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Notizie sull'operazione speciale condotta dall'esercito russo in Ucraina
In molti hanno notato che il “99%” è un topos pubblicitario dei prodotti antibatterici, i quali dichiarano appunto di poter eliminare il 99% dei batteri. Per la verità ci sono anche antibatterici più bravi dell’Iron Dome e dell’Arrow israeliani, infatti riescono a eliminare addirittura il 99,99% dei batteri. Magari è sufficiente quello 0, 01 a fregarti, ma bisogna sapersi accontentare. Mentre lo spot pubblicitario reclamizzava trionfalmente i successi del sistema di difesa israeliano e l’abbattimento del 99% dei missili e droni iraniani,...
Constatiamo che gran parte della sinistra stia guardando alla risposta militare dell’Iran nei confronti delle provocazioni armate di Israele secondo le valutazioni di Alessandro Orsini, che definisce il bombardamento dello Stato ebraico con centinaia di droni e missili come una colossale messinscena, suffragando questa deduzione con il fatto che la ritorsione della Repubblica Islamica all’azione terroristica di Israele a Damasco fosse stata preannunciata e comunicata. Solo che il famoso studioso di geopolitica non comprende la sostanza delle...
Gli euroausterici vaneggiano a reti unificate in merito al “buco da 200 miliardi nei conti pubblici” che sarebbe stato prodotto dal Superbonus. Naturalmente una prima risposta ovvia a questa affermazione è che sono stati emessi 200 miliardi di crediti fiscali, a fronte dei quali è stata però conseguita una crescita di PIL e di gettito. Parlare di “200 miliardi di buco” tiene conto di un elemento (i crediti emessi) ignorando l’altro (la crescita di gettito). Ma in realtà l’errore dell’affermazione è ancora più basilare. Immaginiamo che...
La nostra epoca non è certo contrassegnata dalla fine delle ideologie, dopo che, sbaragliata la concorrenza, la grande narrativa del pensiero unico gode di ottima salute; c'è invece da esitare sull'inconsistenza della tesi di Fukuyama della fine della storia giacché quella del mondo occidentale sembra aver trovato nel capitalismo un ancoraggio talmente saldo da impedire il benché minimo sommovimento capace di metterne in crisi gli ingranaggi. Anzi, il non funzionamento dell'attuale versione ultraliberista del capitale favorisce il rilancio...
Mentre Israele informa il mondo che risponderà all’attacco iraniano, anche se sembra in maniera tale da evitare la grande guerra (cosa tutta da vedere dal momento che l’Iran ha detto che, nel caso, risponderà), proponiamo l’analisi di Peter Akopov pubblicata su Ria Novosti che ci appare alquanto lucida, anche se forse un po’ troppo deterministica. C’è un imponderabile, dato anche dalla follia di cui hanno dato dimostrazione negli ultimi tempi i falchi Usa e israeliani, che andrebbe comunque tenuto presente. “Situazione sorprendente – scrive...
Lo scorso 16 marzo, il colonnello Amadou Abdramane, portavoce della giunta militare nigerina che nel luglio del 2023 aveva deposto il presidente Mohamed Bazoum, ha annunciato la revoca immediata dell’accordo che autorizzava lo stazionamento di personale statunitense sia civile che militare nel Paese. Conformemente all’intesa, siglata nel 2012, gli Stati Uniti avevano schierato nelle basi 101 (contigua all’aeroporto di Niamey) e 201 (situata nel centro del Paese e soggetta a una recente opera di ristrutturazione costata al Pentagono circa 100...
Atteniamoci ai fatti. La ritorsione iraniana per l’attacco israeliano all’ambasciata di Damasco è stata calibrata ed equilibrata. L’Iran non voleva la guerra con Israele (non la guerra aperta, e non ora), diversamente dal governo di Tel Aviv, che nel prosieguo della guerra – nella sua possibile espansione – vede l’unica chance di sfuggire al redde rationem interno, e magari persino un’opportunità di espandersi ancora. Pertanto Teheran si è mossa con calma, appellandosi al diritto internazionale (art.51 delle Nazioni Unite), e avendo cura di...
Si usa dire che stiamo precipitando verso una guerra mondiale “a pezzi”. Possiamo anche aggiungere che stiamo scivolando verso una “economia di guerra”? Alcuni prodromi, in effetti, si intravedono. Due caratteristiche sono tipiche di un’economia che tende verso la guerra: l’aumento del deficit pubblico per finanziare il riarmo e la spinta inflazionistica a danno dei salari. La mobilitazione delle finanze pubbliche per il rilancio della spesa militare è già in corso. I dati World Bank indicano che nell’ultimo decennio l’Unione europea ha...
Nel luglio 1934, H. G. Wells si recò a Mosca per intervistare Stalin. Il colloquio tra lo scrittore inglese e il leader bolscevico durò circa tre ore, alla presenza di un interprete, e il 27 ottobre successivo ne fu pubblicata la trascrizione integrale sul settimanale britannico The New Statesman and Nation. Il periodico aveva cominciato le pubblicazioni sotto questo nome tre anni prima, a seguito della fusione di due riviste appartenenti all’area della sinistra socialista e liberale inglese: The New Statesman, che era stata fondata nel 1913...
L’attacco iraniano sul territorio di Israele è stato un evento di portata storica e potenzialmente in grado di cambiare gli equilibri mediorientali nonostante le autorità dello stato ebraico e i governi occidentali stiano facendo di tutto per minimizzarne conseguenze e implicazioni. I danni materiali provocati da missili e droni della Repubblica Islamica sembrano essere stati trascurabili, anche se tutti ancora da verificare in maniera indipendente, ma il successo dell’operazione è senza dubbio da ricercare altrove. La premessa necessaria a...
Israele ha utilizzato i Territori occupati come la migliore vetrina del potenziale offensivo e di controllo dei sistemi d’arma e d’intelligence sviluppati dalle sue aziende di settore. È la tesi di Laboratorio Palestina, ultimo lavoro di Antony Loewenstein nel quale emerge il sostegno israeliano ad alcuni dei regimi più spietati degli ultimi settant’anni, e si denuncia come, paradossalmente, proprio questa capacità bellica e di controllo sono fattori determinanti nel ruolo centrale guadagnato dal Paese nella governance globale tanto da...
Dall’ipocrisia alla follia: disamina del suprematismo occidentale in Ucraina con la narrazione aggredito-aggressore imposta dalla maggioranza dei mezzi di comunicazione occidentali, quindi, senza affatto avere alcuna partecipazione ideale al putinismo, proverò a dimostrare, attraverso le dinamiche stesse della guerra, perché l’imperialismo occidentale è destinato a perderla e, prima questa sconfitta viene riconosciuta, minori saranno i danni per l’umanità. Il tratto fondamentale della strategia Nato in Ucraina è quello di utilizzare la...
Ieri è giunta l'attesa risposta iraniana al bombardamento israeliano del consolato iraniano di Damasco, che aveva ucciso tra gli altri il generale Haj Zahedi. L'Iran ha effettuato un attacco simultaneo con droni e missili in modo da saturare la poderosa difesa antiaerea israeliana. Missili hanno colpito due basi militari israeliane (monte Hermon e Novatim). Oggi l'autorità iraniana rivendica quei due obiettivi come primari, ma è abbastanza ovvio come questa rivendicazione abbia semplicemente la funzione di far coincidere gli obiettivi...
Per capire cosa succede a Gaza è necessario guardare cosa accade in Ucraina. Per quanto i politici italiani “autorevoli” ripetano i loro “atti di fede”, e ugualmente gli altri leader “nani” europei e i giornalisti a loro legati (ed entrambi proni esecutori dei loro padroni yankee), le loro dichiarazioni stizzite e altisonanti sono solo il riflesso della vittoria strategica del governo russo nel confronto con la NATO. Ancora non c’è la vittoria palese sul campo della Russia, ma quella strategica è già stata ottenuta, perché da più di venti...
B. Stiegler, filosofa politica francese, conduce in questa ricerca una genealogia del neoliberismo americano, sincronico all’ordoliberismo tedesco e quello poi più idealista di Hayek, versione americana meno conosciuto ma forse anche più influente. L’eroe negativo della storia è il mitico Walter Lippmann. Solo un “giornalista” come alcuni lo ritennero, in realtà politologo pieno e poi politico dietro le quinte, stratega di pratiche e pensiero, inventore di una versione americana della propaganda più sofisticata, delle pubbliche relazioni,...
Qual’è il rimedio delle classi dirigenti, politiche ed economiche (nel capitalismo liberista, tutt’uno) quando la crisi gli morde i calcagni? Il fugone nel fascismo, in qualsiasi nuova forma ritenuta adatta ai tempi. Oggi si presenta in veste psicomanipolatoria-tecnologica, ma senza mai rinunciare alla violenza fisica, a seconda dei casi pestaggi o mattanze. Ecco cosa hanno in comune i massacri dei nostri fratelli in lotta a Gaza e in Cisgiordania e le teste spaccate dai gendarmi agli studenti delle università italiane – vera eccellenza del...
Nell’analizzare gli ultimi sviluppi del conflitto mediorientale sono molti i rischi, o le tentazioni, che possono portare fuori bersaglio. Anche l’analisi di classe mostra qualche limite, se si fa attenzione al concreto della struttura sociale israeliana – quanto meno – dove ai “cittadini a pieno titolo dello Stato ebraico” (la definizione è stata assunta nella “legge fondamentale”, para-costituzionale) sono riservati tutta una serie di diritti e privilegi, anche in termini di posizioni lavorative, mentre il “lavoro bruto” o lo sfruttamento...
Il mondo intero è di nuovo con il fiato sospeso, per il terrore di una grande guerra che infiammi il Medio Oriente. L’attacco di ritorsione lanciato dall’Iran, nella lunga notte tra sabato e domenica, ha lasciato senza sonno Israele. Per cinque ore oltre 300 munizioni sono state scagliate contro il territorio israeliano. La rappresaglia per l’attacco dell’1 aprile a Damasco è arrivata dopo quasi due settimane, ampiamente annunciata, lenta ma imponente. Secondo le stime ufficiali riportate dal New York Times, l’Iran ha utilizzato 185 droni...
Molti neuroscienziati notano come il nostro cervello-mente si sia lungamente evoluto, quindi formato, alle prese con problemi vicini (fame, sete, sicurezza), immediati (giorno per giorno, ogni giorno) relativamente semplici (amico/nemico, sesso, utile/inutile), in gruppi piccoli tendenzialmente egalitari, relativamente isolati tra loro, in cui ognuno conosceva ogni altro. Oggi ci troviamo associati in gruppi enormi, di una certa densità territoriale che si estende ormai alla dimensione planetaria, in cui i più ci sono sconosciuti, dentro...
Nonostante sia palese che la guerra ucraina è persa, l’Occidente resta aggrappato ai dogmi neocon, incapace non solo di trovare, ma anche solo di pensare una exit strategy da una guerra disastrosa per Kiev e per l’Europa, che il conflitto sta degradando sia a livello economico che politico. Quest’ultimo aspetto inquieta e interpella sia perché denota un asservimento della Politica europea ai circoli neocon, dipendenza mai registrata in tale misura in precedenza, sia perché evidenzia il degrado delle dinamiche democratiche, dal momento che...
Le parole dovrebbero essere annoverate nell’elenco delle droghe pesanti, e purtroppo a chiunque può capitare di farsi ogni tanto una “pera” eccessiva. Il quotidiano neocon “il Foglio” si è approfittato del “trip” di uno dei padri costituenti, Umberto Terracini, per fargli fare una figuraccia postuma mettendo in evidenza alcune sue frasi poco felici in sostegno di Israele. Dopo averci ammonito sul fatto che anche Terracini considerava l’antisionismo una forma di antisemitismo, ci viene proposta una citazione nella quale il vecchio comunista...
Da questa parte del "mondo democratico occidentale", molti di noi si dibattono tra rabbia e la sensazione drammatica di impotenza nell'assistere allo sterminio in diretta di un intero popolo. A volte questo senso di frustrazione si trasforma in disagio somatizzato, in depressione (parlo per me e per gli amici e compagni con cui mi confronto ogni giorno). In altri casi, invece, rischia di generare reazioni di autoconservazione fatalista, ricerca del deus ex machina, rimozione. Eppure qualcosa si muove. Qualcosa possiamo fare. Una piccola...
1. Seguendo un copione creato a tavolino per ingannare la mente di chi si abbevera ai telegiornali della sera, gli Stati Uniti continuano a tirare il guinzaglio legato al collo del cagnolino d’oltremanica. Quel cagnolino era un tempo l’Impero britannico’, oggi solo un maggiordomo che esegue gli ordini dell’Impero Atlantico: tenere Julian Assange in prigione fino alla morte. Per la più grande democrazia al mondo – da esportare, se del caso, a suon di bombe e che ormai solo i politici europei (e italiani) credono sia tale – il rischio più...
Qualcuno parla di rischio di terza guerra mondiale davanti alla rappresaglia dell’Iran verso Israele, ma cari miei, una terza guerra mondiale sarebbe solo nucleare. Perciò, definitivamente distruttiva dell’umanità. Avete presente l’anime e il manga “Ken il Guerriero”? Lì, almeno, le armi nucleari sono state relativamente innocue: hanno distrutto il mondo, ma non hanno lasciato radiazioni. Ma nella realtà, una guerra di tale portata, ridurrebbe il mondo a una landa desolata radioattiva, invivibile. E per quanto noi siamo governati dai...
Il Governo è in difficoltà, è debole. Questo è il precipitato politico di un ragionamento che prende le mosse dalla scelta del Governo di approvare un Documento di economia e finanza (DEF) privo delle principali informazioni sulle tendenze della finanza pubblica e dei conseguenti effetti macroeconomici. Il DEF è il principale strumento di programmazione economica del Governo, serve a definire il quadro della finanza pubblica per l’anno in corso e per il successivo triennio. In pratica, con il DEF il Governo è chiamato a mettere nero su bianco...
Dopo l’oblio dell’attacco al Crocus da parte dei media d’Occidente, preoccupati solo di discolpare l’Ucraina dalle evidenti responsabilità, come peraltro accaduto varie volte in passato – a parte eccezioni che confermano la regola – per altre azioni oscure di Kiev, anche l’attacco di droni alla centrale atomica di Zaporizhzhia è passato sottotraccia, come qualcosa di marginale. L’attacco alla centrale di Zaporizhzhia e i topos delle guerre infinite E ciò nonostante la gravità dell’accaduto: se l’attacco fosse riuscito al 100% poteva creare...
Il senso di colpa domina incontrastato nella multiforme platea dei sentimenti umani. Senso di colpa per non essere abbastanza, per non aver superato l’esame, per non aver performato quanto desideravamo, per aver disatteso le aspettative, per non aver concluso un lavoro, per aver trascurato passioni e interessi, per aver manifestato rabbia, tristezza e paura, per gli errori commessi, per le azioni compiute, per una parola fuori posto, per non esserci stata, per aver mangiato, per aver risposto nervosamente, per quella carezza non data, quei...
Immancabili, come ogni anno, i dati Istat sull’andamento demografico del paese registrano un deciso segno meno”. Che non è grave soltanto in sé, ma soprattutto perché conferma una tendenza di lunghissimo periodo. Dal 1964 a oggi sono stati pochissimi gli anni in cui le nuove nascite sono state più numerose dell’anno precedente, ma anche a uno sguardo disattento balza agli occhi che la dimensione delle diminuzioni è sempre alta, mente i “rimbalzi” sono sempre appena percettibili. Il risultato finale, al 2023, non lascia dubbi: i nuovi nati...
‘Essere democratici è una fatica immane. Allora perché continuiamo a esserlo quando possiamo prendere una scorciatoia più rapida e sicura?’. Così Michela Murgia, la scrittrice sarda recentemente scomparsa, nel suo pamphlet del 2018 dal titolo provocatorio: ‘Istruzioni per diventare fascisti’. Con una originale sapienza dialettica, com’era suo stile di comunicazione in ogni dibattito pubblico e nel relazionare sulle grandi ingiustizie e ineguaglianze che affliggono le società odierne, Michela Murgia, nel suo saggio, ci invita a sottoporci a...
I due anni della pestilenza da Covid-19 si sono rivelati una grande imprevedibile opportunità per testare il livello di ubbidienza che, si può ottenere applicando un regime disciplinare come lo è stato l’obbligo di vaccinarsi, appunto. La narrativa secondo la quale il barbaro no-vax e chi lo sostiene rappresentano il Male, e quindi vanno denigrati, censurati, emarginati, criminalizzati ha funzionato. Pertanto, lo stesso identico canone è stato applicato su una nuova dicotomia buono-cattivo nella politica internazionale. Stesso manicheismo,...
L’avesse compiuto, per dire, il Ministro degli esteri russo Sergej Lavrov, un gesto come quello del suo omologo britannico David Cameron, recatosi in “visita di lavoro” da Donald Trump in USA, intrattenendosi – magari – in Germania, con Sahra Wagenknecht, per di più alla vigilia delle elezioni, il coro liberal avrebbe subitamente gridato alle «interferenze russe nei processi democratici dei paesi liberi». Ma fatto tra “alleati”, per di più di estrazione anglosassone, la cosa rientra nella normalità e, trattandosi della “democratica Ucraina...
Un’analisi di cosa succede e di cosa si prospetta in Medioriente, a partire dal genocidio in atto a Gaza, dalla rivolta generale palestinese, dallo scontro tra Stato Sionista e Asse della Resistenza in Libano, Siria, Iraq, Yemen, all’indomani dell’attacco israeliano all’ambasciata iraniana a Damasco. Una panoramica che parte dalla ritirata della FOI (Forza di Offesa Israeliana) dalla metà sud di Gaza, dopo sei mesi di offensiva del presunto “esercito più potente del Medioriente” che non è riuscito a controllare la Striscia, annientare Hamas e...
In vista della settimana di mobilitazione dei lavoratori all’interno dell’accademia italiana, proponiamo qui un resoconto delle linee d’intervento del movimento negli ultimi mesi, mettendo al centro i punti politici principali che stanno caratterizzando le proteste dei lavoratori e delle lavoratrici dell’università di concerto con i movimenti studenteschi. Si tratta di una riflessione che vuole essere un punto di partenza che ci porti allo sciopero del 9 aprile di tutto il mondo universitario, una data che deve essere un punto di partenza per...
Trent’anni dopo il genocidio in Ruanda, innescato dall’abbattimento dell’aereo privato su cui viaggiavano il presidente del Paese e il suo omologo del Burundi, e spacciato per l’esplosione di un conflitto etnico tra Hutu e Tutsi, si continua a discutere sulle cause del massacro di quasi un milione di persone. Dopo tre decenni, si evidenziano implicazioni che gettano una luce meno semplificata su quegli eventi drammatici: a cominciare dal ruolo delle grandi potenze che cercavano di accaparrarsi le enormi risorse strategiche nella regione dei...
È certamente corretto sostenere che le motivazioni che stanno spingendo Washington a mettere sotto assedio Pechino sono di natura economica. Paradossalmente questa tesi è stata infatti espressa indirettamente dalla stessa Segretario al Tesoro Yellen, in una intervista della settimana scorsa che non ha avuto la risonanza che avrebbe meritato nonostante anticipasse i temi che la stessa Yellen sta trattando con l'élite politica cinese nel suo viaggio diplomatico in corso in questi giorni. Di importanza capitale per comprendere la situazione a...
Pubblichiamo un estratto della prefazione del libro “Ucraina, Europa, mondo. Guerra e lotta per l’egemonia mondiale” di Giorgio Monestarolo (Asterios, Trieste, pp.106, euro 13). L’autore è ricercatore presso il Laboratorio di Storia delle Alpi dell’Università della Svizzera italiana e docente di Storia e Filosofia al liceo Vittorio Alfieri di Torino. La prefazione è del generale Fabio Mini, che tra le altre cose è stato generale di Corpo d’Armata, Capo di Stato Maggiore del Comando NATO del Sud Europa e comandante della missione...
Volete uscire dal dominio neoliberista, volete allentare la morsa della gabbia d’acciaio capitalista, volete invertire l’allungamento in corso da decenni della scala sociale di cui tra l’altro vi è vietato l’uso per provare a scalarla. Avete idee di mondo migliore, più giusto, qualsiasi sia la vostra idea di “giusto”. Tutto ciò è politico. Ma la vostra società non è ordinata dal politico, è ordinata dall’economico. È l’economico il regolamento del gioco sociale, è lui a dettare scala di valori, premi, punizioni, mentalità e cultura comune. E...
Nelle Conferenze di La Paz, nel 1995, il teologo e filosofo argentino, tra i pionieri della Teologia della Liberazione e in esilio dalla sua patria durante il regime fascista sviluppa la sua attentissima lettura di Marx dal punto di vista rivendicato dell’esternità e del lavoro ‘vivo’; ovvero della persona effettiva, reale, completa. Questo, declinato nelle sue diverse forme, marginali e ‘poveri’, stati subalterni e periferici, è il tema centrale della filosofia e della prassi politico-culturale ed etica di Dussel. Proviamo, dunque, a...
Come ha potuto succedere? Che mostruosità! Tutte quelle armi che circolano! Ma in che tempi viviamo! Colpa dei genitori….Colpa della scuola…. Sono le esclamazioni dei manigoldi ipocriti che tendono a ottunderci il cervello mentre cerchiamo di farci capaci dell’enormità di un bambino di dodici anni che entra in classe con una pistola e spara e uccide suoi compagni. Si assembrano sugli schermi e nelle paginate psicologi, sociologi, esperti di ogni risma da un euro all’etto a disquisire sul fattaccio. E tutti, indistintamente, a mancare...
L’apparente moderazione dell’Iran di fronte all’aggressione israeliana non dovrebbe essere confusa con la debolezza. Teheran esercita costantemente pressioni su Tel Aviv attraverso i propri metodi, preparando attentamente il terreno per il disfacimento di Israele. «La leggenda narra che una rana posta in una pentola poco profonda piena d’acqua riscaldata su un fornello rimarrà felicemente nella pentola d’acqua mentre la temperatura continua a salire, e non salterà fuori anche se l’acqua raggiunge lentamente il punto di ebollizione e uccide la...
I “giovani” sono in stato di ribellione permanente, perché persistono le cause profonde di essa, senza che ne sia permessa l’analisi, la critica e il superamento (non concettuale e astratto, ma storico e reale); gli “anziani” dominano di fatto ma… après moi le déluge, non riescono a educare i giovani, a prepararli alla successione. Perché? Ciò significa che esistono tutte le condizioni perché gli “anziani” di un’altra classe debbano dirigere questi giovani, senza che possano farlo per ragioni estrinseche di compressione politico-militare.
Era così che Antonio Gramsci discuteva la “quistione dei giovani” nei suoi Quaderni del carcere. La riflessione gramsciana scaturiva dal contesto politico italiano del primo dopoguerra. In quel frangente, il collasso della vecchia classe dirigente liberale aveva visto un’avanguardia consistente delle nuove generazioni esprimere la propria “ribellione” nei confronti dello status quo sotto forma di supporto attivo allo squadrismo fascista. Nei Quaderni, Gramsci interpretava questa convergenza a destra dei giovani come il risultato dell’incapacità – da lui spiegata alla luce di fattori esogeni di natura “politico-militare” – da parte del movimento operaio di esercitare una funzione “dirigente” nel paese. Questo paper nasce dall’assunto che l’analisi di Gramsci sia proficua per descrivere alcuni tratti della situazione politica contemporanea in Italia – e oltre. In particolare, penso che la difficoltà, in un periodo di “crisi”, nel ricambio generazionale all’interno della classe dirigente sia un elemento chiave per comprendere il prepotente ritorno dei giovani sulla scena pubblica europea negli ultimi tre anni; ma anche per capire perché il protagonismo giovanile si è espresso prevalentemente in forme “antagoniste” piuttosto che non “propositive” (la stessa scelta del termine indignados per caratterizzare il movimento di Plaza Catalunya mi pare emblematica).
Utilizzando categorie di matrice gramsciana, cercherò per prima cosa di tracciare un profilo storico e sociale della “generazione della crisi” – vale a dire, quei nuclei di giovani che si sono venuti politicizzando dal 2008 in avanti; quindi analizzerò alcune delle ragioni per cui ritengo possibile una mobilitazione politica radicale tra i più giovani, e i fattori che invece ostacolano questo processo; infine, cercherò di delineare una bozza di programma d’azione per i giovani di sinistra d’inizio ventunesimo secolo.
La “generazione della crisi” Rispetto a categorie analitiche come “classe” o “genere”, il concetto di generazione è più difficile da definire. Da un lato, l’importanza del contesto storico-sociale all’interno del quale un individuo viene socializzato alla vita adulta (in maniera assai approssimativa, potremmo dire, quella fase di “formazione” che va tra i quattordici e i trent’anni di età; ma i limiti sono difficili da determinare e possono variare enormemente nel tempo e nello spazio) nel definirne mentalità, interessi e comportamenti appare innegabile. Come già scrisse Goethe a inizio Ottocento, ciascuno di noi sarebbe una persona completamente differente, se fosse nato dieci anni prima o dopo. D’altro canto, i modi in cui gruppi diversi di individui arrivano a sviluppare identità e solidarietà collettive su base generazionale sono difficili da afferrare. Una definizione del concetto di “generazione” basata esclusivamente sul dato anagrafico non è soddisfacente: l’idea che tutte le persone nate ad un dato momento condividano una stessa identità generazionale non resiste alla prova dei fatti. In effetti, è possibile che due individui nati nello stesso giorno, nello stesso posto, finiscano per introiettare identità generazionali differenti, se non contrastanti.
Alla base delle identità generazionali possono esservi valori e ed esperienze assai eterogenei. Negli anni venti del secolo scorso, il sociologo tedesco Karl Mannheim ha contribuito a superare alcune di queste difficoltà euristiche, ri-concettualizzando l’idea di generazione. A detta di Mannheim, è necessario distinguere tre diversi piani: la “collocazione generazionale”, che è un dato universale derivante dal fatto di essere nati e cresciuti in uno specifico contesto-storico sociale; il “legame generazionale”, che è il vincolo che si può creare tra un gruppo di individui che, condividendo una stessa collocazione generazionale, si trovano ad affrontare nella fase di passaggio alla vita adulta un determinato problema storico (ad esempio: una guerra civile, la necessità di un rinnovamento culturale, una profonda trasformazione economico-sociale etc); e infine l’”unità di generazione”, che è costituita da coloro che danno una stessa risposta collettiva a quel problema storico (per es., nel caso della guerra civile italiana del ’43-’45, i partigiani, o i repubblichini). Concentrandosi sul contesto storico-sociale in cui una generazione viene socializzata, questo modello consente di spiegare l’esistenza di identità generazionali differenti in un gruppo di coetanei, e le modalità attraverso cui queste identità di definiscono.
Prendendo le mosse dall’analisi di Mannheim, mi pare che si possa parlare, per gli ultimi tre anni, della comparsa di una “generazione della crisi” sulla scena pubblica occidentale. Il “problema storico” che ha portato al nascere e al consolidarsi di nuovo legami generazionali è innanzitutto la crisi finanziaria esplosa nel 2007-2008 – una crisi trasformatasi ben presto in una fase di profonda e prolungata recessione economica, a causa delle politiche di taglio della spesa pubblica e austerity adottate dai governi occidentali. La crisi ha finito per rendere evidente l’indadeguatezza delle istituzioni della democrazia parlamentare fondata sullo stato-nazione, come provano l’insediamento di governi tecnocratici in Italia ed in Grecia. In generale, penso che si possa descrivere la crisi che i paesi occidentali stanno attraversando come una crisi sistemica – laddove per sistema intendo quel connubio di capitalismo neoliberista e mediocrazia (più o meno venata di populismo, a seconda dei diversi contesti nazionali) che ha caratterizzato gli ultimi trent’anni.
La crisi ha colpito in maniera diretta, e profonda, i giovani. I dati sulla disoccupazione giovanile sono eloquenti. In Inghilterra, all’inizio di settembre del 2011 , più di un quinto dei giovani tra sedici e ventiquattro anni – pari a oltre un milione di persone – risultavano disoccupati (il dato più alto di sempre). In Spagna, si arriva a un mirabolante 45% per quelli nella fascia di età 16-29. In Italia, il dato ufficiale si attesta attorno al 27,8%, a cui si devono sommare almeno un altro 7,7% di “sottoccupati” – persone costrette ad accettare un lavoro a tempo parziale in mancanza di altro. Nel complesso, la probabilità che un giovane italiano sia disoccupato è tre volte quella di un adulto. Questi dati attestano in modo inequivocabile come la crisi economica sia anche un fenomeno di natura generazionale – un aspetto talmente evidente da essere riconosciuto persino da cocchieri del neoliberismo europeo come Mario Draghi o Mario Monti.
La “crisi”, tuttavia, non ha investito solo l’economia capitalista, ma anche la politica, per lo meno nelle sue forme canoniche (la democrazia parlamentare). La situazione di crescente disagio sociale, e l’incapacità da parte delle classi dirigenti dei paesi occidentali di dare una risposta convincente al malessere diffuso, hanno gettato ulteriore discredito su sistemi politici già da tempo percepiti come distanti dagli interessi e dalle vite dei cittadini. Il crescente astensionismo, e il successo di movimenti di protesta come il Piratenpartei in Germania (secondo un sondaggio della ZDF, votato prevalentemente da giovani sotto i 30 anni, per lo più diplomati), o il Movimento cinque stelle di Beppe Grillo in Italia, confermano il crescente rifiuto delle forme tradizionali della politica, soprattutto da parte dei più giovani. Stando ad un sondaggio commissionato da SWG nella primavera del 2010, ben il 32% di quelli nella fascia di età 18-34 si dichiaravano tendenzialmente favorevoli all’astensione, a fronte di un 17% tra quelli nella fascia di età 45-54. Una successiva indagine condotta nel settembre 2011 ha rivelato che circa un terzo della popolazione italiana (e, ancora una volta, soprattutto i giovani tra i 18 e i 29 anni) manifesta scetticismo nell’idea stessa di democrazia. Un senso di sfiducia nelle istituzioni parlamentari e - in misura forse ancora maggiore - la percezione di non essere rappresentati sembrano essere largamente diffusi tra i giovani europei. Sarebbe errato, tuttavia, pensare che questa sfiducia porti semplicemente all’apatia e al distacco dalla politica, laddove per quest’ultima s’intenda una presa di posizione riguardo alle strutture e alle pratiche della vita associata; al contrario, la mobilitazione giovanile c’è stata, ma ha assunto forme nuove e tendenzialmente oppositive, al di fuori da - e tendenzialmente in opposizione a - i canali e le modalità proprie della politica istituzionale o di partito.
Riots, book bloc e apatia
Nell'ultimo anno, per due volte i giovani britannici si sono riappropriati dello spazio pubblico, mettendo in discussione il vecchio adagio "be young and shut up". Nell'autunno del 2010, il paese è stato scosso da un'ondata di manifestazioni di piazza e occupazioni studentesche, di proporzioni probabilmente superiori persino a quelle del mitico 1968 (secondo stime attendibili, oltre 100 mila studenti britannici avrebbero partecipato attivamente alla protesta). La scintilla che ha fatto divampare la rabbia giovanile è stata la decisione del governo di alzare le tasse universitarie, portandole da 3 a 9,000 sterline l'anno, e di abolire l'Educational Manteinance Allowance, un sussidio di 30 sterline la settimana per gli studenti medi di estrazione working-class tra i 16 e i 18 anni. Significativamente, queste misure sono state introdotte da un governo il cui vice-premier, Nick Clegg, si era impegnato in campagna elettorale a rendere l'accesso all'università gratuito e a promuovere maggiore mobilità sociale. La percezione che vi sia un abisso incolmabile tra giovani generazioni e politica istituzionale non poteva essere più marcata.
A pochi mesi di distanza, nell'estate del 2011, alcuni dei quartieri popolari di Londra sono stati sconvolti da un'ondata di disordini e violenze. Nell'immediato, i media britannici hanno motivato le riots alla luce di una presunta gang culture diffusasi negli ultimi vent’anni tra i giovani delle working-classes e, in specie, tra i black Britons. In realtà, un'analisi del profilo sociologico di quelli che sono stati processati per crimini legati alle sommosse rivela uno scenario differente. Non più del 13% dei processati è stato riconosciuto come membro di una qualche gang; significativamente, il 46% dei processati è di colore (un dato molto più alto rispetto al peso dei black Britons sulla popolazione dei distretti sconvolti dalle violenze: a Nottingham il 62% dei processati erano coloured, a fronte di un 9% di abitanti di colore sul totale), più della metà hanno meno di 20 anni, e ben il 42% è composto da studenti cui era stato riconosciuto il diritto ai free school meals (buoni mensa gratuiti dati ai ragazzi di famiglie povere). Questi dati vanno letti tenendo ben presente la natura impudentemente classista della politica britannica: basti pensare che su 29 membri del governo britannico, almeno 23 sono miliardari. Un senso di rabbia e di frustrazione nei confronti di una società governata da persone radicalmente altre (per età, estrazione sociale, e background etnico) ha sotteso (in maniera più o meno consapevole) alla scelta dei giovani proletari di partecipare alla violenza urbana, come è emerso in diverse interviste condotte tra i rioters.
In Italia, un nuovo ciclo di lotte studentesche è iniziato nell'autunno del 2008, in opposizione alla riforma Gelmini, con la nascita dell'Onda. Nel 2010, il movimento ha raggiunto un picco di mobilitazione e conflittualità, con l'invenzione della pratica dei book blocs e gli scontri di Via del corso. Dopo alcuni mesi di riflusso, sull'onda lunga delle proteste degli Indignados e di Occupy, la rabbia giovanile è tornata prepotentemente ad occupare la scena pubblica con gli scontri di Piazza san Giovanni del 15 ottobre. A novembre, a pochi giorni di distanza dall’insediamento del governo tecnocratico di Mario Monti, sono stati ancora una volta i giovani a guidare la protesta di piazza.
Crisi economica e mancanza di rappresentanza nelle istituzioni creano una miscela esplosiva, che fa dei giovani di inizio ventunesimo secolo un soggetto sociale marginale, potenzialmente ribelle, e persino rivoluzionario. Allo stesso tempo, una serie di fattori di carattere sia strutturale che sovrastrutturale contribuiscono a smorzare le tensioni generazionali e a indurre i giovani europei a rientrare nei ranghi.
Su un piano strutturale, va considerato il peso dei legami familiari, soprattutto nei paesi dell'Europa mediterranea, come rete di protezione sociale alternativa rispetto al welfare state. In Italia, in particolare, i livelli di indebitamento privato delle famiglie italiane sono decisamente bassi (nel 2009, pari al 77% del reddito disponibile, a fronte del 93% della Germania e di un dato medio del 105% tra i paesi dell'area euro). Questo significa che esiste una riserva nascosta (che spesso fugge pure a qualsiasi accertamento fiscale) che può essere impiegata dagli adulti per sostenere i più giovani e smorzare l'impatto della crisi. Si può azzardare che è proprio il carattere economico, welfaristico dei legami intergenerazionali che spiega certi comportamenti di matrice "familistica" particolarmente diffusi in Italia. A fronte di una profonda sfiducia nello stato e nelle istituzioni, è la famiglia a provvedere gli ammortizzatori sociali di base ai più giovani. Ovviamente, un sistema del genere sul lungo periodo non può che accentuare le differenze di classe, e costringere i giovani a una costante dipendenza economica, ma anche morale, nei confronti degli adulti. In mancanza di una proposta alternativa che offra ai giovani un supporto pubblico minimo garantito, la predisposizione a una mobilitazione politica in senso radicale viene attenuata dalle reti familiari.
La questione della mancanza di una proposta alternativa riemerge con forza quando si va ad analizzare la dimensione sovrastrutturale della crisi. Sicuramente, un senso crescente di sfiducia nei confronti sia del capitalismo neoliberista che di un sistema politico fondato sullo stato-nazione e sulle istituzioni della democrazia parlamentare si sta diffondendo tra le popolazioni europee, e in particolare tra i giovani. In questo senso, tornando a Gramsci, si potrebbe azzardare l'ipotesi che quella che stiamo attraversando è una fase di "crisi di egemonia": il rapporto tra istituzioni pubbliche e società civile è in profonda crisi, e il potere politico ed economico esercitato dalle classi dirigenti sul resto della società è sempre meno fondato da un consenso di natura egemonica, e sempre più basato su forme di dominio coercitivo (in questo senso, la farsa del referendum greco sulle misure di austerità ha un valore emblematico). Allo stesso tempo, la mancanza di una proposta contro-egemonica chiara e definita (vale a dire, un modello alternativo di strutturazione del rapporto tra potere politico e società civile, fondato su una configurazione differente dei rapporti di forza tra le diverse classi sociali) rappresenta l'ostacolo più difficile da superare per le sinistre. Al momento, è chiaro a tutti contro cosa si lotta, a nessuno per cosa si lotta esattamente.
A mio avviso, è proprio la mancanza di una visione politica alternativa che è alla radice delle recenti esplosioni di violenza giovanile, tanto in Inghilterra, quanto in Italia. Nel momento in cui si esperisce una condizione di marginalità e precarietà sociale, da cui non si vede alcuna possibile via d'uscita, la rabbia monta, fino a sfociare in forme di conflittualità distruttiva - vale a dire, non finalizzata ad alcun altro scopo se non quello di esprimere un'estraneità radicale al sistema. Come è stato notato dagli stessi servizi di informazione italiani, i livelli di violenza sin qui espressi dai giovani sono sorprendentemente bassi, rispetto alla condizione di disagio sperimentata nel quotidiano (in questo senso, agiscono sia fattori strutturali - i sovracitati legami di natura intergenerazionale - che sovrastrutturali - un trentennio di egemonia neoliberista durante il quale l'idea stessa di conflittualità politica e sociale è stata rimossa dal discorso pubblico). L'impressione è di trovarsi di fronte a una bestia dormiente, che se viene stuzzicata può scatenarsi e mordere ferocemente, senza riuscire però a strapparsi di dosso il giogo che la attanaglia. Ritornando alla citazione iniziale di Gramsci, si può ben dire che al momento "I giovani sono in stato di ribellione occasionale [piuttosto che non permanente], perché persistono le cause profonde di essa, senza che ne sia permessa l’analisi, la critica e il superamento (non concettuale e astratto, ma storico e reale)". Gli eventi del 15 ottobre a Roma dimostrano con chiarezza che “l'indignazione non basta”, come giù era stato notato da Pietro Ingrao, "in mancanza di una lettura del mondo e di una adeguata pratica politica che dia loro corpo. Che l'indignazione possa supplire alla politica e, in primo luogo, alla creazione delle sue forme efficaci è illusorio." La domanda quindi, è come si possano costruiredelle proposte e delle forme efficaci per mobilitare una parte significativa dei giovani della "generazione della crisi" a sinistra, e formare una nuova "unità generazionale" che risponda alla crisi con una proposta di cambiamento radicale.
Giovani intellettuali, giovani proletari
In un post pubblicato nel febbraio 2011, nei giorni della caduta di Ben Ali e di Tahrir, il giornalista della BBC Paul Mason individuava venti ragioni che erano alla radice dell’esplosione dei nuovi movimenti di protesta a livello globale. Mason notava come il soggetto sociale di riferimento delle nuove proteste fosse “il laureato senza futuro”, in grado di organizzarsi e fare politica al di fuori dei canali tradizionali, attraverso i nuovi social media. Il giornalista puntava l’attenzione sul ruolo centrale giocato dai giovani di estrazione middle class, sottolineando lo scarso peso delle organizzazioni sindacali nei nuovi movimenti.
Senza dubbio, molti degli aspetti messi in evidenza da Mason sono centrali nello spiegare le ragioni e le forme della protesta giovanile. L’assenza di prospettive (esistenziali ancor prima che occupazionali) per i giovani del ceto medio con un elevato livello d’istruzione sta radicalizzando una nuova generazione di intellettuali - laddove, con Gramsci,
per intellettuali occorre intendere non solo quei ceti comunemente intesi con questa denominazione, ma in generale tutto lo strato sociale che esercita queste funzioni organizzative in senso lato, sia nel campo della produzione, sia in quello della cultura, e in quello politico-amministrativo.
La radicalizzazione dei giovani intellettuali del ceto medio è il prodotto dell’incapacità delle classi dirigenti di garantirsi una successione, co-optando le elites delle nuove generazioni all’interno delle proprie istituzioni e reti di potere. Si tratta di un fenomeno che attesta in maniera inequivocabile il carattere strutturale della crisi: il sistema non è in grado di riprodurre se stesso.
La rivolta dei giovani intellettuali è un serio pericolo per lo status quo. La loro prossimità culturale ai valori e ai linguaggi propri delle classi dirigenti rende inefficace la strategia della demonizzazione mediatica (e classista), ampiamente messa in atto nel caso delle riots agostane. I giovani intellettuali sono in grado, almeno sino a un certo punto, di appropriarsi di alcuni degli strumenti egemonici del sistema neoliberista (i mezzi di comunicazione) per portare avanti le proprie rivendicazioni. Si spiega così l’attenzione spropositata che un movimento di stampo “neo-situazionista” (e fortemente middle-class) come Occupy ha avuto da parte dei media, soprattutto nel mondo anglosassone. Rispetto ai giovani delle working-classes, per i giovani intellettuali è più semplice decostruire il discorso egemonico neoliberista, perché hanno una conoscenza diretta (all’università, sul lavoro, e attraverso le loro reti di relazioni) delle istituzioni, degli strumenti e delle pratiche che ne costituiscono il fondamento.
Allo stesso tempo, sarebbe superficiale pensare che i giovani intellettuali possano, da soli, rappresentare un soggetto politico rivoluzionario. Una serie di fattori di carattere sia culturale (quella stessa vicinanza alla mentalità e ai valori delle classi dirigenti di cui sopra) e strutturale (una disponibilità economica “occulta”, sotto forma di beni e capitali accumulati dai genitori) rischia di trasformare la loro protesta in una mobilitazione di tipo implicitamente corporativo. In questo senso, l’implosione del movimento studentesco britannico nel 2011 è emblematica: piuttosto che sostenere le battaglie condotte dai sindacati, o cercare di investigare nello specifico le cause delle riots di agosto, i vari gruppi nati dalle lotte studentesche si sono ripiegati su se stessi, mentre la massa degli studenti considera le lotte del 2010 come una battaglia persa.
Se l’obiettivo (e la necessità) è quello di costruire un’alternativa ad un sistema neoliberista in inesorabile decomposizione, la vera sfida sta nel cercare una saldatura con le istanze dei giovani del proletariato urbano, nell’intento di costruire un nuovo soggetto sociale potenzialmente egemonico. Non si tratta di assumere un atteggiamento messianico, ponendosi nella prospettiva di “andare al popolo”, “redimere” le working-classes, o di svolgere una funzione maieutica che consenta a queste ultime di sviluppare una coscienza rivoluzionaria. Non si tratta neppure di fingere che le differenze di classe non esistano, mascherandosi dietro slogan come quello del 99% - ottimo per la propaganda, assai superficiale da un punto di vista analitico.
Al contrario, l’obiettivo deve essere il raggiungimento di un’unità dialettica tra le due componenti di questo nuovo blocco generazionale – vale a dire una sintesi politica che scaturisca dal riconoscimento delle reciproche differenze, e delle ragioni e gli obiettivi di una lotta comune contro l’ordine esistente. Ma come?
In questo senso, mi pare che una soluzione possa venire da un’analisi ravvicinata del concetto di intellettuale in Gramsci. Come abbiamo visto, per Gramsci è intellettuale chiunque eserciti una funzione direttiva e organizzativa. Ma Gramsci va oltre e nota anche che in realtà
ogni gruppo sociale, nascendo sul terreno originario di una funzione essenziale nel mondo della produzione organica, si crea insieme, organicamente, uno o più ceti di intellettuali che gli danno omogeneità e consapevolezza della propria funzione non solo nel campo economico, ma in quello sociale e politico.
In effetti, l’idea per cui le classi popolari sarebbero strutturalmente incapaci di produrre un loro gruppo dirigente, e necessiterebbero quindi di una “supplenza” da parte degli intellettuali del ceto medio, mi sembra una semplificazione. La mia impressione è che anche nelle realtà del proletariato urbano (dalle gang di strada, alle curve degli stadi) esista una precisa distinzione di ruoli, e dei gruppi dirigenti, o quanto meno delle figure di riferimento – degli “intellettuali di strada”, per così dire. A un primo sguardo, l’intellettuale di formazione accademica può essere portato a passar sopra a queste distinzioni, a causa della distanza culturale rispetto ai linguaggi e alle pratiche della strada. Eppure, questi “intellettuali di strada” svolgono certamente una funzione di carattere organizzativo rispetto alla loro base sociale di riferimento, ed agiscono sulla base di logiche tutt’altro che irrazionali (una categoria utile per comprenderne le strategie mi pare sia quella thompsoniana di “economia morale”). La ricerca di uno scambio con gli intellettuali delle classi subalterne è il punto di partenza indispensabile per la realizzazione di una nuova unità generazionale. Come esempio di questo processo in atto, si può pensare alla cosidetta red-green alliance che è nata in Inghilterra dall’avvicinamento tra gruppi della sinistra radicale e associazioni islamiche.
La strategia dell’unità tra intellettuali di diversa estrazione sociale non può tuttavia prescindere da un più ampio lavoro di sintesi culturale. Per formare una nuova unità generazionale a sinistra, è indispensabile elaborare forme di cultura contro-egemonica che siano la espressione dei linguaggi e delle sensibilità dei diversi soggetti coinvolti. In questa direzione, Internet offre grandi opportunità: sia perché consente la circolazione e riproduzione di ogni genere di messaggio (testuale, visivo, audio) a costo zero; sia perché consente di minimizzare quella distanza (di classe) che separa gli spazi della socialità caratteristici delle middle e delle working classes. Tra le possibili iniziative in cantiere, c’è quella della creazione di nuove “università popolari”- strutture allo stesso tempo reali e virtuali, accessibili a tutti, dove costruire e condividere forme alternative (controegemoniche) di sapere. In quest’ottica, spazi come le Officine Corsare, Bartleby o la Bank of Ideas, l’edificio di UBS occupato recentemente a Londra, rappresentano una risorsa fondamentale. E’ soltanto mettendo in discussione il “senso comune” neoliberista (ben sintetizzato dallo slogan TINA – There Is No Alternative) a livello di massa che si può arrivare ad una trasformazione radicale dell’esistente.
Conclusioni
La crisi economica globale apertasi nel 2008 ha creato le condizioni per una radicalizzazione a sinistra delle nuove generazioni. Disoccupazione, precarietà esistenziale e lavorativa, percezione di una forte marginalità sociale, profonda sfiducia nelle forme della politica tradizionale sono tratti condivisi da gran parte dei giovani delle classi medio-basse del mondo occidentale; volendo, si può dire che essi rappresentino il denominatore comune di una “generazione della crisi”. Una mobilitazione a sinistra, finalizzata ad un cambiamento radicale, di una porzione consistente dei giovani europei è realmente possibile. Tuttavia, per poter trasformare il disincanto e la rabbia anti-sistema di giovani e giovanissimi in partecipazione attiva alla costruzione di un mondo nuovo è indispensabile anzitutto elaborare un progetto controegemonico chiaro e condiviso. Senza dubbio, i giovani intellettuali delle classi medie possono fornire un contributo fondamentale alla decostruzione e al sabotaggio del senso comune neoliberista: per formazione ed estrazione sociale, sono coloro che meglio ne conoscono i presupposti, i linguaggi e gli strumenti. Tuttavia, l’alternativa non può darsi, se non come il frutto di una sintesi dialettica tra le rivendicazioni e i linguaggi dei giovani di classe media e di quelli di estrazione proletaria. Questa sintesi deve essere realizzata non solo a livello di avanguardie, ma anche, soprattutto, a livello di massa, attraverso un lavoro di tipo politico-culturale. L’obiettivo ultimo deve essere la costruzione di nuovo blocco storico, che sia in grado di dare una risposta radicalmente alternativa alla crisi:
solo se il rapporto tra intellettuali e popolo-nazione […] è dato da una adesione organica in cui il sentimento-passione diventa comprensione e quindi sapere […] il rapporto è di rappresentanza e avviene lo scambio di elementi individuali tra governati e governanti, tra diretti e dirigenti, cioè si realizza la vita d’insieme che sola è la forza sociale, si crea il “blocco storico”.
Enrico Grazzini è giornalista economico, autore di saggi di economia, già consulente strategico di impresa. Collabora e ha collaborato per molti anni a diverse testate, tra cui il Corriere della Sera, MicroMega, il Fatto Quotidiano, Social Europe, le newsletter del Financial Times sulle comunicazioni, il Mondo, Prima Comunicazione. Come consulente aziendale ha operato con primarie società internazionali e nazionali.
Ha pubblicato con Fazi Editore "Il fallimento della Moneta. Banche, Debito e Crisi. Perché bisogna emettere una Moneta Pubblica libera dal debito" (2023). Ha curato ed è co-autore dell'eBook edito da MicroMega: “Per una moneta fiscale gratuita. Come uscire dall'austerità senza spaccare l'euro" ” , 2015. Ha scritto "Manifesto per la Democrazia Economica", Castelvecchi Editore, 2014; “Il bene di tutti. L'economia della condivisione per uscire dalla crisi”, Editori Riuniti, 2011; e “L'economia della conoscenza oltre il capitalismo". Codice Edizione, 2008
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