Print Friendly, PDF & Email

codicerosso

Il Coronavirus e il crollo della modernizzazione

di cybergodz

crollo della modernizzazione scaled e1586795980259Proponiamo qui un testo proveniente dall’ambiente intellettuale tedesco che ruota intorno alla “Critica del valore”.1 Gli estensori, Roswitha Scholz e Herbert Böttcher, appartengono più precisamente all’area che ha come punto di riferimento la rivista Exit e il sito www.exit-online.org.

La Critica del valore si basa sulla tesi per la quale il capitalismo, che è essenzialmente valorizzazione di valore, è giunto al suo limite estremo, oltre il quale non può più andare. Questo a causa soprattutto della competizione capitalistica, la quale ha traghettato il mondo verso quella che è stata definita “terza rivoluzione industriale”, caratterizzata da una produttività a trazione iper-tecnologica e microelettronica.

Le nuove esigenze di questa esasperata produttività capitalistica richiedono una forte razionalizzazione dei costi, quindi l’espulsione di massa di “forza-lavoro” (come definisce l’economia capitalistica coloro che lavorano) dalla produzione, ma anche degli esseri umani in generale se non dal consorzio umano tout court, sicuramente dalla vita sociale e dai suoi benefici – quando ci sono. La onnipervasiva capacità produttiva, incredibilmente elevata, di merci a costi estremamente contenuti satura i mercati esistenti, che non sono più in grado di assorbire in modo redditizio le merci prodotte, e impedisce che se ne aprano di nuovi, ancora rispetto alla redditività necessaria. Al tempo stesso mina la “domanda” (sempre per usare questa odiosa terminologia commerciale) in quanto impoverisce il potere d’acquisto della potenziale platea di consumo, a causa proprio – come già sottolineato – della sua espulsione dal “contesto produttivo”, inteso anche in senso lato. Tutto questo genera, secondo la Critica del valore, una crisi senza ritorno.

Ovviamente un tale stato di cose non può indurre la bestia capitalistica ad una inversione di marcia, o a ripensare i propri presupposti. Piuttosto, rappresenta per essa ancora una volta un limite da valicare (questa volta però invalicabile, che è proprio ciò che rende questa crisi particolarmente pericolosa e instabile). Niente può né deve ostacolare la folle corsa capitalistica verso il nulla, né oziose argomentazioni di tipo ecologico o peggio ancora morale, tantomeno la più cruda realtà tangibile dell’ingolfamento di capitali che non trovano modo di essere valorizzati (se non in campo finanziario, cosa che però non rappresenta una soluzione dal punto di vista capitalistico, ma un segnale decisamente inquietante dell’aggravarsi della crisi stessa, in quanto ha come risultato finale il rigonfiamento di enormi bolle finanziarie che non possono tenere in eterno e che produrranno disastri devastanti al momento del loro scoppio, come è avvenuto per esempio nel 2008 con la crisi dei subprime).

La crisi del corona virus detto COVID-19 si inserisce in questo contesto, sottolineando lo stato di crisi soprattutto dal punto di vista ecologico. Il capitalismo in crisi, “bestia impazzita”, assolutamente indifferente alle condizioni della natura come degli umani (e non può essere diversamente, altrimenti non sarebbe capitalismo, cioè – ripetiamo – sistema sociale che ha come UNICO scopo la valorizzazione del capitale, quindi di se stesso, come il concetto marxiano di “soggetto automatico” ben evidenzia), non può che causare disastri immani. Il COVID-19 ne rappresenta l’emergenza attuale dal punto di vista ambientale, molti altri fenomeni degli ultimi anni (le varie guerre, la povertà sempre più diffusa, l’abbattimento a tappeto di garanzie sociali minime, il razzismo e il sessismo dilaganti, i sovranismi etc.) ne rappresentano altri aspetti, ma tutti riconducibili a quell’unica “causa”, cioè il sistema del capitale e il suo meccanismo di funzionamento.2

Il testo di Roswitha e Herbert cerca di sottolineare nuovamente quanto detto sopra, focalizzando l’attenzione su specifici aspetti, quali i danni delle privatizzazioni neoliberiste, il ruolo delle donne nella crisi, la necessità sempre più stringente per il capitalismo in crisi di disciplinare le masse, il ritorno dello Stato (sociale). Proprio su quest’ultimo punto vale forse la pena soffermarsi un attimo.

Lo Stato sociale, sostengono i due autori – ma non solo loro in questa occasione, per dire la verità – è tornato di gran moda. Osteggiato e sbeffeggiato dalla corrente neoliberista, adesso tutti tornano a bussare alla sua porta e, come figliol prodighi dopo aver sperperato tutto il patrimonio, a chiedere di nuovo soccorso. Questo almeno quello che appare, e che farebbe credere che lo Stato sociale possa ancora una volta salvare la pelle al sistema. Ma le cose non sono così semplici, purtroppo (perché piacerebbe a tutti avere un buon padre di famiglia che, al momento opportuno, riprenda in mano le redini e conduca verso qualche approdo sicuro). Lo Stato sociale, in realtà, non è qualcosa di diverso dal sistema che lo ha generato. Il Welfare, o Etat providence o keynesismo o definito in uno dei tanti modi in cui le varie lingue e culture lo chiamano, nasce come importante stampella per il buon funzionamento del capitalismo. Foucault, nei suoi studi soprattutto al Collège de France,3 sottolinea con dovizia di particolari questo passaggio, da un certo punto in poi indispensabile all’espansione capitalistica. Lo Stato sociale, oltre a sostenere il sistema, ne ha però anche bisogno perché attinge le proprie risorse proprio dal sistema stesso. Diventa quindi un circolo vizioso quando il sistema chiede aiuto allo Stato sociale perché non è più in grado di reggere né economicamente né socialmente, e lo Stato non sa come fare perché, per aiutare il sistema, dovrebbe attingere risorse proprio da quel sistema che sta crollando e non ne ha più da offrire. È un cane che si morde la coda, l’ennesimo problema senza soluzione. L’invocato Stato sociale dunque non può salvare più nessuno, perché non ha più alcuna redditività capitalistica dietro a sostenerlo. Esso, così come lo Stato tout court, non può essere la soluzione al problema (non lo è mai stato), ma adesso neanche più un palliativo. La soluzione va cercata altrove, tenendo certo presente che non può essere demandata ad una sorta di invocazione alla “natura umana” che di per sé genererebbe un sistema sociale alternativo. Sarebbe giunto il momento, invece, di pensare ad una organizzazione sociale per una volta “cosciente”, capace anche di pianificazione sensata, fondata su principi radicalmente diversi dalla “valorizzazione del capitale”.4 Ma a questo proposito, il percorso è ancora lungo e tortuoso. Buona lettura.

ps: per questa traduzione abbiamo privilegiato un approccio di “senso”, abbiamo cioè provato a riportare in un italiano più comprensibile possibile i concetti espressi nell’originale tedesco. Per una versione più “letterale” consultare:

https://francosenia.blogspot.com/2020/04/la-miccia.html.

oppure

https://sinistrainrete.info/articoli-brevi/17433-roswitha-scholz-herbert-boettcher-il-coronavirus-ed-il-collasso-della-modernizzazione.html

*******

Il Coronavirus e il crollo della modernizzazione

di Roswitha Scholz e Herbert Böttcher

Il Coronavirus è il fattore scatenante, non la causa dell’inasprimento della crisi. Potrà solo accelerare il crollo del capitalismo. Rispetto alla crisi del 2007/8, che ha colpito soprattutto le banche “sistemiche”, adesso anche l’economia reale ha bisogno di miliardi di euro di aiuti. Ancora una volta viene chiamato in soccorso lo Stato (sociale), che durante il trionfo del neoliberismo era stato screditato come “divano sociale” e palla al piede per la competitività. Quel capitalismo nazionale, a caccia di investitori, e “a trazione finanziaria”, che era stato presentato come modello di successo, non era altro che una strategia per dilazionare la crisi del capitalismo. Non è quindi un caso che ci si trovi a fronteggiare il Coronavirus con un sistema sanitario parzialmente privatizzato e al risparmio, e nelle regioni di crisi spesso nel completo collasso delle strutture statali e di mercato.

Già dai primi esperimenti neoliberali degli anni Settanta, che Augusto Pinochet – sostenuto dai Chicago Boys che ruotavano intorno a Milton Friedman – aveva condotto in Cile sotto una dittatura militare omicida, gli osservatori più attenti avevano notato come la parola d’ordine fosse “lo Stato sociale schiavizza, lo Stato di polizia rende liberi”. Di fatto, la storia successiva del neoliberismo è legata all’intensificarsi della repressione, soprattutto contro persone divenute superflue dal punto di vista dello sfruttamento capitalistico: disoccupati, precari, rifugiati, malati, anziani non redditizi. L’esclusione e la repressione non sono semplicemente prodotti del capitalismo neoliberale, ma sono espressione della stretta connessione tra capitalismo e democrazia, tra liberalismo e repressione; la stessa che è alla base dello “stato di emergenza”. Negli ultimi decenni, lo “stato di emergenza” è diventato sempre più lo “stato normale”, soprattutto per i rifugiati. Sotto la pressione della crisi del Coronavirus ci sono già state deportazioni forzate collettive dalla Grecia verso la Turchia. C’è da temere che la repressione dello Stato già nota si intensifichi con questa crisi – insieme ad una crescente ferocia della polizia e della magistratura (corruzione, legami mafiosi etc.)

Come già nel 2015 a proposito della cosiddetta “cultura dell’accoglienza”, anche questa volta non ci si può fidare dei vari proclami di solidarietà. Nessun politico ha mai seriamente pensato di migliorare le “risorse” dei senzatetto e dei mendicanti durante questa crisi. Le loro possibilità di sopravvivere grazie alle donazioni dei passanti o raccogliendo viveri qua e là sono molto limitate. Né è stata dimostrata alcuna solidarietà politica a sostegno di coloro che dipendono da Hartz IV5 e dall’assistenza di base in età avanzata, o che si trovano ad affrontare un peggioramento della condizione alimentare dovuto all’accaparramento di prodotti a basso costo, tale da causare il crollo delle mense per i poveri. La solidarietà politica si estende, nella migliore delle ipotesi, a coloro che sono utilizzabili e “sistemicamente rilevanti” e, al massimo, agli anziani che devono trascorrere il loro meritato riposo dopo una vita di lavoro.

In questa situazione sono in particolare le donne ad essere richieste come “ultimo bastione” contro la crisi. In questo ruolo stanno ricevendo, in questo momento, molti apprezzamenti. Va ricordato, però, che questo riconoscimento arriva in un momento in cui il patriarcato capitalista si sta disintegrando. Per questo motivo le donne sono ora coloro più sotto pressione nella lotta per la sopravvivenza. La loro importanza e la loro funzione dovrebbero quindi essere considerate all’interno di questo contesto, piuttosto che per richiedere semplicemente la riqualificazione del lavoro delle donne e una remunerazione adeguata. Sarebbe importante considerare ora il processo di crisi strutturale in corso nel suo insieme come punto di partenza per l’analisi, anche per una riflessione su come intervenire.

Nel frattempo, si ergono sempre più numerose le voci che chiedono il diritto a libertà “liberali” e che al tempo stesso sottolineano la necessità di preparare un ritorno alla normalità nell’interesse dell’economia. A questo scopo, sono disposte anche a sacrificare le persone nella follia social-darwiniana. In particolar modo sono gli anziani coloro che si vedono negare il diritto alla vita.6 Non sorprende che anche i cosiddetti “business ethicists”, come Dominik H. Enste sul Tagesspiegel del 24 marzo scorso, abbiano tanta voce in capitolo. La logica utilitaristica segnala come la salute non debba rappresentare un costo eccessivo. Il riferimento esemplare sono gli inglesi, i quali hanno “definito chiaramente quanto può costare il prolungamento di una vita: 30.000 sterline, con eccezioni fino a 70.000 o 80.000 sterline”. Non ci vuole molta fantasia per immaginare come le richieste di attenzione per il fattore “costo umani” continueranno ad aumentare in futuro.

Tutto deve essere pronto per il momento cui sarà possibile rilanciare la presunta normalità del capitalismo e con essa l’economia. C’è da temere che ciò conduca a ulteriori restrizioni e sconvolgimenti sociali, che potrebbero anche portare a disordini e saccheggi, come sta già accadendo in Sicilia. Per far fronte a questo, la polizia e i militari sono già allertati per fronteggiare lo “stato di emergenza”. Per il loro impiego, per esempio, il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha già pronto un piano per poter trattenere le persone a tempo indeterminato senza processo.7 Praticamente l’estensione di Guantanamo a tutta la società. Le attuali polemiche in Germania mostrano la tendenza a far sì che vi sia un allentamento dello “stato di emergenza” sociale generale in favore di uno “stato di emergenza” per anziani e gruppi a rischio, ovvero in favore del loro isolamento.

All’isolamento e ad ulteriori ondate di impoverimento, repressione e imbarbarimento sono esposti soprattutto coloro che sono stati trasformati in “Io SpA”,8 orientati verso la competitività nel contesto dell’individualizzazione. Soprattutto gli appartenenti alla classe media sono combattuti tra lo stress, che è quasi diventato uno status symbol, e gli imperativi di relax provenienti dall’industria della scoperta di sé, in cui il “rilassamento” diventa una top-performance, senza per questo essere veramente salutare. Le conseguenze socio-psicologiche dell’isolamento si stanno già manifestando sotto forma di depressione e di escalation della violenza, soprattutto contro le donne, in situazioni in cui le persone vengono respinte in se stesse e nell’ambiente immediatamente circostante. Meno si intravede il ritorno alla normalità abituale e tanto più si diffondono l’impoverimento e il declino sociale, più il soggetto della competizione orientata alla “lotta di tutti contro tutti” minaccia di condurre ad una guerra sociale darwiniana che non tiene neanche conto delle perdite.

Ciò che Robert Kurz ha descritto in molti dei suoi libri, e quello che sappiamo soprattutto dalle regioni globali in decomposizione, con ogni probabilità lo sperimenteremo ora anche noi in modo veramente sensibile. Sia i movimenti sociali che la sinistra ignorano completamente o non prendono sul serio le teorie della crisi e del crollo, così come la critica del valore e della dissociazione sessuale. Circolano invece dubbie fantasie cospirative come quelle di Dirk Müller (“Mr. Dax”)9 e analisi del crollo come quelle di Friedrich/Weik,10 i quali dopo il “più grande crash di tutti i tempi” si stanno ora adoperando per un capitalismo nuovo e perfezionato. La sinistra si getta in un iper-social-democraticismo con parole d’ordine come Green New Deal, redistribuzione, espropriazione, etc. Tutta l’umanità viene qui interpretata come “classe lavoratrice” contro l’“uno per cento” dei possidenti e ogni disastro non è attribuito al capitalismo e alla sua intrinseca “contraddizione in progress”, bensì al neoliberismo.

È sempre più difficile occupare di volta in volta, in base al corso della crisi, i poli del mercato o dello Stato, poiché la crisi nel suo corso si aggrava e va incontro, in modo sempre più netto, ai suoi limiti interni. Un ritorno allo Stato nazionale sarebbe fatale. La chiusura delle frontiere testimonia l’impotenza ed è piuttosto un’azione di ripiego. Sarebbe invece necessario pragmatismo e cooperazione su scala internazionale per contenere l’attuale crisi scatenata dal Coronavirus. La ricerca, il trasporto delle merci, la produzione di beni vitali dovrebbero essere regolate oltre i confini nazionali in modo non burocratico e gratuito per contrastare ulteriori conseguenze barbariche. La situazione di necessità richiede aiuto e cooperazione reciproca. Tuttavia, tale pragmatismo e cooperazione non devono essere confusi stupidamente con la comparsa di un’altra società. Essa potrà vedere la luce solo quando il pensiero e l’azione porteranno ad una rottura con le forme della socializzazione determinate dal valore e dalla dissociazione sessuale.


Testo originale qui:
https://www.exit-online.org/textanz1.php?tabelle=aktuelles&index=1&posnr=731
Note:
1. Per una prima infarinatura sul movimento di pensiero definito “Critica del valore”, può essere consigliabile una lettura dei seguenti testi: https://www.sinistrainrete.info/marxismo/3658-anselm-jappe-.html e https://www.sinistrainrete.info/teoria/15903-anselm-jappe-alcuni-punti-essenziali-della-critica-del-valore.html. Sul concetto di valore inteso da questo pensiero, cf.http://latradizionelibertaria.over-blog.it/article-marxismo-critico-norbert-trenkle-qu-est-ce-que-la-valeur-qu-en-est-il-de-sa-crise-une-introduct-93002611.html.
2. A chi sostiene che le crisi virali che hanno decimato l’umanità ci sono sempre state (cf. ad esempio William Hardy McNeill, La peste nella storia, Res Gestae, 2012), è possibile replicare che se in effetti un problema di questo tipo non pertiene in modo esclusivo al “capitalocene”, come lo chiamano alcuni, tuttavia oggi avremmo il grande vantaggio di saper contrastare efficacemente questo tipo di problemi, grazie ad una ricerca che, quando non è asservita alle brame capitalistiche, riesce spesso a individuare con un certo anticipo certe problematiche e mettere in grado di prevenirne gli effetti indesiderati, almeno a livello sociale. È proprio il caso di questo COVID-19, da più parti individuato con largo anticipo e in un certo senso persino atteso, nella misura in cui si era a conoscenza dello sconvolgimento ambientale causato dal sempre più massivo e invasivo allevamento animale industriale. Ma non è cosa da capitalismo “maturo”, specie in tempi di crisi fondamentale, curarsi di questi aspetti, che rappresenterebbero soprattutto un costo. Piuttosto, si agevoli l’occupazione di terre incolte per l’agrobusiness, il disboscamento massiccio, l’agricoltura insostenibile e compagnia cantante, e “tutto andrà bene” – per riprendere uno slogan del momento. Quando poi si scatena una crisi ecologica come questa, beh, appunto se ne è viste tante, una più una meno… Ma questo giochino potrebbe anche sfuggire di mano un giorno, ed è probabilmente proprio quello che sta succedendo adesso.
3. In questi corsi Foucault struttura un po’ meglio soprattutto il concetto di “Biopolitica”, indispensabile per capire questo passaggio fondamentale del capitalismo. All’interno di questo concetto ha cittadinanza piena quello di “Stato sociale”, come probabilmente sua più estrema concrezione. Con “Biopolitica” Foucault non vuole semplicemente distinguere un approccio del potere rispetto ai corpi solo, diciamo così, per “descriverlo”. Quello che cerca di fare è capire come mai il potere, che storicamente assume certamente varie forme ma come istanza fondamentale resta “identico”, da un certo punto in poi invece di “smembrarli” i corpi, comincia a “prendersene cura”. Perché questo passaggio, cosa succede? Succede forse che il potere diventa buono? Tutt’altro! Piuttosto, il potere scopre che i corpi si possono mettere a valore, e che possono valere tanto. Questo passaggio coincide con l’avvento della modernità, che lui chiama “epoca classica” seguendo una sua peculiare cronologia, avvento che non casualmente coincide anche con la nascita del capitalismo. Nascono gli Stati, i parlamenti, le leggi, il lavoro (astratto), le “istituzioni totali” come carceri manicomi etc. Foucault analizza mirabilmente questo passaggio, soprattutto nei corsi intitolati La società punitiva, Bisogna difendere la società, Sicurezza, territorio e popolazione, Nascita della biopolica e Sul governo dei viventi. La biopolitica è dunque la parola che descrive questo approccio “costruttivo” del potere sui corpi.
4. Va da sé che non si vuole qui riproporre una specie di “neo-socialismo reale”, tantomeno una sorta di società filo-orwelliana post-capitalistica dove tutto viene “spiato”, “monitorato” e “normalizzato” (questo piuttosto sembra essere l’esito ultimo del capitalismo di crisi, come l’esperienza attuale legata all’emergenza COVID-19 sembra dimostrare). Per capire un po’ meglio come vada pensata una organizzazione sociale non capitalistica, capace di pianificare in modo razionale le “risorse” (magari cominciando a chiamarle con altro nome, perché il superamento del capitalismo prevede anche il superamento del suo pensiero e del suo linguaggio oggettivanti), può essere utile riportare un lungo brano di una intervista fatta a Robert Kurz nel “lontano” 2010 per un volume collettivo da pubblicare in Francia (testo originale qui: https://www.exit-online.org/druck.php?tabelle=autoren&posnr=449, tr.it.https://www.sinistrainrete.info/marxismo/3615-robert-kurz-la-teoria-di-marx-la-crisi-e-labolizione-del-capitalismo.html). Guardando con occhio critico all’anti-industrialismo ingenuo e moralistico, l’intervistatore chiede a Kurz in che cosa consista, secondo lui, la società post-capitalistica. Questa la risposta: “Già Marx disse, a ragione, che l’anti-industrialismo astratto è reazionario, perché getta via il potenziale di socializzazione e, così come gli apologeti del capitalismo, può immaginare solo un contesto generale di riproduzione sociale nelle forme del capitale. L’anti-industrialismo conclude che l’autodeterminazione umana potrà esserci solo a spese della ‘desocializzazione’, in piccole reti basate su un’economia della sussistenza (small is beautiful) [….] La questione, invece, è liberare la riproduzione sociale dal feticcio del capitale e dalle sue forme basilari. I potenziali della socializzazione sono determinati nel capitalismo in modo puramente negativo, come sottomissione degli esseri umani al fine in sé della valorizzazione. Perfino il lato materiale della produzione industriale obbedisce a questo imperativo del ‘soggetto automatico’ (Marx). Per questo motivo anche il contenuto materiale della socializzazione industriale non può essere superato positivamente, ma deve essere abolito insieme alle forme feticistiche del capitale. Ciò non riguarda solo i rapporti sociali di produzione ma anche il rapporto con la natura. Non si tratta, di conseguenza, di assumere l’industria capitalista e il produttivismo che gli è inerente senza rotture. Tuttavia, un ‘antiproduttivismo’ ugualmente astratto, o la regressione a una povertà idilliaca in un’economia di sussistenza e l’atmosfera socialmente oppressiva di confuse ‘comunità’, non è alternativa, ma solo il rovescio della stessa medaglia. Il compito è dunque di rivoluzionare le condizioni materiali di produzione a livello sociale globale e mirare come obiettivo la soddisfazione dei bisogni, così come la preservazione delle basi naturali. Ciò significa che non potrà più aversi lo sviluppo incontrollato secondo il criterio generale e astratto della cosiddetta razionalità dell’economia d’impresa […] Anche nell’industria deve essere sostituita questa logica del valore, che trasforma le forze produttive in forze distruttive, per cui vengono dismessi domìni di aree vitali per caduta di ‘redditività’. Così, la mobilità non dev’essere eliminata, o ridotta al livello di carretti trainati da asini, ma piuttosto, partendo dalla forma distruttiva del trasporto automobilistico individuale, trasformata in una rete qualitativamente nuova dei trasporti pubblici. Gli ‘escrementi della produzione’ (Marx) non possono continuare a essere sparsi nella natura, anziché essere integrati in un circuito industriale. E la ‘cultura della combustione’ capitalista non può essere mantenuta, ma è necessario un uso differente delle energie fossili. Infine, è necessario che i momenti della riproduzione non suscettibili di essere abbracciati dal valore e dal lavoro astratto, che furono dissociati dalla società ufficiale e storicamente delegati alle donne (attività domestiche, assistenziali, cura etc), siano organizzati in forma coscientemente sociale e slegati dalla loro caratterizzazione sessuale. Questa ampia diversificazione della produzione industriale e dei servizi, secondo criteri puramente qualitativi, è qualcosa di differente da un anti-industrialismo astratto; ma esige l’abolizione della ragione capitalista, della sintesi attraverso il valore e il calcolo economico imprenditoriale da quello derivante. Questo però può darsi soltanto come processo sociale, per mezzo di un contro-movimento sociale che provenga dalla società stessa, e non attraverso “modelli” pseudo-utopici, che avrebbero solo da essere generalizzati […] Ciò che la teoria può sviluppare, in quanto critica dell’economicismo capitalista, sono i criteri di una socializzazione differente. Qui è inclusa, in primo luogo, una pianificazione cosciente delle risorse, che deve sostituire la dinamica cieca delle ‘leggi coercitive della concorrenza’ (Marx). La pianificazione sociale è stata screditata, anche a sinistra, perché il suo concetto non è mai stato compreso oltre l’estinto socialismo burocratico di Stato. Ma questo socialismo non costituiva un’alternativa al capitalismo, quanto piuttosto, essenzialmente, una ‘modernizzazione in ritardo’ nella periferia del mercato mondiale, che faceva uso dei meccanismi dello Stato capitalistico. La logica del valore non era abolita ma semplicemente nazionalizzata […] Si trattava semplicemente della partecipazione delle regioni periferiche al mercato mondiale con pari diritti, partecipazione che è finita nel fallimento. Pertanto, questa formazione rimaneva prigioniera dell’aporia di una ‘pianificazione del valore’, che per sua natura non è pianificabile, ma implica la concorrenza universale, sotto i dettami del produttivismo astratto. Se oggi la socializzazione negativa attraverso il valore urta in limiti storici su scala mondiale, è all’ordine del giorno un nuovo paradigma di pianificazione sociale, oltre il mercato e lo Stato, il valore e il denaro”.
5. Hartz IV è una fase del cosiddetto “piano Hartz”, applicato in Germania a partire dal gennaio 2003. Peter Hartz, consigliere del cancelliere tedesco Gerhard Schröder durante la sua seconda legislatura (2002-2005), ebbe effimera fortuna pubblica in Germania soprattutto nei primi anni del XXI secolo, inizialmente come direttore del personale della Volkswagen, poi come esponente del partito socialdemocratico (SPD) e del sindacato IG Metall. Il piano Hartz, ordito dall’omonimo soggetto, doveva contenere i costi del lavoro senza teoricamente penalizzare lavoratori e non. Il risultato fu catastrofico, e il lavoratori e i disoccupati in Germania ne pagano le conseguenze tutt’oggi. Per capire il personaggio Hartz, può forse essere utile riportare un brano di un testo di Robert Kurz, das Weltkapital, in corso di pubblicazione in Italia, dove si tratteggia la figura a dir poco inquietante del personaggio in questione: “…Nel luglio del 2005 Hartz è stato travolto da uno scandalo di corruzione che ha colpito Volkswagen e su cui la procura di Stato ha aperto un’inchiesta. La faccenda riguarda certe aziende-fantasma illegali, ad esempio in India, che vedrebbe coinvolto anche il capo della commissione interna Volkert, un amico intimo del cancelliere Schröder. Per non parlare di bustarelle e di rendiconti di spesa gonfiati e non documentati a beneficio di funzionari sindacali, per il cui piacere la compagnia reclutava in Brasile a proprie spese prostitute di alto bordo. Hartz dovette dare le dimissioni, assieme a Volkert” aggiungendo in nota “Nel 2007 Hartz venne condannato a due anni di prigione per i reati di corruzione e favoreggiamento della prostituzione”. Per una infarinatura sulla vicenda “piano Hartz”, può essere utile uno sguardo qui: https://it.wikipedia.org/wiki/Piano_Hartz. Sul “personaggio Hartz”, qui: https://it.wikipedia.org/wiki/Peter_Hartz.
6. [nota di Roswitha Scholz & Herbert Böttcher] cf. Klaus Benesch: Money before Lives, Telepolis del 26.3.2020.
7. [nota di Roswitha Scholz & Herbert Böttcher] cf. Florian Rötzer: US-Justizministerium will im Notstand unbegrenzt ohne Prozess inhaftieren können (tr.it.: Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti vuole, nell’emergenza, la detenzione illimitata senza processo), Telepolis del 23.3.2020.
8. Questo termine traduce l’espressione tedesca “Ich AG”, cioè “Impresa unipersonale” (AG letteralmente sta per Aktiengesellschaft, cioè il corrispettivo di “società per azioni” in tedesco), ed è stato introdotto nella legislazione tedesca dall’immancabile Peter Hartz (vedi nota 5). Concepito come strumento per trovare una soluzione al problema della disoccupazione che cominciava ad essere pressante in Germania verso la fine degli anni ‘90, questa strategia si è rivelata il consueto fiasco, fino a diventare una sorta di farsa. Per chi si diletta in lingua tedesca, può essere divertente dare un’occhiata qui: https://www.stupidedia.org/stupi/Ich-AG
9. Noto in Germania soprattutto per il suo libro Crashkurs, uscito nel 2009 dopo la grande crisi, il consulente finanziario Dirk Müller è uno dei tanti sostenitori della cospirazione finanziaria contro il buon capitalismo che, altrimenti, avrebbe retto e guidato le magnifiche sorti e progressive del mondo senza intoppi verso la felicità collettiva, ça va sans dire. Mr. Dax è il nomignolo affibbiatoli dai media tedeschi poiché il suo ufficio si trovava vicino a quello dell’indice azionario più importante di Germania, il DAX appunto (Deutscher Aktienindex), e sembra che i giornalisti usassero icasticamente le espressioni del suo volto per far capire se questo indice stesse crescendo o perdendo.
10. Anche loro consulenti finanziari “cospirazionisti-sovranisti” piuttosto noti in Germania (ma non solo: cf. https://www.maurizioblondet.it/weik-friedrich-linizio-della-fine-della-globalizzazione/), non rappresentano una particolare novità nel panorama complottista. Per un’idea sui personaggi, visitare il loro sito (in tedesco): http://www.friedrich-weik.de/

Add comment

Submit