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economiaepolitica

Le banche tra finanziamento e finanziarizzazione

di Stefano Figuera, Andrea Pacella

Educazione finanziaria 2022 scaled 1 2048x1366.jpg1. Introduzione

A quarant’anni dalla pubblicazione del saggio di Augusto Graziani “Moneta senza crisi” che costituì un passaggio fondamentale nell’elaborazione della teoria monetaria della produzione, il contributo teorico dell’economista napoletano continua ad essere un imprescindibile punto di riferimento per la comprensione del funzionamento dell’economia capitalistica in quanto economia monetaria. Di fronte ai rilevanti mutamenti registrati dalla struttura finanziaria, la teoria monetaria della produzione si conferma come un importante strumento di analisi.

Ponendosi in tale prospettiva, il presente contributo si propone di offrire elementi per una lettura dell’evoluzione del ruolo del sistema bancario. Preziosa è, a tal fine, la distinzione tra finanziamento della produzione, finanziamento degli investimenti e finanziamento dell’economia teorizzata da Graziani.

 

2. Una visione circuitista del finanziamento

Un passaggio nodale della teoria monetaria della produzione è rappresentato dalla separazione tra settore delle banche e settore delle imprese. Da esso deriva la centralità del finanziamento e l’origine endogena della quantità di moneta che circola nel sistema economico.

“Il settore bancario (banca centrale più banche di credito ordinario) produce moneta ma non la utilizza; il settore delle imprese utilizza moneta ma non la produce. Quando si afferma che l’impresa impiega denaro per ricavarne maggior denaro, si intende quindi che l’impresa impiega denaro a prestito dal settore bancario. Ecco perché il primo atto del processo economico è un atto di finanziamento, mediante il quale il sistema delle banche crea mezzi di pagamento (o crea credito, come avrebbero detto Wicksell e Schumpeter) e li dà a prestito al sistema delle imprese, il quale si impegna a restituirli con la maggiorazione dell’interesse pattuito”.

(Graziani 1983, 102)

In numerose occasioni Augusto Graziani (1983, 1994, 1996a, 2003) ha ribadito la necessità di distinguere tre tipi di finanziamento per comprendere appieno il funzionamento di una moderna economia monetaria: il finanziamento della produzione, il finanziamento degli investimenti e il finanziamento dell’economa.

Determinante nella teoria monetaria della produzione è il finanziamento della produzione (Graziani 1994, 2003). Esso attiene alla creazione della moneta necessaria per finanziare le transazioni tra imprese e lavoratori. La moneta appare in questo caso come un mezzo di pagamento di cui si servono le imprese per acquistare i servizi del fattore lavoro[1].

Nell’analisi di Graziani è l’accesso al credito che consente ai beneficiari del finanziamento di appropriarsi di parte del risultato del processo produttivo e di realizzare i propri progetti di accumulazione. La distribuzione del reddito reale è infatti determinata dalle imprese nel momento in cui decidono la composizione della produzione e ottengono dalle banche il finanziamento necessario ad avviarla. In tale prospettiva, il finanziamento iniziale o della produzione va anteposto, logicamente e cronologicamente al finanziamento degli investimenti. Aspetto, quest’ultimo, di grande rilievo per due motivi: a) a differenza dell’approccio neoclassico e keynesiano, il finanziamento degli investimenti non è la categoria rilevante (o perlomeno non l’unica) per il funzionamento dell’economia, b) il mercato dei capitali segue regole di funzionamento ben distinte da quelle proposte dall’approccio dominante.

Nell’ottica circuitista ciò che assume rilevanza, per il finanziamento degli investimenti, è la formazione di un corrispondente risparmio. Questo finanziamento è naturalmente successivo a quello della produzione: mentre infatti quest’ultimo attiene alla formazione del reddito, il finanziamento degli investimenti ha a che fare con le scelte relative al reddito già formato. Esso cioè è legato al modo con il quale il reddito non consumato viene ripartito dai lavoratori tra titoli emessi dalle imprese e scorte liquide. Attraverso l’intermediazione le banche, quindi, non finanziano gli investimenti: l’ugua­glianza tra risparmi e investimenti è, infatti, in ogni caso stabilita a prescindere dall’intervento del sistema bancario[2].

Se il finanziamento della produzione non dipende dal risparmio ma dal finanziamento bancario, il finanziamento degli investimenti non dipende dal finanziamento bancario ma dal risparmio (nella duplice forma di risparmio dei lavoratori e/o profitti delle imprese).

“Investment is financed the moment in which newly produced capital goods find a buyer on the market. The sale of new capital goods may take place in either of two ways:

i) Capital goods may be sold to savers in an indirect way, namely through the sale of securities on the financial market. The typical form of this operation is the purchase by savers of equities issued by the firm. By such a purchase, savers become stockholders and therefore co-owners of the firm.

ii) Capital goods may be exchanged among firms. This happens whenever firms having realised a profit use it to buy capital goods from the firms who produced them (it may well happen that a firm having produced a capital good decides to hold it and to make a direct use of it, thus realising its profit in kind)”.

(Graziani 2003, 71)

Sembrerebbe un ritorno al modello neoclassico, nel quale i risparmiatori sono i finanziatori e i proprietari dei beni di investimento. Nell’approccio circuitista, però, parte del risparmio che finanzia gli investimenti sono anche i profitti delle imprese. Inoltre, la parte di risparmio investita dai lavoratori nel mercato dei titoli rappresenta per le imprese un “debito figurativo” dato che il rimborso dei titoli e l’eventuale successiva spesa del ricavato sul mercato dei beni lascia inalterato il reddito reale dei lavoratori.

Particolarmente significativo quanto Graziani (1994, 152-153) puntualizza a proposito dell’autofinanziamento. Quest’ultimo, contrariamente a quanto spesso ritenuto, non rappresenta un mezzo attraverso il quale le imprese possono rendersi indipendenti dalle banche.

“Se consideriamo il fabbisogno iniziale delle imprese [sottolinea Graziani (1994, 152-153)] l’autofinanziamento resta escluso, dal momento che i mezzi finanziari iniziali non possono provenire se non dal debito bancario. Se consideriamo invece il finanziamento degli investimenti, l’autofinanziamento sarà presente nella misura in cui le imprese hanno guadagnato e accumulato profitti”.

Infine, Graziani (1996b) richiama l’attenzione su una terza forma di finanziamento: quello dell’economia. Il finanziamento dell’economia assume il carattere di uno stock il cui ammontare è pari a quello delle scorte liquide detenute dagli operatori. Esso è infatti uguale alla differenza tra le quantità di moneta precedentemente create e distrutte. In questo caso sono le scelte dei titolari di reddito a creare le premesse per un intervento del sistema bancario. Le imprese possono recuperare il finanziamento inizialmente concesso dalle banche attraverso la vendita dei beni di consumo o attraverso la vendita di titoli. Se una parte del reddito non consumato è trattenuta dai consumatori sotto forma di scorte liquide, le banche potrebbero vedersi “costrette” a consentire un finanziamento di pari ammontare.

 

3. Verso una rilettura del ruolo del settore bancario?

I mutamenti che hanno interessato negli ultimi decenni la struttura finanziaria dell’economia capitalistica e, più particolarmente, il sistema bancario, hanno indotto alcuni studiosi a interrogarsi circa un eventuale mutamento del ruolo delle banche. Al centro dell’attenzione sono stati in particolar modo il processo di finanziarizzazione e l’affermarsi del sistema bancario ombra. La rilevanza a livello sistemico di questi profili ha indotto alcuni studiosi a interrogarsi circa la capacità del modello di circuito monetario di darne conto[3].

Secondo la nota definizione di Epstein (2005, 3), il fenomeno della finanziarizzazione si caratterizza per “the increasing role of financial motives, financial markets, financial actors and financial institutions in the operation of the domestic and international economies”. Foster (2007) ha spiegato tale processo, in una prospettiva più ampia, alla luce delle politiche neoliberiste e del fenomeno della globalizzazione.

Tra gli studiosi prima citati, è stato Lysandrou (2014, 2020) ad avanzare serie riserve circa la capacità della teoria monetaria della produzione e della teoria del circuito monetario di fornire una spiegazione del processo di finanziarizzazione. Egli ha affermato che esse mantengono valore esplicativo limitatamente al capitalismo industriale e che, ai fini della spiegazione di tale evoluzione del sistema finanziario, occorra passare a un modello teorico ben diverso.

“There was a time when circuit theory could give some meaningful insights into the nature of monetary production economies. That time is over. By far the most significant development in the monetary sphere of capitalism in recent decades is that of financialisation, a phenomenon that circuit theory cannot explain other than by omitting some of its most important characterizing features while indiscriminately dismissing those features that it does address as dysfunctional outgrowths”.

(Lysandrou 2014, 19)

Uno degli elementi più significativi della crisi del 2007 è stato il ruolo determinante giocato dalla parte non regolamentata del sistema bancario che si è posta in una posizione di complementarità e/o di sostituzione rispetto agli intermediari tradizionali. Sono state le dimensioni del fenomeno a richiamare l’attenzione degli studiosi e dei rappresentanti delle istituzioni monetarie e finanziarie.

Dal dibattito sul sistema bancario ombra sono scaturiti elementi che hanno confermato una crescente consapevolezza circa il carattere endogeno dell’offerta di moneta. La riflessione sul sistema bancario ombra da parte del mainstream teorico si colloca in un più generale ripensamento della politica monetaria. Il controllo degli aggregati monetari si è rivelato via via più arduo in un contesto in cui proliferano forme di quasi-moneta; ciò ha indotto, se non a un’accettazione dell’ipotesi dell’endogeneità dell’offerta di moneta, alla presa d’atto di un mutato contesto.

Di fronte a questa importante mutamento che ha interessato il sistema bancario ci si è interrogati sul persistere della validità del modello interpretativo rappresentato dalla teoria monetaria della produzione. Michell (2017, 374) è giunto alla conclusione che se da un canto la teoria monetaria della produzione offre un quadro chiaro ed elegante del processo di finanziamento e del carattere monetario dell’economia capitalistica. Purtroppo, a suo avviso, il processo di finanziarizzazione ha determinato un cambiamento del ruolo della moneta così rilevante da rendere questo approccio teorico non più in grado di rappresentare adeguatamente il funzionamento dell’economia contemporanea. Ciò pur dovendosi riconoscere la validità dell’analisi del finanziamento elaborata da Graziani.

“With the ‘financialisation’ of capitalism over recent decades, the role of money has changed to the extent that Graziani’s theory, in the original, no longer provides an accurate depiction of the contemporary monetary circuit. Instead, the modern circuit operates in a perverse and mutated form”.

(Michell 2017, 374)

A questo riguardo riteniamo di dover osservare che il modello proposto da Graziani vuole offrire una spiegazione delle relazioni fondamentali che connotano un’economia capitalistica nella sua dimensione monetaria, nella loro essenziale irriducibilità. Circostanza questa che incide sulla rilevanza delle obiezioni avanzate da Lysandrou. Molto lucidamente Bellofiore (2013, 139) ha osservato:

“L’astrazione di base del circuito monetario è appunto, almeno ai miei occhi, una astrazione: non una descrizione ‘realistica’, e neppure una ricostruzione ‘storica’, tanto meno la rappresentazione di una economia concretamente ‘possibile’. Quella astrazione è però la condizione per comprendere la realtà che abbiamo di fronte, per procedere a una ‘storia ragionata’, per individuare (per gradi) le condizioni di riproduzione e di crisi del capitalismo”.

L’analisi del dispiegarsi del finanziamento nelle sue diverse forme, che è alla base della teoria monetaria della produzione, si conferma invece a nostro avviso come uno strumento di grande rilevanza teorica, in grado di dar conto del funzionamento di un’economia monetaria sia quando esso è regolare quanto in presenza di disfunzioni. Per tale via è possibile pervenire a una lettura dei meccanismi monetari che hanno caratterizzato la crisi del 2007[4].

 

4. Elementi per un’analisi del processo di finanziarizzazione

La teoria monetaria della produzione costituisce un importante apporto al fine di comprendere il ruolo del sistema bancario ombra e la finanziarizzazione. Sin dai primi contributi sul circuito monetario egli infatti richiamò l’attenzione sul predominio della finanza.

“In un’economia monetaria, è ammesso all’accumulazione del capitale soltanto chi è ammesso a disporre di liquidità, perché soltanto lui può svolgere un processo produttivo. In un’economia monetaria, la formazione dei profitti e l’accumulazione di capitale sono sottratte alle forze individuali della frugalità e del risparmio, e sono subordinate invece ai criteri e alle modalità con cui si viene ammessi al mercato della moneta e del credito […] ciò significa anche che le redini dell’accumulazione di capitale vengono sottratte non soltanto al lavoratore-risparmiatore, ma anche al capitalista industriale e riposte invece nelle mani di chi domina il mondo della finanza”.

(Graziani, 1980, p. XIX)

Il problema della finanziarizzazione è stato poi, più in particolare, affrontato in La teoria monetaria della produzione. L’eventualità che gli impieghi finanziari siano privilegiati a scapito di quelli produttivi può verificarsi se ricorrono due condizioni. La prima è che vi siano imprese che hanno realizzato profitti “non soltanto in forma reale (questo sarebbe un mero autofinanziamento degli investimenti) ma in forma monetaria” (Graziani 1994, 156). La seconda si verifica nel caso in cui: “I soggetti indebitati verso il sistema bancario siano desiderosi di farsi finanziare dai soggetti muniti di liquidità, e quindi desiderino sostituire il debito verso le banche con il debito verso altri soggetti. Questa condizione si verifica tipicamente nei periodi di stretta creditizia; è allora che le imprese in difficoltà, vedendosi reso difficile l’accesso al credito bancario, tentano di utilizzare le sacche di liquidità disponibili” (ibidem). È proprio in quest’ultima prospettiva che può trovare spiegazione il ruolo giocato in questi anni dal sistema bancario ombra; la necessità di attingere a fonti di finanziamento alternative ha indotto il settore delle imprese a ricorrere a intermediari non regolamentati.

L’analisi della crisi sviluppata da Graziani offre ulteriori elementi per la comprensione del fenomeno della finanziarizzazione e del ruolo giocato dal sistema bancario non tradizionale. Egli considera al riguardo due ipotesi: la mancata chiusura e la mancata apertura del circuito monetario. Mentre la prima rientra nell’ambito della spiegazione della crisi nella prospettiva keynesiana legata all’insufficienza di domanda, la seconda pone l’accento sulla valutazione che i settori delle banche e delle imprese effettuano circa il livello atteso di profitto.

Il recente affermarsi del sistema bancario ombra (cfr. Figuera 2011; Canelli, Realfonzo 2020) può essere collocato in questa prospettiva all’interno di una precisa successione. Il settore delle imprese necessitava di un livello di domanda globale coerente con i propri progetti di accumulazione ma ha dovuto fronteggiare la caduta della domanda di beni di consumo, conseguente alla compressione dei redditi da lavoro (frutto del generalizzato processo di deregolamentazione). L’intervento del sistema bancario ombra (nella sua complessa articolazione) è stato determinante per “convalidare” le decisioni di produzione delle imprese attraverso il sostegno della domanda. Esso si è tradotto in un maggior sostegno finanziario alle imprese da parte degli intermediari non bancari e in accresciuto credito al consumo concesso ai lavoratori-consumatori. L’indebitamento di questi ultimi, stante la riduzione dei loro redditi in termini reali, è stato d’altra parte la via obbligata per garantire il mantenimento della domanda di beni di consumo a livelli sufficientemente alti.

Parguez (2023a [2006]), ha fornito un’acuta analisi del processo di finanziarizzazione, criticando la tesi che la “disintermediazione” rappresenti una conferma del ruolo centrale del risparmio preventivo. La finanziarizzazione, egli dice, è il risultato di un’intermediazione crescente, un allungamento della struttura monetaria, frutto dell’operare di tre forze:

“Il desiderio degli imprenditori e delle banche di sopprimere il deficit statale, temendo che sostenere l’estensione del potere statale comprometta la libertà d’azione dei capitalisti e dia troppo spazio di manovra ai detentori del potere lavorativo; la necessità di sostituire lo Stato con l’indebitamento dei lavoratori; l’aumento del tasso di accumulazione desiderato dai capitalisti finanziari”.

(Parguez 2023a [2006], 18-19, n.t.) [5]

A questo riguardo riteniamo di dover ricordare come Graziani (1981), anche nell’ambito di trattazioni istituzionali, intervenendo nell’ambito di un dibattito che si registrò in Italia in merito al ruolo del sistema bancario e degli istituti di credito speciale, sgombrò il campo da pericolosi equivoci[6].

È bene sottolineare che il processo di finanziarizzazione non caratterizza solo ed esclusivamente il settore delle imprese ma anche il settore bancario.

Interessanti indicazioni, con riferimento ad esempio al sistema bancario italiano e alle sue connessioni con il fenomeno della finanziarizzazione, emergono dalle indagini effettuate in occasione del centocinquantesimo Anniversario dell’Unità nazionale (allorché fu preso in esame l’arco temporale che va dal 1861 al 2011), da ulteriori analisi offerte dall’ISTAT e da studiosi della Banca d’Italia sulla scorta dei bilanci bancari[7].

I dati (cfr. De Bonis, Farabullini, Rocchelli, Salvio, 2012) mettono in luce come il fenomeno della finanziarizzazione abbia interessato significativamente il settore delle banche italiane. La voce “Azioni e partecipazioni”, nel decennio 2001-2010, è cresciuta in modo considerevole, facendo segnare un incremento quasi del 73%, passando da € 73.469.000 a € 127.072.000. Una conferma della rilevanza di tale processo è data dall’aumento della voce “Titoli in portafoglio”, la cui consistenza è passata da € 178.981.000 a € 433.807.000 (ibidem, 31).

In tale periodo poi la somma di queste ultime due voci di bilancio è passata da € 252.450.000 a € 560.879.000. Se rapportato al totale dei prestiti, essa ha fatto segnare un significativo incremento passando dal 27,3% (nel 2001) al 34,8% (nel 2010) (ibidem). Nel 2022 lo stesso valore è stato del 36,1% (€ 924.714.000 rispetto a € 2.558.198.000), così confermando tale trend (Banca d’Italia, 2023, 7).

Sul piano delle scelte di portafoglio delle banche, gli studiosi rilevano come queste siano state a tratti fortemente diversificate e a tratti maggiormente indirizzate all’acquisto di titoli di debito pubblico[8].

“In una prospettiva di lunghissimo periodo (dal 1890 ad oggi), i titoli pubblici hanno rappresentato recentemente una frazione rilevante delle attività di una larga parte delle banche, in linea con i livelli già osservati all’inizio degli anni Cinquanta, Ottanta e Novanta del Novecento, e inferiore in media a quelli del periodo tra le due guerre. In termini di media ponderata, tuttavia, si osserva un trend complessivo decrescente, di cui i primi anni Duemila costituiscono un punto di minimo assoluto”.

(Vercelli, Piselli, 2023, 31)

Questi comportamenti testimoniano come le banche abbiano progressivamente mitigato le loro funzioni istituzionali. Si tratta di una scelta che non è di poco rilievo per ciò che riguarda il rapporto tra banche e imprese. L’acquisto di titoli di stato da parte del sistema bancario si è infatti accompagnato a una riduzione dei finanziamenti alle imprese. Ciò si è tradotto in un aumento della fragilità del sistema sotto il profilo finanziario e in una riduzione del finanziamento dell’economia reale.

“Il settore bancario italiano continua a detenere un ammontare eccessivo di titoli del debito pubblico nazionale. In particolare, dopo aver ridotto questo ammontare nella fase di superamento del picco delle difficoltà sistemiche, dall’inizio del 2019 le nostre banche hanno nuovamente puntato sui titoli del debito pubblico italiano. Oltre a creare un “circolo diabolico” (doom loop) che aumenta la probabilità congiunta di una crisi dei debiti sovrani e di una crisi bancaria, in Italia la scelta bancaria di accrescere la detenzione di tali titoli si è associata alla riduzione dei finanziamenti in favore dell’economia “reale””.

(Messori 2020, 7)

Accanto all’analisi dell’intermediazione nel processo di finanziarizzazione, gli studiosi contemporanei del circuito hanno posto adeguata attenzione al credito al consumo il cui ruolo è quello di affiancare il finanziamento alla produzione contribuendo a determinare quella domanda aggregata che è all’origine delle decisioni di produzione delle imprese. Si tratta di un atto di finanziamento logicamente e cronologicamente antecedente rispetto al finanziamento della produzione[9].

Va osservato che il credito al consumo, come creazione monetaria finalizzata al sostegno della domanda interna, non trova spazio nello schema di Graziani[10]. Alla luce della teoria monetaria della produzione, esso appare come uno strumento per accrescere (o, comunque, per non far contrarre) la domanda che proviene dai lavoratori (che nel caso di risparmio nullo di questi è pari all’intero monte salari) in caso di caduta dei salari.

Si tratterebbe di una creazione monetaria destinata a sostenere la finanza finale, alla quale sarebbero riconnesse innegabili conseguenze sotto il profilo distributivo. La necessaria finanza finale sarebbe infatti anche in questo caso assicurata alle imprese, ma con la differenza, rispetto all’ipotesi in cui queste vedano rinnovato il credito loro concesso, che l’indebitamento e i conseguenti oneri finanziari verrebbero a gravare sui consumatori.

A rigore, l’esistenza del credito al consumo è legata a una “patologia” del sistema, ossia alla circostanza che l’emissione monetaria non è destinata al finanziamento dell’attività produttiva ma a sospingere verso l’alto la domanda aggregata, coerentemente con i progetti di profitto e di accumulazione delle imprese.

Di queste “disfunzioni” del processo di finanziamento non sfuggono i rilevanti effetti in termini di redistribuzione del reddito. Si tratta di fenomeni che si inseriscono nell’ambito di quel passaggio dal “finance capitalism” al “money manager capitalism” al centro dell’attenzione di Minsky (1996), che rappresenta un connotato caratterizzante dell’attuale fase evolutiva del sistema capitalistico[11]

 

5. Conclusioni

In periodi caratterizzati da rilevanti mutamenti del sistema creditizio e di quello finanziario, che sembrano giustificare nuove rappresentazioni della dimensione monetaria dell’economia capitalistica, la riflessione sul funzionamento di questo sistema economico sviluppata dalla teoria del circuito monetario si conferma di grande attualità.

Un punto cruciale di tale prospettiva è rappresentato dal riconoscimento della centralità del finanziamento nelle sue diverse forme, messo in evidenza da Augusto Graziani sin dalle prime sue elaborazioni in termini di circuito monetario (Graziani 1983).

La teoria monetaria della produzione, come si è successivamente sviluppata (Graziani 1994, 1996, 2003), offre altresì elementi preziosi per la comprensione di un fenomeno complesso come quello della finanziarizzazione.


Bibliografia
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Note
[1] “Se consideriamo il settore delle imprese nella sua globalità, e trascuriamo quindi i pagamenti interni fra singole imprese, gli unici pagamenti che risultano necessari sono quelli per l’acquisto di forza lavoro. Il finanziamento iniziale delle imprese deve quindi essere pari al monte salari che le imprese intendono erogare” (Graziani 1983, 98).
[2] “The implicit conclusion […] is that there is no conceivable case in which banks can act as intermediaries between savers and investors. Banks do control the supply of money but they have no direct control over the supply of saving. The commonplace according to which banks, by selling deposits, would be collecting savings and by granting loans would be financing investment is but a myth” (Graziani 1996b, 151).
[3] Cfr. Michell 2017; Lysandrou 2014, 2020.
[4] “Financial deregulation has undoubtedly made the difference between financial institutions merely fictional, but the specific role of commercial banks as money creators and the link between the real, financial and monetary spheres still holds valid. This has significant policy implications at the institutional level, with the ultimate aim to tame the disruptive systemic effects of the financial side of financialisation and pave the way towards the ‘de-financialisation of finance’, in order to reclaim the original and primary role of the financial sector of attending the needs of the real economy” (Caverzasi, Botta, Capelli 2019, 1047).
[5] Sul processo di intermediazione crescente e modifica del circuito monetario si vedano, tra gli altri, Veronese Passarella (2014) e Sawyer, Veronese Passarella (2017).
[6] Per un’analisi del fenomeno della doppia intermediazione in Italia, cfr. Cesarini (1976).
[7] De Bonis, Farabullini, Rocchelli e Salvio (2012, 2013); ISTAT (2023a, 2023b, 2023c); De Bonis e Silvestrini (2013); Bartoletto, Chiarini, Marzano e Piselli (2017).
[8] “Un’altra particolarità dei primi anni Duemila fu il rilevante aumento della dispersione nella composizione del portafoglio titoli (…): la spinta concorrenziale e lo sviluppo dei gruppi portò ad una maggiore diversificazione delle scelte di business, tra cui quelle di portafoglio. A partire dalla seconda metà degli anni Duemila le banche ripresero ad acquistare titoli pubblici in maniera più intensa, interrompendo una dinamica che proseguiva da un intero decennio. In controtendenza con quanto accadeva nel resto dell’area dell’euro, le emissioni di titoli di Stato italiano crescevano (leggermente) e il differenziale tra i titoli italiani e il Bund tedesco più che raddoppiava, da 0,1 a 0,24” (Vercelli, Piselli, 2023, 29).
[9] Per una lettura circuitista delle cause ed effetti del credito al consumo si vedano, tra gli altri, Pacella (2008), Forges Davanzati, Pacella (2010, 2013).
[10] Diversamente Parguez (2008, 39) rileva “money – as a pure bank credit liability – exists to overcome constraints on required expenditures by firms, household and mainly the State”. A proposito del ruolo svolto dal credito al consumo, egli osserva: “Quando i salariati contraggono debiti con le banche per aumentare le loro spese oltre i salari pagati loro dalle imprese, i prestiti bancari equivalgono a una creazione istantanea di moneta spesa in beni. Ciò equivale a un tasso di risparmio negativo dei salariati che genera veri e propri “profitti inattesi” per le imprese. Quando la crescita del debito dei salariati è sufficientemente elevata, le imprese potrebbero ottenere profitti superiori agli investimenti e quindi rendere disponibili i profitti in eccesso per la spesa futura” (Parguez 2023b, 53[n.t.]). Per un confronto tra il contributo di Parguez e quello di Graziani, cfr. Bellofiore (2013).
[11] Cfr. Bellofiore (2009).

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