavori. In un certo senso la fine della prescrizione è quanto di più vicino ci sia alla introduzione della pena di morte: non morte fisica naturalmente ma morte civile di sicuro. Perché un disgraziato che ci cade dentro avrà la vita rovinata per sempre. L’abolizione della prescrizione però è la ciliegina sulla torta. L’ultimo strappo in un movimento pluridecennale di erosione costante delle garanzie individuali, la definitiva trasformazione, secondo un’antica battuta mai come ora attuale, dello Stato di diritto in Stato di rovescio. Quanto oggi passa — penalmente parlando — il convento, fa apparire il codice Rocco, promulgato ai tempi della Buonanima, come faro e testimonianza di civiltà giuridica» (A. Panebianco, Il Corriere della Sera, 8/12/2019).
(3) «Le statistiche sugli errori giudiziari in senso lato non possono non partire dai casi di ingiusta detenzione. Dal 1992 (anno da cui parte la contabilità ufficiale delle riparazioni per ingiusta detenzione nei registri conservati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze) al 31 dicembre 2018, si sono registrati oltre 27.500 casi: in media, 1057 innocenti in custodia cautelare ogni anno. Il tutto per una spesa che supera i 750 milioni di euro in indennizzi, per una media di circa 29 milioni di euro l’anno» (Errori Giudiziari.Com).
(4) «Se tu vuoi vietare l’esercizio di una facoltà umana praticata a livello di massa, tu fallirai e sarai costretto all’illusione autoritaria del potere che colpisce il “colpevole” e lo colpisce a morte» (Marco Pannella, 1973). Da Adam Smith in poi, gli autentici liberali/liberisti sono contrari a ogni forma di proibizionismo su qualsiasi merce idonea a soddisfare un particolare «bisogno di massa». «Una proibizione così imperiosa e formale può rivolgersi solo ad un impulso particolarmente forte. Non c’è bisogno di proibire ciò che nessuno desidera» (S. Freud).

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